III
filosofia della storia, sociologia, politologia, storia contemporanea, teoria delle
relazioni internazionali e teoria strategica. Senza contare la sua attività di
editorialista e commentatore politico che lo portava a confrontarsi, sempre
pacatamente e rispettosamente, con avversari di ogni parte politica.
Questo professore di sociologia che impressionava Levy-Strauss per la sua
«immensa cultura filosofica, economica e politica», quasi si trattasse di un
animale sui generis dalla molteplice natura, sembra sfidare ogni nostra capacità
di classificazione. Tuttavia a dispetto della sua sconcertante versatilità
potremo, senza destare grandi malumori tra gli studiosi, definire Aron un
pensatore politico. In realtà la sua opera poliedrica mostra un interesse sempre
presente per la politica, che se da una parte permette di cogliere in essa una
certa unitarietà, dall’altra risulta essere quell’elemento che ne determina la
complessità e la varietà.
Infatti, in «50 anni di riflessione politica»
2
Aron ha analizzato il fenomeno
politico nei suoi condizionamenti e nelle sue ricadute sociali, il che rendeva
indispensabile uno studio serio della società e dell’economia.
3
Questo
camaleontico studioso giunse così a ricoprire le più prestigiose cattedre di
sociologia francesi, riservando tuttavia nei suoi corsi un ruolo di primo piano
alla politica. Aron, mantenendosi a distanza da qualsiasi ipotesi riduzionistica,
afferma infatti nelle sue opere non solo l’autonomia del politico, la sua
irriducibilità ad ogni altra sfera della vita sociale, ma sembra assegnargli un
certo primato
4
.
Ciò significa che la politica, lungi dall’essere causa esclusiva dei fenomeni
sociali ed essendo influenzata da tutti gli ambiti dell’attività umana, risulta
essere quel «sous-système» da cui possono scaturire le decisioni vincolanti per
la totalità dell’ordine societario
5
.
Il discorso di Aron sulla politica doveva dunque inevitabilmente da una parte,
complicarsi nell’indagine sociologica ed economica, dall’altra confondersi con
una concezione del divenire umano e con la filosofia della storia. Infatti la
valorizzazione che Aron fa della politica, in quanto «action qui tend à unir,
2
Il sottotitolo dell’opera autobiografica di R.Aron, Mémoires, (1983), trad. it. di O. Del Buono,
Memorie. 50 anni di riflessione politica, Milano, Mondatori, 1984; mi sembra sufficiente ad
accreditare la definizione di Aron come pensatore politico.
3
Aron si dichiarava «tardo epigono» di Monetsquieu e di Tocqueville, ossia di quella «scuola
di sociologi poco dogmatici, interessati innanzitutto alla politica, che, senza misconoscere la
struttura sociale, sottolineano l’autonomia del piano politico» Cfr. R. Aron, Les étapes de la
pensée sociologique, (1967), trad. it. di A. Devizzi, Milano, Mondatori, 1972, p. 276). Questi
pensatori «accentuano il legame tra lo stato sociale e il regime politico, dunque mettono in luce
le condizioni e le conseguenze sociali del regime politico.» (Cfr. R. Aron, Memorie, trad. cit.,
pp. 362-363).
4
Su tale questione si veda Stanley Hoffman, Aron et Tocqueville, in «Commentare», 28-29,
1985, p. 203; Franciszek Draus, Raymond Aron et la politique, in «Revue Française de Science
Politique», XXXIV, 1984, pp. 1202-1204; A. Panebianco, Introduzione all’edizione italiana, in
R.Aron, La politica, la guerra, la storia, a cura di A. Panebianco, Bologna, il Mulino, 1992,
pp. 11-13 e 61-62;
5
Cfr. R. Aron, Les sociologues et les institutions représentatives, in « Archives européennes de
sociologie», (1960), trad. it. I sociologhi e le istituzioni rappresentative, in R. Aron, La
politica, la guerra, la storia, op. cit., p. 370: «Influenzato da tutti gli altri sottosistemi, il
sottosistema politico ha le sue proprie leggi di funzionamento e di sviluppo, e, a sua volta, esso
influenza tutti gli altri perché è proprio quello che prende tutte le decisioni miranti a realizzare
gli obbiettivi della collettività tutta intera».
IV
mantenir, conduire l’ensemble social»
6
, altro non è che il riconoscimento del
ruolo dell’azione umana e degli individui nella storia. Ma è proprio con
l’approfondimento del problema prettamente filosofico, del rapporto tra
necessità e libertà nella storia, che Aron comincia a riflettere sulla cosa
pubblica.
Nel libro Le spectateur engagé, in un passaggio molto illuminante, Aron
definisce la sua opera come
«una riflessione sul XX secolo, alla luce del marxismo, e un tentativo per
chiarire tutti i settori della società moderna: l’economia, le relazioni
sociali, i rapporti tra le classi, i regimi politici, le relazioni tra le nazioni e
le discussioni ideologiche»
7
.
Il brano dà l’idea della ricchezza e del carattere onnicomprensivo del pensiero
di Aron, e riassume quanto si è tentato di mettere in evidenza fino a questo
momento. Nello stesso tempo ci consente di isolare all’interno di un campo
d’indagine tanto vasto, un aspetto che, seppure inevitabilmente parziale, è
nondimeno essenziale a tutta l’opera aroniana. Più in particolare l’espressione
«alla luce del marxismo», ci sembra assai feconda per far emergere l’oggetto
della nostra ricerca e giustificare la portata della critica alle filosofie della
storia nel pensiero di Aron.
Occorre dunque chiarire bene, ai fini del nostro lavoro, cosa il marxismo abbia
rappresentato per Aron, nel momento in cui egli faceva la scoperta della
politica e consacrava ad essa la sua vita di studioso. Parallelamente
ripercorreremo brevemente l’itinerario della sua maturazione intellettuale.
Come esplicitamente afferma nella sua tesi di doctorat, Aron intraprese lo
studio del marxismo «pour soumettre à une révision philosophique ses idées
politiques»
8
.
6
Cfr. R. Aron, Thucydide et le récit historique, (1960), in R. Aron, Dimensions de la
conscience historique, Paris, Libraire Plon, 1961, p.149.
7
Cfr. R. Aron, Le spectateur engagé, (1981), trad. it. L’etica della libertà, Milano, Mondadori,
1982, p. 287.
8
R. Aron, Introduction à la philosophie de l’histoire, Paris, Gallimard, 1938, p. 55.
V
Durante il suo soggiorno in Germania, che segna un punto di svolta della sua
carriera e della sua vita
9
, Aron si poneva i seguenti interrogativi: «Pourquoi
suis-je socialiste? Que signifie avoir une position politique?»
10
. Si trattava però
di questioni che nascevano da una esigenza più profonda, da un bisogno di
conoscenza che gli studi fatti fino a quel momento avevano lasciato
insoddisfatto.
«Per dieci anni, affermai delle opinioni politiche, e infatti preferivo certi
uomini ad altri; la mia simpatia andava agli umili e agli oppressi,
detestavo i potenti, troppo sicuri dei propri diritti, ma tra la filosofia e le
mie emozioni si scavò un vuoto – l’ignoranza della società così com’è,
come può essere e come non può essere»
11
.
Il giovane filosofo, interrogandosi sulle ragioni della sua adesione al
socialismo, non poteva trascurare lo studio della realtà sociale e storica della
quale faceva parte e a cui il marxismo, come ogni posizione politica, doveva
riferirsi. Ciò che Aron andava ricercando nella lettura di Marx, si delinea come
un chiaro oggetto d’indagine, nel momento in cui, sulle rive del Reno, egli
«decideva di se stesso».
«Francese, ebreo, posto in un momento del divenire, come posso
conoscere il tutto di cui sono un atomo, […] sino a che punto sono capace
di conoscere oggettivamente la Storia – le nazioni, i partiti, le idee i cui
conflitti riempiono la cronaca dei secoli – e il mio tempo? Una critica
della conoscenza storica o politica avrebbe dovuto rispondere a questo
interrogativo. […] Indovinavo a poco a poco i miei due compiti: capire o
conoscere la mia epoca il più onestamente possibile, senza mai perdere la
consapevolezza dei limiti del mio sapere; staccarmi dall’attualità senza
comunque appagarmi del ruolo di spettatore »
12
.
9
Nel 1930, grazie a Jean Marx che dirigeva al Quai d’Orsay il servizio per il lavoro francese
all’estero, Aron ottenne un posto di assistente all’Università di Colonia. Qui collaborò con Léo
Spitzer e tenne un corso su Joseph de Maistre e Louis de Bonald. Il soggiorno in Germania fu
decisivo per definire i suoi interessi e orientare il suo argomento di tesi dalla biologia alle
scienze sociali. Si veda su tale questione Memorie, trad. cit., pp. 49-53; Nicolas Baverez,
Raymond Aron. Un moraliste aux temps des idéologies, Flammarion, Paris, 1993, pp. 73-79.
10
Così Aron apriva la discussione della sua tesi principale di fronte a Léon Brunschvicg, Emile
Bréhier e Maurice Halbwachs nel 1938. Per il resoconto della soutenance si veda Revue de
métaphysique et de morale, juillet,1938, pp. 28-31; Gaston Fessard, La philosophie historique
de Raymond Aron, Paris, Juillard, 1980, pp. 34-49; R. Aron, Introduction à la philosophie de
l’histoire, ried.crit., a cura di Sylvie Mesure, Paris, Gallimard, 1986.
11
Cfr.R. Aron, Memorie, trad. cit., p. 20.
12
Ivi, p. 52.
VI
Nel momento in cui Aron veniva attratto dalla politica, dalla società e dalla
storia, si poneva contemporaneamente il problema dell’obiettività della
conoscenza e «della verità oggettiva», che il soggetto, «in quanto storico o
economista» deve ricercare. Tale ordine di problemi doveva favorire l’incontro
con lo storicismo tedesco e lo studio delle scienze sociali. Trasferitosi a
Berlino, il futuro professore-giornalista si lanciava in una lettura frenetica delle
opere di Husserl, Heidegger, Mannheim, Simmel, Dilthey, Rickert e Weber
13
.
In particolare si mostrava attratto soprattutto dai filosofi neokantiani che, oltre
a porre la questione delle condizioni di possibilità della conoscenza storica,
avevano intrattenuto rapporti stretti con la storia, l’economia e il diritto.
Ma a sedurre Aron fu soprattutto l’opera di Weber
14
di cui scopriva la
grandezza e con il quale si sentiva legato da «un’affinità elettiva». L’influenza
di Weber fu decisiva per il giovane Aron il quale, rientrato in Francia,
cominciò a redigere la tesi di doctorat, impostando il problema dell’obiettività
della conoscenza storica sulla base della metodologia weberiana.
L’Introduction à la philosophie de l’histoire, sarebbe certamente impensabile
senza l’opera di Weber da cui attinge strumenti concettuali fondamentali.
La scoperta di Weber rappresenta per Aron non soltanto una tappa decisiva del
suo itinerario intellettuale, ma anche l’approdo ad un universo di pensiero
opposto a quello rappresentato dal marxismo. Nella lezione inaugurale al
Collège de France Aron scriveva:
«Avevo cominciato lo studio dell’opera marxista per rendere conto a me
stesso delle mie opinioni socioeconomiche, con la speranza che il corso
prevedibile della storia mi avrebbe insegnato quello che dovevo volere.
Essendo pervenuto a una conclusione opposta, non cessai per questo di
prendere come tema centrale di riflessione i problemi posti dal marxismo e
rinnovati da Max Weber»
15
.
Sembra pertanto che il percorso di maturazione di Aron e lo sviluppo del suo
pensiero, possano essere concepiti come una presa di distanza dalla possibilità
di un «corso prevedibile della storia». Di qui si chiarisce in che senso si possa
interpretare la sua opera «alla luce del marxismo». Possiamo cioè comprendere
quale sistema di idee e tipo di problemi la filosofia del materialismo storico
13
Aron fu certamente il primo studioso che fornì una completa trattazione del pensiero di
Dilthey, Simmel, Rickert e Weber, accomunando i quattro autori a partire dal problema della
fondazione dell’obiettività della conoscenza storica. Questo studio fu pubblicato con il titolo
La philosophie critique de l’histoire. Essai sur une théorie allemande de l’histoire, Paris, Vrin,
1938, e costituisce la tesi secondaria del doctorat d’État.
14
L’incontro con l’opera di Weber fu decisivo non solo per il pensiero di Aron, ma per la
fortuna stessa dell’opera weberiana. La Sociologie allemande contemporaine, Paris, Alcan,
1935, ebbe il merito di aver introdotto il pensiero di Max Weber, fino a quel momento quasi
del tutto sconosciuto, in Francia. Tale opera fu anche un punto di riferimento per i sociologi
tedeschi del dopo guerra, essendo una delle poche opere ad essere sopravvissute alla barbarie
nazista. Cfr. N. Baverez, Raymond Aron, op. cit., pp. 105-106.
15
R. Aron, De la condition historique du sociologue, (1971), trad. it. La condizione storica del
sociologo, in R. Aron, La politica, la guerra, la storia, op. cit., p. 615.
VII
rappresentasse per Aron. In effetti la sua lettura del Capitale, oltre che su
questioni prettamente economiche, s’incentrava intorno a tali interrogativi:
«il marxismo di Marx, in quanto filosofia della Storia, [sott. nostra] ci
libera dall’obbligo, pesante ma costitutivo della nostra umanità, di
scegliere tra le differenti fazioni? Se l’avvenire è già scritto, inevitabile e
salvatore, a rifiutare il suo avverarsi potranno essere solo uomini ciechi o
prigionieri dei loro particolari interessi? Nell’interpretazione corrente
del marxismo, era la filosofia della Storia ad attrarmi e a respingermi
insieme. […] non cercavo nel Capitale la conferma al mio rifiuto del
sovietismo; al contrario, speravo di trovarci la conferma del socialismo,
fase prossima e fatale della Storia»
16
.
Aron non soltanto non trovò mai una simile conferma ma, attraverso Max
Weber, approdò ad una visione antitetica rispetto a quella di un corso fatale e
prevedibile del divenire umano. Il marxismo era per Aron una filosofia della
storia che poneva in primo piano il problema della scelta e dell’azione umana
nel mondo storico. Riconoscere una «fase prossima e fatale della Storia»,
significava ravvisare lo svolgersi di un movimento globale e necessario, al di
là di ciò che gli uomini pensano e fanno. Ma Aron non era propenso ad
attribuire alla libertà umana un carattere di apparenza a vantaggio di una
conoscenza «della storia umana totale». La storia non poteva essere razionale a
tal punto da eliminare il carattere accidentale delle azioni umane, l’unicità e la
singolarità degli individui, in una parola la dimensione imprevedibile degli
eventi.
In effetti Aron, ad un certo momento, avvertì quasi fisicamente quel senso
tragico e terrificante che accompagna sempre ciò che per l’uomo si presenta
come imponderabile, inatteso. Nella Germania del 1930, egli assistette in prima
persona all’avvento del nazionalsocialismo e all’ascesa di Hitler al potere. Il
giovane filosofo francese sperimentò «la potenza delle forze irrazionali» e
apprese come dalle decisioni di singoli individui potessero dipendere le sorti
del mondo intero. La storia si rimetteva in moto senza obbedire
«automaticamente agli imperativi della ragione o ai desideri degli uomini di
buona volontà»
17
.
L’esperienza della Germania nazista segnò profondamente la personalità e il
pensiero di Aron
18
. Essa fu insieme alla lettura di Weber l’altro elemento che
contribuì, in modo decisivo, ad orientare la riflessione aroniana in senso
opposto alla filosofia della storia. Nei Mémoires Aron così chiariva i motivi
della sua affinità con il sociologo tedesco:
16
Cfr. R. Aron, Memorie, trad. cit., pp. 53-54.
17
L’espressione di Toynbee History is again on the move rimase sempre cara ad Aron, il quale
a partire dalla lezione inaugurale al Collège de France la trovò perfetta per descrivere la sua
esperienza del crollo della Repubblica di Weimar. Si veda Della condizione storica del
sociologo, trad. cit., in R. Aron, La politica, la guerra, la storia, op. cit., p. 614; R. Aron,
Memorie, trad. cit., p. 54.
18
Per un approfondimento di questo aspetto si veda N. Baverez, R. Aron, op. cit., pp.69- 92; R.
Aron, Memorie, trad. . cit., pp. 47-80.
VIII
«[…] leggendo Max Weber, sentivo i frastuoni, gli scricchiolii della nostra
civiltà, la voce dei profeti giudei e, come un’eco ridicola, l’abbaiare del
Führer. […] Max Weber non aveva misconosciuto i sistemi sociali né le
decisioni irreversibili e fatali prese dagli uomini del destino»
19
.
Il marxismo, in quanto filosofia della storia, con la sua pretesa di una
conoscenza totale e assoluta del divenire umano, eliminava ogni elemento che
si presentava come oscuro alla ragione, cioè imprevedibile. Ma la rimozione
dell’irrazionale, dell’inatteso a vantaggio di un corso necessario ossia
prevedibile di eventi, doveva apparire ad Aron quanto meno ridicola, in un
momento in cui la storia mostrava il suo volto tragico e oscuro.
Aron trovò in Max Weber una prospettiva che gli consentiva di salvaguardare
l’azione umana nelle sue conseguenze imprevedibili. Solo riconoscendo il
carattere d’indeterminatezza che accompagna gli eventi umani, era possibile
ridare alla scelta e alle decisioni umane la loro giusta dimensione. Solo un
corso non interamente prevedibile e fatale della storia, consentiva in ultima
analisi di restituire alla politica, azione umana per eccellenza, la sua autonomia
e la sua effettiva incidenza.
La critica che Aron rivolge alle filosofie della storia e ad ogni visione
totalizzante del divenire umano è pertanto un aspetto non certo trascurabile del
suo pensiero per almeno due motivi essenziali. Innanzitutto perché lo stesso
Aron ha voluto interpretare la sua opera «alla luce del marxismo», il quale è
anche, come si è visto, una filosofia della storia. In secondo luogo perché
quella valorizzazione della politica che il sociologo francese aveva di mira, non
poteva attuarsi che in contrapposizione ad ogni visione integrale del mondo
storico e sociale.
Detto questo, il nostro lavoro non vuole essere un’analisi del pensiero politico
e sociologico di Aron o la trattazione di un aspetto del suo pensiero in relazione
alla sua concezione della politica e della società. Il sociologo-politico resta per
noi interamente sullo sfondo per lasciare spazio al filosofo che riflette sulla
storia e sui problemi della conoscenza storica. Vorremmo cioè analizzare
alcuni aspetti di quel sottofondo teorico-critico, ancora quasi del tutto
inesplorato, che certamente servirà poi anche da supporto metodologico
all’attività del sociologo.
La scarsità della letteratura critica, la ricchezza e la complessità dei testi
aroniani, non sempre di facile lettura, rendono quantomeno difficoltoso
l’accostamento all’opera filosofica di Aron. Di essa è tuttavia possibile
individuare due linee interpretative differenti. La prima analizza la riflessione
aroniana sulla conoscenza storica attraverso un confronto con lo storicismo
tedesco e in particolare con il pensiero di Dilthey e di Max Weber, mirando ad
individuare in essa le posizioni di maggiore originalità. La seconda cerca
ricostruire «la filosofia critica della storia» mostrando come per Aron la
19
R. Aron, Memorie, trad. cit., p. 70. Si veda anche Della condizione storica del sociologo,
trad. cit., in La politica, la guerra, la storia, op. cit., p. 615: «Tra la sociologia di Max Weber e
l’esperienza vissuta di un laureato in filosofia, francese, ebreo, abitante a Berlino durante i
primi mesi del Terzo Reich, esisteva, mi sembra, una specie di armonia prestabilita o, in
termini più modesti, un accordo di sensibilità ».
IX
possibilità di una conoscenza storica che sia realmente scientifica ha come sua
condizione fondamentale la rimozione di quel sapere illegittimo rappresentato
delle filosofie della storia
20
.
Nel corso di questo nostro lavoro cercheremo di seguire questa seconda linea
interpretativa che ci pare meglio inquadrare il pensiero filosofico di Aron nel
contesto complessivo della sua poliedrica opera e della sua personalità. Se è
vero come egli afferma che è «alla luce del marxismo» ossia, alla luce di un
confronto con la filosofia della storia che la sua opera va interpretata, allora
occorre innanzitutto seguire come tale confronto si sviluppi sul terreno della
filosofia critica della storia. In altri termini cercheremo di mostrare in che
senso la riflessione aroniana sulla conoscenza storica si lasci interpretare alla
luce della filosofia della storia e come la critica della filosofia della storia sia di
assoluta importanza all’interno del progetto aroniano di una «Critica della
ragione storica».
Vedremo infatti come ad essa spetti il compito di smascherare le pretese
illusorie della metafisica storica e di mostrare nello stesso tempo la dimensione
di legittimità di quelle pretese. Da quella critica risulterà come totalità storica
(Marx) e pluralità storica (Spengler) private del loro statuto metafisico siano
semplici metodi della conoscenza storica. Successivamente vedremo come la
Critica della ragione storica una volta rigettate le illusioni della metafisica
riconduca le proprie analisi sul piano della metodologia ricercando quei
procedimenti attraverso i quali la conoscenza storica può accedere ad
un’oggettività possibile. Ma è fin d’ora chiaro che soltanto la preliminare
rimozione degli errori della metafisica può permettere all’analisi critica di
riportarsi sul terreno metodologico e ricercare entro quali limiti della
conoscenza storica può accedere all’oggettività.
In altri termini la critica delle filosofie della storia mostra che l’unico spazio
possibile di legittimità per la conoscenza storica è quello della metodologia ed
è su questo terreno che la filosofia critica della storia deve condurre le proprie
analisi. Passeremo così all’indagine critica della comprensione e della
spiegazione da cui risulterà la necessità di una loro reciproca complementarietà
nella quale si coniugano quelle due esigenze della totalità e della singolarità,
che sul piano metafisico apparivano opposte antinomicamente.
Così avranno una conferma indiretta i risultati della critica della filosofia della
storia che aveva mostrato l’illegittimità di ogni rappresentazione unilaterale
della storia sia nel senso della totalità sia nel senso della singolarità. La
conoscenza storica, per evitare le illusioni metafisiche e presentarsi come
legittima, doveva necessariamente superare quell’unilateralità e conciliare
quelle esigenze opposte non naturalmente su un piano metafisico, cosa
impossibile, ma su un piano metodologico.
20
Per ciò che riguarda la prima interpretazione l’opera più importante e di maggior rilievo è
senz’altro quella di G. Camardi, Individuo e storia, Napoli, Morano editore, 1990; mentre la
seconda è quella si trova nel saggio di Sylvie Mesure, Raymond Aron et la raison historique,
Paris, Vrin, 1984. È utile inoltre citare l’unica precedente tesi di laurea, almeno tra quelle
discusse in questa stessa Facoltà nel 1978 da Bruna Boi intitolata Storia e conoscenza storica
in R. Aron dal 1938 al 1965. Si tratta di un ottimo lavoro, credo tra i primissimi in assoluto a
presentare con una certa completezza il pensiero critico di Aron.
X
Dalla complementarietà di comprensione e spiegazione risulterà evidente come
l’esigenza della totalità e l’esigenza della singolarità si coniughino
perfettamente proprio in quei procedimenti fondamentali della conoscenza
storica. Ma è solo «alla luce» della critica della filosofia della storia che è
possibile comprendere la portata di quella complementarietà e in ultima analisi
della Critica della ragione storica di Aron.