7
energia “pulita”. Negli ultimi dieci anni sono stati avviati – principalmente su iniziativa europea -
numerosi programmi per migliorare la situazione economica dei paesi del sud ed est del Bacino (i
cosiddetti PSEM), per migliorare i rapporti di cooperazione tra essi e l’Europa e per l’avvio di
numerosi progetti per la costruzione di impianti ad energia rinnovabile. Proprio nel settore delle
FER sono stati raggiunti risultati molto incoraggianti, che hanno portato benefici non solo
economici ai paesi delle due sponde (permettendo ai paesi più arretrati di disporre di nuove risorse
energetiche, necessarie per intraprendere la strada dello sviluppo), ma anche benefici sociali e
culturali, attraverso l’aumento dell’occupazione e il ripopolamento delle aree rurali che, negli ultimi
decenni, sono state abbandonate da milioni di persone provocando problemi di sovrappopolamento
urbano.
L’area del Mediterraneo diventa sempre più un fattore di coesione e collaborazione fra i paesi che
ne formano il Bacino e la creazione di un mercato libero entro il 2010, tra i paesi nord africani e
l’Europa, darà vita ad una delle aree commerciali più importanti del mondo. Tuttavia, gli ostacoli a
questo cammino non mancano, primo tra tutti, il notevole divario di sviluppo esistente tra i paesi
europei e i PSEM.
Lo scopo di questa relazione è illustrare, inizialmente, le caratteristiche geo-climatiche del
Bacino del Mediterraneo, evidenziando le diversità presenti tra le sponde Nord e Sud ed i problemi
ambientali che lo sviluppo di certi paesi ha creato negli ultimi anni: inquinamento delle coste,
sovrappopolamento delle città, inquinamento dell’aria, riscaldamento climatico. Vengono poi
descritti alcuni dei più importanti trattati di cooperazione (non solo nel settore energetico) siglati tra
i PSEM e l’Europa, tra i quali spicca la Dichiarazione di Barcellona del 1995, pietra miliare per la
futura integrazione commerciale e culturale dei paesi dell’area.
Nella seconda parte viene dato spazio alla descrizione dei programmi energetici promossi
dall’Europa per la diffusione delle FER e dei progetti avviati in alcune aree del Mediterraneo per
l’implementazione delle tecnologie energetiche “pulite”.
Successivamente, sulla base dei dati principalmente forniti da ENEA, OME e IEA ed aggiornati
in gran parte al 1999, viene descritta brevemente la situazione energetica a livello mondiale, per poi
focalizzarla nel contesto mediterraneo e, quindi, nei PSEM e nel Nord Mediterraneo, mettendo in
evidenza i cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni, fornendo una situazione generale per le FE
tradizionali (carbone, petrolio e gas) e il settore dell’elettricità e più dettagliata per le più importanti
FER: la biomassa, l’energia geotermica, eolica, idraulica e solare. Di ogni FER vengono descritte le
caratteristiche tecnologiche, lo stato di diffusione nei vari paesi delle sponde Nord e Sud, l’utilizzo
prevalente, i pregi e i difetti e gli ostacoli alla loro diffusione.
Per avere una visione d’insieme del settore energetico, viene presentata la situazione del
consumo, della domanda e della produzione di energia nel Mediterraneo, concedendo maggiore
spazio ai combustibili fossili (essendo i più diffusi). Il problema della fornitura energetica è stato
analizzato sotto l’aspetto della sicurezza degli approvvigionamenti, problema che colpisce in
particolare l’Europa nel suo insieme. Del contesto europeo viene descritto il grado di dipendenza
dei vari europei, l’equilibrio esistente tra uso di combustibili fossili e FER, i problemi che potrebbe
causare un ipotetico blocco della fornitura energetica dai paesi fornitori e le recenti riforme varate
per l’integrazione dei mercati energetici europei.
Un altro problema legato all’uso delle fonti energetiche è quello dell’efficienza, visto sia sotto
l’aspetto del risparmio energetico, attraverso l’uso di tecnologie più efficienti, sia da un punto di
vista culturale, legato cioè alla consapevolezza della necessità di ridurre gli sprechi attraverso
politiche di riciclaggio dei rifiuti, di un uso efficiente degli elettrodomestici, dei servizi, ecc.
Nell’ultimo capitolo vengono presentate le prospettive di crescita del settore energetico in
Europa e nei PSEM, dedicando particolare attenzione al settore della generazione di energia
elettrica da FER. Le previsioni sono basate su studi promossi da ENEA, Commissione Europea e
dal comitato del progetto MEMA e prendono in considerazione l’arco temporale dei prossimi venti
e trent’anni.
8
1 IL MEDITERRANEO E LA COOPERAZIONE
1.1 Aspetti geofisici e demografici
1.1.1 Il clima e i progetti per la difesa del territorio
Il Mediterraneo
1
è un ampio bacino semi-chiuso, con un’area di circa 25 milioni di km
2
, un
volume di 3,7 milioni di km
3
, largo circa 3800 km e lungo circa 900 km. È collegato ad ovest con
l’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra, un passaggio largo 15 km e profondo 290 m, e
nella parte nord-orientale con il Mar Nero, attraverso lo Stretto dei Dardanelli, che ha un’ampiezza
massima di soli 7 km e una profondità media di circa 55 m. Il Canale di Suez, un canale artificiale
largo 120 metri e profondo 12, aperto nel 1869, assicura la connessione marittima con il Mar Rosso.
La topografia è complessa: il Mediterraneo è diviso dal Canale di Sicilia (150 km di larghezza e
profondità massima di 400 metri) in due Bacini profondi, Occidentale e Orientale, che, a loro volta,
comprendono sottobacini come l’Algero-Provenzale, il Tirreno, l’Adriatico, lo Ionio e l’Egeo,
separati da soglie poco profonde. A causa delle caratteristiche morfologiche, gli scambi con
l’Oceano Atlantico e fra i sottobacini sono limitati, portando ad un lento ricambio delle sue acque,
stimato in 75-100 anni. È stato proprio questo lungo tempo di ricambio che, nel recente passato, ha
fatto pensare al Mediterraneo come un bacino di concentrazione di ogni sorta di inquinamento, che
avrebbe portato a compromettere le forme viventi in esso esistenti.
Il Mediterraneo è circondato da catene montuose che si affacciano direttamente sul mare e,
quindi, il litorale è generalmente stretto, con rive rocciose, solo localmente interrotte da spiagge.
Estese spiagge sabbiose si trovano in corrispondenza di pianure costiere, di solito associate a
consistenti apporti fluviali. Il clima è caratterizzato da inverni ventosi, miti e umidi, da estati
relativamente calme, calde e secche e da un’elevata variabilità nei mesi di transizione aprile-maggio
e settembre-ottobre. A causa della presenza di catene montuose, si formano sistemi di venti che si
incanalano nelle valli attraverso cui raggiungono il mare. I principali sono:
™ il Mistral, un intenso, freddo vento da nord-ovest, che spira prevalentemente durante
l’inverno nel Mediterraneo nord-occidentale;
™ gli Etesii (o Meltemi), venti da nord prevalenti nel Mar Egeo nella tarda estate ed in
autunno;
™ la Bora, un forte vento settentrionale caratteristico del Nord Adriatico;
™ il Vendaval, che spira attraverso lo Stretto di Gibilterra tra la Spagna e il Marocco;
™ lo Scirocco (o Khamsin), un caldo vento meridionale proveniente dalle aree desertiche
dell’Africa e dell’Arabia.
1
I paesi che compongono l’area mediterranea sono:
- riva sud ed est: Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia, Autorità
Palestinese, Israele;
- isole-stato: Cipro, Malta;
- riva settentrionale: Spagna, Portogallo, Italia, Francia, Grecia, ex-Yugoslavia, Albania.
9
Il Bacino del Mediterraneo
Alcuni studi hanno dimostrato che esiste una stretta relazione tra gli agenti atmosferici (vento,
pressione, insolazione) e la dinamica del mare, che a sua volta influenza il trasporto delle
componenti chimiche e biologiche. Il trasporto dalla terra verso il mare, dovuto ai venti e ai fiumi,
influenza positivamente la produttività, specie nella zona costiera. L’esistenza di una piattaforma
continentale molto stretta crea una forte interazione tra la dinamica costiera e quella del mare
profondo e ciò, oltre che al fenomeno di fertilizzazione, porta ad una dispersione di contaminanti ed
inquinanti verso il mare aperto.
Dal punto di vista demografico, le aree costiere hanno fatto registrare negli ultimi decenni un
considerevole aumento della popolazione, specialmente nei paesi meridionali ed orientali, anche a
causa degli spostamenti dalle aree rurali. In aggiunta a questa tendenza, la popolazione in molte
aree mediterranee ha subito – e continua a subire - un’impressionante variazione dovuta al turismo.
Questo comporta un aumento di urbanizzazione, trasporti ed altre infrastrutture costiere a scapito
del paesaggio naturale e dell’habitat marino ed un aumento del numero delle aree inquinate.
Uno dei fattori responsabili dell’inquinamento, che negli ultimi dieci anni ha caratterizzato
soprattutto i PSEM, è dovuto all’aumento dell’uso dei combustibili fossili in tutti i settori produttivi
delle economie mediterranee, provocando il rilascio nell’aria di miliardi di tonnellate di gas
inquinanti, tra cui il biossido di carbonio, e il conseguente aumento della temperatura atmosferica.
L’emissione di tali gas, detti “gas serra”, interessa non solo l’area mediterranea, ma tutto il Pianeta,
ed ha avuto un notevole impatto sul clima terrestre e sulle temperature. Queste ultime, infatti,
dall’inizio del 19° secolo, hanno fatto registrare un aumento di 0,5°C, con una particolare
accelerazione negli ultimi trent’anni.
Secondo l’OCSE, la produzione, la trasformazione ed il consumo di energia sono responsabili di
più del 50% (ed in alcuni casi quasi del 100%) delle principali sostanze inquinanti nell’aria. Questo
è il caso soprattutto delle aree urbane e rurali, dove l’inquinamento atmosferico, collegato al
consumo domestico di energia, sta diventando sempre più importante.
10
L’impatto ambientale causato della produzione e dell’uso di energia è di tre tipi:
™ locale: inquinamento atmosferico, cambiamenti di micro-clima, smog, ecc;
™ regionale: piogge acide, scarti termici;
™ globale: effetto serra.
L’Europa e il Mediterraneo, negli ultimi anni, sono stati oggetto di numerose ricerche in questo
campo. Secondo l’European Climate Assessment, la variazione annuale e stagionale delle
temperature medie nell’ultimo secolo è aumentata considerevolmente in numerosi paesi europei,
accompagnata da una diminuzione delle precipitazioni. Nel 1996, una ricerca
2
ha stimato, entro il
2100, un aumento delle temperature delle acque del Mediterraneo di 2,5°C e di 3-4°C di quelle
atmosferiche nelle zone costiere, con punte di 5,5°C in Marocco.
Globalmente, i paesi del Nord sono i principali responsabili dell’inquinamento del bacino del
Mediterraneo. Questa situazione si spiega con il loro elevato livello di consumo di energia e con lo
stile di vita della popolazione (elevato consumo di elettricità, numero di automobili pro-capite,
ecc.), situazione che si aggraverà nel prossimo futuro con il rapido sviluppo dei PSEM. Questi,
come già accennato in precedenza, stanno affrontando uno sviluppo importante ed una rapida
urbanizzazione che saranno accompagnati da un aumento del consumo di energia, soprattutto nel
settore dei trasporti, dove il tasso di motorizzazione è notevolmente più basso rispetto ai paesi del
Nord. Poiché questo settore è uno dei principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, è facile
prevedere un pesante contributo dei PSEM all’emissione globale di gas con effetto serra durante gli
anni a venire, in particolare se i problemi ambientali non saranno inclusi nella loro strategia
energetica.
Un altro problema importante all’origine dell’inquinamento in questi paesi è la notevole
“litoralizzazione” delle attività economiche, cioè la concentrazione della popolazione lungo il
litorale e, di conseguenza, lo sviluppo di attività industriali intorno a queste zone ed ai porti, dove si
registra un preoccupante aumento dell’inquinamento marino dovuto alla produzione e al trasporto di
petrolio e degli effluenti degli impianti termoelettrici e delle raffinerie. Questi fenomeni hanno
effetti importanti sull’ambiente locale in termini di rifiuti, utilizzazione dei terreni ed emissioni di
sostanze inquinanti.
L’inquinamento da idrocarburi nel Mar Mediterraneo è associato prevalentemente alle rotte di
navigazione, ai porti ed agli impianti di esplorazione ed estrazione di gas e greggio. Per quanto
riguarda il degrado ambientale costiero, bisogna evidenziare che l’aumento dell’urbanizzazione e la
concentrazione delle attività umane in quest’area ha fortemente modificato l’uso del territorio. Il
fenomeno di “artificializzazione” di zone costiere (agglomerati urbani, aree industriali, porti, strade)
è aumentato, anche se in modo differente, in ogni paese, con una conseguente riduzione delle zone
agricole, ma in alcuni casi anche a spese di habitat naturali come spiagge, dune e stagni salmastri.
La costruzione di dighe e gli interventi di modifica del regime dei corsi d’acqua, la costruzione
di infrastrutture costiere senza opportune valutazioni di impatto, hanno modificato la circolazione
costiera locale e gli apporti di sedimenti, provocando, in alcuni casi, fenomeni di erosione costiera
che minacciano altre infrastrutture costiere già esistenti.
2
Cubash
11
Evoluzione dei litorali in alcune aree mediterranee nel 1998
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Coste
Spagnole
Coste
Francesi
Tirreno Adriatico Ionio Egeo
%
Stabilità
Erosione
Accrescimento
Nessuna Informazione
Fonte: Corine
A partire dagli anni ’80 anche gli Stati più liberisti sono diventati più interventisti per quanto
riguarda il controllo degli effetti generali del sistema energetico. In aggiunta agli sforzi effettuati dai
governi, anche le aziende mediterranee dell’energia possono agire mobilitando le loro capacità
tecniche ed i loro mezzi finanziari, realizzando scambi di esperienze sullo sviluppo energetico
sostenibile e l’efficienza energetica, progetti comuni e trasferimenti di tecnologia attraverso
meccanismi di collaborazione.
Tra i vari progetti promossi dall’Europa sugli effetti dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo,
si distinguono il Progetto MEDALUS e il più recente RICAMARE.
Il Progetto MEDALUS
Sin dal 1989 la Comunità Europea ha finanziato numerosi programmi di studio del processo di
desertificazione, degrado ambientale e scarsità di risorse idriche nel Sud Europa. Il progetto
MEDALUS (MEditerranean Desertification And Land USe) aveva lo scopo di studiare l’impatto
fisico ed ambientale di questi problemi e di fornire gli strumenti per contrastarli. Il progetto
MEDALUS, diviso in tre fasi, è partito nel 1991 ed è terminato nel 1999.
MEDALUS I: copriva il periodo da gennaio 1991 a dicembre 1992 ed ha coinvolto 17 partner. Sono
state analizzate sette aree localizzate lungo la sponda nord del Mediterraneo, da Alentejo
(Portogallo) a Thessaloniki (Grecia).
MEDALUS II: copriva il periodo da gennaio ’93 a settembre ’95 ed ha coinvolto 44 paesi. In questa
seconda fase sono stati portati avanti i progetti avviati nella fase I, allargandoli ad altre aree ed
allungando l’orizzonte temporale studiato. In questa fase è stata data particolare importanza agli
effetti di desertificazione del territorio mediterraneo.
MEDALUS III: copriva il periodo da gennaio ‘96 a giugno ‘99, ed ha coinvolto 30 partner,
includendo aree dell’Ungheria e di Israele. Il primo obiettivo è stato quello di consolidare nel
maggior numero di aree possibili i modelli di studio utilizzati nelle precedenti due fasi. Il secondo
obiettivo è stato quello di sviluppare ed applicare una metodologia per identificare le aree più
12
vulnerabili al processo di desertificazione. Il terzo obiettivo prevedeva l’allargamento dell’area dei
siti studiati, passando da zone delimitate ad aree più vaste. Sono stati studiati gli effetti legati
all’erosione del suolo e le conseguenze sul piano socio-economico che questi hanno comportato. Il
quarto obiettivo è stato quello di studiare gli effetti della desertificazione sulla struttura dei canali e
dei fiumi e di come questi potessero limitare le conseguenze del processo di desertificazione.
Il Progetto RICAMARE
Il progetto RICAMARE (Research In global ChAnge in the Mediterranean: A REgional
network; 1999-2001) è stato finanziato della Commissione Europea nell'ambito del programma
ENRICH (European Network for Research Into global CHange), con il supporto di START e altri
paesi finanziatori.
Come detto precedentemente, dal punto di vista climatico e geografico, il Mediterraneo è un
sistema complesso di interazioni fra aree molto diverse tra loro in cui l'equilibrio tra i vari elementi
presenta forti instabilità. Per fronteggiare i problemi legati al fattore climatico, è cominciata una
stretta cooperazione tra i vari Paesi mediterranei con lo scopo di adottare strumenti comuni e
collaudati. Uno di questi è rappresentato dal progetto RICAMARE, il cui obiettivo principale è lo
sviluppo della cooperazione regionale nel Mediterraneo per fronteggiare i cambiamenti climatici
dell'area e i problemi socio-economici legati allo sfruttamento del suolo. Il progetto è concentrato su
quattro questioni principali:
1) sfruttamento del suolo e risorse idriche;
2) cambiamento climatico globale e biodiversità;
3) valutazione dei costi e dei benefici socio-economici dovuti al cambiamento climatico;
4) sviluppo di un database comune che raccolga i risultati degli studi effettuati.
Il progetto ha coinvolto scienziati provenienti da tutti i paesi mediterranei interessati allo studio
degli scenari ambientali del Bacino e ai rimedi da adottare per prevenire e fronteggiare gli aspetti
negativi.
L'ultimo comitato direttivo del progetto ha deciso di prolungare nel tempo le attività attraverso
un programma “post-RICAMARE” a lungo termine, sotto la direzione di MEDIAS-France. Per
raggiungere tale obiettivo è stata estesa la rete di collaborazione e sono stati consolidati gli obiettivi
della prima fase del progetto. In particolare sono stati presi in considerazione lo studio delle
interazioni nord-sud (Tunisia, Sardegna, Corsica, Francia, Italia), l’istituzione di una rete in
Maghreb preposta allo studio delle risorse idriche, lo studio della vulnerabilità regionale legata a
problemi di natura socio-economica e di adattamento ai cambiamenti climatici globali, le attività di
studio coordinato e l’aggiornamento per lo scambio delle informazioni.
1.1.2 L’evoluzione demografica
Nel 1950 vi erano circa 210 milioni di abitanti nei paesi mediterranei, di cui due terzi nell’area
del nord (dal Portogallo alla Grecia) ed un terzo nei paesi del sud (dal Marocco alla Turchia). Nel
1999 vi erano più di 400 milioni di abitanti, di cui 200 milioni nei paesi del Nord e 234 milioni nei
PSEM. Nel 2025, secondo una stima delle Nazioni Unite, vi saranno fra 520 e 570 milioni di
abitanti. Questo significa che mentre la popolazione dei paesi mediterranei del nord rimarrà
sostanzialmente stabile nei decenni futuri, la popolazione dei PSEM aumenterà da 220 a circa 350
milioni di abitanti. Bisogna mettere in evidenza che vi sono tre poli nei PSEM che hanno un peso
demografico paragonabile: la Turchia, l’Egitto e il Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia), con circa
60 milioni di abitanti ciascuno, che diverranno un centinaio nel 2020-2025.
13
Questo forte aumento della popolazione, insieme alle differenze nel livello di sviluppo socio-
economico e nel consumo di energia, spiega l’evoluzione a cui stiamo assistendo oggi e l’enorme
bisogno di finanziamenti necessari a questo sviluppo. Inoltre, la crescita demografica nei PSEM
avverrà (in realtà sta già avvenendo) principalmente nelle agglomerazioni urbane: l’aumento della
popolazione si concentrerà, da un lato nelle città (è previsto che fra trent’anni il 75-80% della
popolazione vivrà nelle città contro il 40-50% di oggi) e dall’altro lungo la linea costiera, dove
saranno più vistosi i fenomeni di urbanizzazione, industrializzazione, costruzione di infrastrutture,
crescita del turismo e dei settori legati all’energia (porti, centrali elettriche, ecc.).
Un altro elemento rilevante di questa crescita sarà il numero di posti di lavoro che dovranno
essere creati nei futuri decenni. Attualmente, nei paesi principali del Nord Africa (Marocco,
Tunisia, Egitto, Algeria, Siria, Turchia) i giovani in cerca di lavoro aumentano ogni anno di
1.700.000 unità. Nel 2005 questa cifra crescerà del 50%, il che significa 2.500.000 posti di lavoro
da creare ogni anno (e se si prende in considerazione la probabile domanda di lavoro femminile,
questa cifra sarà aumenterà ulteriormente di un altro 30-40%).
Evoluzione demografica nel Bacino del Mediterraneo
0
50
100
150
200
250
300
350
400
1950 1970 1990 2010 2020
m
i
l
i
o
n
i
d
i
a
b
i
t
a
n
t
i
PSEM Nord
Fonte: ENEA
1.2 La dimensione economico-strutturale
I paesi del Bacino non si presentano come un aggregato omogeneo, non soltanto dal punto di
vista dei valori culturali e delle priorità politiche, ma soprattutto dal punto di vista strutturale, ossia
in relazione al sistema dinamico di cui ciascun paese dispone per la valorizzazione delle risorse
endogene e d’importazione, per la produzione, la circolazione interna e lo scambio con l’estero di
beni e servizi e per l’accumulazione di risorse finanziarie - o per l’accesso al capitale finanziario
internazionale - in misura sufficiente ad innescare processi produttivi competitivi.
L'interazione tra cambiamento climatico globale e problemi socio-economici è particolarmente
forte ed importante nel Mediterraneo. Negli ultimi anni si è assistito ad un drammatico incremento
della popolazione e a cambiamenti geopolitici importantissimi in varie parti del Bacino che hanno
modificato profondamente le precedenti relazioni sociali ed economiche tra le popolazioni.
Un primo elemento da prendere in considerazione è il tasso di crescita demografico che sembra
mantenere un ruolo di variabile indipendente e può indurre, attraverso la sua evoluzione,
cambiamenti di modi di vita, e quindi di consumo, che comportano a loro volta modificazioni
14
strutturali profonde nella vita di un paese, attraverso l’interazione tra quadro demografico, crescita
economica, investimenti nei cicli di scolarizzazione, consumi energetici e modifiche dell’ambiente
attraverso l’uso delle risorse viventi e non viventi.
Il complesso di tali interazioni può essere decifrato attraverso il riferimento ad alcuni indici di
natura economica e politica generale che consentono di cogliere i caratteri e le differenze strutturali.
Un elemento importante che caratterizza le due sponde del Mediterraneo è la differenza nel
livello di sviluppo. Nel 1999, il Prodotto Interno Lordo (PIL) globale di tutti i paesi mediterranei era
di circa 4421,83 miliardi di dollari USA: la parte dei paesi del Nord (3862,57 mld di $) costituiva
l’87% del PIL totale mentre quella dei PSEM rappresentava soltanto il 13% (559,26 mld $).
PIL nei paesi mediterranei nel 1999
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800
Francia
Grecia
Italia
Portogal
Spagna
Yugosla
Algeria
Cipro
Egitto
Giordani
Israele
Libano
Libia
Malta
Marocco
Siria
Tunisia
Turchia
Mld US$95
Fonte: IEA
La Francia raggiungeva il valore più alto tra tutti i paesi mediterranei (1697 mld di $), seguita da
Italia (1170 mld di $), Spagna (674 mld di $), Grecia (132 mld di $), Portogallo (123 mld di $) ed
ex-Yugoslavia (63 mld di $). Dal 1971 al 1999 il tasso di crescita medio annuo del PIL è stato del
2,5%, con una punta massima in Portogallo (3,4%) e minima in Yugoslavia (0,8%).
Per quanto riguarda i PSEM, la Turchia era il paese che raggiungeva il PIL più elevato, con soli
190 miliardi di dollari, nonostante il livello della popolazione fosse simile a quello di Francia e
Italia. Al secondo posto troviamo Israele (100 mld di $), seguito da Egitto (74 mld di $), Algeria (47
mld di $), Marocco (38 mld di $) e Libia (32 mld di $). Dal 1971 al 1999 i tassi di crescita annui del
PIL nei PSEM (3,5%) sono stati più alti rispetto ai paesi del Nord (2,5%), con Malta (6,8%), Siria
(5,8%) ed Egitto (5,6%) che hanno fatto registrare i tre valori più elevati. Se però consideriamo il
periodo 1990-1999, il distacco dei PSEM diventa molto più netto: la media tra tutti i paesi sale al
4,2%, mentre i valori più alti si registrano in Libano (7,9%), Siria e Turchia a pari merito (5,8%) e
Giordania (5,2%). Questa crescita dei PSEM è dovuta agli investimenti stranieri che sono cresciuti
considerevolmente nell’area e soprattutto alle riforme economiche varate negli ultimi anni, che
hanno aperto maggiormente i mercati ai privati riuscendo a sfruttare meglio le risorse interne.
Nonostante negli ultimi anni la crescita economica dei PSEM sia stata prodigiosa, se si confrontano
i PIL pro-capite delle due sponde mediterranee, ci si accorge che esiste una differenza notevole
nella capacità di creare ricchezza. Prendendo in esame i valori del 1999, si nota che il PIL pro-
15
capite dei paesi del Nord era, in media, di 19.233 dollari USA, contro i 2387 dollari USA dei
PSEM, otto volte inferiore ai paesi europei.
PIL pro-capite nei paesi del Mediterraneo nel 1999 (US$95)
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
Francia
Grecia
Italia
Portogal
Spagna
Yugosla
Algeria
Cipro
Egitto
Giordani
Israele
Libano
Libia
Malta
Marocco
Siria
Tunisia
Turchia
US$95
Fonte: IEA
Nei PSEM i tre paesi con il PIL pro-capite più alto erano Israele (16.459 dollari USA), Cipro
(12.625 dollari USA) e Malta (9500 dollari USA). Gli altri paesi, a parte la Libia (5944 dollari
USA), non superavano i 3000 dollari e, se si confrontano i valori di Francia (28.166 dollari USA, il
paese con il valore più elevato) ed Egitto (1189 dollari USA, il paese con il coefficiente più basso),
il rapporto tra i rispettivi PIL pro-capite risulta di uno a ventitré. Purtroppo, uno dei fattori che
rallenta questa crescita è costituito dall’enorme debito che questi paesi hanno verso gli stati
industrializzati, ai quali devono pagare ingenti quote di interessi annui, e ai numerosi problemi
legati alla sicurezza e all’instabilità politica che non favoriscono di certo gli investimenti stranieri.
Nei paesi del Nord, i valori del PIL pro-capite erano molto più alti, con la Francia che si
collocava al primo posto (28.166 dollari USA), seguita da Italia e Spagna con, rispettivamente,
20.314 dollari USA e 17.122 dollari USA.
Il divario nello sviluppo tra le due sponde del Mediterraneo è stato oggetto, soprattutto negli
ultimi anni, di molti interventi da parte dell’Unione Europea, con lo scopo di incentivare gli
investimenti delle industrie europee nei PSEM e di favorire la nascita di un’industria locale che
sapesse sganciarsi dagli aiuti concessi dai paesi stranieri. Questo ha permesso lo sviluppo di
un’intensa attività di cooperazione tra i paesi delle due sponde in molti settori e i cui risultati
saranno consacrati con la nascita di un mercato comune mediterraneo nel 2010.
16
1.3 La cooperazione tra i paesi mediterranei
Tenuto conto dell’attuale contesto geopolitico e delle forti incertezze in materia di stabilità
regionale, la creazione di una zona mediterranea di libero scambio appare più che mai necessaria
per tutti i partner mediterranei. L’elevato tasso di disoccupazione e la stagnazione del reddito medio
per abitante nei PSEM, che resta circa dieci volte inferiore alla media europea, rendono la crescita
un obiettivo economico e politico vitale per questi paesi. In tale contesto, i paesi interessati non
possono sperare di affrontare la sfida della crescita e dello sviluppo sostenibile senza una radicale
accelerazione del processo di transizione economica.
Per portare a termine tale transizione, i paesi mediterranei dovranno favorire il dinamismo del
settore privato, adottando un quadro normativo e amministrativo meno rigido, riformando i propri
sistemi fiscali e ristrutturando radicalmente il proprio settore finanziario e le imprese pubbliche. Il
rispetto della coesione sociale è un altro fattore decisivo dello sviluppo economico che non deve
essere trascurato, per evitare di accentuare ancora di più le disparità interne e aggravare in tal modo
un fenomeno di esclusione che è spesso alla base del rifiuto popolare delle riforme. È quindi
importante accompagnare il decollo economico mediante una politica di aiuto mirata agli strati
sociali meno favoriti.
1.3.1 Storia della cooperazione mediterranea
Il clima dei rapporti politici culturali ed economici instaurato dalle iniziative dell’Unione
Europea fin dagli anni ’70 ha aperto una nuova stagione storica di negoziato e di cooperazione con
paesi del Mediterraneo e dell’Europa Orientale, quali strumenti indispensabili per la stabilità dei
rapporti politici, alla valorizzazione economica delle risorse delle regioni centrali e periferiche ed
alla edificazione di una cultura ambientale comune.
Sono state quindi sempre più frequenti le occasioni per individuare obiettivi di interesse comune
ai quali fare riferimento per azioni congiunte, anche in settori economici di importanza strategica
prima esclusi dai negoziati tradizionali, oltre che per attività di cooperazione bi- e multi-laterale.
Tra le iniziative europee meno note che precedono la Conferenza di Barcellona del 1995,
variamente indirizzate ad obiettivi di cooperazione commerciale, economica, culturale e di
sicurezza strategica nel Mediterraneo, si possono ricordare:
™ il Dialogo 5+5 del Forum Mediterraneo (avviato nel 1990);
™ il Dialogo Euro-Arabo (avviato dopo il primo shock petrolifero del ’73);
™ il Dialogo Mediterraneo (avviato nel 1995 dal North Atlantic Council in ambito NATO);
™ il negoziato OCSE con i PSEM (tranne la Libia) avviato nel 1992 nell’ambito della
Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione per la Sicurezza;
™ il summit Middle East and Northern Africa Economic.
È ormai consapevolezza di tutti che, pur nella diversità dei caratteri strutturali e culturali, i paesi
dell’UE e i paesi partner del Mediterraneo si affacciano e si confrontano su un terreno di principi
universali e di interessi comuni, come il soddisfacimento dei bisogni vitali delle popolazioni, la
reciprocità di interessi perché la maturità politica della regione nel suo complesso esprima un
impulso decisivo alla coesione sopranazionale, come aspirazione collettiva a partecipare ad un
sistema di sicurezza mediterraneo globale e di crescita economica d’insieme.
L’Unione Europea ha in più circostanze ribadito la sua determinazione a dedicare all’azione
comune per l’affermazione di un processo di integrazione strutturale mediterranea il pieno dignità
umana individuale e la qualità della vita. Sono maturate inoltre le condizioni materiali e la
reciprocità di interessi perché la maturità politica della regione nel suo complesso esprima un
dispiegamento del potenziale culturale, tecnico-scientifico e di capacità finanziaria di cui essa oggi
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Trattato sulla Carta dell'Energia
La Carta Europea dell'Energia del dicembre 1991, un accordo politico legalmente non
vincolante sulla cooperazione est-ovest in materia energetica, è stato sottoscritto da 52 Stati e
dalla Comunità Europea. Proposta per la prima volta nel giugno 1990, durante il Consiglio
europeo di Dublino, la Carta Europea dell'Energia fu inizialmente concepita come uno
strumento per approfondire le relazioni complementari esistenti in materia energetica tra
l'URSS, i paesi dell'Europa centrale ed orientale e l'Occidente. Nel concetto originario della
Carta europea dell'Energia erano contenuti i seguenti obiettivi:
™ costruire una comunità dell'energia che unisse i paesi divisi fino a ieri dalla cortina di
ferro e che si basasse sulla complementarità tra mercati, capitale e tecnologia occidentale
e risorse naturali dell'est;
™ arrestare il declino dell'economia dell'ex Unione Sovietica attirando capitali esteri grazie
alla riduzione dei rischi politici;
™ rafforzare la sicurezza attraverso la stretta cooperazione in un settore economico chiave.
Dopo tre anni di negoziati, nel dicembre del 1994, la Carta Europea dell'Energia si è
trasformata in Trattato sulla Carta dell'Energia, legalmente vincolante, che da allora è stato
firmato da 49 Stati e dalla Comunità Europea.
Il Trattato sulla Carta dell’Energia (ECT) è il primo accordo economico che unisce tutte le
repubbliche dell’ex Unione Sovietica, i paesi dell’Europa centrale ed orientale, gli Stati membri
della Comunità Europea, gli altri Stati europei membri dell’OCSE, il Giappone e l’Australia. La
sua funzione principale è quella di istituire e contribuire a migliorare il quadro legale della
cooperazione in campo energetico invocato dalla Carta Europea dell’Energia. L'ECT
rappresenta il primo accordo multilaterale vincolante che contempla nello stesso tempo la
protezione degli investimenti e il commercio. Inoltre, esso applica delle regole di transito alle
reti energetiche e adotta come regola generale la composizione obbligatoria delle vertenze
internazionali.
Dopo lo scioglimento dell'URSS è aumentata l’importanza di fissare le regole del libero
mercato dell'energia, di creare la base di una normativa che agevoli in particolare l'attività delle
società più piccole che non possono negoziare accordi individuali con i governi e di porre le basi
delle nuove relazioni contrattuali e commerciali per sostituire il vecchio sistema crollato.
L’ECT non cerca di dettare il contenuto delle politiche energetiche nazionali, né costituisce
un nuovo strumento finanziario internazionale. Esso non impone né privatizzazioni né pari
opportunità per i terzi. Riafferma invece la sovranità nazionale sulle risorse energetiche, in
conformità e secondo le disposizioni di legge internazionali, e riconosce esplicitamente il diritto
dei governi nazionali di determinare il territorio da sfruttare, le politiche di sfruttamento
economico e di costituzione di riserve, la relativa tassazione e il diritto di partecipare
all’esplorazione e alla produzione.
Ma le finalità dell'ECT vanno oltre le obbligazioni legali. L'obiettivo del trattato è di
promuovere una cooperazione a lungo termine in campo energetico, basata sull'interesse
complementare e sull'utile reciproco, in conformità agli obiettivi e ai principi della Carta
europea dell'Energia. Questi ultimi riguardano lo sviluppo tra i firmatari di un efficiente mercato
dell'energia basato sul principio di non discriminazione e sulla libera formazione dei prezzi,
tenendo in debito conto le preoccupazioni ambientali e di creare un clima favorevole all'attività
aziendale e al flusso di investimenti e tecnologie attraverso l'attuazione dei principi di mercato.
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può disporre.
Per quanto riguarda, in particolare, la cooperazione energetica, nel corso del Consiglio europeo
di Dublino del 1990, venne lanciata l’idea di collocare in un “quadro istituzionale” la cooperazione
energetica tra i paesi membri della Comunità Europea. L’anno successivo veniva adottata da
cinquanta paesi la Carta Europea dell’Energia, alla quale seguiva tre anni più tardi il Trattato sulla
Carta dell'Energia (Energy Charter Treaty, 17 dicembre 1994). Al 24 aprile 2002 il Trattato è stato
ratificato da 44 paesi. Sull’estensione del Trattato, la Commissione Europea mantiene aperto,
nell’ambito del Programma Synergy, un confronto con carattere di continuità con i paesi
mediterranei, anche con quelli che non hanno ancora aderito.
Recenti studi sul tema degli squilibri nell’area mediterranea evidenziano un carattere di fragilità
che è proprio dell’affidamento a processi di convergenza, destinati a realizzarsi in assenza di un
quadro concertato di riferimento giuridico ed istituzionale, come l’Energy Charter Treaty.
Può risultare fondato il timore che le risorse umane e materiali insediate nell’area e orientate a
dar contenuto al processo di integrazione istituzionale ed economica, si disperdano in una
combinazione avversa di fattori esogeni (andamento del mercato delle materie prime, in primo
luogo petrolio e gas naturale, crisi politico-finanziarie internazionali, ecc.) ed endogeni (malessere
sociale, inquietudine politica, contrapposizione tra paesi vicini).
Alle popolazioni del sud-est, separate tradizionalmente dalle scelte politiche e animate in
prevalenza dalla legittima aspirazione al soddisfacimento dei bisogni vitali elementari, arriva
oscurata la visione di interessi comuni e di valori indivisibili quali i diritti dell’uomo, la pace al di là
delle differenziazioni etniche e religiose e la protezione ambientale.
Ma bisogna evidenziare anche che il carattere di “insieme di intersezione” del Bacino
Mediterraneo conferisce all’iniziativa del Partenariato Euro-Mediterraneo una capacità di contagio,
che potrebbe spingersi fino ad aggregare, a medio termine, 30-40 paesi intorno al progetto
EuroMed, con una popolazione complessiva che potrebbe superare i 600 milioni di abitanti.
Non si possono nascondere però i gravi problemi di varia natura che si aprirebbero su tale
prospettiva, primo tra tutti quello geopolitica relativo alla composizione dei contrapposti interessi
petroliferi estrattivi tra i vari paesi che si affacciano sul Mar Caspio e delle implicazioni strategiche
che le linee di trasporto di petrolio e gas dall’Eurasia (Turkmenistan, Azerbaijan, Kazakhstan,
Georgia, Ucraina, Russia, Iran e Iraq) al Mediterraneo inevitabilmente proiettano sul piano dei
rapporti politici con il Medio Oriente e il Golfo Persico.
1.3.2 Il Partenariato Euro-Mediterraneo
Un passo fondamentale sulla strada dell’integrazione economica mediterranea è stato fatto in
occasione della Conferenza di Barcellona del 27 novembre 1995 con la quale è stato creato il
Partenariato Euro-Mediterraneo, che rappresenta l’atto politico più importante nel progressivo
processo di integrazione fra l’UE ed i paesi della riva Sud ed Est del Mediterraneo, processo che
dovrebbe portare nel 2010 alla creazione di una zona di libero scambio euro-mediterranea. È quindi
nell’ambito del Partenariato Euro-Mediterraneo che dovranno ormai essere ricercate le possibilità di
sviluppare una politica energetica euro-mediterranea, individuare le azioni specifiche che si possono
adottare.
Il Partenariato Euro-Mediterraneo, così com’è stato delineato nella Dichiarazione di Barcellona,
affronta problemi molto più vasti di quello della cooperazione economica. I paesi firmatari si sono
posti l’“obiettivo generale” di trasformare il Bacino del Mediterraneo in un’area di dialogo, scambio
e cooperazione che garantisca pace, stabilità, sicurezza e prosperità. Questo obiettivo va raggiunto
anche mediante uno sviluppo economico e sociale sostenibile e bilanciato.
Il Partenariato Euro-Mediterraneo si articola su tre filoni principali:
™ Partenariato politico e di sicurezza, con lo scopo di creare un’area di pace e prosperità;
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™ Partenariato economico e finanziario, volto a creare un’area di “prosperità condivisa”;
™ Partenariato sociale, culturale ed umano, al fine di sviluppare le risorse umane, di
promuovere la comprensione fra le culture e gli scambi fra le diverse società.
Queste tre forme di Partenariato si integrano e completano a vicenda ed è previsto che siano
realizzate attraverso un ampio ed articolato insieme di azioni.
Al fine di esaminare quale tipo di politica e cooperazione energetica sia possibile realizzare
nell’area mediterranea, è utile focalizzare l’esame su quel filone di Partenariato Euro-Mediterraneo
che si riferisce al Partenariato economico e finanziario, di cui il settore energetico è parte. Nella
Dichiarazione si sottolinea, innanzi tutto, l’importanza da dare ad uno sviluppo economico e sociale
sostenibile e bilanciato. A questo fine vengono fissati i seguenti obiettivi di lungo termine:
™ accelerazione del ritmo di sviluppo economico e sociale;
™ miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni;
™ aumento del livello di occupazione;
™ riduzione delle differenze nello sviluppo della regione euro-mediterranea;
™ incoraggiamento della cooperazione ed integrazione regionale.
Per raggiungere questi obiettivi, e tenendo conto dei diversi gradi di sviluppo dei vari paesi, il
Partenariato si baserà sui seguenti punti:
™ progressiva creazione di un’area di libero scambio;
™ cooperazione economica;
™ aumento dell’assistenza finanziaria dell’UE a favore dei partner mediterranei.
Per quanto riguarda l’area di libero scambio l’obiettivo è quello di una sua graduale
realizzazione nei diversi settori per l’anno 2010, anche attraverso appropriati provvedimenti sul
piano istituzionale e regolamentare e di aiuto alle popolazioni danneggiate dal processo di
liberalizzazione.
Ancora più importante, ai fini della strategia energetica euro-mediterranea, è la parte del
Partenariato relativa alla cooperazione economica ed alle azioni concertate, nel cui ambito va
collocata la politica energetica, come parte di un’azione più generale che riguarda gli altri settori
industriali e le politiche ambientali. Per quanto riguarda l’energia, i firmatari della Dichiarazione di
Barcellona “riconoscono il ruolo fondamentale del settore energetico nel Partenariato economico
Euro-Mediterraneo e decidono di rafforzare la cooperazione e di intensificare il dialogo nel campo
delle politiche energetiche. Essi decidono anche di creare le appropriate condizioni quadro per gli
investimenti e per le attività delle imprese, cooperando alla creazione delle condizioni che
consentano a tali imprese di estendere le reti energetiche e di promuovere le interconnessioni”.
È fondamentale, quindi, sviluppare le infrastrutture, rafforzare la ricerca scientifica e tecnologica
attraverso l’addestramento del personale scientifico e tecnico. Questo sviluppo economico deve
essere sostenuto sia dal risparmio interno - la parte più importante - sia dagli investimenti diretti
stranieri, creando un ambiente che ne favorisca la crescita. Inoltre, la Dichiarazione di Barcellona
enfatizza anche l’aspetto dell’interdipendenza dello sviluppo economico con il problema
dell’ambiente e afferma la necessità di un approccio regionale e di un’accresciuta cooperazione.
Sotto l’aspetto dell’assistenza finanziaria, i paesi firmatari ritengono che, per garantire uno
sviluppo equilibrato dell’area, sia necessario un aumento dell’assistenza finanziaria “che deve
incoraggiare soprattutto uno sviluppo sostenibile locale e la mobilitazione di operatori locali”.
Al fine di realizzare gli obiettivi del Partenariato Euro-Mediterraneo, la Conferenza di Barcellona
ha anche adottato un Programma di lavoro, che indica una serie di azioni prioritarie da mettere in
atto. Per il settore dell’energia, il programma di lavoro prevede varie azioni volte a creare le
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condizioni atte a favorire gli investimenti, le attività delle imprese energetiche e la futura
cooperazione:
™ associazione dei paesi mediterranei nel Trattato della Carta Europea dell’Energia;
™ pianificazione energetica, incoraggiamento del dialogo produttori/consumatori;
™ ricerca di idrocarburi, raffinazione, trasporto, distribuzione e commercio regionale e trans-
regionale;
™ produzione e trattamento del carbone, produzione e trasmissione dell’elettricità,
interconnessioni e sviluppo delle reti;
™ efficienza energetica;
™ risorse energetiche nuove e rinnovabili;
™ problemi ambientali legati all’energia;
™ sviluppo di programmi congiunti di ricerca;
™ addestramento ed a attività informativa nel settore dell’energia.
1.3.3 La Dichiarazione di Barcellona del 1995
La conferenza di Barcellona nel novembre 1995 ha costituito il punto iniziale per una nuova
collaborazione tra l’UE e i paesi partner mediterranei, basata su tre aspetti:
™ un aspetto politico e di sicurezza, con lo scopo di ridefinire un’area comune di pace e
stabilità;
™ un aspetto economico e finanziario, con l’obiettivo di creare un’area di comune benessere;
™ un aspetto sociale, culturale ed umano, con lo scopo di sviluppare risorse umane e di
promuovere la comprensione e gli scambi tra culture e società civili diverse.
Il mezzo per raggiungere questi obiettivi è di stabilire una partnership basata sulla progressiva
armonizzazione di un’area di libero scambio e di esperienze scientifiche, tecnologiche e culturali,
attraverso l’implementazione di una cooperazione economica appropriata e di azioni concertate nei
campi di interesse. Fondamentale al raggiungimento dello scopo è l’incremento del sostegno
finanziario dell’UE ai suoi partner al fine di ridurre o eliminare le cause di contrapposizioni
politiche tra paesi ad economia diversa.
È stato riconosciuto che per definire gli aspetti economici e finanziari attraverso la cooperazione
all’integrazione regionale, lo sviluppo socio-economico e la tutela ambientale hanno un ruolo
portante all’interno della partnership mediterranea al fine di raggiungere uno sviluppo socio-
economico sostenibile, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, l’aumento dei
livelli di occupazione e la riduzione delle differenze nello sviluppo dei singoli paesi della regione.
Per quanto riguarda il settore energetico, la Dichiarazione di Barcellona prevede il
raggiungimento di alcuni obiettivi essenziali, allo scopo di favorire la cooperazione in questo
settore. Tra questi possiamo ricordare il rafforzamento della collaborazione dei paesi mediterranei
attraverso l’Energy Charter Treaty, la pianificazione energetica, la produzione e trasmissione di
energia, l’interconnessione e sviluppo di reti distributive e l’incoraggiamento del dialogo tra
produttore e consumatore.
Nel settore dei combustibili tradizionali viene incentivata l’esplorazione dei giacimenti di gas e
di petrolio, la loro produzione, raffinazione, trasporto, distribuzione e commercio regionale e trans-
regionale, a cui va aggiunta la prospezione dei giacimenti di carbone, l’estrazione e il relativo
trattamento.