I
INTRODUZIONE
In Italia, negli ultimi quarant'anni, la questione previdenziale è sempre stata di
grande attualità; ogni governo ha, infatti, dovuto elaborare riforme e leggi per
affrontare e tentare di arginare il “disavanzo previdenziale pubblico”, che è
aumentato progressivamente dagli anni '70.
La bilancia dei pagamenti del sistema previdenziale pubblico è oggi, infatti, in
passivo; e senza gli interventi dei diversi governi il sistema sarebbe probabilmente
“collassato” da molto tempo.
Purtroppo anche in questo momento storico, il “periodo delle Riforme” non può
essere considerato terminato. Gli interventi sono stati molteplici, ma le congiunture
economiche e sociali richiedono ulteriori normative e innovazioni.
L'attenzione di questo elaborato è rivolta al sistema previdenziale complementare
italiano, in particolare all'istituto dei “fondi pensione”.
Le difficoltà del sistema pensionistico pubblico mettono i lavoratori-contribuenti
nella condizione di dover scegliere se aderire o meno ad un fondo pensione, e da
questa “scelta” dipenderà lo standard di vita del lavoratore al momento della
pensione.
L'obbiettivo perseguito dall’elaborato è quello di offrire all'ipotetico aderente una
panoramica delle opportunità e dei rischi legati ad un fondo pensione.
In sostanza, si tenta di mettere il lavoratore nelle condizioni di effettuare una scelta
d'investimento previdenziale ponderata, basata sulla conoscenza dello specifico
strumento pensionistico e sul proprio profilo di rischio.
II
Entrando nel dettaglio dell'analisi, nel Capitolo 1 viene effettuata la descrizione dei
principali avvenimenti storici (Cap. 1.1) e delle principali Riforme (Cap. 1.2) relative
all'intero sistema previdenziale italiano (primo pilastro previdenziale), sottolineando
il passaggio da un regime a “capitalizzazione” ad uno a “ripartizione” (Cap. 1.3), i
problemi e le inefficienze di tale modello (Cap. 1.4). La trattazione del Capitolo 1 si
conclude con la descrizione dell'attuale configurazione previdenziale italiana (Cap.
1.5), strutturata sui “Tre Pilastri
1
”.
Il capitolo 2 approfondisce direttamente la questione del secondo pilastro: nella
prima parte (Cap. 2.1, Cap.2.2, Cap. 2.3) vengono presentati i fondi pensione in
modo dettagliato, distinguendo la fattispecie dei fondi pensione “negoziali” da quelli
“aperti”, sottolineando le principali differenze tra le due tipologie di piani
previdenziali (Cap. 2.4); successivamente si descrivono i principali “protagonisti”
del fondo (Cap. 2.5), in particolare l'istituto di vigilanza dei fondi pensione, la
“Covip” (Cap. 2.6).
Il Capitolo 3 si occupa della spiegazione delle caratteristiche di un fondo pensione.
Nello specifico vengono considerate: le fasi del processo di previdenza
complementare (Cap. 3.1); i casi particolari di sospensione, recesso e riscatto delle
quote, insieme all'analisi fiscale del fondo (Cap. 3.2); i fattori fondamentali (Cap.
3.4), i vantaggi e gli svantaggi (Cap. 3.3) della decisione di aderire ad un fondo
pensione. Il Capitolo si conclude con l'analisi dell'attuale situazione del sistema
previdenziale italiano rispetto alla “Quota 80 per cento
2
” (Cap. 3.5) assicurata dalla
previdenza pubblica fino al periodo precedente alle “Grandi Riforme” (Cap. 1.2).
Nel capitolo 4 cambia il punto di osservazione, viene assunto quello del gestore
1
Vedi Cap. 1.5, p. 22.
2
Vedi Cap. 3.5, p. 68.
III
finanziario del fondo; in particolare vengono approfonditi i fattori finanziari che
stanno alla base delle scelte di questo soggetto: il rischio e la volatilità degli
strumenti (Cap. 4.1); la caratteristica fondamentale della “diversificazione del
portafoglio finanziario” (Cap. 4.2); le differenti tipologie di asset - allocation
(strategica e tattica, Cap. 4.3); infine, viene misurata la redditività sia per il gestore
sia per l'aderente (Cap. 4.4).
Dopo aver assunto il punto di vista del gestore finanziario, la trattazione prosegue,
nel Capitolo 5, con l'analisi dei sistemi previdenziali dei paesi economicamente più
sviluppati, l'obbiettivo è quello di determinare quali possano essere le principali
innovazioni da “importare” e adottare nel nostro sistema previdenziale, in particolare
si distingue tra un modello “europeo - continentale” e uno “anglosassone”.
Della prima tipologia di modelli, di cui fa parte anche il sistema previdenziale
italiano, vengono descritti il modello tedesco (Cap. 5.1), quello francese (Cap. 5.2),
quello svedese (Cap. 5.3), quello svizzero (Cap. 5.4) (questi ultimi due sono i sistemi
più virtuosi), infine, quello olandese (Cap. 5.5). Della seconda tipologia di modelli
appartenenti al sistema “anglosassone”, vengono analizzati il sistema britannico
(Cap. 5.6) e quello statunitense (Cap. 5.7).
Nel capitolo 6 vengono descritte le aspettative dei contribuenti nella gestione dei
fondi pensione (Cap. 6.1).
Successivamente, la trattazione prosegue con l'analisi dei principali casi di “crack
finanziari” registrati nell'ultimo decennio nella realtà americana (esempio di sistema
“anglosassone”) e in quella italiana, (esempio di sistema “europeo - continentale”),
per considerarne gli effetti su investitori e aderenti ai fondi. Le società interessate a
tali dissesti sono le statunitensi Enron (Cap. 6.2) e WorldCom (Cap. 6.3) e le italiane
IV
Cirio (Cap. 6.5) e Parmalat (Cap. 6.6).
In questo Capitolo vengono, inoltre, proposti dei punti di revisione ai fondi pensione
statunitensi (Cap. 6.4), i “piani 401 (k)”, utili anche alle realtà degli altri paesi con
sistemi previdenziali all'avanguardia.
Nel capitolo 7, lo stesso tipo di analisi viene effettuata sul sistema complementare
italiano; in particolare vengono elaborate proposte ed innovazioni normative in
materia previdenziale, per accrescere lo sviluppo dei fondi pensione nella realtà
nazionale (Cap. 7.1).
La descrizione passa, poi, a livello comunitario, dove si assiste all'”armonizzazione”
dei diversi sistemi previdenziali (Cap. 7.2).
La domanda che il lettore si pone durante la lettura di questo elaborato dovrebbe
essere: “Conviene aderire ad un fondo pensione?”.
Nel Cap. 7.3 si tenterà di dare una risposta univoca a tale quesito, attraverso l'utilizzo
di dati, messi a disposizione dalla “Covip” e riguardanti il rendimento dei diversi
profili di fondi pensione nazionali.
L'argomentazione si conclude con alcuni “consigli - pratici” rivolti a soggetti che
non hanno ancora deciso di aderire al sistema previdenziale complementare (Cap.
7.4).
1
CAPITOLO 1
IL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO
1.1 Storia ed evoluzione del sistema previdenziale italiano
Dalla nascita dei sistemi previdenziali si sono contrapposte due diverse visioni di
previdenza sociale: la prima visione, di origine anglosassone, sancisce che lo Stato
deve provvedere ai bisogni fisici, sociali ed economici dei cittadini in difficoltà,
finanziando tali spese attraverso le imposte generali; la seconda visione, di stampo
tedesco prevede invece che il lavoratore sia protetto contro eventi negativi che
possano alterare la capacità di produrre reddito (infortuni, malattie, ma soprattutto
l'invecchiamento). Per il finanziamento di questi interventi previdenziali si ricorre al
contributo di diversi attori: lo Stato, i datori di lavoro e i singoli lavoratori, con il
precipuo fine di mantenere la pace sociale.
Quello che scaturisce dall'analisi delle due visioni è il fatto che nella prima si può
riscontrare una forte presenza dell'aspetto “assistenziale” svolto dallo Stato nei
confronti dei propri cittadini in stato di bisogno, mentre nella seconda viene
sottolineata l'esposizione al rischio dei diversi soggetti-lavoratori e la loro necessità
ad avere un'assicurazione previdenziale.
La Costituzione Italiana, all'art. 38
3
, è influenzata dalle due concezioni appena
3
Art. 38 Costituzione italiana “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per
vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano
2
osservate, ma non prende una posizione netta a favore di una piuttosto che dell'altra,
in quanto contempla interventi sia di tipo assistenziale sia di tipo previdenziale.
In Italia, infatti, si è assistito ad un'evoluzione del sistema previdenziale che
inizialmente consisteva in una struttura assistenziale volontaria finanziata solo da
coloro che ne erano interessati, per poi passare ad un sistema di tipo generale esteso a
tutti i cittadini, finanziato proprio dalle imposte generali pagate dalla collettività.
Ultimamente però si è assistito ad un ritorno della previdenza assicurativa in cui i
contributi versati da ogni lavoratore rispondono alle necessità di copertura dei rischi
in modo proporzionale.
In seguito all'unità d'Italia e con la spinta della rivoluzione industriale si sviluppò
l'ordinamento previdenziale italiano.
Prima della rivoluzione industriale i lavoratori non godevano di alcuna assistenza da
parte dello Stato; ai loro bisogni provvedevano rispettivamente le famiglie e le
congregazioni di carità
4
che si finanziavano attraverso donazioni ed opere di
beneficenza pubblica o privata.
I primi passi verso l'adozione di una previdenza obbligatoria furono compiuti nel
settore degli infortuni sul lavoro. Nel 1861 venne, infatti, creata la “Cassa invalidità
per la gente di mare”, totalmente finanziata dagli equipaggi (i singoli armatori non
pagavano nulla).
Dopo l'unità d'Italia venne recepita dall'intero Paese la legislazione vigente nel
Regno piemontese riguardante le pensioni dei dipendenti civili e militari dello Stato.
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono
organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera”.
4
La congregazione di carità, è la denominazione ottocentesca dell'istituzione destinata a venir
incontro ai bisogni della popolazione povera.
In: www.lombardiabeniculturali.it/archivi/profili-istituzionali/MIDL00021E/
3
Nel 1883 nacque un nuovo istituto denominato “Cassa Nazionale di Assicurazione
per gli infortuni sul lavoro”. Questa organizzazione offriva ai datori di lavoro la
possibilità di assicurare i propri dipendenti a un costo contenuto. L'assicurazione era
però facoltativa e nel 1933 tale istituzione cambiò denominazione in “Istituto
Nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni” (INAIL) senza però divenire
obbligatoria.
Nel 1898, con la legge n. 80 del 17 marzo, venne introdotta l'obbligatorietà
dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro degli operai impiegati nei settori
industriali, i contributi erano esclusivamente a carico del datore di lavoro. Questo
tipo di tutela venne esteso anche ai dipendenti del settore agricolo a partire dal 1917.
Nel 1919 venne, poi, definita l'Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO)
5
presso
la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali (in sostanza era la Cassa nazionale
di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia appena osservata), che in seguito al
Decreto Regio n. 371 del 27 marzo 1933, assunse il nome di “Istituto Nazionale
Fascista per la Previdenza Sociale”, ente dotato di personalità giuridica autonoma.
Questo istituto cambiò il proprio nome una terza volta, nel 1943, ottenendo la
denominazione attuale di “Istituto Nazionale di Previdenza Sociale” (INPS).
Nel 1945, a causa del notevole aumento dell'inflazione nel dopo - guerra, della
perdita di potere d'acquisto delle pensioni e dell'estensione della previdenza a sempre
più ampie categorie di lavoratori venne introdotto attraverso il D. Lgs. n. 177 del 1
marzo un ”Fondo a ripartizione
6
”, da affiancare a quello preesistente “a
5
Assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori autonomi è l'assicurazione cui sono
obbligatoriamente iscritte tre categorie di lavoratori autonomi: i coltivatori diretti, mezzadri e coloni;
gli artigiani; i commercianti. A ognuna di queste categorie fa capo una gestione speciale dotata di
autonomia finanziaria e di separata contabilità. Le tre gestioni, amministrate dall'INPS, coprono i
rischi di invalidità, vecchiaia e morte.
Definita in: www.inps.it/portale/default.aspx?lastMenu=5620&iMenu=1&iNodo=5620&p1=2
6
1945. Con il D. Lgs. 1° marzo 1945, n. 177, viene creato un nuovo fondo a ripartizione, parallelo a
4
capitalizzazione”, in cui le pensioni venivano riviste ed allineate all'effettivo costo
della vita attraverso assegni integrativi finanziati da tutti i lavoratori dipendenti.
Nel 1947 attraverso il D. Lgs. CPS n. 689 del 29 luglio, vennero istituiti il “Fondo
d'Integrazione delle Assicurazioni Sociali” ed il “Fondo di Solidarietà Sociale” che
furono sostituiti dal “Fondo per l'adeguamento delle Pensioni” nel 1952, il quale
prevedeva un finanziamento quantificato intorno al 50 % da parte del datore di
lavoro, mentre il rimanente 50 % veniva suddiviso tra contributi dello Stato e del
singolo lavoratore. Oggi tale contributo viene definito attraverso un decreto del
Presidente della Repubblica e calcolato in base ad una percentuale sulla retribuzione
lorda.
All'interno dell'ordinamento pensionistico dell'Assicurazione Generale Obbligatoria,
attraverso l'art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218 venne creato l'istituto del
“trattamento minimo di pensione
7
”, fissando importi differenti a seconda dell'età del
pensionato, del tipo di pensione a cui avevano diritto i lavoratori (invalidità,
vecchiaia o a beneficio dei parenti superstiti). In particolare si definiva l'integrazione
necessaria per il raggiungimento dell'ammontare minimo stabilito dalla legge
vigente. Questa integrazione era totalmente a carico dello Stato.
Per vedere le assicurazioni sociali obbligatorie estese al settore del lavoro autonomo
si dovette attendere il 1957, anno in cui venne definita l'assicurazione obbligatoria in
quello a capitalizzazione. Si ha in questo modo un doppio modello di finanziamento del sistema
pensionistico italiano: - il fondo base, a capitalizzazione, finanziato con le “marche assicurative”,
rappresentative di un valore monetario (Il valore delle marche assicurative era commisurato alla
retribuzione effettiva corrisposta al lavoratore. Le marche assicurative potevano essere giornaliere,
settimanali o quindicinali e venivano applicate, a cura dei datori di lavoro, sulle tessere dei
lavoratori.); - il fondo di integrazione delle assicurazioni sociali, a ripartizione, finanziato con i
contributi a percentuale sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori.
Consultare: ON. ANTONIO MAGRI, Segreteria Politica Federale – Lega Nord Lavoro e Previdenza,
pp. 5-7.
7
Il trattamento minimo è un’integrazione corrisposta dallo Stato ai pensionati che beneficiano di una
pensione molto bassa, al di sotto di un limite stabilito dalla legge, ritenuto il minimo vitale.
In: A. BRAMBILLA, Il sistema previdenziale italiano, Rivista di politica economica, Milano, 2000, p.
23.
5
caso di vecchiaia, invalidità, a beneficio dei superstiti per i mezzadri, i coloni e i
coltivatori diretti.
Per la prima volta nel nostro Paese, nel 1965, venne introdotta la “Pensione di
anzianità”, disponibile per i soggetti che avevano alle spalle 35 anni di contributi
versati (20 anni per i dipendenti statali e 25 anni per i dipendenti degli enti locali).
Successivamente, nel 1969 venne definitivamente assunto come sistema di
riferimento per le pensioni nazionali quello a “ripartizione”, in cui l'ammontare della
pensione era (ed è ancora oggi) commisurato agli stipendi percepiti negli ultimi tre
anni lavorativi. La pensione sociale venne inoltre allargata ai cittadini con redditi
limitati ed età superiore ai 65 anni.
Nel 1975-1976 la pensione venne strettamente legata alle retribuzioni dei lavoratori
nei settori industriali; la pensione veniva infatti quantificata nella percentuale 80 %
(in questo caso, infatti, si parla di “Quota 80 per cento”) della retribuzione media del
triennio più favorevole dell'arco temporale degli ultimi 10 anni.
Nel 1981 a causa della crisi che investì il sistema industriale italiano venne
fortemente incentivato il “prepensionamento
8
” dei lavoratori più anziani per
permettere un ringiovanimento dei soggetti lavoratori.
L'anno seguente, invece, venne riformata la “pensione d’anzianità” attraverso la
creazione del TFR
9
(Trattamento di Fine Rapporto). Nel 1984 la “pensione
8
Il prepensionamento o accompagnamento alla pensione è una forma di ammortizzatore sociale che
prevede la conclusione anticipata dell'attività lavorativa prima del raggiungimento dell'età di
pensionamento prevista dalle normative e dai contratti in vigore. L'anticipo del pensionamento
prevede l'impiego di strumenti di accessori necessari per completare il percorso retributivo mancante
e assicurare così al lavoratore l'erogazione piena della pensione. Anche questi strumenti sono
variabili a seconda del contesto normativo e contrattuale. Vedi:
www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/12/effetto-
prepensionamenti-Inps
9
TFR: consiste nel valore accumulato di quote annue ottenute dividendo per 13,5 la retribuzione
dell’anno considerando una rivalutazione annuale delle quota già conteggiate con un tasso dell’1,5
per cento più il 75 per cento del tasso d’inflazione.
6
d'invalidità” subì una riforma con caratteristiche restrittive dal punto di vista sia dei
requisiti di partecipazione sia di ammontare contributivo.
Dal 1989, poi, le forme previdenziali - diverse dalla pensione - come disoccupazione
e garanzia per il TFR, vengono gestite unicamente dall'Istituto Nazionale per la
Previdenza Sociale (INPS), in seguito ad una ristrutturazione degli istituti
previdenziali.
Dal 1992 ad oggi, le riforme pensionistiche sono intervenute sugli stessi fronti, con
l'unico obbiettivo di contenere la spesa previdenziale attraverso:
a) l'innalzamento dell'età pensionabile;
b) l'aumento del quantitativo previdenziale richiesto;
c) la diminuzione degli importi erogati attraverso la modifica della retribuzione di
riferimento per il calcolo dell'ammontare pensionistico e attraverso la perequazione
(togliendo la rivalutazione pensionistica) automatica delle pensioni.
1.2 La “Stagione delle Riforme previdenziali”
La trattazione prosegue con l'analisi delle seguenti riforme
10
.
1992: Riforma Amato (XI Legislatura)
1995: Riforma Dini (XII Legislatura)
1997: Riforma Prodi (XIII Legislatura)
2004: Riforma Maroni (XIV Legislatura)
2007: Riforma Prodi - Damiano (XV Legislatura)
2009: Riforma Sacconi - Brunetta (XVI Legislatura)
2010: Riforma Tremonti (XVI Legislatura)
10
Vedi: G . MORCALDO, Pensioni: necessità di una riforma, Direzione Centrale Banca d'Italia, par. 2.
7
Nel 1992 gli interventi di riforma in materia previdenziale furono intrapresi
inizialmente attraverso la Legge Delega 23 ottobre 1992, n. 421, che delegava al
governo il riordino del sistema previdenziale sia pubblico sia privato.
Nel testo di questa Legge vennero introdotte nel sistema nazionale le “finestre”, ossia
precisi momenti durante l'anno in cui era possibile richiedere l'assistenza di anzianità.
La Riforma della struttura previdenziale nazionale riguardante i lavoratori pubblici e
quelli privati, venne introdotta con il D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, meglio
conosciuta come “Riforma Amato”, che definì numerosi cambiamenti introducendo
diverse novità nel sistema:
a) il graduale aumento dell'età pensionabile: dal 1994, infatti, ogni due anni venne
registrato l'innalzamento di un anno dell'età per poter richiedere il contributo
previdenziale, fino al raggiungimento dei 65 anni di età per i lavoratori di sesso
maschile, mentre per le donne l'età doveva passare dai 55 (età pensionabile pre
riforma) ai 60 anni;
b) vennero estesi a 35 anni i periodi contributivi di tutti i lavoratori, pubblici (che a
fine 1992 avevano versato meno di 8 anni di contributi) e privati per poter ottenere
l'erogazione della pensione di anzianità;
c) vennero sancite regole comuni per ciò che riguarda il cumulo tra redditi da lavoro
(dipendente ed autonomo) e le pensioni;
d) venne modificato il sistema di perequazione automatica legata al costo della vita,
che prima del 1992 era connesso con gli stipendi di coloro che erano impiegati nel
settore industriale e con l'andamento dei prezzi, in seguito a tale riforma, rimase
legato solo all'andamento dei prezzi. L'adeguamento previdenziale venne modificato,
passando da semestrale ad annuale;
8
e) venne innalzato anche il minimo contributivo per poter richiedere il trattamento
pensionistico, passando gradualmente entro il 2001 da 15 a 20 anni;
f) venne ampliato il periodo di riferimento utile al fine di calcolare lo stipendio
medio pensionabile, per i lavoratori dipendenti passò da 5 a 10 anni, da 10 a 15 anni
per quelli autonomi;
g) venne applicato un “massimale pensionabile” alle pensioni esclusive, con finalità
sostitutive (a quelle che non lo prevedevano già).
A tali pensioni venne gradualmente estesa la percentuale di diminuzione delle
aliquote di rendimento previste nell'Assicurazione Generale Obbligatoria;
h) per ciò che riguarda le integrazioni delle pensioni minime, dopo tale riforma
vennero considerati anche i redditi prodotti dal coniuge.
Successivamente, nel 1995, durante la XII Legislatura attraverso la Legge 8 agosto
1995 (conosciuta come “Riforma Dini”), si attuò l’“Introduzione del sistema
contributivo di calcolo della pensione ed armonizzazione delle discipline
pensionistiche dei settori privato e pubblico”, grazie al quale venne effettuato un
ridimensionamento dei trattamenti previdenziali garantiti dall'Assicurazione
Generale Obbligatoria (AGO), e furono introdotte le cosiddette “pensioni
pubbliche”.
Le principali modifiche apportate dalla Riforma Dini furono:
a) l'introduzione del sistema di calcolo a “contribuzione
11
”, che presupponeva il
conteggio delle pensioni di coloro che dal 1 gennaio 1996 entravano a far parte della
11
Con il sistema contributivo l'importo della pensione è determinato moltiplicando il montante dei
contributi versati per un coefficiente di trasformazione relativo all'età dell'assicurato al momento del
pensionamento. Il montante è costituito dalla quantità di contributi che il dipendente ha versato,
insieme al datore di lavoro, nell'intera vita lavorativa. Ogni anno, a partire dal 1° gennaio 1996, viene
accantonato un importo contributivo pari al 33% della retribuzione imponibile. La norma analizzata
al punto b) è effettivamente in vigore dal 2006.
Descritto in: O. CASTELLINO, La previdenza sociale dalla riforma Amato alla riforma Dini, Rivista
internazionale di scienze sociali, luglio-settembre 1995, pp. 458-471.