44
posizione di mezzo tra la concezione volontaristica e quella naturalistica, dove trova
spazio e autonomia la figura dell’uomo nel determinare il proprio destino, ma dove il
ruolo di Dio, seppure più distante dagli affari umani rispetto alle tradizionali
concezioni scolastiche, è pur sempre molto rilevante, poiché Egli stesso è l’artefice
consapevole della libertà e della volontà dell’uomo.
Le difficoltà d’analisi, comprensione ed etichettatura che si riscontrano sul
tema dell’origine del potere politico, sono lo specchio in cui si riflette gran parte del
pensiero politico di Juan de Mariana. Allo stesso modo sono la causa prima delle più
diverse interpretazioni alle quali il gesuita è stato sottoposto in passato. Spesso,
infatti, le interpretazioni che lo hanno riguardato sono risultate tra di loro anche
diametralmente opposte, perché tendevano a prendere in considerazione solo uno
degli aspetti del suo pensiero, piuttosto che considerarlo nel suo insieme e di tentare
di risolvere le sue apparenti ma spesso ignorate contraddizioni
106
.
Passiamo ora ad analizzare la trattazione sull’origine dello stato nel dettaglio.
L’analisi di Mariana può essere suddivisa in quattro fasi, che corrispondono agli stadi
attraversati dall’uomo nella sua graduale ascesa verso la convivenza politica,
rappresentata dallo stadio finale, e che il gesuita chiama società civile:
107
1) LA CREAZIONE DELL’UOMO
2) LO STATO NATURALE (sociale e prepolitico)
3) LO STATO DI GUERRA
4) LA SOCIETA’ CIVILE
Nel primo stadio, quello che riguarda la creazione dell’uomo da parte di Dio,
Mariana spiega le ragioni della tendenza dell’uomo ad associarsi naturalmente con i
propri simili. Dio, secondo Mariana, crea nell’uomo delle caratteristiche e dei
bisogni tali da indurlo a vivere in società, con lo scopo principale di fomentare il
mutuo amore e l’amicizia con gli altri uomini. Queste caratteristiche volute da Dio
nell’uomo sono, secondo Mariana, la facoltà di parola e la debolezza fisica.
Entrambe contribuiscono a far sì che l’uomo si associ con i suoi consimili. L’uomo,
106
A proposito delle varie interpretazioni che ha subito il pensiero di Juan de Mariana nel corso dei
secoli, si consiglia di consultare per un’introduzione al problema D. FERRARO, Tradizione e ragione
in Juan de Mariana, op. cit. , cap. 10, intitolato “Polemiche contingenti ed equivoche fortune”.
107
Concordiamo con lo schema della N. VILLANI, Immagini della regalità, op. cit. , pp. XXVI-
XXXII, ma con delle differenze d’interpretazione.
45
infatti, non può fare a meno di organizzarsi in società perché, individualmente, è
troppo debole e vulnerabile nei confronti di predatori più forti.
Sapeva infatti Dio, creatore e padre del genere umano, che non vi è cosa maggiore tra gli
uomini dello scambio di amicizia e carità, e che non era possibile esercitare questo amore
scambievole se gli uomini non si fossero riuniti in un sol luogo e sotto il comando di
leggi comuni. Dio concesse loro la facoltà della parola, affinché si potessero unire e
comunicare i loro pensieri, cosa che di per sé fomenta molto il mutuo amore; e affinché
volessero e per di più facessero questo necessariamente, li creò soggetti a necessità ed
esposti a molti mali e pericoli, per soddisfare e superare i quali l’uomo doveva spendere
le energie e l’ingegno di molti. Così, dette agli altri animali cibi e coperture, e, per
difendersi dagli attacchi esterni, dotò alcuni di corna denti e unghie, altri di piedi leggeri,
perché fuggissero il pericolo; solo l’uomo, invece, abbandonò alle miserie della vita,
lasciandolo nudo e inerme quasi come scampato ad un naufragio, dopo aver perso tutte le
sue cose.
108
Dio è quindi il responsabile e l’artefice della natura sociale dell’uomo. Dio spinge
l’uomo ad una naturale socievolezza, creandolo debole e in grado di comunicare con
gli altri uomini, in modo che sia indotto ad associarsi con loro, allo scopo di
stimolarne l’amore e l’amicizia attraverso la cooperazione.
La stessa idea di progresso è coerente, in Mariana, con la sua visione
antropologica. In effetti, Mariana, da buon storico e conoscitore dell’evoluzione
umana in generale, è consapevole che il progresso derivi dal bagaglio di conoscenze
che l’uomo ha gradualmente acquisito durante il corso dei secoli, grazie all’aiuto
della ragione e dell’osservazione e non dell’istinto. In questo gli uomini sono molto
diversi dagli animali. Difatti, “[…] gli altri animali, per il loro semplice istinto, si
procurano aiuti per vivere, quando ne hanno bisogno, tane, covi, cibi, riconoscendo
le erbe salutari che possono curarli […]”
109
. Invece nessuna vita umana “[…] per
lunga che possa essere, è sufficiente ad ottenere anche una sola scienza, se non fa
tesoro delle osservazioni di molti e dei risultati forniti da una lunga esperienza.”
110
.
Per questa ragione “[…]l’uomo ha bisogno delle forze e dell’aiuto altrui, dal
momento che da solo non è capace di procurarsi tutti gli aiuti per vivere[…]”
111
.
Così, anche nel definire il concetto di progresso, Mariana ribadisce che la socialità
dell’uomo è in lui sin dalla nascita, sottintendendo che così non è per la sua politicità.
Mariana, teorizzando solamente una natura sociale nell’uomo, e non una
politica, si differenzia in questo modo dalla visione antropologica della Scolastica. Il
108
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., pp. 17-18.
109
Ivi : p. 18.
110
Ibid.
111
Ibid.
46
gesuita, infatti, apre le porte ad una concezione volontaristica del potere politico,
giacché lo Stato dovrebbe sorgere così per volontà dell’uomo. L’esistenza dello Stato
non può più essere spiegata con una concezione antropologica basata sulla natura
politica dell’uomo
112
. Tuttavia, nei confronti di queste ben auguranti premesse, come
abbiamo già rilevato all’inizio di questo sottocapitolo, Mariana farà più avanti un
piccolo ma significativo passo indietro rispetto ad un’adesione totale alla concezione
volontaristica o contrattualistica della nascita dello Stato, spegnendo in parte gli
entusiasmi che aveva inizialmente suscitato. Resta in ogni caso il fatto che la sua
posizione è molto avanzata e originale, anche all’interno della stessa Tardoscolastica
gesuitica.
Il secondo stadio descritto è una sorta di stato di natura, una primitiva
condizione naturale contraddistinta dalla mancanza di conflitti e dalla felicità
incondizionata dell’uomo
113
. Alcuni studiosi paragonano questa fase alla mitica età
dell’oro, topos letterario di “secolare tradizione”
114
. Mariana descrive così quel
tempo.
Contenti di poco, infatti, quegli uomini erano soliti placare la fame con i frutti selvatici
degli alberi, le bacche spontanee e il latte di pecora, mentre lenivano l’arsura della sete,
quando ce n’era bisogno, con l’acqua dei fiumi; con le pelli degli animali si riparavano
dal freddo e dal caldo; sotto gli ombrosi alberi si concedevano lieti sonni; preparavano
pasti frugali, scherzando con i propri simili e allestendo piacevoli conversazioni. Non vi
era spazio per la frode e la menzogna, né vi era bisogno di visitare le case di uomini più
potenti alle cui opinioni assentire; la quieta vita di quegli uomini non era turbata da
alcuna polemica e neppure dai fragori della guerra.
115
In questo stadio primordiale descritto da Mariana è importante rilevare il carattere
sociale e prepolitico dell’associazione umana, caratterizzata da una “naturale
112
Secondo A. PASA, Il gesuita Giovanni Mariana, op. cit. , pp. 60-84, la visione antropologica di
Mariana si discosta da quella della Scolastica che vede l’uomo non solo come animale sociale ma
soprattutto come animale politico. Sia la concezione di Mariana, sia quella scolastica non sono tuttavia
nuove, ma si basano rispettivamente sullo stoicismo e sull’aristotelismo. La contrapposizione di
queste due filosofie, già avvenuta nell’antichità a seguito della caduta della polis greca, riemerge nelle
dispute rinascimentali tra difensori dell’aristotelismo, solitamente identificati con la causa cattolica, e
sostenitori delle filosofie anti-aristoteliche e anti-scolastiche come lo stoicismo, l’epicureismo o il
platonismo.
113
E’ importante sottolineare che Mariana non utilizza mai il termine stato di natura. Il gesuita parla
in generale di un’originaria condizione naturale dell’uomo. Secondo N. VILLANI, Immagini della
regalità, op. cit. , p. XXVIII, questo stadio è “[…] paragonabile alla descrizione rousseauniana del
buon selvaggio”.
114
Cfr. D. FERRARO, Tradizione e ragione in Juan de Mariana, op. cit. , p. 102.
115
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., p. 17.
47
socialità senza regole di diritto”
116
, nella quale l’uomo segue solamente la sua
naturale inclinazione alla socialità impressagli da Dio. Nella società umana primitiva
non vi sono leggi e l’organizzazione sociale è di tipo familiare-patriarcale. Gli
uomini di allora “non avevano leggi che li obbligassero, né capi che li comandassero;
ma solo, per un certo impulso ed istinto di natura, ogni famiglia attribuiva il maggior
rispetto a colui che vedevano superare gli altri in età.”
117
.
Nello stato originario di Mariana alcuni vedono il camuffamento della
metafora adamitica, probabilmente perché è anch’esso
basato
sul valore di
un’originaria e innocente purezza dell’uomo
118
. Secondo noi, si tratta invece di
un’analogia apparente e ingannevole, e riteniamo pertanto che, tra la metafora
adamitica e lo stato di natura teorizzato da Mariana, vi siano delle importanti
differenze. In particolare, è l’ingerenza divina negli affari umani ad essere diversa.
Mentre nel racconto biblico c’è l’intervento di Dio nella cacciata di Adamo ed Eva
dal paradiso terrestre, che li punisce per aver commesso il peccato originale, nello
stadio primordiale di Mariana saranno le conseguenze delle stesse azioni dell’uomo a
condannarlo ad una vita corruttibile determinando la fine dell’età dell’oro e
l’ingresso nello stato di guerra, e non un’entità metafisica. In Mariana, Dio è difatti
più distante dalle vicende umane, confinato al ruolo di demiurgo del mondo e
creatore-spettatore lontano. Dopo aver dato l’“imprinting” iniziale all’essere umano,
Dio sembra ritirarsi dal mondo terreno, lasciando spazio e completa autonomia al
libero arbitrio dell’uomo, quasi avesse già provveduto a contemplare tutte le possibili
conseguenze della libertà d’azione concessa nel suo disegno iniziale. Tuttavia, non ci
si può nemmeno sentire legittimati a ritenere che Dio, nella concezione di Mariana,
sia del tutto assente dalle vicende terrene. Il suo influsso, difatti, è ben presente nella
natura profonda dell’uomo, che ha sapientemente plasmato secondo la sua volontà.
Lo stato naturale descritto da Mariana, in conclusione, non può essere considerato il
succedaneo della metafora adamitica contenuta nella Bibbia, perché è la concezione
di Dio ad essere diversa nei due casi. Nella descrizione di Mariana, infatti, Dio è allo
116
A. PASA, Il gesuita Giovanni Mariana, op. cit. , p. 58.
117
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., p. 17.
118
Cfr. N. VILLANI, Immagini della regalità, op. cit. , p. XXIV, quando afferma che “[…]l’assenza
dei riferimenti biblici sulla caduta dell’uomo in seguito al peccato e conseguente cacciata dal paradiso
terrestre[…]” è, a suo avviso, “[…]più apparente che reale[…]”.
48
stesso tempo creatore previdente dell’uomo e spettatore esterno delle sue
vicissitudini.
Ritornando però alla descrizione dello stato naturale, Mariana ritiene che la
vita serena e la mancanza di conflitti caratteristici di quell’età non possano durare in
eterno. Con l’introduzione della proprietà privata si avverte, secondo un’originale
interpretazione di Pasa, un vuoto istituzionale e di potere, dal momento che non
esiste nessuna autorità suprema in grado di dirimere i conflitti che scaturiscono dal
possesso materiale
119
. Con la diffusione della proprietà privata, infatti, gli uomini
nomadi e primitivi che “[…]andavano erranti, senza fissa dimora[…]”, diventano
agricoltori e sedentari
120
. La bramosia e il desiderio di possesso precipitano l’uomo
in una fase caratterizzata dalla guerra e dal conflitto, che rappresenta il terzo e
penultimo stadio nell’evoluzione sociale umana
121
. Allora accade che,
[…]gli stessi uomini, confidando ciascuno sommamente nelle proprie forze, alla stregua
di una bestia feroce e solitaria, che alcuni atterrisce ed altri teme, si appropriarono, senza
che nessuno potesse proibirlo, dei beni e della vita dei più deboli, specialmente quando,
formata una certa società con altri, le mani di molti irrompevano nei campi, tra le greggi e
le case, saccheggiando e rubando ogni cosa, con pericolo anche della vita di chi tentasse
resistere loro. Aspetto miserabile della vicenda! Ovunque ladrocini, scorrerie e stragi si
esercitavano impunemente senza lasciare alcun riparo all’innocenza e alla debolezza
altrui.
122
Così, l’illimitata felicità dello stato primitivo ha termine. Si rende necessaria, per la
sicurezza e la felicità delle persone oneste o più deboli, l’instaurazione di quella che
Mariana chiama la società civile, ovvero la società politica.
Così, poiché la vita di ognuno era esposta ai mali esterni, e neppure i consanguinei tra
loro e i congiunti si astenevano da mutue violenze, quanti erano oppressi dai più forti,
cominciarono a stringersi con altri in un mutuo accordo di società e a rivolgersi ad uno
solo che primeggiasse in giustizia e lealtà, con l’aiuto del quale fossero impediti i soprusi
interni ed esterni; dovendo instaurare la giustizia, tutti, dai superiori agli inferiori, furono
sottomessi ad una stessa legge. Da qui sorsero per la prima volta l’aggregazione urbana e
la regia potestà, che a quel tempo non si ottenevano con ricchezze e intrighi, ma con
119
Cfr. A. PASA, Il gesuita Giovanni Mariana, op. cit. , n. 2, p. 55, quando dice che “Nel naturale
stato sociale gli uomini sono felici e virtuosi e solo la debolezza e i bisogni li spingono alla
coltivazione della terra, dalla quale, colla proprietà distinta e la conseguente avidità, nascono le lotte.”.
A p. 56 ripete che “[…] col disboscamento e la coltivazione dei campi, si introduce la avidità che
distrugge la felicità primitiva.”.
120
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., p. 17.
121
Rileviamo che Mariana non utilizza mai la parola stato di guerra. Tuttavia, N. VILLANI,
Immagini della regalità, op. cit. , p. XXX, ritiene che l’immagine descritta da Mariana in questa fase
sia “[…] anticipatrice dello stato di guerra di tutti contro tutti hobbesiano […]”. A differenza di
Hobbes, fa notare subito dopo la Villani, “[…] non è il semplice individuo isolato […] a combattere
l’altro […]”, bensì l’unione di più uomini.
122
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., pp. 18-19.
49
moderazione, onore e provata virtù. Così dalla mancanza di molte cose, dal timore e dalla
coscienza della fragilità, sono nati i diritti dell’umanità (grazie ai quali siamo uomini) e la
società civile, nella quale si vive bene e felicemente.
123
La società civile nasce quindi come reazione ai conflitti scatenatisi nello stato di
guerra ed è un frutto della volontà umana, perché nasce da un mutuo accordo, vale a
dire da un patto tra gli uomini. Nella società civile si crea un’unica legge, a cui tutti
gli uomini si sottomettono, “dai superiori agli inferiori”
124
. Inoltre, i capi della
società civile “derivano la loro autorità dalla volontà dei soggetti”
125
.
Mariana, nell’ultimo stadio dell’evoluzione della società umana, porta a
compimento, sviluppandola completamente, la premessa iniziale da cui era partito, la
naturale socialità dell’uomo. Ne discende che, partendo da questa premessa che
esclude a priori la natura politica dell’uomo, Mariana concepisce lo Stato e il potere
politico come un prodotto umano e non divino, dato che lo Stato non è creato per
l’uomo da Dio, ma è fondato dalle stesse mani dell’uomo, che lo istituisce per
esaudire i suoi bisogni e le sue necessità. E’ proprio in quest’aspetto della teoria
politica di Mariana che trova spazio un forte accento volontaristico, reso ancora più
evidente dal fatto che Mariana pone all’origine dello Stato un mutuo accordo tra gli
uomini, rifacendosi in questo modo alla teoria del patto
126
. Il patto fondativo è un
accordo del tutto volontario, che sancisce l’effettiva nascita dello Stato e del potere
politico. La teoria del patto è la prova che Mariana concepisce lo Stato e il potere
politico come un’opera frutto della volontà umana. Nello Stato di Mariana vige una
sola legge, uguale per tutti, che sottomette alle sue normative gli stessi capi politici,
che inizialmente diventano re per volontà degli uomini.
Una volta terminata la lettura sulla genesi dello Stato, si può essere portati a
credere entusiasticamente che Mariana escluda completamente qualsiasi interferenza
divina dalle vicende umane, rompendo del tutto con la tradizione Tardoscolastica,
operando una netta distinzione tra ragione e fede e basandosi completamente su di
una concezione volontaristica del potere politico. Noi riteniamo, invece, che questo
123
Ivi: p. 19.
124
Ibid.
125
A. PASA, Il gesuita Giovanni Mariana, op. cit. , p. 59.
126
A. PASA (Ivi: p. 62 e seguenti) ritiene che la teoria del patto sia da ricondursi filosoficamente
all’epicureismo. L’epicureismo e la sua teoria del patto sarebbero stati rispolverati nel Rinascimento,
sempre con l’intenzione di anteporli all’aristotelismo e alla scolastica medievale, e uniti con altre
dottrine riscoperte in quell’epoca.
50
non avvenga completamente, fermo restando che la posizione del gesuita è molto
avanzata se messa a confronto con quella di altri filosofi della Tardoscolastica. In
effetti, come detto in precedenza, il ruolo che Dio ha nella determinazione delle
vicende umane, è sì molto più distante rispetto a quello della tradizione scolastica,
tant’è vero che si potrebbe essere portati a considerare l’interferenza divina come
ininfluente se non addirittura assente, però, è anche vero che secondo Mariana la
divinità si rivela fondamentale per l’uomo, dal momento che Dio è, in ultima analisi,
proprio l’artefice lungimirante del libero arbitrio umano, necessario all’uomo per
istituire volontariamente lo Stato. Creare l’uomo soggetto solo al proprio libero
arbitrio rientra così in un più ampio progetto divino. E’ Dio la causa prima del suo
libero arbitrio. E’ Dio che ha volutamente creato la specie umana debole e indifesa
nei confronti degli altri animali, affinché l’uomo s’ingegnasse per migliorare la
propria condizione grazie alla sua forza di volontà. E’ da quest’iniziale debolezza
fisica impressagli da Dio che l’uomo sviluppa la volontà di migliorare e rendere più
sicura la sua vita, prima nella società patriarcale dello stato di natura, poi nella
società civile. Perciò il carattere volontario dell’agire umano, e quindi anche di
quello politico, discendono sempre, in ultima analisi, da un’ intelligenza superiore.
E’ la divina provvidenza la causa efficiente della libertà umana che provvede, con i
suoi disegni imperscrutabili, a dare un ordine e un significato alle scelte dell’uomo,
pur lasciandolo libero nel suo agire.
Altri più stupidamente e non senza una nota di empietà, accusano la divina provvidenza
come se tutte le cose sulla terra accadessero a caso e senza alcuna guida […]. Invece
proprio dove la natura e la provvidenza divina vengono vituperate, là è riscontrabile, in
modo più evidente, la loro forza e la loro divinità. Se infatti l’uomo avesse avuto le forze
e il vigore necessari per vincere i pericoli e non avesse avuto bisogno delle forze altrui:
quale società ci sarebbe? Quale rispetto tra gli uomini? Quale ordine? Quale fiducia?
Quale civiltà?[…]
Così dalla nostra debolezza nacquero la società tra gli uomini, la civiltà e le più sante
leggi, tutti beni divini, con i quali la vita in comune fu fatta più sicura e perfetta: e tutto
l’essere dell’uomo dipende principalmente da questo, dall’essere nato nudo e debole, dal
mancare dell’aiuto degli altri e dall’avere avuto bisogno delle forze altrui.
127
Mariana non nega il ruolo della libertà nelle azioni dell’uomo. Anzi, la
considera una caratteristica imprescindibile della sua natura. Alla fine, però, la libertà
dell’agire umano è in qualche modo riconducibile alla più ampia, inclusiva e
imperscrutabile divina provvidenza. Riteniamo che la concezione del potere politico
127
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., pp. 19-20.
51
di Mariana non sia completamente di tipo volontaristico, come si può essere indotti a
credere in un primo momento. Mariana non eleva completamente la filosofia politica
al rango di scienza intesa in senso moderno, perché non la separa del tutto dalla fede,
ma in ogni caso si avvicina molto a questo traguardo. “Il potere legittimo – tale è il
potere monarchico – deve dunque la propria esistenza tanto ai cittadini o sudditi di
un regno quanto alla volontà di Dio.”, afferma Chevallier
128
. Per tutti questi motivi
riteniamo che la filosofia politica di Juan de Mariana si collochi a metà strada tra le
due opposte concezioni del potere politico, quella volontaristica e quella
naturalistica, poiché al suo interno si trovano tracce d’entrambe le teorie; da una
parte la natura solo sociale dell’uomo che sfocia dritta nella teoria del patto, dall’altra
la divina provvidenza.
Non sappiamo se Mariana fu pienamente consapevole che nella sua filosofia
politica coesistevano fianco a fianco concezioni opposte, per non dire antitetiche,
dello Stato e del potere politico. Certamente, questo contrasto balza agli occhi più
oggi di allora. L’età rinascimentale, infatti, è un’epoca di transizione nella quale,
molto spesso, le idee vecchie si contaminano e si mescolano con quelle nuove dando
vita a sintesi superatrici. Il pensiero politico di Juan de Mariana riflette sia i forti
contrasti che la dialettica delle idee del periodo. Per questo motivo può apparire
contraddittorio e difficile, ma anche sorprendentemente chiaro e conciso, a seconda
delle teorie e delle influenze filosofiche a cui fa riferimento volta per volta. Mariana,
infatti, accolse le nuove conquiste del pensiero politico rinascimentale, dimostrandosi
in questo un gesuita in linea con lo spirito moderno del suo ordine religioso e attento
alle direttive impartite dalla Chiesa dopo il Concilio di Trento. Allo stesso tempo,
però, rimase fedele alle tradizioni, alla Chiesa e al principio d’autorità, cercando
sempre di non varcare del tutto i confini oltre i quali il suo pensiero si sarebbe potuto
spingere, non solo per prudenza, ma soprattutto per profondo rispetto e sincera
devozione nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche. Nel pensiero di Juan de
Mariana coesistono quindi in maniera originale ed unica sia esigenze di
rinnovamento che di fedeltà verso le tradizioni. Questa è la sua particolarità e la sua
originalità. Tuttavia, le differenti influenze presenti nel suo pensiero sono rielaborate
e ricomposte dal gesuita, non semplicemente accostate senza una coerenza logica.
128
J. J. CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, vol. II, L’età moderna, Bologna, Il Mulino, 1989,
p. 134.
52
Per questo motivo non ce la sentiamo di inquadrare Juan de Mariana come il
teorizzatore di una sintesi imperfetta
129
.
La monarchia ereditaria come forma di governo migliore
Mariana considera la monarchia ereditaria come la forma di governo
migliore
130
. Come per altri argomenti, la posizione del gesuita riguardo alle forme di
governo non è chiara fin da subito. Mariana, difatti, soppesa prima i pro e i contro
della monarchia senza schierarsi apertamente, ed esprime solo in seguito la sua
opinione in proposito
131
. Nell’analizzarne i pregi riporta alcune motivazioni che ci
sembrano di derivazione scolastica, come quella secondo cui “[…] la monarchia è da
preferire alle altre forme di governo, essendo più compatibile alle leggi di natura, che
riconducono il movimento del cielo e di tutto l’universo al comando di uno solo
[…]”
132
. Subito dopo passa a considerarne i difetti, consapevole che vi siano anche
“[…] molti argomenti a sostegno della tesi che il governo di molti sia da preferire a
quello di uno solo.”
133
. Per il gesuita, difatti, le forme di governo hanno un valore
relativo, dal momento che devono adattarsi al tempo e alle usanze dei popoli in cui
vengono contestualizzate.
Questo accade in ogni cosa, dal vestiario, all’abitazione, alle scarpe, che per quanto sono
belle ed eleganti non è detto che piacciano a tutti; e ritengo che possa accadere lo stesso
nelle forme di governo, in quanto non perché una supera tutte le altre, significa che debba
essere accettata da popoli di usanze e istituzioni diverse.
134
Dopo aver soppesato i pro e i contro della monarchia, finalmente Mariana chiarisce
meglio la sua posizione affermando che il suo animo “[…] era più incline a credere,
e a dare persino per certo, che il governo di uno solo dovesse essere preferito a tutte
129
Cfr. P. MESNARD, Il pensiero politico rinascimentale, a cura di Luigi Firpo, vol. II, Bari, Editori
Laterza, 1964, p. 285.
130
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., Cap. II-III, lib. I.
131
Questo modo di sviluppare il ragionamento è tipico dell’argomentare di Mariana che, così facendo,
rischia sempre di confondere le acque. E’ importante tenere in dovuta considerazione quest’aspetto
nella lettura del De Rege, altrimenti si rischia di scambiare per un parere dell’autore ciò che è in realtà
un atto di prudenza e un tentativo di sintesi.
132
J. DE MARIANA, De rege et regis institutione, op. cit. , tr. It., p. 22.
133
Ivi: p. 23.
134
Ivi: p. 25.