INTRODUZIONE
Il termine flessibilità nell’ambito del lavoro e delle risorse umane è divenuto negli
ultimi anni di uso sempre più frequente ed oggetto di discussioni e dibattiti.
L’evoluzione dell’economia, la globalizzazione, il sorgere di nuove esigenze,
l’attenzione crescente sulle risorse umane, considerate oggi come uno dei fattori
fondamentali per la crescita delle aziende, ha fatto crescere l’attenzione sul tema
della flessibilità delle risorse umane poiché questa può fungere, a seconda della
prospettiva, come un ingrediente fondamentale per l’economia in genere in quanto
incorpora una serie di elementi positivi, o piuttosto come un fattore negativo che ha
condotto, in concomitanza con altri fattori, alla crisi economica ed occupazionale
verificatosi a partire dal biennio 2007/2008 e che si protraendo fino ad oggi.
Proprio dalla crescita esponenziale dell’attenzione rivolta al tema della flessibilità è
nata l’idea del progetto.
Il seguente lavoro si pone tre obiettivi principali. Il primo è di fare chiarezza sul
concetto di flessibilità nell’ambito delle risorse umane ; difatti il termine flessibilità
viene generalmente utilizzato in modo univoco per far riferimento a diverse
situazioni e questo può indurre confusione a riguardo.
Il secondo scopo è verificare quali strumenti e in quale intensità vengono utilizzati
per attivare la flessibilità in Italia e in altri Paesi analizzando le analogie e le
differenze.
Il terzo fine è esaminare le conseguenze e le implicazioni che la flessibilità
comporta su uno dei soggetti coinvolti: la risorsa umana ossia il lavoratore.
Quest’ultimo, infatti, quasi sempre subisce le scelte in materia di lavoro di altri
soggetti. In questo lavoro si è cercato di dare voce alle loro opinioni in merito e alla
loro disponibilità verso l’attuazione di una maggiore flessibilità.
Relativamente al primo obiettivo il lavoro si soffermerà dapprima sui numerosi
concetti teorici che fanno parte dell’ampio concetto di flessibilità e poi sull’analisi
di dati numerici che mostrano l’effettiva applicazione della flessibilità da parte delle
imprese. Per fare ciò si farà ricordo ad un approccio di tipo giuridico con il quale
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sverranno delineate le linee normative di riferimento e ad un approccio di natura
economico-aziendalistico, il quale prevalerà sull’altro, con il quale si vuole
sottolineare il lato economico e concreto. I due approcci non sono a contrasto ma il
loro concomitante utilizzo farà in modo che l’analisi sia completa.
In merito al secondo è stata effettuata una ricerca empirica che ha coinvolto
direttamente i lavoratori per raccogliere le loro opinioni.
La struttura della tesi è composta da quattro capitoli. Nel primo è delineato un
framework teorico sulla flessibilità del lavoro il quale illustra un exsursus circa le
principali teorie, di diversa natura, elaborate relativamente al fenomeno studiato. Si
parte dalle origini del termine flessibilità del lavoro; sono origine derivate in quanto
come illustrato dal primo paragrafo è sorto dalle critiche rivolte alla rigidità del
lavoro. Nel paragrafo seguente saranno illustrate le evoluzioni teoriche circa il
fenomeno della flessibilità dalle origini fino al momento attuale. Una volta
analizzata l’evoluzione si provvederà a definire le diverse categorie teoriche di
flessibilità. La flessibilità contrattuale la quale fa riferimento all’utilizzo di
strumenti legislativi allo scopo di introdurre una maggiore mobilità all’interno del
mercato di lavoro è affrontata nel secondo paragrafo, nel paragrafo seguente viene
illustrato il modello economico alla base della scelta per le imprese tra il contratto a
tempo determinato e il contratto a tempo indeterminato. Infine abbiamo le teorie
sulla flessibilità temporale, affrontate nel quarto paragrafo, la quale si riferisce
all’elasticità in merito all’orario del lavoro. Negli ultimi due paragrafi del primo
capitolo verranno mostrate le teorie circa i vantaggi e gli svantaggi per i due
soggetti direttamente coinvolti in un rapporto di lavoro: l’impresa e il lavoratore. La
tematica relativa alle imprese è affrontata nel quinto paragrafo, nel sesto ed ultimo
del capitolo invece si farà riferimento alla posizione dei lavoratori.
Sulla base delle queste teorie il concetto di flessibilità viene suddiviso in quattro
categorie: in entrata, in uscita, interna ed esterna.
Le prime due forme sono state approfondite nel secondo capitolo il quale fornisce
innanzitutto un riferimento generale alla flessibilità in entrata dando attenzione in
particolare alle numerose normative che si sono susseguite nel tempo in Italia; il
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tema è stato affrontato sia con approccio giuridico il quale si sofferma sulla
variazioni dispositive avvenute, sia con un approccio economico-aziendalistico
tramite l’osservazione dei pareri, sia positivi che negativi, sui principali interventi
legislativi.
Nei paragrafi seguenti verranno illustrati, sempre con l’ausilio di entrambi gli
approcci, i principali strumenti a disposizione delle imprese per attuare la flessibilità
in entrata. Tali strumenti sono nello specifico il contratto a tempo determinato,
considerato l’emblema della flessibilità , l’apprendistato, lo stage e il tirocinio. Nel
quinto paragrafo il percorso seguito per la flessibilità in entrata verrà seguito in
modo analogo per la flessibilità in uscita. Gli ultimi due paragrafi si soffermano
sugli strumenti tipici della flessibilità in uscita: il licenziamento e le dimissioni. Un
attenzione particolare verrà dato al primo in virtù dei numerosi dibattiti di natura
politica- economica- sociale che si susseguono da alcuni anni in merito alla libertà
di licenziamento. Per ciascun strumento verranno forniti dati statistici in merito alla
lora effettiva utilizzazione
Le altre due forme di flessibilità, interna ed esterna, verranno esposte nel quarto
capitolo sempre con l’ausilio dei due approcci, uno di natura giuridico, l’altro di
natura economico-aziendalistico. Il primo paragrafo affronta le posizioni sia
dell’impresa che dei lavoratori in merito ad ambedue le forme. In particolare ci si
soffermerà sulla definizione di flessibilità interna ed esterna e sui punti di forza e di
debolezza di ciascuna di esse. Circa la definizione sarà effettuata una importante
categorizzazione; la flessibilità interna è suddivisibile in quantitativa (o numerica) e
qualitativa (o funzionale). La flessibilità esterna è, invece solo qualitativa (o
funzionale). Nei paragrafi seguenti, dal primo al sesto, saranno mostrati i principali
strumenti quali l’orario flessibile, il part-time, la job rotation, il telelavoro e la
collaborazione a progetto. Per ciascuno di essi sarà dapprima effettuato un exsursus
giuridico che delinei le principali normative, poi un analisi di tipo economico e
infine verranno forniti i dati statistici che mostrano dove e in che intensità il
mercato del lavoro fa ricorso a tali rapporti.
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L’ultimo capitolo della tesi fa riferimento alla ricerca empirica effettuata in
relazione alle implicazioni della flessibilità sui lavoratori. Dapprima verranno
specificati gli obiettivi e le metodologie utilizzare per effettuare la ricerca,
successivamente saranno illustrate le caratteristiche del campione esaminato e infine
verranno mostrati i dati raccolti con la relativa analisi. In riferimento a quest’ultimo
punto saranno effettuate due tipologie di esame: una singola in relazione a ciascun
punto su cui sono state richieste opinioni a riguardo, un’altra comparata che si
baserà sul confronto tra più punti.
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CAPITOLO 1: UN FRAMEWORK TEORICO SULLA
FLESSIBILITA’ DEL LAVORO
1.1: LE PRIME CRITICHE ALLA RIGIDITA’ DEL LAVORO
Il concetto di flessibilità nell’ambito delle risorse umane non presenta una valenza
univoca; difatti tale termine comprende sia la modalità di organizzazione dell’intero
apparato, sia l’insieme delle forme di lavoro alternative alla modalità ordinaria di
rapporto lavorativo inteso come il contratto subordinato a tempo indeterminato e a
tempo pieno.
Sebbene a prima battuta il concetto di flessibilità possa sembrare moderno e recente
in realtà ha origini datate.
Le prime avvisaglie che si intravedono non sono direttamente connesse al concetto
di flessibilità, piuttosto all’analisi di modelli organizzativi rigidi.
Uno dei primi a criticare la rigidità e la routine del lavoro manuale nelle fabbriche
fu Adam Smith nel saggio “La ricchezza delle nazioni”
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pubblicato nel 1776 con il
quale si contrappose alla Enciclopedia di Diderot pubblicata tra il 1751 e il 1772.
“Diderot credeva che la routine nel lavoro potesse essere, come ogni altro tipo di
studio approfondito, un insostituibile mezzo di apprendimento; Smith da parte sua
riteneva che la routine uccidesse lo spirito.” (Sennet, 2001).
Smith si avvale di un esempio pratico per dimostrare i lati negativi della routine:
uno spillettaio in una fabbrica di spilli. Uno spillettaio che fabbrica da solo lo spillo
intero produce una quantità nettamente inferiore rispetto a un’organizzazione del
lavoro basata sulla nuova divisione del lavoro; quest’ultima prevede la
scomposizione della fabbricazione in diversi atti e ogni lavoratore si occupa di
ciascuno di essi.
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Nell’opera Smith individua come fonti della ricchezza delle nazioni il lavoro svolto in essa e la capacità
produttiva del lavoro stesso.
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