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Introduzione
L’obiettivo di fondo del presente lavoro è quello di offrire una panoramica circa le
caratteristiche di una “particolare” forma di governo societario che solo negli ultimi anni è stata
oggetto di un’intensa, e qualitativamente elevata, attività di ricerca e di produzione letteraria: il
“foreign owners”.
Gli investimenti diretti esteri (FDI) foreign owners o dir si voglia, rappresentano una forma
di internazionalizzazione delle imprese. Secondo la definizione del “Fondo Monetario
internazionale”(FMI) gli investimenti diretti esteri (IDE) sono investimenti effettuati da parte di
un soggetto residente in un Paese rivolti a stabilire una relazione di lungo termine (lasting
interest) e ad acquisire interessi durevoli e di controllo in un'impresa residente in un altro Paese
e presuppongono l'intenzione dell'investitore diretto di acquisire un significativo livello di
influenza sulla gestione dell'impresa (10% di azioni ordinarie). Il concetto di Investimento
Diretto Estero è strettamente collegato a quello di “Multinazionale” ovvero un’impresa,
generalmente una società, che organizza la sua produzione in almeno due paesi diversi. Le
maggiori imprese multinazionali hanno di norma budget maggiori di quelli delle economie dei
paesi in via di sviluppo in cui operano; tali imprese giocano un ruolo importante nei processi di
globalizzazione e hanno una forte influenza sulle relazioni internazionali degli stati coinvolti.
La letteratura economica, dalle analisi di Smith (1776) passando per quella di Ricardo
(1817) fino ad arrivare all’ eclectic paradigm /oli di Dunning(1981), ha cercato di spiegare:
- quali sono le ragioni che spingono un’ impresa a effettuare IDE in un paese straniero;
- da cosa dipende il grado di attrattività di un Paese.
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La giustificazione più convincente alla prima domanda è stata offerta dalla teoria eclettica di
Dunning (1981). L’elemento centrale sta nell’affermazione che le imprese devono
congiuntamente possedere tre tipologie di vantaggi per operare tramite IDE:
- ownership advantages specific;
- location advantages specific;
- internalization advantages.
Alla secondo questione la letteratura (Frenkel, Funke, e Stadtmann, 2004;Charkrabarti,
2001; Artige e Nicolini, 2005; Mauro, 1995; Lunn, 1980; Lehmann, 1999) ha cercato di
rispondere utilizzando e studiando l’impatto delle singole determinanti macroeconomiche
sull’afflusso di IDE. Le scelte sulla localizzazione delle MNCs dipende, appunto, da fattori
macroeconomici quali: Market size, grado di apertura di un paese agli IDE, costi del lavoro,
rischio politico e di Paese, carenze infrastrutturali,politica fiscale, crescita economica, distanza
culturale, corruzione, criminalità, effetto agglomerazione, tutela degli investitori e corporate
governance.
La direzione e gli effetti delle varie determinanti sull’afflusso di IDE (tabella 2.1) possono
essere differenti e non sempre evidenza empirica e teoria economica sono state in sintonia. La
letteratura aziendalistica non si è soffermata solo sulle determinanti del foreign ownership , ma
ha analizzato come gli IDE impattano sulle performance del Paese stesso e ha cercato di
rispondere alla seguente questione:
- quali sono gli effetti degli IDE sulle economie ospitanti?;
Anche a questa domanda la letteratura non ha risposto in maniera univoca. Infatti, le
numerose evidenze empiriche prodotte sul tema (Aitken e Harrison, 1999; Blomstrom, Lipsey e
Zejan, 1994; Caves, 1999; Kokko, 1992;Hirshman, 1958; Barba Navaretti e Venables, 2006;
Nunnenkamp e Spatz, 2004; De Melo, 1997 Konings J.,2000; ) hanno dimostrato che il legame
tra presenza di foreign ownership e firm performance non è chiaro e soprattutto hanno
evidenziato come gli effetti degli IDE sui paesi ospitanti risultano essere controversi.
Solo di recente alcuni studi accademici hanno posto l’enfasi sull’importanza della corporate
governance nell’attrarre IDE. In particolare, dagli studi si evince come una buona corporate
governance , sia un elemento chiave che influenza le decisioni di investimento (Gibson,2003).
Infatti, quando vi è una “povera” corporate governance e la protezione degli investitori è
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debole, i problemi di agenzia all’interno dell’impresa tendono ad aggravarsi (Dennis e
McConnell, 2003; Shleifer e Vishny, 1997); invece, in presenza di una buona governance e una
forte protezione degli investitori, il problema di agenzia è meno “severo”. Generalmente, vi è
una relazione positiva tra qualità della corporate governance e IDE “countries where the rule
of law prevails and is enforceable, the judicial system is efficient, corruption is low and
ownership is less concentrated, receive more investment” (OECD 2002a, p. 179).
Il presente lavoro si pone un duplice obiettivo (research questions):
1) come i fattori di moderazione influenzano la relazione tra corporate governance e
foreign ownership;
2) come la presenza di foreignesr vada ad influenzare la performance dell’impresa;
Il lavoro si articola in due parti: la prima parte di carattere teorico (capitoli 1 e 2), la seconda
a carattere empirico (capitoli 3 e 4).
Il primo capitolo si concentrerà sulla corporate governance in generale, mentre il secondo
analizzerà il foreign ownership, la teoria sulle determinanti e gli effetti degli IDE sulle firm
performance. Nel terzo capitolo verrà analizzato come la relazione tra corporate governance e
foreign owners sia condizionata da variabili di moderazione (variabili macro). Nell’ultimo
capitolo si cercherà di verificare se tra foreign ownership e firm performance esiste una qualche
relazione (positiva, negativa o neutra).
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Capitolo 1-
Corporate Governance, assetti proprietari e Valore:Teorie e
prospettive di analisi
Il tema della corporate governance ha da sempre occupato un ruolo di rilievo nella
letteratura economico-aziendale a livello internazionale. Negli ultimi anni, anche per effetto dei
numerosi collassi di imprese multinazionali ritenute invulnerabili, il tema è tornato fortemente
alla ribalta. In particolare, il fallimento dei meccanismi di governance e contabili di imprese
quali Enron, WorldCom, Adelphia e Tyco negli Stati Uniti, di Ahold in Olanda, i dissesti di
Parmalat, Cirio, Freedomland in Italia (con tutti gli strascichi giudiziari), la bancarotta
argentina, gli scandali delle Banche dei Laender tedeschi e della casa automobilistica
Volkswagen, seppure con modalità ed intensità differenti, si sono verificati in un arco
temporale estremamente limitato, sensibilizzando una profonda riflessione internazionale e
comportando una nuova “ondata regolatrice” nella maggior parte dei paesi industrializzati.
Questi scandali hanno messo a dura prova il sistema economico, finanziario e sociale dei paesi
nei quali si sono verificati, ed hanno dimostrato che i sistemi di corporate governance
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rivestono un ruolo vitale per il corretto funzionamento dell’intero sistema economico, in quanto
coinvolgono interessi che si ripercuotono:
sul mercato dei capitali, dove le crisi nei sistemi di corporate governance generano
incertezza e timore negli investitori;
sul sistema economico, poiché i fallimenti delle grandi imprese hanno causato – a loro
volta – i fallimenti o le crisi dei propri fornitori, che hanno visto “bruciarsi” i propri
crediti;
sul mercato del lavoro, poiché tali fallimenti hanno causato la perdita di migliaia di posti
di lavoro;
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“Il problema della corporate governance è importante per diverse ragioni. Da un lato, si assume che esso costituisca una
leva fondamentale della competitività delle aziende; rappresenta cioè una chiave attraverso cui massimizzare l’efficacia della
gestione; più in generale per ottimizzare le performance. Dall’altro lato, dal modello di corporate governance dipende il livello
di accountability delle aziende; dipende cioè l’ampiezza della responsabilità attribuita ai decisori aziendali e l’efficacia del
contributo cui essi sono sottoposti” (Forestieri & Airoldi, 1998, p. 3)
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sul sistema sociale, a causa delle ripercussioni sulla vita dei dipendenti che hanno perso
il posto di lavoro e, in molti casi, anche la propria pensione.
Il primo capitolo sarà strutturato nel seguente modo. Nel primo paragrafo sarà illustrato il
tema della corporate governace, la natura e la sua rilevanza. Nel secondo paragrafo saranno
illustrati gli approcci teorici alla corporate governance, i meccanismi utilizzati per limitare
problemi di opportunismo, incompletezza contrattuale e asimmetria informativa. Nel terzo
paragrafo saranno evidenziate le controversie i problemi aperti e le numerose evidenze
empiriche prodotte sull’ownership. In particolare, saranno analizzati gli strumenti
dell’ownership concentration (concentrazione proprietaria) e della managerial ownership
(partecipazione manageriale al capitale di rischio) e i vari effetti sul valore di impresa. Infine,
nell’ultimo paragrafo sarà illustrato l’ownership identity (identità del proprietario) e le
numerose evidenze prodotte sul tema.
1.1 Corporate Governance: un quadro di riferimento teorico
Tra i grandi temi che nell’ultimo lustro hanno attirato l’attenzione di economisti, studiosi,
manager, investitori, legislatori e policy maker, va sicuramente menzionata la corporate
governance, che ha riportato al centro del dibattito economico e politico il tema delicato del
“buon governo dell’impresa”, delle sue finalità e del funzionamento equilibrato degli organismi
preposti alla gestione delle aziende.
Nonostante il gran numero di contributi che sono stati prodotti sull’argomento nel corso
degli ultimi decenni, presentare una definizione univoca di corporate governance, in grado di
racchiudere tutti gli aspetti e le funzioni che l’espressione raggruppa in se, risulta essere
difficile. Anzitutto, l’origine del dibattito sulla corporate governance può essere ricondotto alla
c.d. separazione tra proprietà e controllo, cioè alla separazione dei ruoli tra coloro che
assumono le decisioni necessarie alla vita dell’azienda e i soci/azionisti che di fatto sono i
proprietari dell’azienda. Infatti, già nel 1776 Adam Smith osservava che “…The directors of
such companies, however, being the managers rather of other people’s money than of their
own, it cannot well be expected that they should watch over it with the same anxious vigilance
with which the partners in a private copartnery frequently watch over their own” (Smith,
1776).