8Nell’ambito di tale nuovo assetto, i Fondi pensione rivestono un ruolo importante:
a prescindere dai risultati raggiunti e da un decollo a “singhiozzo”, essi saranno,
insieme alle polizze assicurative individuali, le garanzie del futuro dei pensionati.
Nei prossimi paragrafi di questo primo capitolo, tentiamo di ricostruire la storia
del nostro sistema previdenziale pubblico, partendo dalle origini, dagli intenti fino
ad arrivare ad evidenziarne le “falle” e le cause che, nei primi anni novanta (d. lgs.
503/92, d. lgs. 124/93, legge 335/95), hanno portato i politicy makers a mettere in
discussione l’intero impianto previdenziale con continui interventi normativi ed
azioni volte al rallentamento dell’incidenza della spesa pensionistica sul disavanzo
complessivo del sistema.
Inoltre, vengono analizzate le proposte che sono state formulate da più parti e le
ultime intenzioni delle Istituzioni, emerse dalla delega previdenziale varata lo
scorso anno.
Nel secondo capitolo, entriamo nel vivo del presente lavoro. Si parte da un
approccio d’analisi atipico della previdenza complementare, nel quale
evidenziamo l’aspetto prettamente di mercato tra chi domanda e chi offre sicurezza
sociale, in relazione con un’auspicabile auto-responsabilizzazione del lavoratore
riguardo all’impiego e all’allocazione del proprio risparmio per fini previdenziali.
Continuiamo poi lo studio, ripercorrendo l’iter normativo riguardante lo sviluppo
della previdenza complementare in Italia e le ultime proposte (Delega
previdenziale n. 2145 del 2001) alla luce anche dei recentissimi interventi europei
9volti alla costruzione di una efficace “rete pensionistica” che vada al di là dei
confini di ogni singolo Stato.
Infine, dopo aver rapidamente trattato l’aspetto organizzativo e operativo di un
Fondo pensione, analizziamo, quantitativamente, l’andamento complessivo dei
Fondi negoziali dal 1999 al primo semestre del 2002, tentando di capire le cause
del mancato decollo della previdenza complementare.
Nel terzo capitolo si inizia lo studio di un caso concreto, FONDENERGIA, il
Fondo pensione chiuso del settore Energia e Petrolio, nato nel 1997 in applicazione
del decreto legislativo 124 del 1993.
In questo studio, attuato nel quarto capitolo, ci si pone come obiettivo il passo
successivo a quello relativo alla fisiologica fase di pura accumulazione e gestione
dei contributi versati dai singoli aderenti a FONDENERGIA, ossia la stima – sotto
un punto di vista esclusivamente attuariale, tralasciando, cioè, altri aspetti come
quelli fiscali, che vengono comunque trattati nel paragrafo IV.1.3 - di coloro che
dal 2002 al 2012 dovranno convertire almeno la metà della propria posizione
individuale sotto forma di prestazione periodica, in base a quanto stabilito
dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 124 del 1993.
Prima di detta stima viene condotta una analisi, in primis, del mercato delle polizze
vita in Italia, ed in particolare delle rendite, e ricercati i motivi che, storicamente,
hanno condotto ad una sostanziale preferenza per il capitale (lump sum).
10
In secondo luogo, si focalizza l’attenzione sui profili di responsabilità
nell’erogazione delle rendite da parte dei Fondi pensione negoziali e sulle
difficoltà previsionali circa il loro andamento per effetto dei rischi demografici –
su cui porremo particolare attenzione nei paragrafi IV.2.3 e IV.2.4 – economici e
finanziari.
Ipotizzando, infine, diversi scenari futuri e stabilendo alcune ipotesi di partenza si
tenta di raggiungere l’obiettivo postoci tralasciando altri fattori qualitativi, oltre
che quantitativi, come il tipo di rendita che potrebbe essere scelta in sede di stipula
della convenzione assicurativa con il gestore assicurativo (mercato “flessibile” o
“standardizzato” delle rendite?), la sua evoluzione nel tempo per il modificarsi
delle condizioni iniziali, le diverse opzioni che possono essere accese, le
caratteristiche e i requisiti che il gestore deve possedere (robustezza della
Compagnia assicurativa in caso di erogazione convenzionata), etc. Di tutto ciò si
accenna, comunque, nell’ultimo paragrafo del lavoro al fine di rendere lo studio
più esaustivo e completo possibile.
Le analisi e le considerazioni descritte nel presente lavoro evidenziano come,
innanzitutto, l’introduzione dei Fondi pensione non può di per se rappresentare il
rimedio per tutti i mali del sistema italiano ma può costituire un elemento
importante e realmente in grado di imprimere una svolta decisiva nella soluzione
di molti problemi, primo fra tutti il “futuro” dei pensionati. Per cui è
indispensabile che si continuino ad esercitare le condizioni necessarie per il suo
sviluppo come, soprattutto, proseguire il passaggio di “consegne” tra pubblico e
privato.
11
In tal modo la previdenza da secondo pilastro non sarebbe solamente un rimedio o
una cura per la precaria salute del sistema pensionistico pubblico, ma soprattutto
propellente per una maggiore consapevolezza e cultura del lavoratore, spesso
“miope”, in tema di previdenza o, più in generale, di risparmio a lungo termine.
Peraltro, alcune strategie (informative) in tal senso potrebbero essere poste in
essere da ciascun Fondo pensione, come viene argomentato nel paragrafo III.3.1,
non solo per allargare la platea degli aderenti rispetto ad un bacino ancora vasto,
ma anche per rivitalizzare la realtà e la necessità della previdenza complementare
dopo lo scetticismo generale generatosi in seguito alla caduta delle Borse di tutto il
mondo, stordite per i noti fatti terroristici e le sfavorevoli congiunture economico-
finanziarie.
Tornando all’obiettivo postoci all’interno di FONDENERGIA, è evidente che, nel
periodo di osservazione preso in considerazione, si è ancora in una fase di
accumulazione che quindi, pur nel caso in cui si siano raggiunti i requisiti per la
risoluzione del rapporto associativo, non consente adeguate prestazioni
periodiche così come stabilito per legge.
In sostanza, alcuni sono i fattori che frenano il lievitare della prestazione, oltre a
quelli legati all’imprevedibilità delle variabili economico-finanziarie e
demografiche, e cioè: asimmetrie nella contribuzione relativa al TFR sia tra
“vecchi” e “nuovi iscritti” che tra uomini e donne; crescita “incontrollabile” e
marcata (almeno per i primi 10 anni) dell’assegno sociale, che rappresenta il
parametro di riferimento finale che consente la conversione della posizione
12
individuale in rendita; bassa percentuale di iscritti che optano per la contribuzione
volontaria dovuta, evidentemente, ad una pressione di quella a favore del sistema
pubblico ancora troppo pesante, ad una inconsapevolezza della scarsa copertura
che quest’ultimo potrà assicurare in futuro, come osservato poco sopra, ed infine,
ad una dinamica salariale poco elastica rispetto al costo della vita.
In conclusione, in questo periodo di cambiamenti in atto, tutti devono adeguare i
loro comportamenti alle nuove esigenze ed a quelle che, nel tempo, verranno a
delinearsi. Non solo il settore privato, ma anche il Governo – ed in tal caso ci si
riferisce al decreto attuativo della delega previdenziale - e le forze politiche oltre
che le parti sociali dovranno rivedere gli atteggiamenti incompatibili con
l’indirizzo dato nel 1993, trovando quei meccanismi che consentano di ridurre le
divergenze intra ed inter-generazionali nella copertura pensionistica ed assicurare
una giusta tutela del “sacro risparmio” per fini previdenziali. Solo così potrà
realizzarsi un sistema basato sui cosiddetti tre pilastri.
13
I.2 – La previdenza pubblica in Italia.
I.2.1 – Generalità.
La sicurezza sociale nasce con riferimento a realtà storiche differenti, ma lo sviluppo
della società industriale che si ebbe nel diciannovesimo secolo, sia pure in tempi e
modalità diverse nei vari paesi europei, produsse un interesse comune circa la
categoria dei lavoratori. Ben presto i Governi dell’epoca assunsero un ruolo attivo
nella tutela dell’integrità fisica, oltre che morale, dei lavoratori.
Le misure optate furono differenti da paese a paese in ragione del fatto che vi
erano due principali ed opposte concezioni filosofiche che riguardavano il
rapporto tra Stato e cittadino. All’indomani della seconda guerra mondiale, queste
diedero origine ad altrettante due impostazioni atte a regolare il rapporto tra Stato
e lavoratore: l’impostazione tedesca (o germanica) e quella anglosassone.
La prima, faceva riferimento ad un concetto di Stato “hegeliano”, nel quale
l’individuo, essendo parte di esso, doveva essere adeguatamente tutelato. In
particolare, ai fini di un interesse nazionale superiore, i comportamenti poco
previdenti dei singoli, dovevano essere rimossi e corretti.
Quindi lo Stato, assumeva un ruolo predominante nei confronti del cittadino-
lavoratore che si estrinsecava in un forte interventismo sul piano della protezione
14
sociale, fino al punto di assicurare al pensionato il grado di benessere e il tenore di
vita che si era procurato (prestazione pensionistica commisurata alla retribuzione).
Fu così che nel 1881, Bismarck, l’allora cancelliere tedesco, spinse il Parlamento ad
emettere leggi che introducessero l’assicurazione obbligatoria contro infortuni,
malattie, invalidità e vecchiaia nei confronti degli operai.
L’impostazione anglosassone, invece, fa riferimento ad una visione “lockiana”,
secondo la quale, l’autorità politica è insita nella volontà dell’individuo e la
consapevolezza di ciò ha dato origine alla società civile. La visione anglosassone
del rapporto Stato-cittadino è dunque opposta a quella tedesca. Veniva
proclamato il non interventismo dello Stato in nessun campo economico e sociale.
L’unico intervento ammesso era di tipo “assistenziale” ed era concepito
esclusivamente per eliminare la povertà. Si basava sull’idea di sicurezza sociale di
Lord William Henry Beveridge (1942) che riguardava una “garanzia minima” che
doveva essere fornita agli individui che fossero in condizioni di indigenza o
necessità.
Ciò indusse i cittadini del Regno Unito a provvedere da sé alla propria tutela
pensionistica ricorrendo a contratti di assicurazione popolare sulla vita, proposti
da compagnie private di assicurazione.
Le due opposte impostazioni permangono tutt’oggi nei vari paesi europei: mentre,
infatti, il Regno Unito e gli altri paesi nordici continuano a concepire lo Stato come
fonte di assistenza minima ai cittadini, i quali, di conseguenza, provvedono alla
15
loro tutela individualmente stipulando polizze di assicurazione privata o
aderendo a Fondi pensione aziendali; negli altri paesi, compresa l’Italia, le
prestazioni pensionistiche erogate dal sistema pubblico dipendono, in genere,
dalle retribuzioni e quindi tentano di ripristinare il tenore di vita che si aveva nel
periodo lavorativo.
16
I.2.2 – Nascita, crisi e tentativi di risanamento del sistema
previdenziale italiano.
In Italia, il primo provvedimento in materia previdenziale risale al 1864, quando
venne istituita per i dipendenti pubblici l’assicurazione obbligatoria per la
vecchiaia, in base alla quale i contributi erano versati nelle casse dello stato e la
pensione era commisurata all’ultima retribuzione. L’assicurazione venne estesa
successivamente ad altre categorie particolari di lavoratori meritevoli di una
qualche tutela pensionistica quali quella dei medici, degli insegnanti e di altre
categorie minori. Il sistema di gestione utilizzato per tali Casse era a
capitalizzazione individuale (fondato su “un’equivalenza attuariale”), dato che
venivano accesi dei conti individuali in capo ad ogni singolo dipendente e le
prestazioni pensionistiche tenevano conto oltre che dei versamenti accumulati,
anche degli interessi che questi avevano maturato nel corso della vita lavorativa.
Riguardo ai dipendenti del settore privato, il percorso verso una tutela
pensionistica completa fu più articolato: cominciò nel 1883 con la costituzione (su
base volontaria) di una Cassa sugli Infortuni sul Lavoro e proseguì nel 1898,
quando venne istituita la Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la
Vecchiaia (facoltativa). Ma la partecipazione dei dipendenti privati fu talmente
esigua che nello stesso anno fu emanata una legge che prevedeva l’obbligatorietà
dell’iscrizione alla Cassa Nazionale Infortuni sul Lavoro per chi lavorava in
determinati settori ad alto rischio.
17
Il primo vero tentativo di creare un sistema pensionistico ad hoc, si ebbe nel 1919,
quando con un decreto legge
1
e sulla base del modello tedesco, venne costituita la
Cassa Nazionale della Previdenza Sociale ed istituita, presso di essa,
l’assicurazione obbligatoria anche contro l’invalidità, la vecchiaia e per i superstiti.
Venne utilizzato un sistema finanziario di gestione a “capitalizzazione collettiva” e
a premio medio generale (valido per tutti i lavoratori e costante per tutta la durata
illimitata della gestione) fissato al 4,53% della retribuzione
2
. Ai primordi del
sistema previdenziale italiano, era dunque privilegiato l’effetto redistributivo
proprio della solidarietà assicurativa che non teneva conto né di classi di rischio di
entità diversa né delle diverse classi di età dei soggetti (diversa età o anzianità).
La Cassa Nazionale di Previdenza Sociale, nel 1933, cambiò la sua forma giuridica
in Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). Tale Istituto fu autorizzato
ad operare su tutto il territori nazionale e sottoposto alla vigilanza dei Ministeri
del Lavoro e del Tesoro e di un’apposita Commissione Parlamentare. Il primo
Fondo costituito all’interno dell’INPS fu quello per i Lavoratori Dipendenti del
Settore Privato (FPLD) che costituisce ancora oggi il Fondo più consistente tra tutti
quelli operanti. Vennero poi costituite successivamente:
1
Il decreto prevedeva i seguenti punti:
• l’obbligo d’iscrizione per tutti i lavoratori dipendenti che avessero un’età compresa tra i 15 e i 65 anni e
che lavorassero nel territorio nazionale ad eccezione degli impiegati che avessero una retribuzione
superiore alle 350.000 lire al mese, nonché tutti i lavoratori appartenenti alle categorie già assicurate
presso altri regimi obbligatori;
• i contributi, in percentuale fissa del salario, erano il 50% versati dal lavoratore e la restante parte dal
datore di lavoro;
• lo Stato versava ogni anno un contributo di 100 lire per ogni lavoratore;
• le prestazioni (dipendenti dai contributi accumulati e calcolate con un metodo che favoriva i primi
contributi versati) consistevano in pensioni di vecchiaia, se si erano versati 240 contributi per 15 anni, e
pensioni d’invalidità, nel caso se ne fossero versati 120;
• la corresponsione ai superstiti di assegni temporanei della durata sei mesi.
2
Cfr. “Tecnica Attuariale per Collettività”, A. Tomassetti, vol. 1, 1996.
18
• le assicurazioni obbligatorie, con proprie gestioni autonome, per determinate
categorie di lavoratori quali mezzadri e coloni (1957), artigiani (1959),
commercianti (1966);
• i Fondi speciali “sostitutivi” per i dipendenti di particolari attività lavorative
(dipendenti elettrici, telefonici, dei trasporti pubblici, personale di volo, clero),
alcuni dei quali, in seguito, privatizzati con il d. lgs. 509 del 1994;
• i Fondi “integrativi” (alla pensione INPS) per gli ex-dazieri, gli esattoriali, i
gasisti e i minatori, ossia per quelle categorie di lavoratori che svolgevano
un’attività lavorativa abbastanza usurante;
• i Fondi “esclusivi”, ossia piani previdenziali nati con il r.d.l. 1827/35, che
stabilivano la non assoggettabilità di alcune categorie di lavoratori al sistema di
assicurazione generale per la particolare natura del rapporto di lavoro tra
datore e lavoratore
3
;
• le Casse dei liberi professionisti quali: INPDAI, a favore dei dirigenti di
aziende industriali, l’INPGI per i giornalisti e l’ENPALS per i lavoratori dello
spettacolo.
Nel 1993, i Fondi “esclusivi” e gli Enti nazionali di previdenza dei dipendenti
statali, dei dipendenti da enti di diritto pubblico e dei dipendenti degli enti locali
(ENPAS, ENPDEDP, INADEL), sono stati soppressi e confluiti nel neo Istituto
3
Ci si riferisce ai Fondi gestiti dallo Stato a favore dei dipendenti pubblici sia civili che militari e alla Cassa
di Previdenza, cui facevano capo quattro casse: una per gli insegnanti elementari e degli asili nido; una per
gli ufficiali giudiziari; una per i dipendenti delle provincie, comuni e USL; infine, una per i sanitari
ospedalieri.
19
Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica
(INPDAP), mantenendo però autonomia gestionale circa l’erogazione delle
prestazioni.
I sistemi di gestione finanziaria utilizzati dai vari Fondi e Casse erano a
capitalizzazione: i contributi venivano accantonati in riserve matematiche e
immediatamente investiti al fine di ricavare dai loro interessi le risorse necessarie
al pagamento delle prestazioni in corso di erogazione.
Il passaggio al sistema di gestione a “ripartizione” si ebbe in seguito a alla forte
inflazione che interessò l’Italia (come molti altri paesi industrializzati) alla fine
della seconda guerra mondiale e che azzerò le riserve matematiche dell’INPS. Tale
sistema, basato su un tacito “patto intergenerazionale” e utilizzato ancora
tutt’oggi, non prevede riserve matematiche in quanto ogni generazione si impegna
a trasferire risorse alla successiva e, contestualmente, acquisisce il diritto a
beneficiare dell’analogo trattamento.
Il passaggio fu agevolato da una situazione di generale crescita della popolazione
(baby boom) e delle retribuzioni, fattori chiave per l’equilibrio di un sistema del
genere, ma altrettanto pericolosi se temporanei.
I motivi che hanno condotto allo squilibrio, furono molti, alcuni dei quali forse
meno vistosi ma sicuramente deleteri per la sostenibilità di lungo periodo del
sistema pensionistico italiano. Fin dall’inizio del 1992, il sistema previdenziale
20
italiano soffriva di tre gravissime anomalie: lo squilibrio finanziario, le iniquità
redistributive, gli incentivi perversi
4
.
Lo squilibrio finanziario, già in atto e destinato ad accentuarsi ancor più in
prospettiva, era misurabile in termini di forte divario fra aliquota di equilibrio e
aliquota effettiva
5
.
A partire dagli anni ’50, infatti, la legislazione previdenziale sanciva diritti che
subito erano considerati "acquisiti", e quindi irrevocabili, almeno per tutte le coorti
viventi, ma senza alcuna proiezione degli oneri che, nei decenni successivi, ne
sarebbero derivati
6
.
Dall’inizio degli anni settanta, i tassi di sviluppo della produttività (e quindi delle
retribuzioni) e della popolazione lavorativa si sono sensibilmente ridotti, mentre la
vita media continuava ad allungarsi e l’evoluzione demografica a rallentare, con
conseguente aumento del rapporto pensionati/attivi.
Al contempo, la maturazione del sistema e l’entrata a regime delle nuove regole
(ad esempio, quelle riguardanti la “pensione di anzianità
7
”) conducevano
all’abbassamento dell’età media di pensionamento e alla liquidazione di
4
Cfr. “La riforma del sistema previdenziale italiano”, E. Fornero e O. Castellino, 2001.
5
L’aliquota contributiva d’equilibrio indica il rapporto tra il valore attuale atteso delle prestazioni
pensionistiche e il valore attuale atteso delle retribuzioni; è dunque quell’aliquota necessaria per il
raggiungimento dell’equilibrio finanziario del sistema. L’aliquota effettiva è quella, invece, che esprime
l’ammontare del prelievo sulle buste paga degli attivi.
6
Nel 1952, con la legge n. 218 venne istituita l’integrazione al minimo a favore dei pensionati con ridotta
anzianità contributiva al fine di assicurare loro una prestazione pensionistica sufficiente per vivere
adeguatamente.
7
Nel 1956 venne introdotta la “pensione di anzianità” per i dipendenti del settore pubblico; estesa nel 1965
anche ai lavoratori dipendenti del settore privato, detta pensione consisteva nella possibilità di andare in
pensione con età inferiore a quella indicata per la pensione di vecchiaia, purché si fossero maturati 35 anni di
anzianità contributiva, per i dipendenti del settore privato e 25 anni per quelli del settore pubblico. Nel 1969,
fu istituita la “pensione sociale” che fu riconosciuta agli ultrasessantacinquenni privi di altri redditi.
21
trattamenti pensionistici sempre più elevati. Gli effetti degli andamenti
demografici (in parte imprevedibili) e delle norme legislative (del tutto prevedibili
se lo si fosse voluto) hanno fatto continuare a salire l’onere gravante sulle
generazioni attive. Si è arrivati così ad un punto in cui si sarebbero dovuti
delineare continui aumenti dell’aliquota contributiva sino ad oltre il 50%, oppure
concorsi sempre più cospicui del bilancio pubblico (alternative ambedue
inaccettabili).
Per quanto concerne le iniquità distributive, queste sussistevano sia tra regimi, per
effetto delle differenze normative (favorendo normalmente le categorie
professionali più ricche), sia entro regimi, per effetto di diverse età al
pensionamento, diverse dinamiche retributive, e così via
8
.
La pensione, era infatti calcolata: a) in funzione dell’ultima retribuzione
9
- o di una
media delle ultime retribuzioni - ; b) senza alcun riguardo alla vita attesa al
momento del pensionamento.
8
Basti pensare al favore legislativo accordato alle donne, che pur avendo una speranza di vita più alta,
andavano in pensione 5 anni prima degli uomini, a chi aveva delle retribuzioni salariali più dinamiche, a
quello concesso ai lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti, oppure, infine, a chi maturava presto il diritto
alla pensione, grazie al meccanismo della pensione d’anzianità.
9
Al riguardo, innanzitutto, v’è da dire che vi erano differenze tra i Fondi nelle modalità di finanziamento
degli stessi perché le aliquote contributive variavano da Fondo a Fondo. Nel 1968, poi, fu esteso ai lavoratori
dipendenti privati il metodo di calcolo retributivo di liquidazione della pensione (già vigente per i dipendenti
pubblici) in base al quale il trattamento pensionistico fu legato alla dinamica retributiva degli ultimi cinque
anni di lavoro (per i dipendenti pubblici si teneva conto dell’ultima retribuzione). Oltretutto, nel 1976, il
coefficiente annuo di rendimento dei contributi versati dagli iscritti al FPLD venne innalzato dall’1,85% al
2%, mentre nel 1981 l’indicizzazione automatica delle prestazioni in base al costo della vita fu trasformata da
semestrale a quadrimestrale.