5
corrispondere un compenso; b) nesso di causalità tra la prestazione lavorativa e la
controprestazione economica.
1
Va precisato a tal proposito che, come chiarito dalla Suprema Corte, non è
richiesta sempre e in modo assoluto la prestazione del lavoratore perché sorga
l'obbligo, da parte del datore di lavoro, alla controprestazione economica; infatti
quello che conta, in base all'art. 2094 c.c., è l'obbligo del lavoratore a "collaborare
all'impresa", cioè l'inserimento dello stesso nell'organizzazione aziendale. Si spiega
così che l'obbligo retributivo vige anche in mancanza della prestazione lavorativa
effettiva, come per esempio durante le giornate di riposo o di altre assenze che la
legge giustifica.
La retribuzione assume una rilevanza costituzionale per la sua funzione
"sociale", così come stabilita dall'art. 36 Cost.; essa, infatti, costituisce uno degli
strumenti per mezzo dei quali si realizza quell'uguaglianza sostanziale e quella
"partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione economica e sociale del Paese"
(art. 3 Cost.).
2
L'art. 36 Cost. fissa il concetto di giusta retribuzione, nello stabilire che: "Il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza
libera e dignitosa".
1
Foglia: La retribuzione, in Diritto del lavoro e della previdenza sociale, a cura di G. Santoro
Passarelli, IPSOA, Milano, 1998, 157.
2
Per una completa disamina: F. Santoro Passarelli: Nozioni di diritto del lavoro, Jovene,
Napoli, 1983, 202 ss.; Scognamiglio: Diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1994, 78; Ghera: Diritto del
lavoro, Cacucci, Bari, 1994, 164; Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu: Diritto del lavoro, UTET,
Torino, 1990, 17 e 258. Cass. 22.4.95 n. 4563, in Rivista di diritto del lavoro, 1995, 1012.
6
Dalla lettura dell'articolo si potrebbe ricavare un duplice aspetto della natura
della retribuzione: il primo come corrispettivo della prestazione lavorativa, cioè il
principio della proporzionalità; il secondo come sostentamento minimo del lavoratore
e della sua famiglia per garantire "un'esistenza libera e dignitosa", cioè il principio
della sufficienza.
La proporzionalità deve essere commisurata tanto alla durata della
prestazione lavorativa quanto alla sua qualità in relazione ai requisiti di preparazione,
competenza ed esperienza del lavoratore. In altri termini, il criterio di proporzionalità
rapporta la retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, che sono diverse in
quanto differenti sono le caratteristiche dell'attività prestata. Attraverso la
proporzionalità, la retribuzione assolve alla funzione "di compenso adeguato alle
diverse caratteristiche intrinseche del lavoro".
3
Mediante il contratto collettivo
vengono definite le varie retribuzioni in rapporto alle diverse realtà produttive (settori,
categorie) e alle diverse caratteristiche professionali del lavoro. L'attuazione del
principio di proporzionalità, nelle tante realtà aziendali e settoriali, nell'impiego
pubblico e in quello privato, costituisce oggi un obiettivo fondamentale della
contrattazione collettiva.
4
L'altro principio che si ricava dall'art. 36 è quello della sufficienza. E' affidato
alla legge, al contratto collettivo e, in ultima istanza, al giudice il compito di stabilire
se la retribuzione sia "sufficiente" ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia
3
Treu: Commento all'art. 36 Cost., in Rapporti economici. Commentario alla Costituzione
italiana, Zanichelli, Torino, 1979, 73.
4
Zoppoli: L'art. 36 Cost. e l'obbligazione retributiva, in La retribuzione, struttura e regime
giuridico, a cura di Caruso, Zoli, Zoppoli, Jovene, Napoli, 1994, 127; Bolego: Flessibilità dell'orario di
lavoro e proporzionalità della retribuzione, in Lavoro e diritto n. 1/98, 53.
7
un'esistenza libera e dignitosa (nozione, per così dire, soggettiva della retribuzione).
"Sotto questo aspetto la retribuzione, più che collocarsi come "prezzo" delle utilità
fornite dalla prestazione lavorativa, concorre a soddisfare quelle esigenze di
valorizzazione della persona e, in particolare, del lavoratore per garantirne la
'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese'
auspicata dall'art. 3 cpv della Costituzione".
5
Così la retribuzione assolve alla
funzione di garanzia minima del reddito da lavoro; tale funzione è stata storicamente
concretata in Italia ad opera della giurisprudenza ex articolo in esame, non essendoci
stato l'auspicato intervento legislativo sul salario minimo, a difesa in particolare delle
condizioni di vita delle categorie e delle zone deboli del mercato del lavoro.
Fra gli studiosi si è posto il problema relativo al rapporto intercorrente tra i
due principi - quello della proporzionalità e quello della sufficienza - sopra esposti
sinteticamente.
Una parte della dottrina ritiene che tra la proporzionalità e la sufficienza vi sia
distinzione, cioè che i due principi gravitino in ambiti differenti ed autonomi: secondo
questi autori esistono nell'art. 36 Cost. due norme ben distinte "la prima ispirata ad
un criterio di giustizia; la seconda a considerazione di ordine più genericamente
sociale: quest'ultima costituisce un'estrema riserva, un limite invalicabile. In via
normale, sarebbe applicabile la prima disposizione, che stabilisce la proporzionalità
tra quantità e qualità di lavoro e la retribuzione. Alla seconda si dovrebbe ricorrere in
5
Foglia cit., 158.
8
via eccezionale: mai, però, si può evadere dai termini di quest'ultima, che va
applicata in ogni caso".
6
Questa tesi della separatezza dei due principi è stata sviluppata da chi
sostiene che nell'art. 36 si rinvengono due diversi concetti di retribuzione che
operano su piani e con finalità differenti: una nozione di retribuzione intesa come
obbligazione-corrispettivo che fa capo al principio di proporzionalità alla quantità e
alla qualità del lavoro prestato, e l'altra di retribuzione concepita come obbligazione
sociale atta a garantire al lavoratore in ogni caso un'esistenza libera e dignitosa.
Questa bipartizione della nozione di retribuzione - secondo i suoi fautori - "può fornire
un nuovo equilibrato inserimento dell'art. 36 Cost. nella disciplina della retribuzione,
un inserimento che consenta di armonizzare le due anime della retribuzione - quella
assistenziale e quella mercantile - sapientemente racchiuse nella norma del
costituente".
7
Altre autorevoli opinioni, invece, sostengono che i due principi si pongono
sullo stesso piano e non in posizione indipendente o gerarchica; in quanto
riuscirebbe difficile stabilire in concreto quanto vada considerato come corrispettivo e
quanto invece come "garanzia minimale" per il sostentamento.
Questa parte della dottrina, pur riconoscendo una sorta di correlatività tra la
proporzionalità e la sufficienza, le considera tuttavia come norme distinte,
6
Pugliatti: La retribuzione sufficiente e le norme della Costituzione, in Rivista giuridica del
lavoro, 1949, 50, I, 192; nello stesso senso Grasselli: Pluralità di rapporti di lavoro e applicazione
dell'art. 36 Cost., in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1971, 61.
7
Zoppoli cit., 99.
9
conseguentemente assegna ad esse un separato e autonomo ambito di
applicazione.
8
E' stato giustamente osservato che la tesi "dell'esistenza di una gerarchia tra
i due principi con la conseguente necessità di garantire 'in via principale la
retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro, e in via subordinata la
retribuzione sufficiente'
9
, introduce un'artificiosa ricostruzione del dato normativo (...)
con conseguente dissoluzione del principio 'subordinato' in quello 'principale'. Nell'art.
36 non sembra, invece, riscontrabile una gerarchia tra i due precetti, anzi si potrebbe,
al contrario, affermare che la locuzione 'in ogni caso' significhi un prius rispetto alla
proporzionalità".
10
I sostenitori di questo orientamento hanno trovato una valida ispirazione nella
Corte Costituzionale che già nel lontano 1960 affermò che i due principi, lungi dal
porsi in posizioni distinte e indipendenti, si integrano a vicenda
11
e che a conferma di
tale convincimento, con successiva decisione, ha precisato che la retribuzione "non
va commisurata soltanto alla quantità e qualità del lavoro prestato, ma deve altresì
adeguarsi alle esigenze minime di vita, obiettivamente determinate, del lavoratore e
della sua famiglia".
12
8
Grasselli: Pluralità di rapporti di lavoro e applicazione dell'art. 36 Cost., in Massimario della
giurisprudenza del lavoro, 1971, 61; Ricca: Retribuzione sufficiente e molteplicità di redditi di lavoro, in
Giustizia civile, 1962, I, 1808; Comito: Applicabilità dell'art. 36 Cost. ai rapporti di breve durata
giornaliera, in Rivista giuridica del lavoro, 1965, II, 543.
9
Pugliatti cit., 193.
10
Roma: Dottrina e giurisprudenza del lavoro, UTET, Torino, 13.
11
Corte Cost., 4.5.60 n. 30, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1960, 306.
12
Corte Cost., 26.4.62 n. 41, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1962, 169.
10
In definitiva sembra sostenibile che il precetto costituzionale trovi piena
attuazione allorché entrambi i caratteri sopra delineati vengano pienamente
soddisfatti e che quindi la retribuzione è "adeguata" quando appunto possieda
entrambi i caratteri della proporzionalità e della sufficienza.
Va anche detto che la sufficienza deve essere commisurata alle esigenze
personali e familiari della vita in modo tale da costituire un affrancamento dal
bisogno. Queste esigenze vanno concepite non già astrattamente e neppure in modo
uguale per tutti, bensì come sono concretamente avvertite nel contesto sociale e
riferite alle singole condizioni in cui la quantità e qualità del lavoro prestato colloca
ciascun lavoratore.
13
Inoltre la giurisprudenza prevalente afferma che nel valutare la "sufficienza",
si deve avere riguardo all'importo della retribuzione e non anche ad altri eventuali
redditi del lavoratore; se così non facesse, si finirebbe per determinare "un'assurda
disparità di trattamento" per eguali prestazioni lavorative in funzione delle diverse
condizioni patrimoniali dei soggetti che le rendono.
14
E' stato, pertanto, precisato che con l'art. 36 Cost. non si vuole determinare
una retribuzione "sufficiente" uguale per tutti i lavoratori, ma si deve piuttosto aver
riguardo alla retribuzione (paga base ed, eventualmente, contingenza maturata
15
)
stabilita nei contratti collettivi, anche se non direttamente applicabili, riferiti alla
categoria cui appartiene il lavoratore. La retribuzione sufficiente varia, in tal modo, a
13
Dell'Olio: Retribuzione, qualità e quantità del lavoro, qualità della vita, in Argomenti di
diritto del lavoro, n. 2/95.
14
Cass. Sez. Lav. n. 11345\93, in Giustizia civile, Massimario, 1993, fasc. 11; Cass. 27.4.85
n. 2748, in Giustizia civile, Massimario, 1985, fasc. 4.
15
Cass. 3.12.88 n. 6565, in Notiziario della giurisprudenza del lavoro, 1989, 26.
11
seconda del settore e delle qualifiche e, lungi dall'attestarsi su un valore minimo
unico per tutti, viene condizionata da elementi quali la qualifica e il settore
merceologico.
16
Va in fine rilevato che lo stesso principio di proporzionalità si applica al
rapporto di lavoro a tempo parziale, caratterizzato da una riduzione dell'orario
normale di lavoro, per garantire al lavoratore "una retribuzione riproporzionata in
ragione al minore numero di ore lavorate": afferma la Suprema Corte che "l'art. 36
trova applicazione nel caso di lavori plurimi e con orari ridotti, con riferimento ai quali
l'adeguatezza della retribuzione va valutata tenendo conto, oltre che della quantità e
qualità delle prestazioni, della proporzionale incidenza nel tempo complessivo per
soddisfare le indicate esigenze".
17
L'orientamento prevalente ritiene applicabile l'art. 36 Cost., limitatamente al
criterio di proporzionalità e non a quello di sufficienza; infatti, poiché il lavoratore a
tempo parziale consegue una retribuzione proporzionata in ragione del minor numero
di ore lavorate e quindi non esaurisce l'intera sua capacità lavorativa nel rapporto di
16
Hernandez: I principi costituzionali in tema di retribuzione, in Massimario di
giurisprudenza del lavoro, 1995, 153.
17
Cass. 25.11.94 n. 10029, con nota di Morgera: Profili del part-time, in Massimario della
giurisprudenza del lavoro, 1995, 36: "Anche al contratto di lavoro a tempo parziale, disciplinato
dall'art. 5 D.L. 30.10.84 n. 726, convertito con l. 19.12.84 n. 863, è applicabile il principio della
proporzionalità della retribuzione sia alla quantità sia alla qualità del lavoro, il quale, ancorchè non si
trovi espressamente enunciato nella suddetta normativa, è da questa presupposto, onde l'attività del
lavoratore a tempo parziale deve essere retribuita, coeteris paribus, con una proporzionale
diminuzione rispetto alla retribuzione del lavoratore che fornisce analoga prestazione a tempo pieno".
12
lavoro part-time, ha la possibilità di conseguire compensi aggiuntivi che sono tenuti in
conto ai fini dell'applicazione del criterio di sufficienza.
18
2. L'incidenza delle disposizioni legali e delle fonti collettive in materia
di retribuzione.
Occorre richiamare l'attenzione sugli eventuali limiti che l'ordinamento pone
in materia di regolamentazione della retribuzione, soprattutto in peius, di natura
legislativa o contrattuale.
Le disposizioni legali che incidono direttamente, fissando soglie minime
invalicabili dall'autonomia individuale o collettiva, sono quelle contenute nell'art. 36
Cost. e nell'art. 2103 c.c.
Come abbiamo visto, in forza dell'art. 36 Cost., la retribuzione deve
rispondere ai requisiti di proporzionalità alla quantità e qualità di lavoro prestato e di
sufficienza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia. In dottrina e in
giurisprudenza si è aperto un proficuo dibattito sulla natura dell'efficacia dell'art. 36
Cost., cioè se lo stesso abbia carattere precettivo o programmatico. La dottrina e la
giurisprudenza maggioritarie si sono pronunciate a sostegno della natura precettiva
della norma, sostenendo che il diritto alla retribuzione sufficiente ha "carattere
18
Foglia cit., 163-164.
La Corte Costituzionale, nel giudicare l'illegittimità delle clausole elastiche della distribuzione
dell'orario di lavoro con sentenza interpretativa di rigetto n. 210/92, ha stabilito che nel contratto a
tempo parziale non si può rendere "impossibile al lavoratore di assumere e programmare occupazioni
al fine di perseguire con più rapporti a tempo parziale una retribuzione complessiva sufficiente a
realizzare un'esistenza libera e dignitosa".
V. pure Riganò: Contratto di lavoro a tempo parziale, in Flessibilità e diritto del lavoro, a cura
di G. Santoro Passarelli, vol. I, Giappichelli, Torino, 1997, 103.
13
assoluto", è anteriore alla formazione del contratto e preminente rispetto alla stessa
volontà delle parti; il patto contrario è quindi nullo e tale nullità equivale a inesistenza
dell'accordo; come conseguenza dell'inesistenza, la retribuzione è determinata dal
giudice, in via equitativa, ai sensi dell'art. 2099 c.c.
19
Va osservato che in assenza di qualsiasi norma legale determinatrice della
retribuzione
20
ed altresì considerato che l'efficacia erga omnes dei CCNL non è
realizzata per la mancata attuazione dell'ultimo comma dell'art. 39 Cost., la
giurisprudenza e la dottrina hanno rinvenuto nel carattere precettivo dell'art. 36 Cost.
un'importante via per rispondere all'esigenza di assicurare ai lavoratori una
protezione salariale minima.
21
19
Roma: La nozione costituzionale di retribuzione, in Diritto e giurisprudenza di diritto del
lavoro, diretta da Giugni, UTET, Torino, 7.
La Cassazione ha esplicitamente affermato la natura precettiva dell'art. 36 Cost. con la
sentenza del 21.2.52 n. 461, in Diritto del lavoro, 1952, II, 275, con nota di Lega: Il salario minimo e
l'art. 36 della Costituzione; tra le prime sentenze di merito che dichiarano il carattere della precettività
si ricordano: Trib. Genova 3.11.50 e Trib. Genova 7.11.50, entrambe in Rivista giuridica del lavoro,
1951, II, 169.
20
Il minimo salariale a sostegno delle esigenze della famiglia viene, indirettamente,
rinvenuto solo in norme di carattere previdenziale o assistenziale. Di ciò c'è oggi consapevolezza
anche in giurisprudenza, la quale afferma ormai che ai fini della giusta retribuzione, in relazione al
carico familiare, vi provvede l'istituto degli assegni familiari, di natura previdenziale (Cass. 12.12.83 n.
7324, in Foro italiano, Repertorio, 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1490; Cass. 27.4.85 n. 2748, in
Foro italiano, Repertorio, 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1248).
21
Roma cit., 6-7.
14
Oltre all'art. 36 Cost., altro riferimento legislativo in materia retributiva è l'art.
2103 c.c. che prevede l'irriducibilità del compenso percepito dal lavoratore,
22
nel caso
in cui il datore di lavoro eserciti il c.d. ius variandi, in modo tale che al dipendente
vengano assegnate mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza
"alcuna diminuzione della retribuzione". In altri termini, l'art. 2103 c.c. stabilisce che il
lavoratore non può essere adibito a mansioni inferiori rispetto alle ultime svolte e, se
spostato, le nuove mansioni devono possedere lo stesso valore di professionalità di
quelle precedenti, tutelando il lavoratore da una diminuzione della posizione acquisita
nell'organizzazione aziendale (c.d. spostamento laterale).
23
Dal punto di vista economico va salvaguardato l'interesse del lavoratore alla
stabilità del reddito, conservando tutti gli elementi retributivi anteriormente corrisposti
in via continuativa. La giurisprudenza ha precisato che la conservazione del
trattamento economico è riferita a quella parte composta dalla retribuzione base e da
altre voci connesse alle particolari mansioni svolte, escludendo la conservazione di
emolumenti "solo occasionalmente connessi all'anteriore posizione di lavoro, in
22
Il nuovo testo dell'art. 2103 c.c. è stato introdotto dall'art. 13 dello Statuto dei lavoratori,
che ha espressamente sostituito la precedente disciplina codicistica, e confermato dall'art. 5 comma 4
l. 223/91.
23
Ciucciovino: La retribuzione variabile, in Flessibilità e diritto del lavoro, vol. II, a cura di G.
Santoro Passarelli, Giappichelli, Torino, 1997, 238; Foglia: La retribuzione, in Diritto e pratica del
lavoro, a cura di G. Santoro Passarelli, IPSOA, Milano, 1998, 196; Scognamiglio: Diritto del lavoro,
Jovene, Napoli, 1994, 219.
15
quanto riferibili a condizioni e modalità di espletamento della prestazione, contingenti,
precari e mutevoli".
24
Al principio dell'irriducibilità della retribuzione derogano due sole ipotesi, l'una
si ha quando tra l'interesse del lavoratore a non vedere pregiudicata la propria
posizione professionale e l'interesse dello stesso alla conservazione del posto, si
privilegia quest'ultimo, per cui si consente, in presenza di una ristrutturazione
dell'azienda, di disporre un mutamento peggiorativo delle mansioni in luogo del
licenziamento;
25
l'altra ipotesi è prevista dal legislatore, sempre nell'interesse del
mantenimento del posto di lavoro, e si verifica quando gli accordi sindacali, stipulati
nel corso delle procedure di mobilità e diretti al riassorbimento del personale,
possono consentire di assegnare i lavoratori a mansioni inferiori (art. 4 comma 11 l.
223\93).
26
Passando ora ad esaminare la regolamentazione della retribuzione da parte
delle fonti collettive, va preliminarmente sottolineato che i sindacati, nel momento in
cui pongono in essere le trattative per la stipula di un CCNL, non fanno altro che
esplicare un potere di autonomia sindacale, in forza dell'art. 1322 c.c.; si potrebbe
24
Cass. 16.7.83 n. 4917, in Notiziario della giurisprudenza del lavoro, 1983, 451. V. anche
Cass. 13.12.96 n. 11124, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1997, 200; Cass. 8.8.96 n.
7277, in Giurisprudenza civile, 1996, 1130; Cass. 15.2.96 n.1175, in Rivista italiana di diritto del
lavoro, 1996, II, 804.
25
Cass. 29.11.88 n. 6441, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1988; Cass.
8.9.88 n. 5092, in Notiziario della giurisprudenza del lavoro, 1998, 775.
26
Giammaria: Disciplina delle mansioni e flessibilità: le deroghe all'art. 2103 c.c., in
Flessibilità e diritto del lavoro, vol. II, a cura di G. Santoro Passarelli, Giappichelli, Torino, 1997, 25.
16
dire che l'attività dei sindacati costituisce una species, a fianco di quella individuale,
entro il genus dell'autonomia privata.
27
Si può affermare che nell'ambito delle fonti di regolamentazione della
retribuzione, l'autonomia collettiva ha un ruolo prevalente; infatti mentre la disciplina
legale si è limitata a sancire una serie di garanzie indisponibili e di diritti fondamentali
del singolo (retribuzione equa e sufficiente, misure a tutela di taluni settori deboli,
parità per le donne e i minori, retribuzione feriale, forme di tutela del reddito) ed a
prevedere regole generali in tema di sistemi retributivi,
28
la contrattazione collettiva,
invece, assolve tradizionalmente al compito di determinare in concreto la misura e la
composizione della retribuzione.
29
Come sopra rilevato, nel nostro ordinamento non esiste una retribuzione
stabilita dalla legge, per cui l'unica fonte alla quale far riferimento per determinarne
l'ammontare è la contrattazione collettiva. "Ne deriva che la proporzione tra quantità
e qualità del lavoro prestato e la retribuzione è fissata, di volta in volta e caso per
caso, dai sindacati".
30
In altri termini, le associazioni stipulanti, nell'esercizio della libertà sindacale
(art. 39 Cost.), regolando legittimamente i conflitti e gli interessi collettivi,
determinano la misura del trattamento economico e normativo dei lavoratori. Inoltre,
sempre nel rispetto dei limiti posti dall'art. 36 Cost., l'autonomia collettiva può – come
meglio vedremo in seguito – stabilire un trattamento economico meno favorevole ai
27
Persiani: Il diritto sindacale, Cedam, Padova, 1994, 97.
28
Zoli: La retribuzione tra garantismo e flessibilità: recenti scenari contrattuali e
giurisprudenziali, in Diritto delle relazioni industriali n. 1/97, 19.
29
Ciucciovino cit., 241.
30
Persiani: I nuovi problemi giuridici della retribuzione, Cedam, Padova, 1982, 3.
17
lavoratori, rispetto a quello previsto dal contratto collettivo precedente, salvo
l'intangibilità di quei diritti già maturati in capo al lavoratore per prestazioni ormai
rese, essendo così sorto un diritto soggettivo del lavoratore medesimo.
31
A conferma di quanto testé detto, va rilevato che, in base ad una consolidata
interpretazione giurisprudenziale, i livelli retributivi tabellari previsti dai contratti
collettivi sono considerati imprescindibili parametri di riferimento per determinare la
retribuzione spettante a tutti i lavoratori indipendentemente dalla loro iscrizione ai
sindacati stipulanti; viene cioè riconosciuto ai contratti collettivi di diritto comune - per
la sola parte economica - un'efficacia molto ampia, come meglio verrà esaminato di
seguito.
32
31
Persiani cit., 110-111; Ciucciovino cit., 245.
32
Con riguardo ai lavoratori non iscritti al sindacato, la giurisprudenza maggioritaria ha
ritenuto che l'efficacia del contratto collettivo si estenda anche ad essi, in quanto la contrattazione
collettiva disciplina il rapporto di lavoro dell'intero personale dipendente, e quindi anche di coloro che
non sono rappresentati dal sindacato stipulante, purché non contenga solo disposizioni peggiorative
(Cass. 1438/93: "l'accordo sindacale aziendale è efficace nei confronti dei lavoratori non aderenti al
sindacato che lo ha stipulato, purchè non contenga solo disposizioni peggiorative della precedente
disciplina collettiva", in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1994, II, 61).
In varie occasioni la Cassazione ha ritenuto applicabile un contratto aziendale anche ai non
associati che comunque vi abbiano dato adesione, anche implicita, "desumibile da fatti concludenti
che comprovino la ratifica e l'approvazione dell'operato delle organizzazioni sindacali" (Cass.
26.64.92, Giustizia civile, 1993, I, 496).
In altra occasione la S.C. ha ribadito che gli accordi e i contratti collettivi contenenti mere
deroghe del trattamento in precedenza stabilito non siano applicabili ai lavoratori non iscritti al
sindacato stipulante o che, comunque, abbiano espresso il loro dissenso (Cass. 1403/90, con nota di
Romei, in Foro italiano, 1990, 877).