Finanziare l'imprenditorialità in Europa: il Venture capital come motore di crescita ed innovazione
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1. INTRODUZIONE
I fondi di Venture capital sono società che erogano finanziamenti tramite equity ad imprese
generalmente giovani e molto piccole, spesso si tratta di aziende innovative caratterizzate
da una forte prospettiva di crescita ed innovazione. Con il termine venture capital, non
intendo riferirmi a tipologie di investitori come: business angel, buyout, turnaround o
mezzanine finance. I fondi di VC operano con un orizzonte temporale compreso tra i
cinque e i dieci anni e veicolano capitali raccolti da investitori istituzionali o HNWI, il cui
futuro rendimento è legato al successo dei progetti selezionati. L’investitore diventa quindi
un socio temporaneo dell’imprenditore, interessato a realizzare un guadagno attraverso la
vendita della partecipazione, una volta raggiunti gli obiettivi prestabiliti. Per quanto
riguarda la fase del disinvestimento possiamo riconoscere tre canali usualmente utilizzati:
Quotazione in Borsa
Vendita della partecipazione ad un partner industriale o ad un altro investitore
istituzionale
Acquisto della partecipazione da parte dell’imprenditore stesso
la cui scelta dipende da molteplici fattori: i risultati raggiunti, la fase di ciclo economico e
dei mercati finanziari in cui si opera, ecc. Uno dei fattori chiave alla base del valore
aggiunto apportato da questo tipo di investitori, rispetto alla finanza tradizionale, è
rappresentato dal supporto non-finanziario a favore di queste imprese, questi infatti
forniscono un servizio di consulenza a supporto di tutte le aree gestionali, molto utile ad
imprenditori nuovi al mondo del business. Nell’UE questo tipo di finanziamenti,
attualmente sottoutilizzati, costituiscono un opportunità per lo sviluppo delle PMI, ciò trova
conferma in alcuni documenti pubblicati dalla commissione europea a fine 2011,
riguardanti la proposta di regolamento dei fondi europei di VC. Infatti le dimensioni medie
di un fondo di VC europeo, sessanta milioni di euro, rispetto ad uno statunitense,
centotrenta milioni di euro, dimostra come questo settore operi a livelli sub ottimali e
questo si riflette sul processo di allocazione dei capitali raccolti. Ulteriore risalto merita il
confronto tra i fondi che l’Europa ha dedicato al finanziamento di imprese innovative nelle
prime fasi di vita, nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2010 (ventotto miliardi di euro)
rispetto ai fondi investiti negli Stati Uniti nello stesso periodo (centotrentuno miliardi di
euro). Inoltre un confronto tra i capitali impiegati dai fondi europei di venture capital tra il
2009 e il 2010 (circa 4 miliardi di euro) e l’ammontare impiegato prima del 2008 (circa 7
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miliardi di euro) conferma un ulteriore indebolimento di questa forma di finanziamento
dovuto all’attuale instabilità finanziaria. Il venture capital attualmente, riveste quindi un
ruolo secondario nel finanziamento delle PMI in Europa. I potenziali investitori tendono a
preferire investimenti in private equity concentrandosi maggiormente su progetti, meno
rischiosi, a favore dell’espansione e dell’acquisizione di imprese mature tramite un
pesante ricorso all’indebitamento. Nel periodo 2003-2010 il venture capital ha infatti
rappresentato soltanto circa il quattordici percento del totale investito nel più ampio settore
del private equity. La principale conseguenza a questa distorsione è che la nascita e la
crescita delle PMI dipende essenzialmente dal finanziamento bancario. Ciò implica la
presenza di una forte barriera di accesso al credito da parte delle nuove imprese e che
quelle che riescono ad accedervi, tramite forme contrattuali spesso poco flessibili, sono
poi costrette a pagare tassi di interesse molto più alti rispetto ad altre forme di
finanziamento alternative come il VC, che quindi in questi anni non è riuscito a colmare
questa evidente lacuna. Questo fa si che le idee imprenditoriali innovative, in Europa,
trovano grosse difficoltà ad esprimere la propria potenzialità sul mercato, impattando
negativamente sulla competitività dell’economia Europea. Questa è la motivazione che mi
ha spinto ad approfondire quale sia il ruolo del VC ed il suo impatto per le PMI in Europa,
tramite un confronto delle numerose ricerche accademiche a riguardo, prodotte nell’ultimo
decennio, con il fine di sottolineare il ruolo del VC quale driver di innovazione, crescita
economica ed occupazionale. Gli investimenti in istruzione, ricerca ed innovazione uniti ad
un ambiente imprenditoriale più dinamico sono infatti gli strumenti migliori su cui l’Europa
dovrebbe puntare per rilanciare la sua economia, colmando in questo senso il divario
rispetto agli Stati Uniti e contenendo la crescita esponenziale di Paesi come Cina, India e
Brasile. Forte è stato l’interesse del mondo accademico verso questi temi testimoniato dal
crescente numero di paper pubblicati. Questo è dovuto alla crescente importanza del ruolo
del VC nelle economie moderne negli ultimi due decenni e ad una maggiore disponibilità di
dati forniti da database commerciali o privati.
2. IMPRENDITORIALITA’ E CRESCITA ECONOMICA
Schumpeter è stato uno dei primi accademici ad occuparsi della relazione tra
imprenditorialità e sviluppo economico, affermando come essa giochi un ruolo chiave nelle
dinamiche economiche di un Paese. Questo concetto si è rafforzato nel tempo grazie al
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graduale riconoscimento del ruolo rappresentato dalla creazione di nuovi prodotti e servizi
e dallo sviluppo tecnologico nel favorire la crescita economica. Inoltre il riconoscimento
dell’imprenditorialità come un fattore positivo di crescita e dinamismo e la conseguente
diffusione di una cultura favorevole alle start-up, soprattutto negli Stati Uniti, ha contribuito
ad identificare le PMI come il principale veicolo nella creazione di posti di lavoro. In primo
luogo desidero focalizzarmi sulla connessione tra imprenditorialità e crescita economica, la
cui forza dipende da una molteplicità di fattori:
- Lo stadio di sviluppo economico di partenza
- Il livello di attività imprenditoriale
- La natura dell’attività imprenditoriale (innovative o replicative)
- La struttura istituzionale e gli incentivi predisposti dall’autorità centrale
- Fattori culturali e sociali
In primo luogo, prenderei in considerazione un modello sviluppato da Porter (2002) il quale
identifica il ruolo che l’innovazione gioca nello stimolare la crescita. Egli definisce tre
tipologie di stage economici all’interno dei quali può trovarsi un area geografica:
- Factor-driven stage
- Efficiency-driven stage
- Innovation-driven stage
Il primo è caratterizzato da alti tassi di attività agricola e imprenditorialità individuale
finalizzata alla produzione di prodotti a basso valore aggiunto. Il secondo è legato ad un
aumento dell’attività manifatturiera, dell’efficienza nei processi produttivi e ad un maggiore
investimento in istruzione; in questo tipo di economia lo sviluppo tecnologico è trainato da
grandi istituzioni e ciò comporta una riduzione dei tassi di imprenditorialità individuale. Un
aumento di questi tassi è possibile registrarlo nel terzo stadio del modello di Porter.
Questo è dovuto ad un declino dei settori manifatturieri tradizionali, a favore di servizi
costruiti attorno alle nuove tecnologie ad esempio nel campo delle telecomunicazioni e di
internet, e ad un aumento del capitale pro capite detenuto il quale rende più semplice
autofinanziare una propria idea imprenditoriale. Questo favorisce il proliferare di una forma
di imprenditorialità più ambiziosa, definita opportunity-driven la quale ha come effetto
quello di simultaneamente creare nuove industrie ed eliminare forme obsolete di business.
Quindi maggiore è il numero di questa tipologia di imprenditori maggiore sarà la possibilità
di raggiungere apprezzabili livelli di crescita economica. Il progresso tecnologico dipende
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dalla ricerca e dalla generazione di nuove idee da parte dei ricercatori, i quali sperano di
ottenere un profitto dalle loro invenzioni diventando imprenditori, e dalle grandi imprese
che invece sperano di ottenere vantaggi economici dalla loro attività di ricerca e sviluppo.
Quindi sia le imprese che i ricercatori producono sempre nuove conoscenze, che se
vengono protette adeguatamente dal sistema giuridico tramite un sistema di brevetti
efficiente, producono incentivi a favore della loro applicazione nell’ attività di produzione di
nuovi prodotti o servizi, potendo trarre vantaggio dalla temporanea condizione di
monopolio in cui operano, favorendo in questo modo il progresso tecnologico. Non tutte le
nuove conoscenze però sono utili e non tutte le innovazioni generano prodotti di successo
nel mercato. La possibilità di dare ad una nuova conoscenza un valore economico è
legata alla capacità dell’imprenditore di ottenere le adeguate risorse economiche per lo
sviluppo del progetto, costruire un impresa solida dal punto di vista organizzativo ed
effettuare le giuste scelte strategiche, finanziarie e di comunicazione che gli consentano di
affermarsi sul mercato. Queste capacità sono raramente possedute da un imprenditore
che per la prima volta si confronta con le regole del mercato. L’impatto
dell’imprenditorialità sulla crescita economica e occupazionale è riconosciuta da diverse
istituzioni. Ad esempio negli ultimi anni la Kauffman foundation ha dimostrato più volte
come le imprese con il tasso di crescita maggiore negli Stati Uniti siano state responsabili
di circa il dieci percento dei nuovi posti di lavoro. Un altro esempio è il GEM, una
associazione accademica no-profit dedita allo studio e alla raccolta di dati a livello globale
riguardanti la nascita e lo sviluppo di nuove imprese. Nel suo ultimo report (2011),
pubblicato in collaborazione con Ernst & Young, mette in risalto l’impatto di lungo periodo
sull’economia di diverse forme di imprenditorialità. La ricerca si basa su un campione di
circa ottocentomila adulti selezionati casualmente tra sessanta Paesi, tramite i quali i
ricercatori cercano di comprendere le diverse predisposizioni degli individui all’attività
imprenditoriale ed i conseguenti effetti sull’economia reale. All’interno del campione, GEM
definisce un particolare segmento di imprenditori “High-Impact Entrepreneurs” i quali
hanno dei risultati superiori alla media in termini di creazione di lavoro, ricchezza e
sviluppo di nuovi modelli imprenditoriali. All’interno del campione GEM ha rilevato che gli
High-Growth entrepreneur rappresentano solo il quattro percento del totale degli
imprenditori e che questi hanno contribuito alla creazione di circa il quaranta percento del
totale dei posti di lavoro generati da tutti gli imprenditori intervistati. Di solito questo tipo di
imprenditori preferiscono lavorare in partnership e sono spinti ad avviare la propria
impresa poiché sono motivati dall’obiettivo di accrescere il proprio reddito. Gli stessi