3
Le difficoltà incontrate nella gestione delle società di
mutuo soccorso e l'affermazione delle diverse organizzazioni
(istituzionali e non) promosse dai lavoratori, portarono ben presto
gli Stati europei più evoluti ad assumere un ruolo attivo nei
confronti della tutela assicurativa dei lavoratori.
Le soluzioni adottate dai vari paesi furono diverse, risentendo
delle due concezioni filosofiche che si fronteggiavano in Europa
alla fine del diciannovesimo secolo in merito al rapporto tra Stato
e cittadino: la concezione germanica e quella anglosassone.
La concezione germanica
1
aveva come substrato culturale la
filosofia hegeliana, secondo cui lo Stato era razionale in sé e per
sé, e l'individuo aveva oggettività e moralità solo in quanto
membro dello Stato.
La trasposizione di questa concezione sul piano della protezione
sociale, portò a sostenere come necessario l'intervento dello Stato
per tutelare i lavoratori, in modo che l'imprevidenza dei singoli
fosse corretta in funzione del superiore interesse della nazione, e
affinché le occasioni di malcontento sociale fossero ridotte al
minimo: spettava allo Stato garantire all'individuo che cessava di
lavorare il mantenimento di un tenore di vita simile a quello
posseduto durante la vita lavorativa, riconoscendo una
prestazione pensionistica commisurata alla sua retribuzione.
Non fu quindi un caso che il primo modello di protezione sociale
dei lavoratori promosso direttamente da uno Stato ebbe origine
nell'allora Confederazione Germanica (essendo poi adottato, nella
sua impostazione di base, da altri paesi europei, fra cui Francia e
Italia).
1 Cfr.: A. Tomassetti, "Tecnica Attuariale per Collettività", Edizioni Kappa,
Roma 1996, vol. n. 1, pagg. 1-10.
4
Nel 1881 il cancelliere Bismarck sollecitò il Parlamento ad
emettere leggi per introdurre l'assicurazione operaia obbligatoria
contro gli infortuni, le malattie, l'invalidità e la vecchiaia: leggi
che furono emanate nel 1883 (malattia), nel 1884 (infortuni sul
lavoro) e nel 1889 (pensione di vecchiaia, d'invalidità e ai
superstiti).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla concezione germanica, la
concezione anglosassone, fondata sulla filosofia di Locke,
individuava il fondamento dell'autorità politica nella volontà
degli individui, facendo coincidere la nascita della società civile
con la presa di coscienza dei cittadini di dover essere gli
esecutori della legge: lo Stato non doveva intervenire in alcun
modo in campo economico e sociale, ma limitarsi a garantire una
tutela puramente assistenziale, uguale per tutti, e da erogare solo
in specifiche circostanze d'indigenza.
Tale concezione influenzò la nascita e lo sviluppo della
protezione sociale dei lavoratori nel Regno Unito e nei paesi
nordici, dove infatti non venne istituito un sistema di
assicurazioni sociali, ma dove venne semplicemente esteso il già
esistente sistema assistenziale, introducendo il principio del
diritto soggettivo di tutti i cittadini - e quindi anche dei
lavoratori - ad accedere alle prestazioni previste.
Nel Regno Unito, ad esempio, l'importo delle prestazioni
pensionistiche fu limitato alla pura sopravvivenza e riconosciuto
solo agli ultrasettantenni privi di redditi sufficienti.
Va comunque notato che alla fine del secolo scorso, soprattutto
nel Regno Unito, avevano una larghissima diffusione i contratti di
assicurazione popolare sulla vita, proposti da compagnie private
di assicurazione; quindi la maggior parte degli operai di questi
paesi aveva già una copertura assicurativa.
5
Ancora oggi, nei maggiori paesi dell'Unione Europea, sopravvive
la contrapposizione fra le logiche delle due impostazioni
originarie.
Il Regno Unito e i paesi nordici continuano a concepire
l'intervento dello Stato nella protezione sociale come assistenza
minima ai cittadini, i quali, di conseguenza, provvedono alla loro
tutela stipulando polizze di assicurazione private o aderendo ai
numerosi fondi pensione aziendali che le imprese di questi paesi
sperimentano già da molti anni.
Negli altri paesi (Italia compresa), le prestazioni pensionistiche
garantite dal sistema pubblico dipendono, sostanzialmente, dalle
retribuzioni dei lavoratori (con i vincoli propri della solidarietà
delle assicurazioni sociali).
6
I.1.2 La nascita della previdenza sociale in Italia.
In Italia, la nascita e lo sviluppo del sistema previdenziale
pubblico furono influenzati, come già accennato,
dall'impostazione adottata nella vicina Confederazione
Germanica.
Il primo provvedimento in materia fu adottato nel 1864, quando
fu istituita per i dipendenti del nuovo Stato unitario
l'assicurazione obbligatoria per la vecchiaia: i contributi che man
mano maturavano erano posti a carico del bilancio dello Stato e
l'importo della pensione era commisurato all'ultima retribuzione.
Il legislatore italiano, poi, si preoccupò della tutela pensionistica
obbligatoria di quelle categorie di lavoratori che, pur non essendo
direttamente dipendenti dello Stato, svolgevano funzioni di
preminente interesse nazionale; in poco più di vent'anni furono
istituite la Cassa Pensioni per gli insegnanti, per i medici
condotti, per i dipendenti degli enti locali, nonché altre Casse
minori.
In base alle leggi istitutive, l'equilibrio tecnico-attuariale di
queste Casse si fondava su un'articolata gestione dei versamenti
in dei conti individuali in nome dei singoli dipendenti, e la
prestazione pensionistica era funzione dei versamenti accreditati
in tali conti, maggiorati degli interessi maturati.
Tuttavia, mentre nella prima fase d'operatività delle Casse i
montanti relativi a ciascun conto individuale furono valutati come
risultati contabili ottenuti ex-post, in un secondo momento la
gestione fu fondata su un'equivalenza attuariale - a priori e per
rischi omogenei - tra contributi versati e prestazioni spettanti
(questo genere di equivalenza presiedeva, e presiede tuttora, al
7
calcolo dei cosiddetti "premi equi" delle assicurazioni libere sulla
vita, gestite a "capitalizzazione individuale").
Più lungo fu l'iter che portò i lavoratori dipendenti del settore
privato a conseguire una tutela assicurativa completa.
Nel 1883 fu costituita, su base volontaria, la Cassa per gli
Infortuni sul Lavoro.
Nel 1898 fu istituita la Cassa Nazionale di Previdenza per
l'Invalidità e la Vecchiaia degli operai, cui tuttavia si accedeva
solo in via facoltativa.
Nei primi anni d'attività, alle predette Casse s'iscrisse un modesto
numero di lavoratori a dispetto della vasta platea dei potenziali
aderenti.
Nel 1898, quindi, fu emanata una legge che prevedeva
l'obbligatorietà dell'iscrizione alla Cassa Nazionale Infortuni sul
Lavoro per i lavoratori soggetti a particolari rischi; ed ancora, nel
1919, fu emanato un decreto legge che introduceva, sulla base del
modello tedesco, l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità,
la vecchiaia e per i superstiti, presso la Cassa Nazionale della
Previdenza Sociale (costituita con lo stesso decreto).
Data l'importanza di quest'ultimo provvedimento, risulta utile
evidenziarne i punti fondamentali:
- l'obbligo d'iscrizione sussisteva per tutti gli individui tra i 15 e
i 65 anni di entrambi i sessi, che prestavano la loro opera
all'interno del territorio nazionale e alle dipendenze altrui
(compresi i mezzadri e gli affittuari, entro un limite di reddito
di 3600 lire annue); furono invece esonerati dall'obbligo
d'iscrizione gli impiegati con una retribuzione superiore alle
350 lire mensili, nonché tutti i lavoratori appartenenti alle
categorie già assicurate presso altri regimi obbligatori;
8
- le prestazioni fornite dalla Cassa erano costituite da pensioni
di vecchiaia (avendo versato almeno 240 contributi
quindicinali) e da pensioni d'invalidità (120 contributi), mentre
per i superstiti erano previsti degli assegni temporanei della
durata di sei mesi;
- l'importo delle prestazioni dipendeva dai contributi versati
(indipendentemente dall'età d'ingresso e di pensionamento),
con un metodo di calcolo che favoriva i primi contributi
versati;
- i contributi, stabiliti in una percentuale fissa del salario, erano
versati per metà dall'assicurato e per l'altra metà dal datore di
lavoro (lo Stato contribuiva con 100 lire annue per ciascun
lavoratore).
Gli economisti e i tecnici che coadiuvarono il legislatore
nell'elaborazione del provvedimento, fondarono il sistema
finanziario di gestione della Cassa sul principio della
"capitalizzazione collettiva", realizzata con un unico premio,
valido per tutti gli assicurati e costante per tutta la durata
illimitata della gestione ("premio medio").
Seguendo l'esempio adottato qualche decennio prima in Germania,
l'equilibrio della gestione fu quindi fissato in relazione all'intera
collettività assicurata
2
, nella quale vennero pertanto a coesistere
rischi di diversa entità e appartenenti a generazioni diverse.
2 Gli studi attuariali alla base della legge stabilirono la misura del premio medio
generale (ovvero dell'aliquota contributiva) nel 4,53%: tale percentuale fu
ottenuta risolvendo il rapporto tra il valore attuale atteso delle prestazioni da
erogare e il valore attuale atteso delle masse salariali degli assicurati. Cfr.: A.
Tomassetti, op. cit., pag. 12.
9
Il nostro sistema previdenziale obbligatorio nacque, quindi, con
l'affermazione dell'effetto redistributivo proprio della solidarietà
assicurativa, la quale genera trasferimenti di risorse non solo
all'interno di classi di rischio omogenee (effetto prodotto dalla
mutualità, tipica delle assicurazioni libere), ma anche fra
individui appartenenti a classi di rischio differenti (soggetti con
diversa età e/o anzianità).
10
I.2 L'evoluzione del sistema previdenziale pubblico
italiano e le ragioni della sua crisi.
Nel 1933, la denominazione e la forma giuridica della Cassa
Nazionale di Previdenza Sociale furono modificate: nacque così
- come ente di diritto pubblico - il nuovo Istituto Nazionale di
Previdenza Sociale (INPS), che fu autorizzato ad operare
autonomamente su tutto il territorio nazionale, e che fu sottoposto
alla vigilanza dei Ministeri del Lavoro e del Tesoro e di
un'apposita Commissione Parlamentare.
Inizialmente all'interno dell'INPS fu operativo esclusivamente il
Fondo Pensione per i Lavoratori Dipendenti del Settore Privato
(FPLD)
3
.
In seguito furono costituite, come gestioni autonome all'interno
dell'Istituto, l'assicurazione obbligatoria per i coltivatori diretti,
mezzadri e coloni (1957), per gli artigiani (1959) e per
i commercianti (1966), e dei fondi speciali "sostitutivi" e
"integrativi" per particolari categorie di lavoratori
4
.
Il panorama nazionale del regime obbligatorio di tutela si
completò poi gradualmente; in primo luogo furono costituiti i
piani previdenziali cosiddetti "esclusivi" a favore dei dipendenti
3 Il FPLD costituisce, ancora oggi, il fondo pensione di base più importante del
panorama nazionale, sia per il numero di lavoratori assicurati che per l'ammontare
di risorse gestite.
4 I fondi sostitutivi sono stati creati con norme apposite contenenti la previsione
di trattamenti pensionistici speciali e più vantaggiosi, in forza del particolare tipo
di attività lavorativa esercitata (dipendenti elettrici, telefonici, dei trasporti
pubblici, personale di volo, clero). I fondi integrativi prevedono un trattamento
integrativo della pensione INPS a favore di soggetti che hanno svolto un'attività
lavorativa usurante (ex-dazieri, esattoriali, gasisti, minatori). Cfr.: L.Gai, "I
Fondi Pensione", Giappichelli Editore, Torino 1996, pag.17.
11
pubblici, e gestiti da enti diversi dall'INPS
5
. Successivamente
furono istituite le diverse Casse dei liberi professionisti,
l'INPDAI (dirigenti di aziende industriali), l'INPGI (giornalisti) e
l'ENPALS (lavoratori dello spettacolo)
6
.
E' evidente, quindi, come il nostro sistema pensionistico
obbligatorio si sia evoluto secondo una struttura articolata in
diversi schemi previdenziali, e "ciò è da imputare non solo a
fattori storici, ma anche al successo di singole iniziative
intraprese da alcune categorie, con il precipuo scopo di sottrarsi
alla mutualità generale"
7
.
Tale frazionamento ha inevitabilmente generato - in virtù dei
differenti criteri adottati dai vari regimi per la determinazione
della pensione e dei requisiti per accedervi - disparità di
situazioni fra il regime generale dell'INPS e quello dei fondi
5 I piani previdenziali esclusivi hanno la loro radice nel r.d.l. n. 1827 del 1935,
il quale dispose la non assoggettabilità di talune categorie di soggetti alla tutela
del regime di assicurazione generale, in ragione della speciale natura del rapporto
di lavoro tra il dipendente e il datore di lavoro. Essi si distinguevano in:
- fondi gestiti dallo Stato a beneficio dei pubblici dipendenti (con sostanziali
diversità tra dipendenti civili e militari);
- Cassa di Previdenza, gestita presso il Ministero del Tesoro, cui facevano
capo quattro casse (quella in favore dei dipendenti di comuni, province e
USL; quella a beneficio dei sanitari ospedalieri; quella per gli insegnanti
elementari e degli asili; infine, quella a favore degli ufficiali giudiziari).
Con la nascita dell'Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti
dell'Amministrazione Pubblica (INPDAP) avvenuta nel 1993, le sopraccennate
gestioni - unitamente agli Enti nazionali di previdenza dei dipendenti statali, dei
dipendenti da enti di diritto pubblico e dei dipendenti degli enti locali (ENPAS,
ENPDEDP, INADEL) - sono state soppresse e sono confluite nel nuovo ente,
pur mantenendo autonome gestioni per le prestazioni erogate.
6 Molti di questi enti che gestiscono le forme pensionistiche sostitutive del
regime obbligatorio INPS, sono stati privatizzati con il decreto legislativo n.509
del 1994.
7 Cfr.: M.A.Coppini, "Relazione Preliminare sulla Riforma della Previdenza
Sociale" (per il CNEL), Roma 1963.
12
sostitutivi ed esclusivi, nonché fra le varie gestioni all'interno
dello stesso regime generale.
Per fare un esempio, alla fine del 1991 i lavoratori iscritti nel
FPLD versavano nelle casse dell'INPS il 26.5% dei loro guadagni
contro il 15% che era trattenuto agli artigiani e ai commercianti
(contributo pressoché simbolico in rapporto alle prestazioni
erogate).
Già nella sua impostazione di base il nostro sistema previdenziale
risultava pertanto dotato di meccanismi di distribuzione delle
risorse poco equi.
Tale anomalia ha costituito una delle cause dell'attuale squilibrio
finanziario del sistema, al quale hanno poi concorso una serie di
circostanze storiche ed economiche che si sono manifestate nel
nostro paese negli ultimi cinquant'anni.
Come accennato in precedenza, i fondi previdenziali di
competenza dell'INPS furono inizialmente gestiti, dal punto di
vista finanziario, con il metodo della "capitalizzazione": il gettito
dei contributi versati era accantonato a riserva e immediatamente
investito in modo da trarre, da questa riserva e dagli interessi
maturati, le risorse necessarie per l'erogazione dei trattamenti
pensionistici a coloro che ne maturavano il diritto.
Tuttavia, le fortissime tensioni inflazionistiche che si
manifestarono alla fine della seconda guerra mondiale,
azzerarono, di fatto, le riserve matematiche dell'INPS; per
continuare a corrispondere le pensioni in corso di maturazione
non restò altra strada che quella dell'adozione di un sistema di
gestione a "ripartizione": in base a tale meccanismo sono gli
attivi che pagano la pensione ai pensionati, rimettendosi, per il
13
percepimento della propria, ai contributi che saranno versati da
chi sarà attivo al momento del loro pensionamento.
Sotteso a tale sistema vi è un "accordo intergenerazionale" a
rinnovo tacito, in base al quale ogni generazione s'impegna a
trasferire risorse alla successiva e, contestualmente, acquisisce il
diritto a beneficiare di un trattamento analogo.
E' evidente come tale meccanismo, a differenza di ciò che avviene
con il sistema a capitalizzazione, non consenta di generare alcun
tipo di riserva.
Il sistema a ripartizione entrò nella sua fase operativa in un
contesto socioeconomico (anni del "boom") in cui sussistevano
condizioni di crescita della popolazione e delle retribuzioni;
condizioni, queste, cui evidentemente si lega l'equilibrio
finanziario del sistema stesso.
Non appena l'Italia rallentò la sua evoluzione demografica - per
l'effetto combinato del calo delle nascite e dell'aumento della vita
media, con il conseguente aumento del rapporto pensionati/attivi -
e conobbe tassi più contenuti di crescita della produttività (cui si
legano i salari) e dell'occupazione, il sistema mostrò i primi segni
della sua insostenibilità finanziaria.
A partire dall'inizio degli anni settanta, i flussi di finanziamento
della previdenza obbligatoria cominciarono a contrarsi
vertiginosamente e questa si avviò verso la sua fase di maturità.
Dal momento che non si era accumulata alcuna riserva
per far fronte ad eventuali abbassamenti del rapporto
14
partecipanti/beneficiari, il passo verso il collasso finanziario
dell'INPS fu breve
8
.
Tantopiù che non s'intervenne a riconsiderare, in termini meno
ambiziosi e più realistici, le regole dei trattamenti pensionistici;
infatti, i vari governi che si avvicendarono a partire da quegli
anni - guidati da un'ottica di breve periodo legata al consenso, a
scapito della realizzazione di una riforma strutturale che avrebbe
manifestato i suoi effetti solo nel lungo periodo - fecero fronte
alla nuova situazione intervenendo sulle entrate piuttosto che
sulle uscite: anziché porre in atto il tentativo di far convergere
l'aliquota contributiva di equilibrio verso il livello di quella
effettiva
9
, innescarono un movimento opposto, aumentando
progressivamente l'aliquota contributiva effettiva.
In questa maniera non solo fu aggravato prospetticamente il
disavanzo dell'INPS (e quindi il bilancio pubblico dello Stato che,
tramite il Ministero del Tesoro, si impegna ormai da anni a
coprire il disavanzo strutturale dell'INPS con un trasferimento
annuo), ma fu anche messa in pericolo la competitività delle
imprese italiane, che dovettero (e devono tuttora) affrontare un
costo del lavoro per unità di prodotto più elevato di quello
sopportato dalle imprese degli altri paesi industrializzati.
8 Che i conti del nostro regime obbligatorio sono saltati a causa
dell'insostenibilità delle ipotesi prese a base del meccanismo a ripartizione e
dell'accollo di compiti assistenziali (vedi nota 10), può trovare conferma dal
confronto con i fondi sostitutivi del regime obbligatorio, i quali sono quasi tutti
gestiti con il criterio della capitalizzazione, non svolgono alcuna funzione di
carattere assistenziale e si trovano in equilibrio finanziario.
9 L'aliquota contributiva d'equilibrio indica il rapporto tra il valore attuale atteso
delle prestazioni pensionistiche e il valore attuale atteso delle retribuzioni; in
sostanza, essa indica l'aliquota contributiva necessaria per il raggiungimento
dell'equilibrio finanziario da parte del sistema.
L'aliquota effettiva (o legale) è l'aliquota che esprime l'ammontare del prelievo
sulle buste paga degli attivi.