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Introduzione
La secondà metà del XX secolo ha visto l’emergere all’interno delle maggiori
tradizioni religiose, di formazioni di movimenti militanti caratterizzati da un agire
particolarmente violento, in forte opposizione rispetto ai valori affermati nella
società moderna. I fondamentalisti infatti non concepiscono il concetto di
principio democratico, nè possono immaginare uno stato che sia separato dalla
Legge religiosa.
Questo improvviso ed inaspettato destarsi della coscienza religiosa ha colto di
sorpresa tutti coloro che davano per irreversibile il processo di secolarizzazione e
il progressivo radicalizzarsi della razionalità a discapito del sentimento religioso
nella vita dell’uomo moderno. I fondamentalisti del ventesimo secolo cercano di
ridare centralità alla dimensione religiosa, lottando con fervore per imporre anche
in modo violento, una “risacralizzazione della società”.
Nel tentativo di riassegnare alla religione un ruolo centrale nella vita sociale e
politica, crolla il mito liberale che vedeva l'umanità in progresso costante verso
una condizione sempre più razionale ed illuminata, libera dall'irrazionalismo
religioso che aveva caratterizzato le società pre-moderne.
Peculiarità del fondamentalismo religioso è quella di voler ricollocare al centro
della società il primato della legge religiosa su quella positiva, secondo il
principio della superiorità della legge divina.
Quest'ultima, rivelata in un Libro Sacro, in quanto manifestazione della volontà di
Dio, assurge a verità assoluta e infallibile. Il fondamentalismo religioso si
contraddistingue anche per l’elezione di determinati luoghi che divengono simboli
appartenenti alla storia del popolo e al loro mito fondativo.
In quanto altamente impregnati di significato simbolico e sacralità, essi divengono
fondamentali punti di riferimento per la memoria collettiva della comunità di
fedeli. I militanti fondamentalisti, si considerano un gruppo di eletti la cui
missione è quella di lottare contro un mondo ritenuto corrotto e privo di moralità.
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Ricorrere alla violenza, definita “sacra”, diviene una scelta obbligata contro il
degrado etico e sociale e l'allontanamento dall'unica verità contenuta nel
messaggio religioso. L'attivismo politico diviene fondamentale nel progetto di
restaurazione della società e nell'affermazione di uno Stato teocratico, così come
la “neutralizzazione” di un nemico che si frappone tra la vittoria di Dio e il Male
che affligge la società.
Il conflitto che da oltre mezzo secolo vede protagonisti il popolo palestinese e
quello israeliano rappresenta tutt’oggi una delle situazioni più tragiche al mondo,
la cui complessità è data anche e soprattutto dal fatto che in questo caso sono in
gioco due diversi fondamentalismi: quello ebraico e quello a matrice islamica,
entrambi in ugual misura incapaci di scendere a compromessi e cercare un punto
di incontro che, pur nella diversità, possa finalmente favorire una pacifica
convivenza.
I fondamentalisti di entrambi gli schieramenti coinvolti nell’interminabile
conflitto arabo-israeliano, sono oramai da decenni intrappolati in una spirale
crescente di ostilità e reciproche recriminazioni che non accennano a placarsi.
La presente relazione si concentra sul caso ebraico: partendo dalle lontani origini
del suo popolo, saranno tracciate le tappe fondamentali percorse nei secoli fino a
giungere ai tempi moderni, alla nascita dello Stato di Israele e alla comparsa dei
movimenti religiosi che nella seconda metà del Novecento sono poi degenerati
nella forma tipicamente “fondamentalista”.
Questo lavoro si propone di analizzare la natura della deriva fondamentalista del
movimento religioso ebraico, in particolare dopo lo spartiacque rappresentato
dalla cosidetta guerra della Redenzione del 1967, il suo paradigma religioso e il
modo in cui esso si è riflesso sulla modalità di agire nei militanti del movimento,
la sua intransigenza e radicalizzazione estrema che nell’arco dei decenni è
sconfinata nel terrorismo vero e proprio. Come può una minoranza come quella
costituita dai fondamentalisti nazional religiosi d’Israele aver avuto tali forti
ripercussioni nelle scelte politiche di un paese, al punto da minare le sue stesse
basi democratiche?
In particolare, cercheremo di comprendere come questi movimenti siano riusciti
ad imporsi nella società israeliana e abbiano in tal modo avuto un impatto tanto
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rilevante nei processi politici interni di uno Stato costituitosi nel 1948 come Stato
laico e democratico.
Farò particolare riferimento allo studio condotto da Renzo Guolo, sociologo
italiano che ha svolto ricerche particolarmente approfondite riguardanti il
fenomeno del fondamentalismo contemporaneo, tra cui quello ebraico.
Questo lavoro si suddivide in due parti, a loro volta suddivise in più capitoli,
ciascuno di essi dedicato alla trattazione di specifiche tematiche.
La prima parte vuole essere una sintesi della storia del popolo ebraico partendo
quindi dalle sue remote origini per arrivare fino ai giorni attuali.
Nella seconda parte saranno affrontate tematiche riguardanti l'ebraismo ed il suo
speciale rapporto con la Terra, concetto divenuto centrale nell'ideologia del
movimento sionista religioso, degenerato in seguito in fondamentalismo, con tutte
le sue implicazioni.
Oggi più che mai è necessario sostenere e difendere quelle forze democratiche che
si battono per riaffermare quel principio che travalica le ideologie e i fanatismi di
ogni sorta, poichè:
“[...] il puro e semplice rifiuto di ogni forma di ricorso alla forza [...] a questo
punto della storia di un conflitto che incendia tutto il Medioriente da oltre mezzo
secolo, è l’unica conclusione possibile di una guerra che nessuno può vincere.”
(D. Grossman, “La guerra che non si può vincere”, 2009)
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CAPITOLO
I
Dalle origini ai tempi moderni
Per potersi avvicinare alla storia di questo popolo ed alla comprensione della
“Storia della Salvezza” che lo accompagna nel suo percorso, è necessario indagare
sul terreno su cui si è innestato il suo progetto e si è evoluto nel tempo.
Al fine di afferrarne il senso, sia sul piano storico che teologico, è essenziale
conoscere perlomeno per sommi capi la storia del popolo ebraico oltre che le
vicende delle popolazioni con cui esso è venuto a contatto nei secoli.
E così comincia, secondo la tradizione biblica, la storia di questo popolo:
“Tu, Abramo, obbedisci. Ed io renderò la tua stirpe numerosa come le stelle del
cielo, come i grani di sabbia sulla riva del mar [...]” (Genesi, 4)
In verità il popolo ebraico è da sempre uno dei più piccoli del pianeta. Ad oggi si
contano poco più di alcuni milioni di Ebrei che abitano la terra, ma a fronte di
questa esiguità numerica, stupisce la continuità storica senza precedenti di un
popolo tra i più antichi del mondo. La sopravvivenza di questo popolo, attraverso
tremila anni di storia, è certamente connessa al precetto fondamentale
dell’ebraismo: il dovere di esistere, un dovere che la Bibbia, ovvero la Torah, la
legge per antomasia, impone in ogni suo verso. (E. Loewenthal, 2002)
L’Antico Testamento, l’insieme dei libri sacri della Bibbia, rappresenta la
principale fonte scritta sul popolo ebraico. I libri che costituiscono l’Antico
Testamento furono scritti in un ampio arco di tempo che va dal 1200 al 200 a. C.
circa. Fatti riportati nei primi cinque libri dell’Antico Testamento (Pentateuco)
combaciano in parte con quelli riportati da altre fonti attribuibili agli Egizi, ai
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Filistei e agli Accadi: ciò consente di tracciare una storia del periodo più antico
del popolo ebraico, seppure a volte approssimativa e non sempre avvallata dagli
storici. (P. Merlo, 2009)
Questo testo, tuttavia, pur avendo un indubbio valore dal punto di vista religioso,
possiede un valore storico relativo non trovando conferma diretta nella realtà ogni
fatto in esso riportato. (C. Augias, R. Cacitti, 2008)
Considerando inoltre la lontananza nel tempo in cui i fatti si collocano, non
sarebbe in ogni caso possibile effettuare una ricostruzione storica esatta attraverso
i soli fatti narrati nella Bibbia.
Vedremo nei paragrafi successivi di ripercorrere le tappe principali, senza alcuna
pretesa di esaustività, partendo dalle più remote origini risalenti al 2000 a.C. circa,
fino ad arrivare ai tempi moderni e all’emergere del sionismo a fine Ottocento.
1.1 Sulle origini
In tempi lontani, gli Ebrei erano un gruppo di nomadi, già presenti in Palestina fin
dal 2000 a.C. Gli antenati devono essere cercati tra i semiti, popolazioni semi-
nomadi che allora circolavano nell’area della mezzaluna fertile.
Molto probabilmente non erano originari di quell’area: la loro provenienza è
incerta così come è incerta l’etimologia dell’appellativo “ebreo”. Si suppone
possa derivare da “Heber”, un antico progenitore, ma potrebbe anche derivare dal
nome “habiru” che significa “senza terra”. (G. Moroni, 1843)
Ma “ebreo” significa anche “colui che sta dall’altra parte”:
“[...] sulla sponda opposta, oltre un confine e fuori da un territorio che altri
accomuna.” (E. Loewenthal, 2003, pag. 13)
Secondo la tradizione biblica fu Abramo, il cui nome in ebraico significa “grande
padre”, il primo ad essere chiamato “ebreo”. Le sue vicissitudini sono descritte nel
primo libro della Bibbia, la Genesi, dove si narra che un giorno Dio gli si rivolse
per esortarlo ad intraprendere un lungo cammino che lo avrebbe condotto nella
terra di Canaan, terra che qualche generazione più tardi le tribù d’Israele
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discendenti da Giacobbe, nipote di Abramo, avrebbero chiamato “Terra
Promessa”.
All’epoca gli Ebrei vivevano di agricoltura ed allevamento di bestiame. Pur
essendo un’area caratterizzata da clima arido e desertico, vi erano tuttavia zone
particolarmente fertili.
La terra in cui si erano insediati a quei tempi non era abitata esclusivamente dal
popolo ebraico, cosicchè essi dovettero, allora come in seguito, condividere lo
stesso territorio con popoli di diversa etnia. Di queste popolazioni sono
storicamente noti due gruppi: gli Amorrei (stabilizzatisi verso il 2000 a.C. in
Mesopotamia, Siria e Palestina), e gli Aramei (in Siria intorno al 1200 a.C.).
Si collocano in questo periodo storico, secondo la tradizione biblica, le figure di
Abramo, Isacco, Giacobbe e gli antenati delle 12 Tribù di Israele.
In tempi più antichi gli Ebrei erano politeisti e Yahweh era solo una tra le
numerose divinità che adoravano. Solo in un momento successivo essi divennero
monoteisti. (C. Potok, 2007)
“La prima religione di Israele non era monoteista. C'era un culto elaborato degli
esseri celesti, anche se ne sopravvive solo in frammenti. Fu non prima dell’esilio,
sotto l'influenza del Secondo Isaia e dei Deuteronomisti che la grande diversità
delle tradizioni più antiche vennero combinate, o per meglio dire, fuse insieme.
Il risultato di questo è che Yahweh ha assunto i ruoli che precedentemente erano
stati sia di Yahweh che di El Elyon, e iniziò una massiccia re-interpretazione
della tradizione più antica. Non tutti accettarono il nuovo monoteismo.”
(Is. 4, 1et passim)
La prima grande migrazione di massa ebbe luogo tra il XVIII e il XVI secolo a.C.
quando molti Ebrei lasciarono la Palestina per trasferirsi in Egitto.
Secondo la Genesi fu Giuseppe il patriarca e figlio di Giacobbe che, divenuto
importante dignitario alla corte del faraone, indusse il suo popolo a trasferirsi in
Egitto. Ma più probabilmente questa migrazione di massa fu dovuta a carestie o
carenza di terre da coltivare, circostanze che comunque spinsero gli Ebrei a
spostarsi verso il delta del Nilo, l’area più fertile del paese.
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Secondo fonti egizie, la presenza di un certo numero di Ebrei insediati in
quell’area geografica si conferma fin dai secoli XVIII-XIII a. C.
Pur non essendo possibile quantificare con esattezza il numero di Ebrei coinvolti
nella grande migrazione, si stima che essa abbia interessato molte decine di
migliaia di individui che si sarebbero spostati a “flussi”, in diversi scaglioni
temporali, a causa di gravi carestie o altri fattori contingenti. (C. Potok, 2007)
Nella nuova terra gli Ebrei furono ben accolti e non subirono alcun tipo di
discriminazione: l’integrazione con i locali ebbe luogo senza rinuncia alle proprie
specificità culturali e religiose.
1.2 L’esodo: fuga dall’Egitto
Ma intorno al XIV-XIII secolo a.C. le condizioni di vita del popolo ebraico
insediato in Egitto, originariamente ben accolto, mutarono drasticamente.
Nel libro biblico dell’Esodo si narra la vicenda secondo cui il faraone Ramses II e
in seguito una serie di altri faraoni ad esso succeduti, costrinsero gli Ebrei ai
lavori forzati ponendoli in uno stato di semi-schiavitù e rendendoli oggetto di
persecuzione.
Questo fu un processo graduale e si verificò in seguito agli attacchi subiti dagli
Egizi da parte dei Popoli del Mare: le continue aggressioni da parte di questi
ultimi incrementarono le ostilità verso gli stranieri (semiti in particolar modo)
presenti nel territorio egizio.
Secondo la narrazione biblica fu il profeta Mosè a guidare il popolo ebraico verso
la libertà, conducendolo verso la terra di Canaan, corrispondente alla Palestina, e
indicata dal dio Yahweh come patria degli Ebrei. L’esodo dall’Egitto si colloca tra
il 1230 ed il 1219 a. C.; esso è citato in un documento rinvenuto a Tebe nel 1896,
la stele del faraone Mernephtah.
La fase dell’esodo dall’Egitto così come i lunghi anni caratterizzanti la
permanenza nel deserto sono connessi all’esperienza religiosa della rivelazione
del dio Yahweh, rivelazione che culmina con il patto di alleanza nel Sinai tra Dio
ed il suo popolo. Questo rappresenta un momento cruciale nella storia del popolo
ebraico in quanto in tale circostanza esso matura la consapevolezza di costituire il
popolo eletto da Dio. (M. Walzer, 2004)