IV
INTRODUZIONE
A partire dagli anni ‘90 del secolo scorso l’economia internazionale è
stata caratterizzata da numerosi scandali e dissesti finanziari di rilevante
portata, che hanno innescato e favorito una crescente pressione sul mondo
imprenditoriale, da parte del mercato e della società, affinchØ le imprese
rendessero noto l’impatto della loro attività sull’ambiente e sulla
collettività. Tale sollecitazione ha contribuito all’elaborazione dei principi
della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)
1
e alla successiva loro
adozione da parte di molte imprese operanti sia in Italia che nel resto del
mondo. Tema centrale di questo lavoro, articolato su cinque capitoli, è la
finanza etica e le sue connessioni con la responsabilità sociale. L’analisi
viene condotta su un piano prevalentemente microeconomico. In
quest’ottica, viene studiato il ruolo del promotore finanziario nell’ambito
del mercato finanziario.
La trattazione degli argomenti parte dalla definizione di responsabilità
sociale, presentando l’evoluzione storica del concetto e soffermandosi sul
pensiero di alcuni importanti studiosi della materia. Successivamente,
vengono analizzati gli ambiti di applicazione della RSI e le strategie
adottate nel settore bancario. Alla fine di questa disamina, vengono studiati
i riflessi delle politiche di responsabilità sociale sulle performance
1
Denominata, in inglese, Corporate Social Responsibility (CSR).
V
aziendali. In sintesi, facendo un’analisi comparata delle indicazioni fornite
dalle indagini riportate, in merito ai programmi realizzati e a quelli previsti
per il futuro, scaturiscono alcune importanti considerazioni. In particolare,
dallo studio condotto emerge che le imprese italiane hanno privilegiato gli
interventi a favore delle risorse umane, delle comunità locali e
dell’ambiente: tema, quest’ultimo, destinato a diventare sempre piø
rilevante in futuro. Tuttavia, stante il fatto che in Italia la RSI è attualmente
associata piø al concetto di “etichetta” che a quello di “etica”, la situazione
rischia di non poter migliorare, quanto meno nel breve termine, a causa
della crisi economica ancora in corso e della conseguente maggiore
attenzione ai costi da parte delle imprese. D’altro canto, il quadro
internazionale mostra che gli sforzi delle imprese estere si sono concentrati
prevalentemente sull’attività di comunicazione, accompagnata da una
crescente attenzione per la riduzione dell’impatto ambientale e da una
spiccata sensibilità sociale.
Dopo una definizione del concetto di “etica” e delle sue applicazioni,
vengono analizzate le relazioni con gli stakeholder nell’ambito del rapporto
fra impresa etica ed economia. In questo scenario, vengono illustrati
dettagliatamente i principali strumenti di gestione della responsabilità
sociale, fra i quali spicca il Codice Etico. Inoltre, viene studiato, da un
punto di vista prettamente statistico, l’impatto dell’introduzione di questi
strumenti sulla governance aziendale. Successivamente, ci si sofferma su
VI
altri importanti strumenti della RSI, quali: il Bilancio Sociale, quello
Ambientale e quello di Sostenibilità, rimarcando la valenza strategica dei
relativi sistemi di rendicontazione. Infine, viene definito il concetto di
Marketing sociale, distinguendolo da quello tradizionale e presentandone
alcune applicazioni pratiche.
Successivamente si affronta il tema della normativa giuridica in ambito
finanziario, con riferimento alla responsabilità sociale: sia quella di matrice
comunitaria sia quella nazionale, che scaturisce generalmente come
recepimento della prima. Nello specifico, vengono analizzati i contenuti di
importanti disposizioni, quali quelle contenute nella Direttiva MiFID e
nell’Accordo di Basilea, per quanto riguarda la disciplina comunitaria,
nonchØ di quelle relative alla responsabilità amministrativa degli enti, alla
legge sul risparmio e a quella sull’antiriciclaggio, per quanto concerne la
disciplina nazionale.
La prima ha per oggetto l’esame della prassi relativa al regime vigente
nel diritto europeo in tema di responsabilità sociale. A tal fine, sono
enunciati i principi ispiratori e gli standard utilizzati per incoraggiare le
imprese a porre in essere un comportamento etico, anche quando questo
possa significare conformarsi a linee di condotta piø restrittive e, dunque,
piø onerose di quelle imposte dalle normative dei singoli Stati. In linea
generale, tali dettami dovrebbero ispirare le imprese a privilegiare quei
valori etici e sociali coerenti con lo sviluppo sostenibile: la conservazione
VII
dell’ambiente, la tutela dei diritti basilari dei lavoratori e il contrasto alla
corruzione.
In questo contesto, uno dei temi principali che, da diversi anni, è oggetto
di sempre maggiori attenzioni da parte delle Autorità è quello relativo agli
assetti organizzativi e ai controlli interni, ovvero: la funzione di
compliance, che rappresenta uno dei piø rilevanti profili strategici della
gestione degli intermediari finanziari. A tal proposito, dato il carattere
innovativo della materia, assume particolare importanza l’analisi delle
principali caratteristiche di questa funzione, che si inserisce all’interno del
Sistema dei Controlli Interni delle banche, al fine di monitorare e gestire il
rischio di non conformità: argomento trattato in ambito comunitario dalla
disciplina prudenziale di Basilea e dalla Direttiva MiFID. La prima mira a
monitorare i rischi economici, finanziari e reputazionali (sui quali ci si
soffermerà in modo particolare), cui tutte le imprese sono soggette,
attraverso la predisposizione di appositi presidi organizzativi e di controllo,
nonchØ di specifici requisiti patrimoniali. Mentre la seconda è rivolta
principalmente a garantire una maggior tutela ai risparmiatori, sia
ampliando l’offerta dei servizi di investimento, sia introducendo una serie
di misure protettive, illustrate nel corso della trattazione.
In Italia, a causa della complessità delle relazioni che caratterizzano i
rapporti tra le imprese e gli stakeholder, in generale, e fra le banche e i
clienti, in particolare, si è sentita l’esigenza di intervenire in maniera piø
VIII
radicale sul sistema economico-finanziario, al fine di tutelare l’integrità dei
mercati, la correttezza dell’attività imprenditoriale e, contestualmente, gli
interessi degli investitori. Lo si è fatto in tre momenti diversi:
1. nel 2001, con il D. Lgs. n. 231, sulla responsabilità amministrativa
degli enti;
2. nel 2005, con la Legge n. 262, sul risparmio;
3. nel 2007, con il D. Lgs. n. 231, sull’antiriciclaggio.
Sulla scia delle disposizioni sopra citate, dopo una presentazione del
servizio di consulenza, viene illustrata, in un’ottica prettamente normativa,
la figura del promotore finanziario, tracciando gli elementi essenziali della
professione e soffermandosi sulle responsabilità deontologiche, sulle regole
comportamentali e sugli obblighi formativi. In questo ambito, vengono
esposte le disposizioni normative e regolamentari in materia di consulenza,
le regole di condotta cui devono attenersi gli intermediari finanziari, in
generale, e la responsabilità derivante dai servizi di investimento. In
particolare, viene affrontato il tema scottante delle perdite di portafoglio,
con riferimento alla responsabilità degli intermediari, nonchØ degli altri
attori del mercato finanziario, e le possibili azioni legali risarcitorie
intentate dai clienti. Infine, viene effettuata una breve panoramica sulle
disposizioni in materia di finanza etica.
Questa tematica viene sviluppata nell’ultima parte del lavoro, con un
approccio prevalentemente economico. In quest’ottica, dopo una
IX
panoramica introduttiva sullo sviluppo sostenibile, vengono illustrate le
caratteristiche peculiari della finanza etica e di quella comportamentale.
Inoltre, vengono presentati casi concreti di attività socialmente responsabili
nel settore finanziario, come il microcredito e i fondi etici, di cui si fornisce
ampia evidenza statistica. Infine, viene analizzato il ruolo che può essere
svolto dal promotore finanziario nell’ambito della finanza sostenibile.
1
CAPITOLO PRIMO
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE
DI IMPRESA (RSI) E LE SUE APPLICAZIONI
SOMMARIO: 1.1 Il concetto di RSI e la sua evoluzione. 1.2 Gli ambiti di applicazione della RSI.
1.3 Le strategie della RSI nel settore bancario. 1.4 La Responsabilità sociale e le
performance aziendali.
1.1 Il concetto di RSI e la sua evoluzione
A partire dagli anni ‘90 l’economia internazionale è stata caratterizzata
da numerosi scandali e dissesti finanziari di rilevante portata,
2
che hanno
innescato e favorito una crescente pressione sul mondo imprenditoriale, da
parte del mercato e della società, affinchØ le imprese rendessero noto
l’impatto della loro attività sull’ambiente e sulla collettività. Tale
sollecitazione ha contribuito all’elaborazione dei principi della
Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)
3
e alla successiva loro adozione da
parte di molte imprese operanti sia in Italia che nel resto del mondo.
Negli anni, la RSI è stata oggetto di numerosi studi,
4
i quali hanno
evidenziato come tale concetto si sia sviluppato in contrapposizione con
2
Basti pensare, solo per citarne alcuni, ai casi Enron, Worldcom, Cirio, Giacomelli, Parmalat,
Lehman Brothers, etc..
3
Denominata, in inglese, Corporate Social Responsibility (CSR).
4
Tra i quali indichiamo: Davis K., “The case for and against business assumption of social
responsibilities”, in Academy of Management Journal, 16, 1973; Carroll A.B., “A Three-
Dimensional Conceptual model of Corporate Social Performance”, in Academy of Management
Review, 4, 1979; Freeman E.R., Strategic Management. A stakeholder Approach, Pitman, Boston,
1984; Preston L.E., Post J.E., Private Management and public policy: the principle of public
responsibility, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1975; Ackerman R.W., Bauer R.A., Corporate
2
l’impostazione economica classica, attribuita a Friedman (1963), secondo il
quale “l’unico legittimo scopo dell’impresa è la generazione del profitto”.
5
Per Friedman, infatti, un’impresa che distogliesse risorse all’obiettivo della
massimizzazione del profitto, offrendo volontariamente maggiori servizi ai
propri dipendenti, attuando programmi ecologici oltre a quelli previsti per
legge, contribuendo in questo modo allo sviluppo della comunità, si
comporterebbe in modo irresponsabile. Ne segue che l’unico soggetto al
quale è necessario rispondere è il complesso degli azionisti.
In contrasto con questa impostazione è la concezione che considera
l’impresa non piø solo un soggetto economico il cui unico fine è quello di
fare utili, ma un attore “sociale” la cui attività ha un impatto rilevante sulla
società in termini di benessere, ricchezza, occupazione, ambiente e qualità
della vita. In quest’ottica le performance delle imprese sono caratterizzate,
oltre che da aspetti di economicità, anche da aspetti legati alla qualità e
all’efficienza dei servizi offerti, alla loro credibilità e reputazione.
Il riconoscimento della necessità di prestare una specifica attenzione agli
interessi sociali, ambientali ed economici, manifestati dagli stakeholders
6
,
Social Responsiveness, Reston, 1976; Cochranm P.L., Wood R.A., “Corporate Social
Responsibility and financial performance”, in Academy of Management Journal, 27, 1984.
5
Friedman M., “The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits”, in The New York
Times Magazine, September 13, 1970. Citato in Molteni M., Responsabilità sociale e performance
d’impresa. Per una sintesi socio-competitiva, Vita e Pensiero, Milano, 2004, p. 4.
6
Gli stakeholders (o portatori di interesse) sono individui o gruppi che hanno un interesse
legittimo nei confronti dell’impresa e delle sue attività. Essi si suddividono in interni (lavoratori,
soci e azionisti) ed esterni (fornitori e partner commerciali, lo Stato, gli enti locali e la Pubblica
Amministrazione, la comunità nel suo complesso). Cfr.: Freeman R.E., Strategic Management: A
Stakeholder Approach, Pitman, Boston, 1984.
3
ha comportato il passaggio dal valore economico per gli azionisti al valore
sociale per la collettività (figura 1.1).
FIGURA 1.1 COME CAMBIA LA GEOMETRIA DEL VALORE: DAGLI AZIONISTI
ALLA COLLETTIVITÀ
Fonte: Hinna L., Il bilancio sociale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2002, p. 75.
Il dibattito sulla RSI,
7
dal punto di vista accademico, è nato negli Stati
Uniti, intorno agli anni ’30, con l’opera di Berle e Means del 1932 (dal
titolo The Moderm Corporation and Private Property
8
) e, successivamente,
7
In realtà molti dei temi trattati sono stati oggetto, già a fine Settecento, degli studi di economisti
come Smith, Comte, Mill, Marx; Durkheim e Weber, che si occuparono degli effetti perversi e
distorsivi dell’industria manifatturiera e del mercato capitalistico. Successivamente,
nell’Ottocento, per opera di alcuni imprenditori come Rockfeller e Ford, viene affiancato al
concetto di profitto quello di filantropia, che può considerarsi come la prima e principale pratica
della RSI rintracciabile nella storia delle imprese. Si veda: Sena B., L’agire responsabile. La
responsabilità sociale d’impresa tra opportunismi e opportunità, Città Nuova, Roma, 2009, p. 21.
8
Berle A.A., Means G.C., The Modern Corporation and Private Property, seconda edizione,
Harcourt, Brace and World, New York (USA), 1967.
VALORE
PER
RESPONSABILITÀ
SOCIALE
AZIONISTI SOCIETÀ
DIPENDENTI IMPRESA
Triple Botton Line
VALORE
PER
AZIONISTI
DIPENDENTI IMPRESA
One Botton Line
4
è stato sviluppato con i contributi di altri autori, quali Barnard (1938), Clark
(1939) e Kreps (1940).
9
Nel 1953, si giunge alla prima definizione di responsabilità sociale
d’impresa, per opera di Bowen, secondo il quale la RSI si riferisce “(...) al
dovere degli uomini d’affari di perseguire quelle politiche, di prendere
quelle decisioni, di seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in
funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società”.
10
Bowen si
interroga su quale siano le relazioni tra il funzionamento di un sistema
economico e il benessere sociale e conclude sostenendo che la RSI deve
cercare e mantenere un equilibrio tra interesse privato (o individuale) e
interesse pubblico (o sociale).
Negli anni ’60 del secolo scorso, si afferma definitivamente, negli Stati
Uniti, l’espressione “Corporate Social Responsibility” e si assiste ad una
progressiva crescita dei contributi in materia, oltre che al delinearsi di due
visioni contrapposte (come si è detto precedentemente): quella che enfatizza
il raggiungimento del profitto quale unica finalità da perseguire, di cui
Friedman è il fautore, e quella che riconosce all’attività imprenditoriale
responsabilità piø ampie di quelle economiche, che vede tra i suoi piø
autorevoli sostenitori Davis (1960).
9
Barnard C.I., The functions of the executive, Harvard University Press, Cambridge, 1938; Clark
J.M., Social control of business, McGraw-Hill, New York, 1939; Kreps T.J., Measurement of the
social performance of business, Government Printing Office, Washington, 1940. Citati anche in
Sena B., L’agire responsabile, cit., p. 21.
10
Bowen H., Social responsability of the businessman, Harper and Row, New York, 1953, p. 6.
Citato anche in Sena B., L’agire responsabile, cit., p. 25.
5
Secondo Davis
11
“la RSI è il dovere di una persona di considerare gli
effetti delle sue decisioni e azioni sull’intero sistema sociale. Gli
imprenditori applicano la responsabilità sociale quando considerano i
bisogni e gli interessi di altre persone che possono essere coinvolte dalle
azioni dell’impresa. Nel far ciò essi guardano al di là dei loro meri
interessi economici e tecnici di impresa”. Davis stabilisce un forte legame
tra la responsabilità dei manager ed il potere sociale assunto da questi.
Infatti, egli sostiene che l’elusione di responsabilità da parte degli
imprenditori condurrebbe a una graduale erosione del potere sociale delle
imprese che, nel lungo periodo, causerebbe inevitabilmente danni alle loro
attività.
Negli anni ‘70 il tema della responsabilità sociale d’impresa continua ad
essere particolarmente dibattuto e, negli anni ‘80, si arricchisce dei
contenuti offerti dagli sviluppi di tematiche quali la stakeholders theory
12
e
la business ethics.
13
11
Davis K., “Can Business Afford to Ignore Social Responsibilities?”, in California Management
Review, vol. 2, n. 3, Spring 1960, p. 70.
12
La teoria degli stakeholder ha contribuito in maniera significativa all’evoluzione della disciplina
della RSI. Essa, infatti, fornisce un valido supporto all’individuazione dei soggetti rispetto ai quali
l’impresa deve assumere comportamenti responsabili e dei meccanismi di legittimazione che ne
derivano. La teoria degli stakeholder nasce, dunque, come teoria manageriale, elaborata per
governare l’incertezza crescente con la quale i manager si trovavano a confrontarsi, rispetto alla
quale i tradizionali strumenti di gestione cominciavano a mostrarsi deficitari. Questa serve per
trovare “nuovi modi di governare i molteplici gruppi e le molteplici relazioni di cui bisogna tener
conto nella definizione della strategia”. Freeman R.E., Strategic Management, cit., p. 56.
13
Per “etica degli affari” si intende “lo studio dell’insieme dei principi, dei valori e delle norme
etiche che regolano (o dovrebbero regolare) le attività economiche piø variamente intese (…).”
Sacconi L., Etica degli affari, in Sacconi L. (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e
al governo di impresa. Problemi, teorie e applicazioni della CSR, Bancaria Editrice, Roma, 2005,
p. 257. Cfr.: Sacconi L., Etica degli affari: individui, imprese e mercati nella prospettiva di
un’etica razionale, Il Saggiatore, Milano, 1991.
6
Attualmente, non esiste una definizione unanimemente accettata di
Responsabilità Sociale d’Impresa. Infatti, gli studi sopra citati hanno tentato
di fornire una definizione coerente con la loro visione. Tuttavia, sono solo
due quelle che maggiormente hanno saputo catalizzare il dibattito nazionale
negli ultimi anni.
La prima è la definizione formulata dalla Commissione Europea, la quale
presenta la RSI come una “assunzione volontaria di impegni che vanno al
di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque
conformarsi le imprese, sforzandosi di elevare le norme collegate allo
sviluppo sociale, alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti
fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in grado di
conciliare gli interessi degli stakeholder nell’ambito di un approccio
globale alla qualità e allo sviluppo sostenibile”.
14
La seconda, quella coniata da Sacconi, afferma che la RSI consiste in “un
modello di ‘governance’ allargata d’impresa, in base alla quale chi
governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza di
doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari
nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder”.
15
14
Commissione delle Comunità Europee, COM. (2001) 366 definitivo, Libro Verde. Promuovere
un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18/07/2001, p. 3.
Documento disponibile sul sito www.europa.eu. In merito alle origini europee della RSI si veda:
Conte G. (a cura di), La responsabilità sociale dell’impresa, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 100-
105.
15
Sacconi L., Le ragioni della CSR nella teoria economica dell’impresa, in SACCONI L. (a cura
di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo di impresa, cit., p. 91.
7
Secondo il dettato comunitario “essere socialmente responsabili significa
non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche
andare al di là investendo ‘di piø’ nel capitale umano, nell’ambiente e nei
rapporti con le altre parti interessate”.
16
Sulla base del dettato comunitario le imprese che acquisiscono
esperienza attraverso gli investimenti in tecnologie e prassi commerciali
ecologicamente responsabili, andando oltre gli obblighi previsti dalla
legislazione in materia, possono aumentare la propria competitività e
ottenere un miglioramento di produttività che va ben al di là di quanto sia
per loro auspicabile se si limitassero a operare nel rispetto degli obblighi
giuridici fondamentali. Questo vale soprattutto nell’ambito della
formazione, della gestione delle risorse umane e dei rapporti tra la direzione
e il personale.
La responsabilità sociale delle imprese, tuttavia, non dovrebbe essere
considerata come un sostituto alla regolamentazione o alla legislazione
riguardante i diritti sociali o le norme ambientali.
Anche la definizione di Sacconi sottolinea l’importanza per il
management di attuare una gestione aziendale che vada oltre gli
adempimenti legislativi e che investa nella correttezza delle relazioni con
gli stakeholders, nel capitale umano, nel progresso sociale e nel rispetto per
l’ambiente. Ne consegue che il primo passo da fare consiste nel migliorare
le relazioni con tutti quei soggetti (lavoratori, clienti, fornitori, istituzioni
16
Commissione delle Comunità Europee, COM. (2001) 366 definitivo, Libro Verde, cit. p. 7.
8
pubbliche, etc.) che ruotano attorno all’impresa e che possono essere
influenzati o influenzare (direttamente e/o indirettamente) il business
aziendale.
In particolare, per ciò che riguarda la gestione delle risorse umane, è
possibile adottare una serie di misure, quali:
17
- gli incentivi all’istruzione e la formazione continua sul posto di
lavoro;
- la responsabilizzazione del personale nelle attività svolte;
- il miglioramento del circuito informativo interno;
- la ricerca di un giusto equilibrio tra lavoro, famiglia e tempo libero;
- la maggiore attenzione alle diversità (anche di genere) delle risorse
umane;
- l’applicazione del principio di uguaglianza per le retribuzioni e le
prospettive di carriera delle donne;
- la partecipazione ai benefici ottenuti dall’azienda attraverso formule
di azionariato del personale;
- l’adozione di un sistema incentivante che premi la capacità
d’inserimento professionale dei dipendenti;
- l’implementazione della sicurezza sul posto di lavoro, al di là degli
obblighi di legge.
17
Commissione delle Comunità Europee, COM (2001) 366 definitivo, Libro Verde, cit. pp. 8-9.
Sull’argomento si veda anche: Conte G. (a cura di), La responsabilità sociale dell’impresa, cit.,
pp. 101-102.