Se emerge l'esigenza di modificare l'aliquota contributiva, l'attuario
può infatti decidere di distribuire su più anni la correzione, e tale numero di
anni è chiamato "Spread Period".
Il modello in specie conduce alla determinazione di un intervallo di
valori "Ottimi" per lo "Spread Period" (periodo di ripartizione ottimale), a
seconda che vi siano o meno ritardi nella raccolta dei dati necessari per le
valutazioni attuariali, e a seconda che tali valutazioni siano annuali o
triennali.
Con riferimento a ciascuna di queste circostanze, si sono costruiti dei
casi numerici corredati da grafici illustrativi, e sulla base di essi si sono
fatti dei confronti e dedotte delle relazioni.
Capitolo 1
IL PERCHÉ DEI FONDI PENSIONE IN ITALIA
1.1 PREVIDENZA OBBLIGATORIA IN ITALIA – CAUSE DEL
DISAVANZO
La previdenza obbligatoria in Italia è attualmente caratterizzata da
un andamento tendenzialmente negativo di tutte le gestioni, che pone
enormi problemi di sostenibilità finanziaria per il nostro paese.
La politica economica della previdenza, ha come obiettivo principale
la redistribuzione dei redditi tra attivi e pensionati, e l’uso del sistema
pensionistico quale ammortizzatore sociale fa capo a tale principio. Ciò
giustifica il finanziamento pubblico del rilevante e crescente disavanzo
previdenziale,che nelle fasi di recessione è stato però poco controllato e
non si è interrotto nei periodi di crescita dell’economia.
Il problema è stato così trasferito alle generazioni future mediante
incremento del debito pubblico e dei contributi obbligatori imposti senza
mai essere seriamente affrontato.
Il debito previdenziale ha in Italia radici profonde e antiche e va
ricondotto ad una pluralità di cause fra le quali il fattore demografico
1
gioca un ruolo predominante.
1
Vi è un detto comune che afferma:”nella demografia vi è il destino della democrazia”.
( MARTINO in “se la pensione non è dei pensionati” in “Il corriere della sera” 6 Maggio 1995 ).
La gestione della previdenza obbligatoria avviene in Italia attraverso
il regime della ripartizione e ciò comporta che ogni anno i contributi
versati dagli attivi vengono impiegati per il pagamento delle pensioni agli
aventi diritto.
È evidente allora come l’equilibrio finanziario della spesa
obbligatoria per pensioni dipenda, oltre che dalla misura della prestazione
spettante a ciascuno, anche dall’andamento della struttura demografica e
occupazionale del paese.
Se in un anno il numero dei posti di lavoro diminuisce, o se il numero
delle pensioni aumenta gli effetti negativi sulla gestione sono
immediatamente riscontrabili.Ancor più grave è la situazione quando tali
circostanze si verificano contemporaneamente e per più anni di seguito
come è accaduto nel nostro paese.
Il fattore demografico agisce allora da un lato riducendo la base di
attivi a causa del calo delle nascite, e dall’altro estendendo la fase in cui le
pensioni sono in pagamento per via dell’allungamento generalizzato della
vita umana.
Anche la struttura occupazionale del paese è però determinante per il
mantenimento dell’equilibrio fra entrate ed uscite: nei periodi di recessione
la massa degli attivi si riduce a causa della diminuzione dei posti di lavoro
e al contempo viene favorita l’uscita degli anziani dallo stato di attivi al
fine di alleggerire i costi per le aziende.
Spesso nel nostro paese si è cercato di ristabilire l’equilibrio
finanziario innalzando l’aliquota di contribuzione obbligatoria a carico dei
lavoratori che ha ormai assunto proporzioni inusitate. Simili interventi
però, lungi dall’incoraggiare la costituzione di nuovi posti di lavoro
regolari, spingono al lavoro non ufficiale che erode ulteriormente la massa
dei contribuenti.
Molti “giovani pensionati”
2
scelgono quest’ultima soluzione poiché
un’occupazione in regola comporterebbe loro un duplice svantaggio dato
dal pagamento di ulteriori contributi e dalla sospensione della prestazione
pensionistica.
Consapevole di questo oggi il legislatore sta cercando di introdurre
misure volte a favorire i lavoratori che desiderino trattenersi nello stato di
attivi una volta raggiunti i requisiti necessari per l’ottenimento della
prestazione pensionistica.
Notiamo allora che il numero dei posti di lavoro ufficiali non
coincide con il numero di occupati e che neanche il numero di pensioni
erogate coincide con il numero di pensionati. Quest’ultima circostanza è
legata al frazionamento della previdenza obbligatoria in tante piccole e
grandi gestioni, delle quali è l’INPS la principale, che provoca il fenomeno
delle doppie e triple pensioni.
Ma in un’analisi delle cause del disavanzo previdenziale non può
essere trascurata la generosità insita nella formula di calcolo della
prestazione pensionistica, che non trova eguali in alcun paese con sistemi
pensionistici analoghi: si tratta di moltiplicare gli anni di anzianità
contributiva per il 2% del salario pensionabile. Nel 1995 il legislatore è
intervenuto per porre fine a tali eccessi, tuttavia il sistema retributivo
rimane in vigore per tutti i lavoratori che nel 1996 avevano già compiuto
almeno 18 anni di servizio, quindi occorrerà parecchio tempo prima che i
danni causati da tale meccanismo vengano arginati.
2
Coloro che hanno ottenuto il diritto alla prestazione pensionistica avvalendosi delle pensioni di
anzianità contributiva e dei prepensionamenti autorizzati in passato in alcune fasi del ciclo economico.
1.1.1 PREVIDENZA OBBLIGATORIA STATISTICHE
Dal materiale che segue è possibile trarre riscontri quantitativi alle
affermazioni di cui sopra.
GRAF. 1 – GRAF. 2
GRAF. 3 – GRAF.4
GRAF. 5 – GRAF. 6
Il quadro 1999: i numeri
2.200.000
17.600.000
1.500.000
21.800.000
Numero di Pensionati
Numero Pensioni di anzianità Inps
Numero di Lavoratori attivi
Numero pensioni di anzianità pubbliche
Il quadro 1999: gli importi
(in miliardi di Euro)
146
22
116
28
Spesa pensionistica
Importo pensioni di anzianità Inps
Contributi
Importo pensioni di anzianità pubbliche
GRAF. 7 – GRAF. 8
GRAF. 9 – GRAF. 10
1.2 LA RIFORMA DELLA PREVIDENZA IN ITALIA – ITER
LEGISLATIVO
La necessità di una riforma del sistema previdenziale obbligatorio si
era avvertita sin dagli anni settanta, in conseguenza della crisi economica
che stava investendo tutti i paesi occidentali.
Dai provvedimenti proposti in questo periodo emerge l’intenzione di
tener conto delle sole situazioni di effettivo bisogno: si stabilisce un tetto
massimo per le prestazioni ed una contribuzione commisurata all’intera
retribuzione, ma si tratta di interventi che soffrono di parzialità e che
nascono da esigenze congiunturali legate alle annuali manovre di bilancio.
Il perseverare di un uso inadeguato della previdenza obbligatoria e
dei suoi strumenti evidenzia una disattenzione generale nei confronti dei
problemi di equilibrio finanziario del sistema che tendono così a riproporsi
sempre più violentemente.
La svolta si ha con la riforma Amato del 1992 che, indotta da una
grave emergenza finanziaria, pone le premesse per un risanamento. Essa
mira alla stabilizzazione del rapporto fra spesa previdenziale e PIL agendo
essenzialmente su età pensionabile, retribuzione pensionabile e pensioni
anticipate.
L’obiettivo del risanamento del sistema previdenziale viene però
affidato dalla legge non soltanto alla modificazione normativa della
previdenza pubblica, ma anche a disposizioni in materia di previdenza
complementare, al fine di attuare gradualmente una composizione mista,
pubblica a ripartizione privata a capitalizzazione, dell’insieme del
trattamento pensionistico.
Con il D.lgs. del 24 Aprile 1993 n° 24 e successive modifiche ed
integrazioni, anche in Italia sono state fissate le norme per un sistema di
previdenza integrativa da affiancare al sistema della previdenza
obbligatoria.
Fatta eccezione per i pochi fondi pensione sorti ad iniziativa di enti
ed imprese di grandi dimensioni a favore dei propri dipendenti, la domanda
di previdenza integrativa del nostro Paese si è dovuta in passato rivolgere,
in assenza di specifici strumenti regolati per legge, a forme individuali e
private di assicurazione sulla vita.
Queste ultime non si possono però definire in senso stretto forme di
“previdenza integrativa” poiché, trattandosi di strumenti rivolti
essenzialmente ad un mercato individuale, non prevedono i benefici
connessi agli strumenti di natura tipicamente previdenziale, destinati ad
una collettività di soggetti.
La legge dell’8 Agosto 1995 n° 335, nota come riforma Dini, ricopre
un ruolo di grande rilevanza in quel progetto di risanamento avviato dal
legislatore nel 1992 e rivolge un’attenzione particolare allo sviluppo della
previdenza complementare.
Riporto a proposito il seguente estratto:” Lo sviluppo della
previdenza complementare è sollecitato dall’esigenza di far fronte alla
crescente insufficienza di risorse da destinare alla previdenza obbligatoria,
nella prospettiva di rendere il nuovo sistema idoneo ad innescare un
circuito virtuoso, con l’obiettivo primario di salvaguardare le garanzie di
livello della protezione sociale (esistenza libera e dignitosa) ed il tenore di
vita realizzato durante l’esperienza lavorativa”.
L’articolo della legge finanziaria del 27 Dicembre 1997, n° 449 è da
considerarsi un naturale sviluppo del quadro normativo precedente, ed ha
curato particolarmente l’accelerazione ed il completamento dei processi di
armonizzazione dei trattamenti previdenziali.
Di particolare rilievo è il comma 17 di detto articolo secondo cui, in
presenza di difficoltà gestionali, si può ricorrere ad un adeguamento dei
contributi e, in caso di squilibri finanziari permanenti si può intervenire
anche sui parametri di liquidazione dei trattamenti pensionistici, sotto
l’egida del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del Ministero
del tesoro.
Il 2000 è stato un anno particolarmente significativo per il sistema
della previdenza complementare in Italia, al punto che è possibile
affermare che con esso si sia sostanzialmente concluso un ciclo nella
costruzione dell’ordinamento di settore e si sia avviata una fase più matura.
Con il D.lgs. 47/2000 è stato profondamente innovato il regime di
tassazione del settore, ed è stato disciplinato il c.d. “terzo pilastro”
3
del
sistema previdenziale. In suo favore sono stati riconosciuti notevoli
vantaggi fiscali infatti, come per i fondi pensione, anche gli importi versati
in forme individuali di previdenza sono attualmente deducibili dal proprio
reddito complessivo nella misura del 12 % e fino ad un massimo di
10.000.000 di lire (5164,57 di euro).
Quelli descritti sono soltanto i passi principali dell’iter legislativo,
cui si è assistito in Italia a proposito di riforma della previdenza.
Trattandosi di un tema di vaste proporzioni ed implicazioni la sua
regolamentazione è stata assai combattuta e tormentata e non sembra aver
fine.
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Forme pensionistiche individuali