Il piano della mia ricerca, pertanto, è il seguente:
● nel primo capitolo, seguendo un percorso di tipo diacronico, si descrive il concetto di
tempo libero: com’è cambiato nel corso degli anni (dall’idea di “tempo di lavoro” a
quella di “tempo libero”, dalla “passeggiata” al fitness) e le azioni volte a rendere gioioso
il corpo e la mente (il concetto di “eternità del corpo” in rapporto con il fitness), e che
cosa vuol dire essere felici col proprio corpo attraverso la pratica del fitness;
● nel secondo capitolo delineo le tre forme di tempo libero vicine al mondo del fitness
(seguendo un percorso sincronico/descrittivo incentrato sulla realtà odierna): lo sport, il
Body Building, il wellness;
● nel terzo capitolo (in un approccio multidisciplinare) analizzo le varie definizioni date al
termine fitness nei diversi e fondamentali aspetti della vita di ogni giorno a cominciare
da quello della salute e, infine, il suo rapporto con la società mettendone in risalto il
ruolo da protagonista che sta assumendo nella nostra contemporaneità;
● nel quarto capitolo (approccio politico-sociale) espongo il concetto di fitness come
esplorazione dell’immagine e della corporalità dell’individuo, l’espressione e la forma
che ha assunto nell’ambito delle democrazie individualistiche occidentali, il concetto di
benessere e di moda, le relazioni col turismo (“di movimento”) e col territorio (urbano e
rurale);
● nel quinto capitolo (approccio economico) propongo lo studio di alcuni aspetti
economico/gestionali dei centri fitness e del club dove collaboro.
All’inizio e alla fine d’ogni capitolo proporrò una vignetta tratta dal “Decalogo del benessere”
perché ritengo che ogni discorso sulla salute individuale e collettiva debba necessariamente passare
attraverso un corretto stile di vita e al rispetto e all’adempimento delle regole ad esso preposte. Per
questo Pubblicità Progresso ha realizzato, con la consulenza scientifica di Eugenio Del Toma, dieci
“regole auree”, pratiche e facili da rispettare, che, facendo leva sul senso di responsabilità di ognuno
di noi, possono contribuire a farci ritrovare un nuovo desiderio di benessere, anche attraverso una
migliore, e più costante, attività fisica. Attraverso la “Campagna Movimento”, Pubblicità Progresso
vuole, in sostanza, ispirare una più ampia riflessione su una società falsamente dinamica, abituata
alla comodità a discapito della vita attiva, promuovendo come valida alternativa una nuova e più
corretta cultura del movimento. Insomma, dieci semplici consigli che tutti noi possiamo seguire
nella nostra routine quotidiana e che ci faranno stare meglio. Messaggi semplici che riassumono
tutto ciò che verrà poi tematizzato nel corso dei vari capitoli, dove trasparirà anche un concetto di
sport quale fattore di crescita umana e civile, di inserimento nella comunità, di partecipazione alla
vita sociale, di tolleranza, di accettazione delle differenze e di rispetto delle regole
[campagnamovimento.org]. Credo, infatti, sia sempre necessario tradurre in termini semplici e -
perché no - simpatici, argomentazioni tecniche e/o scientifiche così che possano arrivare al maggior
numero di persone possibile. In più ciò si sposa perfettamente con l’ambiente fitness, dove
convivono insieme i concetti di serietà e gioco, fatica e piacere.
Le varie attività che si svolgono nei centri fitness hanno una struttura emozionale particolare che
le avvicina e le allontana dal gioco. Da un lato la loro struttura emozionale è speculare al gioco:
essa rappresenta un dominio di “non-serietà seria”. Una realtà separata dal resto del mondo sociale
mediante una membrana che la rende relativamente non consequenziale, e quindi importante in se
stessa, altamente coinvolgente. D’altra parte le attività di fitness sono invece un dominio di “seria
non-serietà”, un ambito di azione sociale serio, che tuttavia modula la propria serietà così da
2
favorire l’attenzione per il procedere dell’azione. Ne consegue che il fitness ha una struttura
emozionale tanto complessa quanto quella del gioco. Essa poggia su un doppio paradosso:
l’esercizio fisico ottiene effetti seri sul corpo di chi lo esegue costituendosi come un ambito di non-
serietà che l’individuo può prendere sul serio. Il frequentatore di un centro fitness potrà prestare
attenzione all’evolversi dell’esercizio mettendo tra parentesi, ma non scartando completamente,
l’utilità esterna dei propri sforzi. Il valore di quest’ultimi è definito da spinte interne e
consequenziali, ma questi stimoli vengono filtrati così che il soggetto possa pensare di stare facendo
qualcosa che, come un gioco, è rilevante in se stesso. Vivendo l’attività fisica come un presente
significativo, una persona potrà quindi riuscire a impegnarsi di più e più seriamente. Tale relativa e
modulata non-serietà permette di prendere sul serio l’immediato svolgersi dell’azione.
Il frequentatore del centro fitness deve, per un attimo, potersi dimenticare di ciò che vuole
ottenere con i propri sforzi sebbene creda che essi saranno produttivi ed efficaci [Sassatelli 2000,
118-9].
Questa sarà dunque l’impostazione che cercherò di adottare (nei limiti del possibile) in questa
ricerca, che dedico alla mia famiglia ed in particolare a mia madre per esserci sempre stata e per
avermi dedicato la sua vita.
3
4
Capitolo primo
UOMO DEL TEMPO LIBERO E DEL BENESSERE
FELICE
1.1
Nozioni di felicità
Per introdurre il tema specifico di questo capitolo vorrei cominciare ponendo una domanda
provocatoriamente retorica: che cos’è la felicità? Una domanda vecchia quanto l’umanità stessa nei
confronti della quale è impossibile formulare una risposta univoca, sia perché oggettivamente
impossibile sia perché non rappresenta lo scopo della mia ricerca; tuttavia il concetto di felicità non
è del tutto alieno dalla pratica del fitness in quanto l’impatto “felicifico” [Frey 2006, pp. XII] di
questa attività sull’uomo trasparirà in tutti i capitoli successivi. Dal punto di vista semantico i
termini fitness (“salute”) e happiness (felicità) oltre ad avere in comune il suffisso di stato o
condizione -ness hanno molte altre affinità, come ad esempio il fatto di non essere definibili in
modo univoco ed essere in qualche modo sociologicamente interscambiabili visto lo stretto nesso
causale esistente tra le due parole nella società contemporanea: non c’è fitness senza felicità e non
c’è felicità senza fitness. Insomma, tutti vogliono essere felici; la felicità è una condizione di
benessere dell’essere umano [wikipedia.org], una fuga dall’insoddisfazione [Bauman 1999, 127] e
la sua ricerca viene auspicata persino nel preambolo della dichiarazione di indipendenza U.S.A.,
«Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini […] sono dal
Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca
della Felicità; […]» [quartaemme.blogspot.com]
5
e il regno del Bhutan si sforza di massimizzare la “Felicità Nazionale Lorda”. Esistono anche
misure di calcolo della felicità e la seguente funzione ne è un esempio [Frey 2006, pp. XV]:
W = H [U(Y,t)] + ε [Blenchflower e Osward 2000b in ibidem, 40-1]
dove W rappresenta il livello di benessere autostimato; la funzione U (…) rappresenta il
benessere o l’utilità dell’intervistato; Y rappresenta l’intero insieme dettagliato delle determinanti
del benessere soggettivo dichiarato; il fattore t indica che la relazione tra le determinanti Y e il
benessere può variare nel corso del tempo per diverse ragioni; H […] è una funzione continua non
differenziabile che lega il benessere effettivo a quello dichiarato e cresce all’aumentare di U, il
termine di disturbo ε serve per catturare altri fattori nascosti che influenzano la connessione tra il
benessere attuale e quello dichiarato, come ad esempio l’incapacità degli uomini ad esprimere
precisamente quale sia il loro livello di felicità. Senza dubbio è comunque possibile scomporre il
benessere soggettivo in unità sempre più precise, come si può notare nella seguente tabella [Frey
2006, pp. 37-41]:
Tab. 1.1 – Dimensioni della felicità
Emozione piacevole Emozione spiacevole Soddisfazione di vita
Gioia Colpa e vergogna Desiderio di cambiare vita
Euforia Tristezza Soddisfazione per la vita presente
Contentezza Ansietà e timore Soddisfazione per il passato
Orgoglio Rabbia Soddisfazione per il futuro
Simpatia Stress
Felicità Depressione
Estasi Invidia
Considerazioni significative che
gli altri hanno della vita di una
persona
Fonte: Diener et al. (1999), tabella 1 [ibidem, 38]
Riguardo il nostro paese, poi, sembra che gli italiani siano noti nel mondo per essere un popolo
felice [ibidem, pp. XV] ma, in numeri, i conti non tornano! Lo ha dimostrato, come si può vedere
nella seguente figura, il prof. Ruut Veenhoven, dell’università Erasmus di Rotterdam, che coordina
un progetto per calcolare il tasso di felicità in 95 Paesi [Pasqui, 2007]:
Fonte: Vanity Fair (23/08/2007)
6
Su una scala da 1 a 10, i più felici in assoluto sono i danesi (8,2), seguiti dagli svizzeri e dagli
austriaci, mentre in coda ci sono Tanzania (3,2), Zimbabwe (3,3) e Moldova (3,5). Nelle Americhe i
più felici sono i colombiani (8,1), che precedono gli statunitensi (7,4). In Africa al top c’è la Nigeria
(6,4), in Asia e Medioriente il Kuwait (7) e Singapore (6,8). L’Italia (6,9), infine, è al 26° posto -
meno felice della Germania (7,2) ma più della Francia (6,5) - anche se nel periodo 1973-2006 è
stato il Paese che ha fatto registrare l’aumento di felicità più consistente, guadagnando quasi un
punto percentuale [ibidem]. Nonostante questo recupero, però, gli italiani rimangono tra i più
infelici d’Europa. E’ questo il ritratto che viene fuori dall’articolo sul New York Times “In a Funk,
Italy Sings an Aria of Disappointment” (“Con la Tremarella, l’Italia Canta un’Aria di Delusione”,
13 Dicembre 2007), che dedica al Bel Paese un servizio di ben quattro pagine, dove viene
fotografata una situazione politica ed economica piuttosto deprecabile, che sta portando il nostro
paese a retrocedere in competitività internazionale rispetto agli altri Stati europei. «Se il mondo
intero ama l’Italia per il suo patrimonio di storia e cultura - esordisce l’articolo - e per il sano stile di
vita mediterraneo, sembra tuttavia che gli italiani oggi non amino più se stessi. La parola che ormai
ricorre sempre più è “malessere”». Nello specifico, il vocabolo utilizzato è “malaise” (“malessere”
in inglese) e sottintende un timore collettivo (economico, politico e sociale) che si riassume in un
recente studio dell’Università di Cambridge - basato sulla ricerca-sondaggio dell’economista
italiana Luisa Corrado - dal quale emerge come gli italiani, nonostante sostengano di conoscere
approfonditamente l’arte del vivere, risultino essere le persone meno felici tra i 15 paesi dell’Europa
Occidentale. I ricercatori hanno messo in relazione le differenze nella felicità riportata nei Paesi e
svariati fattori politici, compresi la fiducia nella realtà attorno a loro, non per ultimo il governo. In
Danimarca, la nazione più felice, il 64% ha fiducia nel Parlamento, in Italia appena il 36% (ultimo
posto tra le nazioni europee). Insomma, politica frammentata, crescita economica incerta, crimine
organizzato e uno scarso spirito nazionalistico sono i fattori che hanno maggiormente penalizzato
l’Italia in Europa e hanno contribuito alla perdita di competitività e credibilità. «Le ultime indagini
di settore - prosegue l’articolo - rilevano una nazione con un numero maggiore di anziani e di
poveri. Le piccole e medie imprese, colonna portante dell’economia nazionale, sono stritolate dal
mercato globale e soprattutto dalla concorrenza al ribasso della Cina. Il 70% dei giovani tra i 20 e i
30 anni vive ancora in famiglia, costretti ad una prolungata e improduttiva adolescenza. I più capaci
e intraprendenti, invece, decidono di emigrare all’estero, come facevano molti poveri nel secolo
scorso». Il tenore di vita italiano, quindi, si è notevolmente abbassato, al punto che il Papa ha
proposto un consistente aumento dei pacchi di cibo per i poveri. Infatti, l’11% delle famiglie italiane
vive al di sotto della soglia di povertà, e il 15% ha difficoltà ad arrivare a fine mese col salario. A
supporto di tale desolante quadro viene riportata anche una dichiarazione dell’ambasciatore
americano in Italia Ronald Spogli, che afferma come la situazione interna della nazione possa
influire nel ridimensionare l’importanza dei rapporti internazionali con gli Stati Uniti. «I migliori
amici degli Stati Uniti sono i partner economici - ha spiegato l’ambasciatore - e l’Italia non può
essere considerata tra i principali. Burocrazia e regole poco chiare hanno avuto come risultato nel
2004 un investimento in Italia da parte degli Stati Uniti di soli 16 miliardi di dollari. In Spagna
invece se ne sono avuti 49,3. Gli italiani - continua Spogli - devono potare l’edera che è cresciuta
attorno a questo fantastico albero vecchio 2.500 anni e che minaccia di ucciderlo». Ma le interviste
con gli uomini d’affari, con gli accademici, con gli economisti e con altri italiani suggeriscono che
la più importante ragione di questo malessere sembra essere la sensazione che non c’è molta
speranza che l’edera possa essere tagliata, e ciò rende gli abitanti dello Stivale tristi e arrabbiati
[anonimo-italiano.webboys.org]. Comunque, al di là delle varie misurazioni possibili, la felicità
(felicitas, deriv. felix-icis “felice”, la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità) è
una condizione (emozione) fortemente positiva che occupa un posto di rilievo già nelle dottrine
morali dell’antichità classica - dette dottrine etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonia =
felicità) - e di ogni scienza umanistica, oggi come ieri [wikipedia.org]. Lo stesso Aristotele definì la
felicità come il bene supremo consistente nel condurre una vita virtuosa piuttosto che nel perseguire
7
piaceri materiali (una persona felice è una persona virtuosa) [Frey 2006, 31-32], mentre al giorno
d’oggi gli studi si sono concentrati in massima parte sui fattori soggettivi (wellbeing => “essere in
buona salute”) su cui essa poggerebbe. Infatti secondo Argyle, uno dei maggiori studiosi in materia,
la felicità è rappresentata da un senso generale di benessere complessivo che può essere scomposto
in termini di appagamento in aree specifiche come ad esempio il matrimonio, il lavoro, la salute, il
tempo libero, ecc. [Vittorini 2002]. In conclusione di quanto sopra descritto - pur conscio
dell’impossibilità di una definizione esaustiva di felicità, delle sue caratteristiche variabili e della
sua multidisciplinarietà - si può definire il concetto di felicità, ai fini della mia ricerca, come
quell’insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia.
In particolare, ritengo esatta la correlazione positiva tra tempo libero e felicità esposta da Argyle,
infatti tra le attività di “loisir” (svago), che sono state analizzate come produttrici di soddisfazione,
non a caso si annoverano le attività sportive, le quali contribuiscono a ridurre depressione, ansia e
numerose altre patologie (per le quali rimando al capitolo 3), anche se purtroppo l’attività ricreativa
oggi più popolare è guardare la televisione (stile di vita basato sulla sedentary life; cfr. grafici 1.1 e
1.2) [Frey 2006, 135-6].
Grafico 1.1 – Persone di 3 anni e più che praticano sport, qualche attività fisica e persone non
praticanti – Anno 2000 (per 100 persone di 3 anni e più)
Fonte: Istat [Istat 2005a, 219]
8
Grafico 1.2 – Persone di 3 anni e più che non praticano sport né attività fisica per sesso e classe
di età – Anno 2000 (per 100 persone di 3 anni e più dello stesso sesso e classe di
età).
Fonte: Istat [Istat 2005a, 55]
Appare chiaro che presa in dosi moderate può dare soddisfazione, ma guardare troppa televisione
(cfr. tab. 1.2) produce infelicità [Frey 2006, 135-6].
Tab. 1.2 – Persone di 11 anni e più che praticano sport per tempo di esposizione giornaliero alla
Tv – Anno 2000 (per 100 persone di 11 anni e più con lo stesso tempo di esposizione
giornaliero alla Tv)
Fonte: Istat [Istat 2005a, 156]
9
1.2
Dal tempo di lavoro al tempo libero, un approccio diacronico
La società industriale e quella postindustriale - grazie alle profonde trasformazioni tecnologiche
(macchine automatiche prima ed elettroniche poi) e scientifiche (farmacologia, medicina, chirurgia)
che hanno accresciuto rispettivamente produttività e longevità - hanno permesso di liberare quantità
crescenti di tempo libero, cioè di tempo volontariamente non impiegato nell’attività lavorativa.
Secondo i calcoli di Alain Corbin, negli ultimi 150 anni la durata annuale del lavoro si è ridotta da
circa 4000 ore/anno della metà del XIX secolo alle odierne 1800 ore e si è sviluppata su diversi
piani: la durata giornaliera di lavoro (passata dalle 15 alle 8 ore giornaliere), il tempo di riposo
settimanale (dalla domenica, al “sabato inglese”, al “lungo fine settimana”), le vacanze pagate e
l’età di pensionamento [ch-historia.ch]. Il capitale di tempo libero nell’arco di una vita era nel 1800
di 25.000 ore ed è passato nel periodo 1945-1975 da 45.000 ore a 135.000 ore. Perciò, a conti fatti,
oggi un ventenne ha davanti a sé almeno sessant’anni di vita che, tradotti in ore, equivalgono a
525.000 ore: tolto il lavoro e la cura del suo corpo gli rimane un monte di tempo libero pari a
226.000 ore (una quantità tripla rispetto al suo tempo di lavoro: 80.000 ore) [De Masi 1999, 7, 264].
Un ulteriore spunto di riflessione può venire dalla seguente tabella:
Tab. 1.3 – Occupati per numero di ore settimanali effettivamente lavorate e settore di attività
Anno 2004, composizioni percentuali
Fonte: Istat
In Gran Bretagna, ad esempio, un effetto della trasformazione economica (il reddito reale
nazionale pro capite quadruplicò), demografica e spaziale delle città del XIX secolo (rapida
urbanizzazione di molti centri) fu di produrre comunità di classi operaie autoregolate che svolsero
un ruolo fondamentale nello sviluppo di forme di svago. Inoltre, la diffusione di un sistema di
lavoro più organizzato e routinizzato portò a tentativi di sviluppare anche una razionalizzazione del
tempo libero come pure delle prime stazioni balneari britanniche [Urry 1995, 36-39].
Passando poi al XX secolo si può notare come già negli Anni Settanta molti americani erano
interessati a lavorare meno a fronte di una retribuzione inferiore; in particolare giovani desiderosi di
organizzare la loro vita in modo diverso e di disporre di più tempo libero. Infatti il benessere
individuale non è una sensazione isolata ma discende dalle condizioni in cui si vive. Ricerche
effettuate negli Anni Novanta hanno poi confermato come i lavoratori dipendenti siano meno
disponibili a sacrifici per la carriera, intendendo dedicare più tempo ed energie alla propria vita
privata. Questo interesse a scambiare reddito per tempo libero riflette una maggiore preoccupazione
degli americani per le responsabilità familiari e i bisogni personali; in particolar modo per i genitori
dato che - con la maggioranza delle donne entrate a far parte della forza lavoro (cfr. tab. 1.4 per i
dati italiani) - i bambini vengono sempre più abbandonati a se stessi con la conseguenza di un
10
Assenti
dal lavoro
Fino a
10 ore
11-30
ore
31 ore e oltre
Totale di cui: 40 ore
Valore non
disponibile
Agricoltura 5,5 3,3 17,7 69,2 20,9 4,2
Industria 9,2 1,2 9,0 78,8 49,5 1,9
in senso stretto 9,6 1,0 8,7 79,3 50,4 1,4
costruzioni 7,9 1,5 9,8 77,7 47,0 3,2
Servizi 8,4 2,9 21,0 65,2 22,5 2,4
Totale 8,5 2,4 17,2 69,6 30,7 2,3
aumento dei fenomeni di depressione infantile, delinquenza, suicidio [Rifkin 1995, 360, 372-3] e,
aggiungerei, di bullismo, di drop out (abbandono della pratica sportiva) e di doping [Istat 2005a,
198].
Tab. 1.4 – Ore quotidiane di lavoro svolto dalle donne
Lavoro familiare Lavoro domestico Cura dei figli
fino a 13 anni
1988-89 7,0 5,2 1,7
2002-03 6,4 4,3 2,1
Fonte: Istat
Un aneddoto curioso riguarda un capo indigeno delle isole Samoa (Tuiavii di Tiavea) che venuto
in Europa agli inizi del 1900 scrisse, in una sorta di reportage antropologico: «Il Papalagi (uomo
bianco) non ha tempo.» L’assillo del tempo, dunque, agli occhi di un viaggiatore acuto e ancora
legato ai ritmi della natura, appariva subito come una delle questioni cruciali della vita europea. Del
resto, anche i selvaggi di cui aveva parlato Montaigne molti anni prima, una volta portati in Europa,
erano rimasti stupiti dell’uso frenetico che l’uomo bianco faceva del suo tempo [De Masi 1999,
265-6]. Fortunatamente, il tempo libero si è sempre più affermato favorendo lo sviluppo del loisir o
del divertimento inteso come ricreazione dello spirito, distratto dalle preoccupazioni abituali e volto
a creare benessere e piacere. Pertanto, dal punto di vista del tempo impiegato, della gerarchia dei
valori e dell’allocazione di denaro, lo svago appare come una preoccupazione d’importanza
crescente nella società contemporanea determinando il nostro grado di benessere, o meglio, la
cosiddetta qualità della vita [ch-historia.ch].
La nascita e l’affermarsi del fenomeno fitness fino alle sue ramificazioni più recenti (wellness,
ecc.), sono di conseguenza strettamente collegati al tempo libero, ai mutamenti nelle modalità del
suo impiego e delle caratteristiche socioeconomiche di chi poteva disporne, il ceto medio prima e la
classe operaia poi. Infatti, con l’avanzare della cultura commerciale e con l’aumentare del tempo
libero, si sono andate via via sviluppando istituzioni del consumo sempre più autonome e
differenziate: dai ristoranti alle discoteche, dai centri commerciali sino, appunto, ai centri fitness
[Sassatelli 2000, 222-3]. Vediamo, allora, come si è arrivati a questa precondizione del fitness, o
meglio, come si è passati dalla “passeggiata” al fitness.
Riferimenti allo sport e alla pratica di attività fisiche giornaliere sono presenti già durante le
antiche civiltà della Siria, dell’Egitto, della Macedonia, dell’Arabia, della Mesopotamia, dell’India e
della Cina; ma il periodo in cui il concetto del benessere legato all’attività fisica ebbe il massimo
splendore, fu nell’antica Grecia. Testimonianze possiamo ricavarne negli scritti di Erodico (V
secolo a.C.), medico e atleta, sostenitore dell’importanza della dieta nell’allenamento, con Ippocrate
(dal 460 al 377 a.C.) il padre della medicina preventiva, e infine con Galeno (dal 131 al 201 d.C. ),
forse il medico più famoso dell’antichità,i cui scritti ispirarono Mercuriale nella seconda metà del
1500, il quale influenzò lo sviluppo dell’attività fisica e le metodologie dell’allenamento
[benessere.com]. Presso gli antichi romani, poi, il tempo libero era determinato dalla condizione
sociale di appartenenza in quanto solo al cittadino nobile, costretto a farsi carico della tensione degli
affari pubblici, era riconosciuto il diritto all’otium ovvero ad un riposo che gli consentisse di
ritrovare se stesso attraverso l’esercizio fisico e quant’altro [Battilani 2001, 26].
«Mi sveglio quando mi piace, per lo più verso la prima ora […] Verso l’ora quarta e quinta, se
il tempo lo permette mi reco sul terrazzo […] Monto poi in vettura (era di moda passeggiare in
lettiga nei giardini delle ville). Poi passeggio ancora, mi ungo, faccio esercizi fisici, mi lavo […]
Qualche volta vo a caccia.» (Plinio il Giovane, Lettere familiari, XI, 36)
11
La stesso uso dei bagni pubblici - appreso dai greci e diffusosi a Roma come una vera e propria
moda (in tutto circa 170) dal II secolo a.C. in poi - era un piacere e nello stesso tempo una cura per
il corpo, infatti le terme erano affiancate da palestre attrezzate per la ginnastica, da giardini, musei,
biblioteche, osterie e locande [Battilani 2001, 57-8].
«Abito proprio sopra un bagno […]; sento il mugolio di coloro che si esercitano con i manubri,
emettono sibili e respirano affannosamente.» (Seneca, Lettere a Lucillo, 56)
Nell’Alto medioevo l’ozio fu ritenuto, invece, la causa dei vizi umani in quanto solo il lavoro
conferiva dignità all’essere umano. Ci fu così un progressivo abbandono di gran parte delle attività
sociali ricreative. Nel Basso medioevo le varie espressioni del tempo libero riacquistarono un loro
spazio: ritornarono di moda i soggiorni termali ed altre attività ludiche che poi riceveranno un pieno
riconoscimento in epoca rinascimentale. Dell’antico ostracismo medievale nei confronti dello svago
restò traccia solo nei proverbi e nella convinzione che i poveri non avessero la levatura morale
necessaria per gestire il loro tempo libero.
Convinzione che si trascinò a lungo, tanto che nel XVIII secolo solo all’ozio degli aristocratici
era riconosciuto un valore sociale, pur in piena rivoluzione industriale. La conquista del tempo
libero fu quindi, per il ceto operaio, anche una lotta per il proprio riconoscimento morale. Sino alla
rivoluzione industriale non vi fu una netta separazione tra tempo libero e tempo di lavoro e perciò,
non solo chi era in età lavorativa aveva poco tempo libero, ma non esistevano nemmeno fasce di età
non impegnate nel lavoro.
Nel corso del Novecento il tempo libero e il diritto all’ozio vennero via via conquistati prima dal
ceto medio impiegatizio poi dagli operai, ponendo così le basi del tempo libero di massa, della sua
utilizzazione e organizzazione. Come il motore dell’economia si spostò dalla campagna alla città,
allo stesso modo i luoghi dell’ozio divennero urbani, tanto che i centri di ritrovo non furono più i
castelli o le ville di campagna, ma i teatri e i circoli cittadini [Battilani 2001, 26-30, 106].
Da quanto sopra detto emergono, dunque, tre aspetti: in primo luogo la moderna concezione del
tempo libero è qualcosa che nasce all’indomani della formazione dello stato moderno ed industriale
in Europa e nel nuovo mondo durante i secoli XVIII-XIX, quando la giornata lavorativa è
veramente molto stressante e si inizia a sentire l’esigenza del tempo libero [Urry 1995, 7-9]. In
secondo luogo, nella società contemporanea del terzo millennio sono avvenuti così profondi
mutamenti da farci ulteriormente riflettere sul tempo quale bene da investire con oculatezza per
conciliare lavoro produttivo, lavoro di cura e tempo libero [Sorcinelli 1999, 5]. Infine, l’industria
del tempo libero è il “prodotto” della standardizzazione dell’orario di lavoro e della conseguente
esigenza di occupazioni per la vita privata.
Nello specifico il settore del tempo libero affonda le propri radici in una serie di progressi
storico-sociali che hanno reso la vita lavorativa più prevedibile. Concetti quali la giornata lavorativa
di otto ore o un numero minimo di giorni di ferie hanno fatto insorgere la necessità di attività per il
tempo libero, preludio alla costante crescita messa a segno dal mercato del tempo libero negli ultimi
25 anni. Il settore del tempo libero è interessato da costanti cambiamenti ogni qualvolta emergono
nuove tendenze. Fondamentalmente si possono distinguere occupazioni attive e passive:
quest’ultime, quali la lettura o la visione della Tv, si svolgono prevalentemente tra le mura
domestiche, mentre le occupazioni attive per il tempo libero si svolgono soprattutto lontano da casa
e dal posto di lavoro, ad esempio recandosi presso centri benessere e stabilimenti termali o
intraprendendo un viaggio. Le dimensioni del mercato sono enormi e dipendono dalla definizione
attribuita al “tempo libero”. Ad esempio, secondo i dati diffusi dall’Organizzazione mondiale del
turismo nel 2005, la sola industria turistica registrava un valore superiore a USD 680 miliardi.
Seguendo le dinamiche del mercato globalizzato viviamo in un mondo che si evolve a un ritmo
sempre più incalzante, in cui da un lato si creano nuove opportunità e dall’altro aumentano le
aspettative, soprattutto sul posto di lavoro. A fronte della maggiore consapevolezza dell’importanza
12
di un salutare equilibrio tra lavoro e vita privata, le persone si concentrano maggiormente sulle
attività ricreative. Nella nostra società il tempo libero è indubbiamente divenuto un bene prezioso,
di cui le persone cercano di godere in modo efficiente. Sono due i fattori principali che determinano
le nostre decisioni su come trascorrere il tempo libero:
1. il tempo (cfr. tab. 1.5);
2. le disponibilità finanziarie (cfr. grafico 1.3).
Il tempo da dedicare alle attività ricreative varia notevolmente da un Paese all’altro e, quanto alle
ferie, la maggior parte dei Paesi ha una legislazione in materia di lavoro che fissa un determinato
numero di giorni di riposo per ogni anno. Mentre numerose compagnie americane concedono una
sola settimana di vacanza, le aziende europee sono generalmente assai più generose [Baer 2006,
25].
Tab. 1.5 – Periodi di ferie minimi nel mondo
Fonte: Wikipedia
Le persone spendono una quota significativa del reddito disponibile in attività di svago. A logica,
ci aspetteremmo che chi dispone di più tempo libero tenda a spendere di più per attività ricreative,
invece è il contrario. Avendo meno tempo e più denaro a disposizione, i consumatori sono inclini a
un esborso maggiore per le attività ricreative e i servizi. Si ritiene infatti che gli abitanti dei Paesi
sviluppati spendano almeno il 10% del reddito disponibile in attività di svago [Baer 2006, 26].
13