bancario caratterizzato dalla massiccia presenza di organismi pubblici ad un
sistema privatizzato, prendendo in considerazione le varie fasi in cui si è
articolato tale passaggio e ponendo particolare attenzione all’evoluzione
storica del ruolo assunto dalle Fondazioni Bancarie dalla Legge Amato in poi.
In particolare si pone l’attenzione sulla figura degli enti conferenti, oggi
Fondazioni di origine bancaria, creati dalla legge Amato come enti pubblici
non economici, e divenuti otto anni dopo, con la legge n. 461/98, enti di diritto
privato.
Le disposizioni della legge n. 218/90 avrebbero mirato ad una
omogeneizzazione della pluralità di figure giuridiche presenti in tale sistema
bancario, riconducendole al modello della società per azioni di diritto comune,
ritenuto, quest’ultimo, più efficiente e, conseguentemente, più adatto ad
affrontare la concorrenza internazionale.
Il provvedimento in questione, prevedendo il conferimento dell’azienda
bancaria da parte dell’ente banca pubblica in una nuova società per azioni, ha
permesso l’avvio di una prima fase di privatizzazioni del settore bancario,
detta privatizzazione formale o privatizzazione fredda, che avrebbe consentito
il progressivo ritiro degli enti pubblici dal settore bancario e, quindi, un
generale miglioramento della redditività attesa dalle aziende bancarie.
Il completamento del processo di privatizzazione, con i provvedimenti emanati
nel corso degli anni novanta, ha consentito, portando gradualmente
all’abrogazione del vincolo della partecipazione pubblica obbligatoria nel
capitale delle società bancarie, il passaggio alla cosiddetta fase di
privatizzazione sostanziale, o calda, del settore bancario.
Nel secondo capitolo si tenterà di approfondire la Legge Ciampi, dando uno
sguardo ai dibattiti e alle tumultuose vicende che hanno reso protagonisti gli
esponenti delle differenti fazioni politiche.
Il dibattito sul ruolo e sulle funzioni delle Fondazioni avrebbe influenzato e
rallentato l’iter di approvazione del disegno di legge. Tra gli argomenti di
maggiore perplessità emergeva certamente quello di creare un’Authority che
avrebbe assunto poteri di controllo.
3
Si analizzerà successivamente la Riforma Tremonti: con quest’ultimo
emendamento le Fondazioni bancarie cambieranno in maniera incisiva,
riaccendendo il dibattito sulla natura pubblica o privata di questi enti.
Inoltre verrà analizzata, seppure in un brevi passaggi, la procedura di
costituzione di una fondazione, toccando più da vicino quegli elementi
costitutivi definiti come “essenziali”.
In ultimo, verrà considerata l’attività di alcune importanti Fondazioni
Bancarie: la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, la Compagnia di San
Paolo di Torino, la Fondazione Cassa di Risparmio delle Province Lombarde
e la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona;
oltre alle tre principali Fondazioni Bancarie del Meridione: la Fondazione
Banco di Sicilia; la Fondazione Banco di Sardegna; Istituto Banco di Napoli-
Fondazione.
In particolare, oltre che ad un superficiale quadro generale sulle origini
storiche di ciascuna di esse, si tenterà di esaminare innanzitutto la situazione
finanziaria, vale a dire si partirà dai Bilanci più recenti per comprendere la
struttura dei rispettivi portafogli azionari. Si passerà poi ad analizzare la
filosofia propria di ciascuna fondazione e dallo studio comparato degli Statuti
e delle Relazioni sul Bilancio, si tenterà di fornire più chiare indicazioni sugli
impieghi monetari nelle attività sociali.
Sabina Pasquino
4
I CAPITOLO.
DALLE CASSE DI RISPARMIO ALLE FONDAZIONI
BANCARIE.
1. Origini ed evoluzione delle casse di risparmio.
La storia delle fondazioni bancarie e degli sforzi del legislatore dell’ultimo
decennio sta nel tentativo di imporre un ritorno al passato ad enti che in origine
erano istituzioni d’assistenza e di beneficenza.
Per comprendere molti dei problemi attuali e capire perché una riforma in
apparenza semplice è stata invece cosi tanto difficile da realizzare, è necessario
risalire alle origini e alle prime trasformazioni delle Casse di Risparmio e dei
Monti di Pietà
1
.
L’origine storica delle Casse di Risparmio, in effetti, si ricollega all’inizio
dell’ottocento, e si confonde nelle istituzioni intermedie tra Stato e cittadini,
come le arti e le corporazioni.
Le classi agiate, animate dai nuovi ideali filantropici, si attivarono per la
costituzione di associazioni di beneficenza, con lo scopo di promuovere il
senso della previdenza e del risparmio, attraverso istituti specializzati nella
raccolta del denaro.
“Accanto alle grandi banche, che raccoglievano i depositi, talvolta senza
corrispondere interessi, sorsero così...” scrive A.Senin “questi speciali enti, i
quali, promossi da associazioni di cittadini, vescovi, opere pie o comuni e
province, avevano lo scopo di raccogliere i modesti risparmi degli operai e dei
ceti meno abbienti, di assicurarli contro i rischi, di renderli fruttiferi e di
restituirli maggiorati degli interessi, a richiesta del depositante. La raccolta del
risparmio minuto divenne così il fine essenziale e caratteristico di questi enti, la
1
Sulla storia delle Casse di risparmio CLARICH, Le Casse di Risparmio, 1984, pp. 13 ss.
5
cui azione fu considerata di pubblico interesse per il carattere economico
dell’attività creditizia legata a criteri di oculata prudenza”
2
.
In quasi tutta l’Europa si assistette ad una crescita notevole di Casse di
Risparmio, sorte spontaneamente dalla società civile e istituite da associazioni
benemerite di cittadini privati, da religiosi e pie istituzioni.
Le casse di risparmio nacquero all’inizio del secolo scorso come istituti di
beneficenza allo scopo di educare il popolo al senso del risparmio. In
particolare nel 1778 fu costituita la prima Cassa di Risparmio, quella di
Amburgo, con lo scopo di fornire “…alle persone industriose di più umile
condizione…l’opportunità di mettere da parte alcunché, depositare i risparmi
duramente guadagnati, con qualche interesse”
3
.
In Italia le prime Casse furono considerate vere e proprie istituzioni di
beneficenza, strutture che assunsero carattere creditizio man mano che si
allargavano le loro funzioni sul piano bancario
4
.
Nel Mezzogiorno, in particolare, ad eccezione della Cassa di Melfi, quella
delle Casse di Risparmio restò una forma di istituto sconosciuta, in un
ambiente in cui la presenza dello Stato giocava un ruolo più accentuato che
altrove.
Queste differenze strutturali, naturalmente, implicavano una disparità nella
regolamentazione che i vari Stati pre-unitari avevano dedicato all’attività delle
casse di risparmio in quanto “la dicotomia tra casse nate come fondazioni
emanate da enti morali o organismi della collettività, o sorte dall’associazione
tra privati, come società di persone a responsabilità limitata, si rifletteva nella
definizione della loro essenza e natura giuridica”
5
.
Sorsero così ben presto due modelli principali: quello delle Casse di Risparmio
“associazioni” e delle Casse di Risparmio “a struttura di fondazione”. Il primo
2
Giorgio Pagliari, Le fondazioni bancarie, profili giuridici, Milano, Giuffrè Editore, 2004, cit.,
p. 81.
3
Ponzanelli Giulio, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, G.Giappichelli Editore, Torino,
1996, cit., pag. 223.
4
Meloni V., Le casse di risparmio nella storia,La Rapida, Fermo, p. 12
5
Le casse di risparmio ieri e oggi, Atti del convegno internazionale di studi, Torino 13
novembre1995, a cura di Claudio Bermond e Daniele Ciravegna, pag. 37.
6
modello era caratterizzato dall’iniziativa assunta da benemeriti cittadini che
versavano la propria quota di partecipazione per fondare la cassa e
partecipavano attivamente alla sua vita nella veste di soci riuniti in assemblea.
Il modello delle casse fondazioni era invece caratterizzato dal fatto che
l’iniziativa e la costituzione partivano direttamente da entità pubbliche o da
altre pie istituzioni che conferivano un fondo di dotazione e nominavano un
consiglio o un comitato d’amministrazione
6
.
In un primo momento le Casse di Risparmio conservarono la connotazione
tipica di opera pia e non esercitarono alcuna attività di tipo bancario. Il fondo
di dotazione conferito dai fondatori serviva, infatti, solo ad avviare la raccolta
del risparmio.
6
Questa distinzione finirà per avere scarso rilievo. Come si legge, infatti, nella memoria della
Banca D’Italia, Ordinamento degli Enti Pubblici Creditizi. L’adozione del modello delle
società per azioni, in “Banca, borsa e titoli di credito”, 1988, anche le casse di risparmio che
hanno dei soci e un’assemblea possono farsi rientrare tra gli enti a base istituzionale perché in
realtà i soci non sono dei partecipanti e l’assemblea non è un organo formato da portatori di
propri interessi.
7
Un’attività propriamente bancaria cominciò ad essere esercitata solo quando la
raccolta del risparmio si estese verso i ceti medi. Così al tradizionale scopo
previdenziale si aggiunse l’incentivo a impiegare in modo redditizio le
disponibilità liquide in eccesso.
Le casse allora iniziarono a investire i risparmi raccolti in operazioni di tipo
finanziario e creditizio.
Ma il primo vero grande rinnovamento avvenne nell’arco di pochi decenni: da
enti privati di assistenza e beneficenza le Casse di Risparmio si erano
trasformate in “animali” diversi, molto più simili a banche che non ad opere
pie.
Sull’evoluzione di questi enti influirono in modo decisivo le riforme crispine
sul finire dell’Ottocento, le quali erano spinte dall’esigenza dei governi di
esercitare un controllo centralizzato sulle attività private. In questa logica di
statalizzazione il Parlamento approvò una legge speciale sia sulle opere pie sia
sulle casse di risparmio.
La legge del 17 luglio 1890, n. 6972, intitolata ”sulle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza”, impose alle opere pie la personalità giuridica di
diritto pubblico e istituì un sistema di controlli teso a verificare che gli scopi di
assistenza e beneficenza svolti da questi enti fossero in armonia con l’indirizzo
generale della riforma dell’assistenza pubblica.
La legge 1890 perseguiva, infatti, lo scopo di porre sotto la protezione del
governo organismi espressivi di forze vive della comunità locali, spesso in
contrapposizione con l’autorità centrale, anche a costo di comprimerne lo
sviluppo e alterarne le funzioni
7
.
Con la legge 15 luglio 1888, n. 5546, le Casse di Risparmio ricevettero la
prima disciplina organica e completa. Esse furono definite come “istituti che si
propongono di raccogliere depositi a titolo di risparmio e di trovare ad essi
conveniente collocamento, qualunque sia la natura dell’ente fondatore”. Il
negozio di fondazione può essere promosso da uno o più corpi morali, oppure
7
Per i criteri ispiratori della legge sulle opere pie cfr. Spinelli (a cura di), Enti di assistenza ed
enti ecclesiastici, Modena, 1983.
8
da un’associazione di persone mediante atto pubblico
8
.
La legge in questione regolamentò, in maniera anche articolata,
l’organizzazione e l’attività delle casse di risparmio segnando la definitiva
disgiunzione dalla natura originaria di opere pie.
A differenza della legge 1890, quella sulle Casse di Risparmio disciplinava
l’organizzazione e i controlli allo scopo di favorire ulteriormente l’espansione
della componente bancaria, senza tralasciare la necessità di soddisfare
equamente un duplice interesse, quello della tutela dei depositanti con quello
dell’autonomia operativa di ciascun istituto
9
.
La legge del 1888 ha voluto, innanzi tutto, garantire l’autonomia organizzativa
delle Casse rimuovendo i poteri di ingerenza che nelle Casse a struttura
istituzionale si erano riservati i fondatori.
La legge in questione si propose di sottrarre l’attività delle Casse di Risparmio
all’influenza diretta dei fondatori e degli interessi privati. Tale obiettivo fu
8
Ponzanelli Giulio, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, G.Giappichelli Editore-Torino, pag.
224.
9
Sul punto ancora Clarich, Le Casse di Risparmio, cit.pp. 20 ss. E Merusi, Opera pia e
impresa bancaria nelle casse di risparmio, in Studi Tosato, Milano, 1982, p. 639.
9
perseguito attribuendo la personalità giuridica autonoma a tutte le casse e con
l’attribuzione del carattere personale e intrasmissibile allo status di socio.
L’opera di “privatizzazione” fu poi completata imponendo a tutti gli
amministratori, il divieto di partecipare agli utili.
Un altro obiettivo riguardava lo sviluppo dell’attività bancaria, la quale era
diventata ormai prevalente rispetto all’attività svolta dalle opere pie. Occorreva
pertanto accrescere la solidità degli istituti in modo da porli in condizione di far
fronte ai rischi correlati ad una gestione più dinamica.
E stata poi ampliata l’operatività delle casse, consentendo la raccolta del
risparmio anche attraverso l’utilizzo di depositi in conto corrente, senza alcun
limite di importo. La legge dedicava particolare attenzione alla consistenza
patrimoniale degli enti, imponendo la presenza di un fondo di dotazione
minimo nella fase iniziale e obbligando di devolvere i 9/10 degli utili a favore
della c.d. massa di rispetto, fino a che il patrimonio non avesse raggiunto il
valore di 1/10 dei depositi.
La legge del 1888 introdusse poi un articolato sistema di controlli. In
particolare il ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio
assunse funzioni di vigilanza, tra cui il potere di disporre ispezioni periodiche e
straordinarie, di ordinare la messa in liquidazione della società nel caso in cui
si verificassero gravi irregolarità. La destinazione dei fondi a scopi di
beneficenza rivestiva dunque nel sistema della legge del 1888 un ruolo
secondario.
La legge Crispi in definitiva favorì il distacco dal modello originario dell’opera
pia e pose le premesse per la loro pubblicizzazione. Ciò nonostante la doppia
natura delle Casse, bancaria e assistenziale, non venne sciolta definitivamente.
Da qui la difficile definizione della loro natura. In particolare era arduo
inquadrare in categorie giuridiche preesistenti istituti che erano sorti con
modalità così differenti; fin dalla loro origine, quindi, si pose il problema della
definizione giuridica delle Casse di Risparmio, “problema che non si riduceva
soltanto a esercitazione di sottili giuristi ma che era ricchissima di risvolti
10
pratici”
10
. Se, infatti, da un lato, tutte le Casse erano sorte principalmente per
fini mutualistici, era evidente come, sotto il profilo operativo, esse svolgessero
l’attività di una qualsiasi altra banca. Questa concomitanza di finalità sociali ed
economiche rendeva complicata la definizione della natura giuridica delle
Casse.
Mentre il Regno di Sardegna, fin dal 1850, aveva classificato, con una serie di
regi decreti, le Casse di Risparmio come istituti di beneficenza, il Consiglio di
Stato, in un parere del 29 luglio 1869, basandosi sulla concreta attività svolta
dai vari istituti, fu orientato ad assimilarli agli ordinari istituti di credito. In tale
parere, infatti, le casse furono considerate come “istituti di credito soggetti a
commercio”
11
.
Con l’entrata in vigore del nuovo codice di commercio del 1882, tutti gli istituti
di credito erano esonerati da qualsiasi forma di autorizzazione o di vigilanza
governativa. Tale disposizione era difficilmente applicabile alle Casse di
Risparmio dove “l’assenza di interessi commerciali dei soci da un lato, e la
gratuità delle funzioni di amministratore dall’altro, non consentivano che la
regolare conduzione delle Casse fosse garantita dal combinarsi del controllo da
parte dei singoli soci con quel complesso di obblighi e responsabilità che il
codice di commercio prevedeva a carico degli amministratori delle società
commerciali”
12
.
Scaturì successivamente una proposta del Consiglio di stato, espressa in un
parere del febbraio 1884, di un intervento legislativo che regolamentasse le
Casse di risparmio, e in seguito, l’approvazione della legge n. 5546 del 15
luglio 1888
13
, con la quale si pervenne ad una disciplina unitaria delle Casse di
10
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane,
Associazione delle Casse di risparmio italiane, pag. 31.
11
Parere del Consiglio Di Stato, Sez. Int., 29 luglio 1869 relativo al quesito del Ministero
dell’Interno in data 18 luglio 1869, in 1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle
Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di risparmio italiane, pag. 32.
12
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane,
Associazione delle Casse di risparmio italiane, pag. 33.
13
Generata dall’esperienza degli stessi soggetti che andava a regolare, la legge lasciava ampi
spazi di autonomia alle casse di risparmio; la duttilità delle disposizioni che ne conseguiva
avrebbe consentito a questa legge di rimanere applicata per più di un secolo , il suo impianto
generale venne infatti recepito nel testo unico del 1929, rimanendo in vigore fino alla riforma
11
Risparmio. Le Casse di Risparmio vennero infatti definite come un “tertium
genus” una figura mista, tra gli istituti di beneficenza e gli istituti di credito
ordinario, così da poter conciliare le finalità filantropiche perseguite e la natura
commerciale dell’attività svolta.
L’art. 1 del T.U. (25 aprile 1929 n. 967 ) cosi definisce le Casse di risparmio:
“Gli istituti, che si propongono di raccogliere depositi a titolo di risparmio e di
dare ad essi conveniente collocamento qualunque sia la natura dell’ente
fondatore, conservano o acquistano la personalità giuridica e il titolo di Cassa
di Risparmio”
14
.
Possiamo dunque affermare, sulla base di questa definizione, che le Casse di
Risparmio sono persone giuridiche. La definizione è originaria della legge
1888; ma, come si è già detto,la questione relativa alla necessità di regolare la
materia per tutto il territorio dello Stato era viva ormai da molti decenni prima
e diversi e accesi furono i contrasti circa tale qualificazione.
I termini opposti della disputa erano questi: se le Casse di risparmio fossero
istituzioni pubbliche di beneficenza o enti commerciali. Gli autori erano
decisamente schierati per l’una o per l’altra tesi; non cosi invece la
giurisprudenza. Quest'ultima, infatti,si era dichiarata contraria all’opinione che
attribuiva agli istituti la natura di enti commerciali. Qualche sentenza aveva
invece aderito all’opinione opposta, secondo la quale le Casse sarebbero
istituzioni pubbliche di beneficenza.
Un notevole passo avanti nella qualificazione giuridica fece la Cassazione
Civile, la quale negò che esse fossero istituzioni pubbliche di beneficenza.
Finalmente solo nel 1930 il supremo Collegio pervenne ad un traguardo,
definendo decisamente le Casse di risparmio enti pubblici. In effetti l’indirizzo
fu emanato con la celebre pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione il 10 maggio del 1930: le Casse di Risparmio sono giudicate
persone giuridiche pubbliche dotate di piena autonomia rispetto alla pubblica
della legge bancaria del 1993.
14
Meloni V., Le casse di risparmio nella storia, La Rapida, Fermo, pag. 28.
12
amministrazione
15
.
Nei decenni successivi le Casse si accostarono sempre di più alla struttura delle
imprese bancarie e ciò fece emergere la necessità di ulteriori interventi
legislativi che abbracciassero più in generale il credito. I provvedimenti
normativi del 1926 salvarono le legge del 1888 dichiarando applicabili alle
Casse alcune disposizioni.
In particolare gli obblighi imposti alle Casse furono questi: obbligo di
iscrizione all’albo istituito presso il ministero delle Finanze; divieto di dare
inizio alle operazioni,di aprire filiali e sedi, di operare fusioni senza la
preventiva autorizzazioni ministeriale; obbligo di comunicare i bilanci
all’istituto di emissione.
Un successivo provvedimento del 1927 accentuò il controllo dello stato sulle
Casse di Risparmio. In particolare il provvedimento attribuì al ministero
dell’Economia nazionale il potere di sospendere il consiglio di
amministrazione dall’esercizio delle funzioni e di nominare un commissario
straordinario; confermò poi il ruolo delle Casse di Risparmio come banche a
servizio della comunità locale
16
. Possiamo dunque affermare che già prima
della legge bancaria del 1936 le Casse di risparmio furono inserite nell’ambito
degli istituti di credito, anche se certamente con le dovute peculiarità.
Una serie di interventi regolatori tra il 1936 e il 1938 contribuì alla
affermazione della natura bancaria delle Casse di Risparmio, ma è con la legge
bancaria del 1936, in particolare, che si perviene alla equiparazione formale di
questi istituti con le banche ordinarie. Come ricorda Giulio Ponzanelli: “la
storia delle Casse di Risparmio culmina alla fine degli anni trenta, nella
definitiva loro inclusione all’interno dell’ordinamento bancario”
17
.
E d’obbligo però anche un riferimento ai cosiddetti Monti di Pietà, da cui le
Fondazioni pur derivarono. Questi istituti sorsero, infatti, nel XIV secolo con lo
15
Ponzanelli Giulio, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, G.Giappichelli Editore, Torino,
1996, pag. 225
16
Marcello Clarich, Le fondazioni bancarie: dalla holding creditizia all’ente no-profit,
Bologna, Il Mulino, 2001.
17
Ponzanelli Giulio, Fondazione bancarie: passato presente e futuro, in AA. VV., Le
organizzazioni senza fine di lucro, Giuffrè, Milano 1996, cit., pag. 251.
13
scopo di concedere prestiti minuti a condizioni oneste proprio con l’intento di
combattere l’usura. Anche per i Monti prevalse nel tempo la funzione
bancaria
18
, tanto che nel 1888 furono anch’esse sottoposte alle legge Crispi.
2. Genesi del sistema bancario italiano.
Il moderno sistema creditizio Italiano è il risultato di una lunga e travagliata
evoluzione storica che è proceduta con lo sviluppo economico e sociale del
paese attraverso lo studio della quale è possibile intendere meglio gli obbiettivi
della profonda riforma che la legge Amato ha introdotto nel nostro paese.
In particolare è necessario fare riferimento a quel complesso di atti normativi
che emersero negli anni 1936-1938 e distinguere il periodo precedente a questi
atti normativi e il periodo posteriore.
L’Italia cominciò a svilupparsi, dal punto di vista industriale, solo tra la fine
dell’ottocento e la prima guerra mondiale. In particolare “essa si presentava
all’appuntamento unitario in una condizione di arretratezza rispetto agli altri
paesi europei. Prima dell’unità, e anche dopo, i contemporanei lamentarono
continuamente una carenza di capitali disponibili per investimenti produttivi
[…] Certo, alle tradizionali istituzioni di credito si era affiancata qualche banca
di tipo moderno ma la struttura bancaria era ancora inadeguata alle esigenze di
sviluppo di un paese di ventidue milioni di abitanti”
19
.
La costituzione del Regno d’Italia, dunque, non trovò una struttura creditizia
evoluta ed efficiente. Le sole banche che godessero di qualche prestigio erano
le banche emissione, sorte solo recentemente e per lo più in un sistema
creditizio fin troppo fragile. Da un lato avevamo il governo, dall’altro invece le
18
Questa funzione trovò il primo riconoscimento esplicito nella legge 4 maggio 1889, n. 169,
con la quale essi furono assoggettati, limitatamente alla funzione creditizia, proprio alla legge
del 1888 sulle casse di risparmio. La legge 14 giugno 1923, n. 1396 li divise poi in due
categorie a sé stanti statuendo la piena parificazione sotto il profilo giuridico alle casse di
risparmio dei monti “che per il rilevante ammontare dei depositi fruttiferi ricevuti abbiano
assunto carattere prevalente di istituti di credito”.
19
Ennio De Simone, Storia della banca, dalle origini ai nostri giorni, Arte Tipografica,
Napoli, 1987, cit., pag. 257.
14
banche di emissione. Lo Stato vedeva nelle banche di emissione una possibile
fonte di produzione di capitali per le proprie casse e per queste motivo cercò di
favorire la loro attività. Ma spesso le banche finanziavano se stesse, cioè
finanziavano gli affari dei loro clienti privati. Fu così che lo stato si vide
costretto ad intervenire con leggi e con ispezioni ordinarie e straordinarie, dalle
quali emerse che molte delle attività illecite venivano ordinate da uomini
politici.
Solo dopo la violenta crisi esplosa negli anni 1888-1893, emerse la necessità di
affrontare il problema della circolazione e delle banche di emissione. Ne venne
fuori la legge 10 agosto1893, n. 449, la quale riordinò gli istituti di emissione
riducendoli da sei a tre. Con la fine della crisi, l’economia italiana entrò in una
fase di largo sviluppo, ma emergevano nuovi problemi legati al finanziamento
del “decollo industriale”. Intervenne così ancora l’organizzazione bancaria. Ma
diversi furono i dibattiti circa i difetti di un’organizzazione basata sulla banca
mista (di tipo tedesco) che indirizzava i capitali impiegati a breve termine verso
impieghi di lunga durata. In effetti, questa struttura funzionò fino a quando
l’economia si mantenne sana. Con la necessità di finanziare l’economia bellica
e post-bellica, le difficoltà del sistema bancario vennero a galla
20
.
Dunque nel periodo che va dalla unità d’Italia ai primi anni del novecento,
l’assenza di una normativa organica di settore faceva sì che l’attività bancaria
fosse svolta praticamente in modo libero e incontrollato in quanto mancava una
regolamentazione organica del settore bancario per il prevalere di teorie
economiche di tipo liberalistico che implicava che la legislazione dello Stato si
interessasse solo della disciplina di aspetti specifici dell’attività bancaria.
Questa situazione si protrasse sin dopo la fine della prima guerra mondiale,
quando, in seguito allo sforzo bellico, molte banche, dopo avere sostenuto
finanziariamente la riconversione di grandi industrie, andarono in crisi poiché
incapaci di affrontare il rimborso dei depositi
21
. A fronte di tale situazione una
serie di progetti di legge, in cui sostanzialmente venivano proposti degli
20
Meloni V., Le casse di risparmio nella storia, La Rapida, Fermo, pp. 66-67.
21
In particolare nel 1921, il dissesto della banca Italiana di Sconto, rappresentò il culmine della
crisi, vedi anche Astolfi Negri, Tecnica Bancaria, Tramontana, Milano, 1991, pag. 25.
15
obblighi per le banche e un sistema di vigilanza sulla loro attività, sfociò nel
1926 nella emanazione di alcuni decreti, successivamente convertiti in legge. I
decreti del 1926 erano principalmente rivolti ad evitare il rischio di nuovi
dissesti bancari, per questo alla Banca d’Italia era affidato il servizio di
emissione della carta moneta, ed erano attribuiti compiti di vigilanza sulle
attività delle banche, per le quali, inoltre, erano previsti una serie di obblighi
quali quello di iscrizione in apposito albo, l’ottenimento di un’autorizzazione
della Banca d’Italia prima di intraprendere nuove attività o per l’apertura di
nuovi sportelli e la presentazione del bilancio annuale e di situazioni contabili
periodiche. Inoltre, allo scopo di scongiurare il rischio di illiquidità delle
banche, venne introdotto una vera novità per il nostro ordinamento, vale a dire
l’obbligo della riserva obbligatoria. Come afferma Meloni “Gli atti del ’26
costituirono un decisivo passo sulla via della regolamentazione dell’attività
delle aziende di credito e sul controllo della loro gestione. La legge 6 maggio
1926, n. 812 che ha realizzato soprattutto l’esigenza di collocare al centro dei
sistemi monetari e bancari un unico istituto, da una parte chiude formalmente il
periodo della pluralità e della natura privata delle banche di emissione,
dall’altra costituisce il consapevole presupposto dell’impianto di un servizio di
vigilanza delle aziende di credito…Nel periodo in esame l’esigenza di garantire
sicura gestione e sicura collocazione al risparmio costituisce preoccupazione
peculiare e primaria delle Casse di Risparmio”
22
.
I decreti del 1926, che contenevano solo delle “limitazioni ispirate alla
prudenza”
23
, ponevano le premesse per l’emanazione della successiva legge
bancaria del 1936, che sarebbe poi rimasta in vigore per altri 50 anni e che,
avrebbe istituito “un sistema coordinato per indirizzare l’intermediazione
creditizia verso le forme di investimento più opportune nel quadro degli
interessi del paese”
24
.
22
Meloni V., Le casse di risparmio nella storia, La Rapida, Fermo, pag. 68.
23
Astolfi Negri, Tecnica Bancaria, Tramontana, Milano, 1991, pag. 27.
24
Ibidem
16