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PREMESSA
Nell‟attuale periodo storico tutti i paesi industrializzati sono chiamati a
sostenere la crescita dei sistemi economici nazionali, in un contesto
caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati e dall‟accelerazione delle
dinamiche competitive; i confini geografici della competizione si stanno
progressivamente ampliando, si hanno continui cambiamenti nei parametri
competitivi e questo non può che rendere estremamente complesso lo
scenario competitivo per le imprese di qualunque settore.
A ciò va aggiunta la recente crisi economico-finanziaria che ha
investito tutti i Paesi e che ha reso necessaria la ridefinizione delle linee di
politica industriale, le quali devono incentrarsi maggiormente sulla
conoscenza e sull‟innovazione, quest‟ultima da intendersi in senso ampio,
ovvero includendo innovazione di prodotto, di processo ed organizzativa (a
livello di impresa) ed innovazione istituzionale (a livello di sistema
produttivo). Conoscenza ed innovazione sono considerate i drivers della
competitività delle imprese sui mercati internazionali e input chiave del
processo di modernizzazione dei sistemi economici.
Ne deriva che un ruolo cruciale nell‟attuazione di questi cambiamenti
lo rivestono proprio quei settori caratterizzati da un elevato contenuto di
ricerca ed innovazione (knowledge intensive) e che presentano alcuni tratti
peculiari che li distinguono dai settori tradizionali, come l‟orizzonte
temporale di lungo periodo nel quale si sviluppano i processi produttivi, la
necessità di elevati investimenti in ricerca e sviluppo e l‟elevato livello di
rischio imprenditoriale e finanziario associato a tali investimenti. La
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rilevanza assunta da questi settori nei sistemi economici nazionali mi ha
spinto a studiare meglio il contesto delle imprese high tech, caratterizzato
da complessità decisionale, incertezza, dinamismo ed elevata intensità di
conoscenza; queste aziende rappresentano una fonte primaria di posti di
lavoro, promuovono l‟efficienza dinamica del sistema economico di un Paese
grazie all‟introduzione di nuovi prodotti o servizi e, attraverso la minaccia di
nuove entrate nel mercato, inducono le imprese già affermate a disciplinare
il proprio comportamento e a limitare il proprio potere di mercato.
Ho indagato in particolare l‟impatto che le peculiarità di queste
imprese hanno sulla possibilità di accesso alle fonti di finanziamento
dell‟innovazione. Perché, se è vero che l‟innovazione sta alla base della
competitività in un mondo economico così dinamico come quello attuale, è
anche vero che la capacità dell‟imprenditore di far leva sulle risorse per
allocarle nei segmenti più avanzati e dinamici dipende fortemente dalla
disponibilità di credito e, in generale, dalle possibilità di accesso alla
finanza. Essendo l‟innovazione un processo interattivo, che non riceve
spinta dalla domanda e che pertanto non segue un modello lineare in cui si
parte dalla ricerca per arrivare al mercato, i problemi finanziari legati
all‟innovazione investono sia la ricerca di base, di competenza dello Stato,
sia la ricerca applicata, spettante al privato.
Il problema del reperimento delle risorse finanziarie per supportare i
processi innovativi si articola allora su più livelli:
1) un livello pubblico attraverso il quale sostenere la ricerca di base
di Università e Centri specialistici;
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2) un livello pubblico-privato che, mediante operazioni di project
financing, consente la raccolta di risorse (anche private);
3) una dimensione privatistica legata alla presenza di strutture di
intermediazione finanziaria.
Trascurando i primi due livelli, per i quali si ha ancora una scarsa
spesa pubblica sia in Italia che nel resto d‟Europa, ciò che intendo
approfondire con questo lavoro di tesi è il finanziamento degli investimenti
delle imprese innovative reso problematico sia dall‟insufficienza di fondi
interni (almeno nella fase iniziale del loro sviluppo), sia dalla presenza di
asimmetrie informative che limita la possibilità di ricorso al credito bancario.
Diviene allora essenziale l‟adozione di formule quali:
- il “venture capital” o comunque le società di investimento, già da
tempo operanti nei paesi anglosassoni mentre ancora a sviluppo
limitato in Paesi come l‟Italia, a causa della prevalenza di un
sistema produttivo focalizzato sulla piccola-media impresa e di un
sistema finanziario orientato agli intermediari bancari;
- oppure i nuovi strumenti finanziari che riconoscono come assets
sottostanti i diritti di proprietà intellettuale, ovvero quei beni
intangibili che conferiscono ai titolari futuri flussi di cassa e che,
pertanto, determinano gran parte del valore delle imprese
innovative.
Emerge da quanto appena affermato che le caratteristiche distintive
delle imprese high tech nonché le loro criticità (incertezza ed opacità
informativa), dal punto di vista delle teorie economiche sulla scelta della
struttura finanziaria, rendono inapplicabile il Teorema di Modigliani e Miller
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sulla cosiddetta indifferenza sull‟uso del capitale proprio rispetto al capitale
di terzi in termini di costo del capitale e valore dell‟impresa, validando
piuttosto l‟approccio che sostiene la presenza di una gerarchia delle fonti di
finanziamento.
Il mio lavoro di tesi, che si articola in 4 capitoli, inizia proprio con una
rassegna delle principali teorie presenti in letteratura sulla struttura
finanziaria d‟impresa, le quali poste a confronto singolarmente, possono
portare a decisioni e risultati significativamente diversi; nel capitolo 1 viene
inoltre riportata una sintesi dei filoni dell‟evidenza empirica e dei risultati più
significativi da essa generati, allo scopo di comprendere meglio come nella
realtà le imprese scelgono il proprio rapporto di indebitamento e quali fattori
intervengono maggiormente nella scelta.
Nel secondo capitolo viene esaminata la definizione di impresa high
tech e si analizzano gli aspetti chiave dell‟innovazione e della proprietà
intellettuale, quest‟ultima considerata parte strutturale del valore di molti
business e fonte di profitti per le aziende che sono in grado di gestirla in
maniera opportuna, qualora ci sia un‟efficace tutela legale della stessa.
Nel capitolo 3 si analizzano dettagliatamente i problemi connessi al
finanziamento dell‟innovazione, illustrando la pecking order delle imprese
innovative, che è funzione degli stadi di sviluppo delle stesse, e ponendo
l‟accento sia sull‟importanza e gli effetti che il venture capital ha per le
imprese ad alta tecnologia (includendo anche un‟analisi del mercato del
venture capital in Italia e delle differenze con il corrispondente mercato
statunitense), sia sulla necessità di valorizzare il patrimonio intangibile di
creatività e know-how di cui esse sono ricche con strategie di licensing e di
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financing, al fine di accedere più agevolmente al capitale di rischio o di
debito.
In conclusione, nel quarto capitolo si parte dalla considerazione che
già nella fase di concepimento dell‟idea innovativa si ha un fabbisogno
finanziario, seppur limitato rispetto agli stadi successivi, che può frenare
l‟avvio di un‟iniziativa imprenditoriale; a ciò si aggiunge la cronica distanza
tra mondo della ricerca (fonte primaria di conoscenza) e mondo produttivo
che per diversi anni ha indubbiamente ritardato lo sviluppo del settore high
tech nei Paesi europei, Italia compresa. Si fa pertanto luce sulla realtà degli
“incubatori”, in particolare quelli accademici, analizzando più
specificatamente il caso dell‟incubatore ARCA dell‟Università di Palermo.
Queste strutture negli anni recenti hanno svolto un ruolo cruciale nel
valorizzare l‟attività di ricerca delle Università e degli altri enti di ricerca,
mediante lo sviluppo di nuove imprese, operanti in svariati ambiti ad alta
tecnologia, cui vengono forniti tutti gli strumenti tecnici ed operativi
necessari per consentirne la sopravvivenza e la crescita durante il delicato
periodo di start up.
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CAPITOLO 1 - LE DECISIONI DI STRUTTURA FINANZIARIA
DELLE IMPRESE
1.1. STRUTTURA DEL CAPITALE: DEFINIZIONE E FATTORI
DETERMINANTI NELLA SCELTA
La tematica della scelta della struttura finanziaria da parte delle
imprese è una questione molto attuale sia sul piano della ricerca teorica sia
sul piano della ricerca empirica, nonostante gli studi al riguardo siano iniziati
già da parecchi decenni. Il motivo di questa attualità risiede nel fatto che
essa presenta tuttora aspetti non spiegati e che vi sono contraddizioni tra le
differenti ipotesi teoriche formulate e l‟evidenza empirica osservata; inoltre,
la struttura finanziaria costituisce un argomento critico avendo implicazioni
notevoli sulle decisioni relative al livello di indebitamento ottimale, sul costo
del capitale aziendale, sul rating del credito e sulle altre politiche finanziarie
delle imprese.
In questo capitolo ho analizzato approfonditamente la scelta della
struttura del capitale focalizzandomi sulle principali teorie in materia, in
termini sia di fattori determinanti della scelta, che possono essere utilizzati
come una sorta di check list degli aspetti rilevanti da considerare, sia di
come questi fattori dovrebbero influenzare le decisioni del management
secondo le diverse teorie, conducendo ad un maggiore o minore
indebitamento. Nella parte finale del capitolo ho invece illustrato i risultati
dell‟evidenza empirica sulla struttura del capitale che si presenta
estremamente ricca e variegata.
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Innanzitutto va chiarito cosa si intende per “struttura del capitale”: si
tratta del modo in cui un‟impresa finanzia i propri investimenti tramite una
qualunque combinazione di debito, capitale di rischio (equity) o titoli
finanziari ibridi; consiste dunque nell‟insieme dei diversi titoli emessi da
un‟impresa o fonti di finanziamento utilizzate. La definizione del fabbisogno
finanziario e la ricerca di un equilibrato rapporto tra capitale di debito e
capitale di rischio (struttura finanziaria) rappresentano scelte fondamentali
già in fase di avvio di un‟impresa, sono decisioni che variano in relazione
alla fase di vita aziendale e costituiscono il risultato delle scelte strategiche
poste in essere dall‟impresa nel suo complesso.
La struttura finanziaria è certamente influenzata da elementi quali:
- il tasso di sviluppo delle vendite future;
- la struttura concorrenziale del settore in cui opera l‟azienda;
- la situazione di controllo e l‟atteggiamento rispetto al rischio da
parte dei proprietari e della direzione;
- l‟atteggiamento dei creditori verso l‟azienda ed il settore.
Ma le maggiori determinanti della struttura del capitale sono tuttavia:
- i costi di agenzia;
- le asimmetrie informative;
- le caratteristiche degli assets aziendali;
- la valutazione di mercato delle azioni dell‟impresa;
- le strategie perseguite nel mercato dei prodotti finali o dei fattori
produttivi (strategia di innovazione o di leadership di costo).
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1.2. LA TEORIA ECONOMICA: DA MODIGLIANI-MILLER ALLE
TEORIE DEL MARKET TIMING
In relazione ad ognuno di questi fattori sono state formulate diverse
teorie non considerate generalmente mutuamente esclusive, che hanno
cercato di dare una risposta alle due principali questioni dello studio della
struttura finanziaria:
1) se esiste una combinazione ottimale dei titoli che massimizzi il
valore dell‟impresa e di conseguenza minimizzi il costo del
capitale;
2) com‟è possibile determinare il rapporto ideale tra debiti e mezzi
propri.
I primi studiosi che affrontarono in maniera rigorosa e scientifica tali
questioni furono Modigliani e Miller, nel 1958, le cui teorie hanno
rappresentato una vera e propria rivoluzione in ambito finanziario.
Modigliani e Miller con le Proposizioni I e II giungono alla conclusione di
irrilevanza della struttura del capitale nel determinare il valore aziendale e
nello stimare il costo del capitale, sotto la formulazione di ipotesi
semplificatrici, distaccate dalla realtà e tali per cui la rimozione di anche una
sola di esse inficia il risultato cui portano le due proposizioni, dando origine
a due varianti del modello originale e soprattutto a due filoni classici di
teorie della struttura del capitale:
- teoria del trade-off statico, secondo la quale esiste per ciascuna
impresa una struttura finanziaria ottimale;
- teoria del pecking order che, rimuovendo l‟ipotesi di informazione
perfetta alla base del risultato di MM, sostiene che in presenza di
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asimmetrie informative tra manager e mercato, le imprese
troveranno più conveniente ricorrere a forme di finanziamento il
cui valore è meno sensibile all‟informazione oggetto
dell‟asimmetria informativa.
Vi è poi una più recente ricerca teorica, fondata sui risultati della
finanza comportamentale
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, che fa riferimento all‟ipotesi del market timing
secondo la quale le imprese ricorrerebbero alla forma di finanziamento più
conveniente in un dato momento sulla base delle preferenze irrazionali degli
investitori; quindi, esse emetterebbero azioni quando il loro prezzo di
mercato risultasse superiore al loro valore razionale e, viceversa, farebbero
ricorso al debito qualora le azioni fossero sottovalutate dal mercato. Poiché
nella pratica sono molteplici le ipotesi del teorema di Modigliani & Miller che
vengono violate, ne deriva che nessuna teoria ha un pieno riscontro nelle
realtà aziendali, bensì i fatti osservati empiricamente (di cui darò una breve
illustrazione nel seguito) risultano dalla combinazione dei differenti effetti
evidenziate dalle diverse teorie. Va comunque precisato che i modelli teorici
formulati non hanno alcuna funzione normativa, ovvero non si propongono
di suggerire alle imprese le modalità di finanziamento più convenienti per gli
investimenti, quanto piuttosto descrivere il comportamento delle imprese e
spiegare quali meccanismi guidano le loro scelte.
Ho iniziato l‟analisi dei suddetti modelli teorici con il teorema di
Modigliani e Miller.
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La finanza comportamentale (o Behavioral Finance), sviluppatasi in alternativa alla teoria economico-finanziaria
dominante, partendo dal presupposto che gli investitori non sono sempre razionali quando devono effettuare decisioni
di investimento, cerca di spiegare in che modo emozioni ed errori cognitivi possono influenzare i decisori e i loro
processi decisionali.
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1.2.1 IL TEOREMA DI MODIGLIANI E MILLER
Franco Modigliani e Merton Miller nel ‟58 furono i primi due
economisti che si applicarono allo studio della relazione che lega il valore di
un‟impresa alla sua struttura finanziaria e la loro ricerca va sotto la
denominazione di Teorema di MM. Esso mise in discussione la teoria
tradizionale che ammetteva l‟esistenza di un livello ottimale di
indebitamento, in corrispondenza del quale risulta minimo il costo del
capitale, ovvero si massimizza il valore dell‟azienda in esame, portando
quindi alla conclusione che la struttura finanziaria ottimale (o quella ideale
per una qualunque impresa) sia quella che meglio risponde al contesto, alla
strategia ed agli obiettivi aziendali.
Il teorema di MM rappresenta la base della moderna teoria della
finanza, sia per i suoi contenuti, sia per l‟approccio metodologico adottato,
nonostante la tesi di irrilevanza della politica di finanziamento per le
imprese operanti in un mercato perfetto e completo sia stata smentita dalla
teoria successiva a MM. L‟innovazione metodologica apportata dal famoso
articolo di MM fu relativa al fatto che, mentre fino alla metà degli anni ‟50 lo
studio della finanza si era limitato a descrivere metodi ed istituzioni del
sistema finanziario, con questo teorema e con la contemporanea teoria sulla
scelta di portafoglio delle imprese sviluppata da Tobin e Markowitz venne
introdotto il ragionamento deduttivo tipico della teoria economica,
illustrando le relazioni esistenti tra le caratteristiche dei mercati finanziari ed
il finanziamento degli investimenti e formulando una teoria basata sui
presupposti del comportamento razionale degli investitori e dell‟equilibrio
dei mercati.
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Come affermato precedentemente, Modigliani e Miller hanno fornito la
dimostrazione della tesi secondo la quale il valore di una società ed il costo
del capitale non avrebbero alcuna relazione con la struttura finanziaria,
quindi indipendentemente dalla proporzione in cui debiti e capitale proprio
sono presenti nella struttura del capitale, esiste una conservazione del
valore degli investimenti. Questa conclusione è stata molto utile per
studiare e riflettere sulle condizioni sotto le quali la politica finanziaria
dell‟impresa è in effetti rilevante, ovvero quali delle ipotesi di MM debbano
essere violate per ottenere l‟influenza della struttura finanziaria sul valore
aziendale. Tali ipotesi riguardano:
1) mercati dei capitale perfetti, ovvero concorrenziali, perfettamente
trasparenti, senza alcun tipo di frizione (informazione perfetta e
simmetrica tra tutti gli operatori del mercato ed assenza di costi di
intermediazione);
2) assenza di costi di default sul debito o di costi del dissesto
finanziario;
3) imprese ed investitori individuali sono in grado di prendere somme
di denaro a prestito allo stesso tasso di interesse;
4) assenza di imposte sul reddito di imprese e di investitori;
5) utili operativi attesi costanti e di importo uguale agli utili operativi
correnti;
6) gli investitori sono agenti razionale che massimizzano la propria
funzione di utilità attesa;
7) le imprese emettono solo due tipi di titoli, ovvero obbligazioni
prive di rischio (debito) e azioni;
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8) tutte le imprese sono considerate nella stessa classe di rischio;
9) i manager massimizzano la funzione di ricchezza degli azionisti,
dunque non vi sono costi di agenzia perché non esistono
divergenze di obiettivi tra il controllo e la proprietà e a loro volta
gli azionisti non intraprendono azioni volte a danneggiare gli
interessi dei creditori;
10) l‟eventuale fallimento dell‟impresa non comporta costi di
liquidazione del suo attivo patrimoniale, né costi di reputazione
per i suoi dirigenti.
Se valgono le ipotesi appena elencate, i vantaggi e gli svantaggi del
debito sono tutti nulli e dovremmo dunque osservare rapporti di
indebitamento completamente casuali e fortemente mutevoli nel tempo.
Modigliani e Miller, sulla base di queste ipotesi, hanno formulato due
proposizioni:
- PROPOSIZIONE I: “ Il valore di mercato di una qualsiasi impresa
è indipendente dalla sua struttura del capitale”, vale a dire che la
torta, raffigurante il valore dell‟impresa, non cambia la propria
dimensione se viene tagliata in pezzi (debito e capitale proprio)
aventi misure differenti. Ne deriva che anche il costo del capitale
dell‟impresa non viene influenzato dal suo livello di indebitamento.
- PROPOSIZIONE II: “Il tasso di rendimento atteso delle azioni di
una data impresa è funzione lineare crescente del rapporto di
indebitamento D/E”: quindi esso cresce in proporzione al rapporto
debito/equity per un‟impresa indebitata ed il tasso di aumento
dipende dalla differenza tra r
U
, ovvero il tasso di rendimento