lavoro che rendono più facile il rientro nel mercato del lavoro(Arbejdsministreriet, 1999;
Madsen, 1999, 2002). Successivamente gli studi sul caso danese hanno dimostrato affinità
con quanto avvenuto in Olanda dove negli anni Novanta ha avuto luogo una riforma del
mercato del lavoro per ottenere ‘Flessibilità e Sicurezza’ (Wilthagen, 1998). Proprio
dall’incontro e confronto delle esperienze di questi due piccoli stati europei è nata
l’attenzione per la flexicurity, neologismo che indica la possibilità di bilanciare flessibilità
e sicurezza; l’espressione ‘flexicurity danese’ ha iniziato progressivamente a sostituire il
riferimento al golden triangle.
Il termine flexicurity in un primo momento ha interessato ristretti circoli
accademici ma con il passare degli anni si è imposto sulla scena politica europea
diventando la parola chiave e la fonte ispiratrice del dibattito europeo sull’occupazione
(Madsen, 2007). Dal 1998 sono presenti in documenti europei riferimenti alla flessibilità e
alla sicurezza, dal 2006 la flexicurity s’impone al centro della Strategia Europea per
l’Occupazione e la Commissione Europea istituisce un gruppo di esperti di diverse
nazionalità per studiare ed analizzare il tema della flexicurity. Il 5 Dicembre del 2007 il
Consiglio ha adottato i ‘principi comuni di flexicurity’ offrendo una versione ufficiale
della ‘flexicurity europea’ e successivamente è stata lanciata la ‘Missione per la
flexicurity’ per esportare questa ‘buona pratica’ nei vari Stati Membri. L’interesse per
l’argomento ha fatto nascere varie traduzioni del termine nelle diverse lingue europee, in
francese flexicuritè, in spagnolo flexiguridad ed in italiano flessicurezza; per evitare
confusioni utilizzeremo solo il termine flexicurity.
Questo lavoro si concentra sull’esperienza danese degli ultimi vent’anni e sulla
risposta che questo stato ha dato alle nuove sfide con le riforme degli anni Novanta. Il
dibattito pubblico ed accademico ha fatto spesso riferimento alla Danimarca, gli elogi sono
stati frequenti e condivisi, ma troppo spesso frettolosi e poco puntuali. La mia ricerca,
iniziata in Danimarca presso l’University of Copengahen e terminata in Italia
all’Università degli Studi di Firenze, si propone di offrire una sistematizzazione di una
serie di materiali internazionali e danesi sull’argomento. La letteratura ha guardato alla
Danimarca come ad un punto di arrivo, questo lavoro inverte questo sguardo offrendo
un’analisi che parte dalla Danimarca ed arriva all’Europa. Si vogliono mettere in
discussione i due assiomi impliciti che hanno caratterizzato la letteratura sulla flexicurity:
il modello danese è un paradiso e tutti gli stati possono aspirare a questo modello.
Cercheremo di chiarire che cosa s’intende per golden trinagle, ‘flexicurity danese’ e
‘flexicurity europea’ per poter dare una risposta al quesito: è possibile esportare il modello
danese?
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Il lavoro è suddiviso in cinque capitoli e si apre con la descrizione del ‘miracolo’,
arricchito dall’analisi delle molteplici dimensioni del successo in ambito economico e
sociale. Analizzeremo l’evoluzione storica dei tassi d’occupazione e disoccupazione,
confronteremo il Pil pro capite, il debito e il deficit di questo Stato con altri paesi europei
considerando anche i livelli di spesa sociale e il livello di tassazione per avere un ampio
quadro d’analisi in cui collocare i buoni risultati. La presentazione dello schema del
golden triangle in cui il sistema di welfare, le politiche attive del lavoro e la flessibilità del
mercato del lavoro trovano un positivo equilibrio sarà preceduto da un richiamo all’analisi
tipologica del regime di welfare danese. L’analisi del modello danese come un modello
ibrido in cui convivono un’anima liberale e una social democratica chiuderà il primo
capitolo.
Nel secondo capitolo s’introduce l’ampio concetto di flexicurity offrendo una
sintesi della letteratura sull’argomento, si presenteranno le diverse definizioni di flexicurity
come strategia politica, come stato del mercato del lavoro e come concetto analitico. Si
cercherà di chiarire come è avvenuto in Danimarca il passaggio dal golden triangle al
‘modello di flexicurity danese’ evitando di fare confusione con il ‘modello danese’.
Provvisti degli strumenti analitici offerti dalla matrice della flexicurity (Wilthagen,
1998, 2004) nel terzo capitolo si studiano le diverse componenti del golden triangle.
Saranno analizzate le quattro dimensioni della flessibilità e della sicurezza, da un lato si
avranno la flessibilità numerica, dell’orario di lavoro, funzionale e salariale, dall’altro la
sicurezza del posto di lavoro, la sicurezza dell’occupazione, la sicurezza di reddito e,
infine, la sicurezza combinata. Si porrà particolare attenzione al diverso impatto che la
flessibilità ha sui diversi gruppi di lavoratori e in particolar modo sull’evoluzione storica di
questo fenomeno. Saranno presentati i programmi di riqualificazione e reinserimento dei
lavoratori offerti dalle politiche attive del lavoro che hanno suscitato il grande interesse
internazionale descrivendo le varie riforme degli anni Novanta. L’analisi dei costi del
sistema danese e del fenomeno dell’esclusione degli immigrati chiuderanno il capitolo
cercando di mettere in luce quanto di solito viene dimenticato e tralasciato dal dibattito
internazionale.
Nel quarto capitolo si tornerà indietro nella storia alla ricerca delle profonde radici
del successo danese e delle caratteristiche del contesto e degli attori che hanno fortemente
caratterizzato il modello di solidarietà sociale posto alla base del funzionamento del
modello di flexicurity danese. Dopo una presentazione delle precondizioni culturali,
storiche ed economiche si offrirà una sintesi dell’evoluzione del sistema di welfare danese
dalla fine dell’Ottocento agli anni più recenti.
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Terminata la ricostruzione storica delle basi del modello nel quinto capitolo si
ritorna al dibattito odierno e si presenta il concetto di ‘flexicurity europea’ descrivendo
come questo concetto sia giunto a livello europeo. Dopo un’analisi dei documenti ufficiali
per analizzare la ‘flexicurity europea’ si effettua un confronto con la ‘flexicurity danese’.
Alla luce di quanto visto nei precedenti capitoli si compie una riflessione sulle
problematicità legate all’esportazione del modello in altri contesti nazionali.
Nell’appendice c’è una breve ed utile presentazione del sistema politico danese e del
sistema di relazioni industriali, si offre una rapida analisi dei partiti danesi, dei governi
degli ultimi anni, della mobilitazione politica femminile, dei sindacati e delle associazioni
dei datori di lavoro.
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CAPITOLO I
Il successo e il golden triangle
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1.1 Il miracolo danese
Dal 1993 la Danimarca sta vivendo una nuova ‘età dell’oro’: piena occupazione e
una florida situazione economica hanno consentito l’uscita dalla crisi iniziata negli anni
Ottanta. La disoccupazione è diminuita e il tasso d’occupazione è tra i più alti d’Europa.
Da 12,4% di disoccupazione nel 1993 siamo passati al 3,8% nel 2007; la situazione
occupazionale è cambiata così tanto che il problema odierno è l’assenza di forza lavoro in
alcuni settori (Kvist, 2003). Diversi studiosi si sono riferiti a questo cambiamento con
l’espressione ‘miracolo’ (Madsen 1999, 2003; Kvist, 2003; Torfing, 1999) che descrive in
modo incisivo i risultati raggiunti.
Nel 2006 con il 77,4% della popolazione tra i 15 e 65 anni occupata, la Danimarca
ha registrato il tasso d’attività più alto dell’Unione Europea. Come si evince dal grafico 1
la Danimarca, Olanda, Svezia e Regno Unito registrano i tassi di attività più alti di tutta
l’Europa; l’Italia, l’Ungheria, Malta e la Polonia i più bassi. I dati fanno riferimento a
valori aggregati che potrebbero celare forti differenze di livello d’attività per genere. Il
tasso d’attività femminile in Danimarca nel 2006 è stato del 73,4%, il tasso d’attività
maschile nello stesso periodo è stato dell’81,2%: i due valori presentano una differenza di
soli 7,8 punti percentuali, non si riscontrano forti differenze di genere. È bene evidenziare
che l’alto livello di occupazione femminile in Danimarca è una caratteristica del mercato
del lavoro da almeno 30 anni. Nel 2000 il 75,90% delle donne danesi aveva un lavoro,
rispetto al 63,40% della Germania e al 50,7 della Spagna (OECD, 2001). Questi risultati
hanno radici storiche molto forti, all’inizio degli anni ’80 il 71,40% delle donne era nel
mercato del lavoro e questo valore resta costante negli ultimi due decenni (Tabella 1).
Grafico 1. Tasso di attività in Europa nel 2006.
Fonte: Denmark Statistical Yearbook 2008.
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Tabella 1. Tasso di occupazione femminile in Danimarca dal 1980-2006.
Anno 1980 1985 1990 1995 2000 2006
Tasso di occupazione femminile 71,4 74,5 78,5 73,6 75,9 73,4
Fonte: Eurostat.
Un alto livello del tasso d’attività potrebbe essere spiegato con la forte presenza di
contratti di lavoro part-time, ma non si riscontra ciò in Danimarca. Nel 2006 il 23% dei
contratti di lavoro danesi è costituito da contratti di lavoro part-time, questo valore è
superiore alla media europea ma inferiore ai livelli dell’Olanda, Regno Unito e Svezia
paesi che hanno tassi d’attività simili alla Danimarca (Grafico 2).
Grafico 2. Percentuale di contratti di lavoro part-time in Europa
Fonte: Denmark Statistical Yearbook 2008.
In Danimarca si parla di ‘miracolo’ per l’alto livello d’occupazione che si registra
in prospettiva storica. “La coalizione di governo social-democratica, che è salita al potere
nel 1993, ha certamente prodotto un miracolo perché il tasso di disoccupazione è sceso e
l’inflazione è rimasta bassa. Il tasso di disoccupazione è calato dal 12,7% del gennaio 1994
al 7,9% dell’aprile 1997 e l’inflazione è rimasta al 2% (Torfing 1999, p.6)”. La riforma del
mercato del lavoro danese ha ricevuto molte attenzioni per gli ottimi risultati e le
innovative politiche realizzate. Il grafico 3 mostra l’andamento del livello d’occupazione
(scala a sinistra) e di disoccupazione (scala a destra) dal 1948 al 2002. Si individuano tre
fasi dell’andamento del livello di disoccupazione, una prima fase dal 1948 al 1972 con
bassi livelli di disoccupazione, una seconda fase d’incremento costante della
disoccupazione dal 1973 al 1992 ed un’ultima fase dal 1993 in poi in cui il livello di
disoccupazione cala. Il 1993 è l’anno della svolta che ha interrotto la fase 2, dal 1993 inizia
la terza fase in cui si registra la diminuzione del livello di disoccupazione e un incremento
del tasso d’occupazione. La riduzione della disoccupazione dal 1993 al 2002 è di poco
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superiore a 200.000 persone, di cui 141.000 impiegati nel settore privato e 68.000 nel
pubblico (Madsen, 2006).
Grafico 3. Disoccupazione e occupazione in Danimarca dal 1948-2002.
Fonte: Madsen, 2005.
Il successo danese non si è ottenuto spostando parte della forza lavoro in eccesso in
altri programmi sociali o ponendola al di fuori del mercato del lavoro, ma grazie ad un
aumento dell’occupazione. Il grafico 4 mostra il numero di persone coinvolte in schemi
d’attivazione (politiche attive del lavoro: educazione, riqualificazione e tirocini), in schemi
di prepensionamento e il numero di disoccupati che riceve l’indennità di disoccupazione. Il
grafico riporta il livello di disoccupazione lordo che è calato da 600.000 del 1994 a
434.000 nel 2002 con un calo considerevole della riserva di forza lavoro. Confrontando i
dati del 1994 e del 2002, il numero di persone coinvolte in schemi d’attivazione è
leggermente diminuito, il numero di persone coinvolte in schemi di prepensionamento è
aumentato di poco mentre il numero di coloro che ricevono l’indennità di disoccupazione è
sensibilmente diminuito.
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Grafico 4. Disoccupati, attivati e ritirati in Danimarca 1994-2002.
Fonte: Madsen, 2005.
Questi risultati si sono verificati senza causare l’aumento del deficit pubblico e
senza inflazione salariale (Madsen, 2005). Gli studiosi certi che i modelli nordici fossero
obsoleti e destinati ad essere una pagina del passato si sono dovuti ricredere. Il caso danese
è stato oggetto di studi da parte di Stati come la Francia e la Germania, molte
organizzazioni internazionali (ILO e l’UE) nelle loro strategie per l’occupazione hanno
indicato questo piccolo Stato come un buon esempio da seguire (Auer e Gazes, 2003). Il
miracolo da evento straordinario è divenuto una ‘buona pratica’, replicabile ed esportabile
in altri contesti nazionali.
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1.2 Le molteplici dimensioni del successo danese
Il ‘miracolo danese’ nelle politiche dell’occupazione non costituisce l’unico
successo della Danimarca, questo è solo uno dei molti buoni risultati che questo Stato ha
conseguito (Campbell, Hall, Pedersen, 2005). I diversi risultati positivi dei principali
indicatori dell’economia sono alla base dell’interesse internazionale per la Danimarca. Per
determinare, contestualizzare e dotare questo successo di molteplici dimensioni è
opportuno esaminare una varietà di indicatori socio-economici.
Il più classico indicatore economico per valutare una nazione è il PIL pro capite, il
grafico 5 riporta il livello del PIL pro capite a parità di potere d’acquisto di Spagna,
Finlandia, Regno Unito, Svezia, Germania, Olanda e Danimarca con la media EU a 27
Stati pari a 100. Come è possibile notare la Danimarca ha valori di PIL pro-capite superiori
alla media EU-27 e alla media dell’EU a 15 Stati. Per tutti i periodi considerati (1997,
2000, 2003, 2006 e 2008) la Danimarca ha livelli di PIL pro capite simili all’Olanda e
mostra livelli maggiori rispetto agli altri due Paesi scandinavi: Finlandia e Svezia.
Grafico 5. PIL pro capite a parità di potere d’acquisto (EU-27=100) nel 1997, 2000, 2003, 2006 e 2008.
Fonte: Eurostat.
Recentemente in un contesto di mercati più aperti ed internazionalizzati il successo
di una nazione è stato definito in termini d’abilità di un paese nel mantenere competitività
internazionale. Il World Economic Forum esamina i principali fattori economici di ogni
stato e pubblica un report in cui c’è la classifica degli stati più competitivi del Mondo. La
competitività è definita “come un insieme d’istituzioni, politiche e fattori che determinano
il livello di produttività di un Paese” (World Economic Forum, 2009, p.3). La classifica si
basa sui valori di un indice complesso (Global Competitiveness Index) che include
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