2.2. CINEMA COME ARTE ?
Per poter cercare di rispondere alla domande enunciate nel capitolo precedente e per poter
entrare nel vivo del linguaggio cinematografico, bisognerà partire dall’esordio di questa
nuova forma d’arte. La cinematografia, intesa come proiezione davanti ad un pubblico
pagante, risale ad Auguste e Louis Lumière. Sono due fratelli ingegneri di origini francesi
che inventarono per l'appunto il processo cinematografico dando vita alla prima proiezione
pubblica avvenuta il 28 Dicembre 1895 a Parigi nel Gran Cafè del Boulevard des
Capucines. La Francia è stata prima la patria della fotografia e successivamente anche
dell’invenzione del cinema, per questo, è doveroso essere grati ai francesi, in primis perché
sono stati gli inventori di questa nuova forma d’arte e poi perché sono riusciti ad
esaminarlo a fondo. Inizialmente, i pareri su questa meravigliosa e nuova invenzione,
erano spesso contrastanti, non avevano un’unica direzione sul suo uso e soprattuto sul tipo
di competenze che la “macchina’’ poteva offrire al collettivo. Sicuramente il cinema è il
simbolo della modernità, del progresso scientifico, del potenziamento della percezione
sensibile e i vari teoretici hanno rivolto il loro maggiore impegno a capire quale fosse la
vera essenza di questo nuovo mezzo. Le domande che si ponevano frequentemente erano:
questo nuovo mezzo poteva essere capace solo di emozionare o era anche capace di
proiettare la concreta realtà? Poteva essere considerato arte oppure era solo una mera
tecnica? Ovviamente, i primi teoretici si interrogavano e cercavano anche di comprendere
soprattutto i possibili usi futuri della giovane invenzione. Un giovane collaboratore dei
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fratelli Lumiere a distanza di pochi anni dalla comparsa del cinema e precisamente nel
1898 Bolesław Matuszewski, pubblica a Parigi due opuscoli: Une nouvelle source de
l'histoire e La photographie animée, in cui si interroga sull’origine di questa nuova forza
generatrice che è appunto il cinema, tentando di definire anche i suoi impieghi futuri.
Infatti, non di minor importanza Matuszewski, lo ritiene una meravigliosa “fonte storica’’ a
pari dignità dei documenti tradizionali. In una delle primissime esposizioni dei momenti
salienti del cinema, alla serata di debutto al Café des Capucines, si può leggere:
La fotografia cinematografica che compone in una scena migliaia di
immagini e che formandosi tra una fonte luminosa e un lenzuolo bianco
fa alzarsi e camminare i morti e gli assenti, questo semplice nastro di
celluloide impressionato, costituisce non soltanto un documento storico
ma una porzione di storia, e della storia che non è svanita, che non ha
bisogno di un genio per essere resuscitata .
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L’ aspetto del cinema che più impressiona i contemporanei è l'autenticità con cui esso
riesce a rappresentare la realtà, superiore per alcuni aspetti anche all’osservazione diretta.
A tal proposito, molti pensatori sottolineano una parentela con la fotografia, cui il cinema
fornirebbe una capacità più forte, di sottrarre all’oblio i soggetti che esso raffigura. La
fotografia ha smesso di essere immobile. Ora perpetua l’immagine del movimento.
Nessuno mai prima di allora si aspettava che una serie di immagini, e quindi, volendo
usare un termine più preciso, la fotografia cinematografica, potesse prendere decisamente
“vita’’. Osservare un continuo movimento di immagini, lasciava stupefatti meravigliati gli
spettatori, considerando che nel teatro ad esempio, gli attori si ponevano dinnanzi allo
spettatore, con l'avvento del cinema invece, gli spettatori si trovano davanti la fonte
luminosa proiettata sul lenzuolo bianco, ma riuscivano comunque a percepire sensazioni ed
emozioni anche più forti di quelle che potevano suscitare uno spettacolo teatrale. La
bellezza di queste invenzioni dunque risiede nella novità, nell'ingegnosità del dispositivo.
È anche importante osservare che con queste nuove invenzioni si assegnavano alle
immagini prodotte dal cinematografo una sorta di vita eterna, perché mentre con la
fotografia il “movimento” non esisteva, con il cinema: «La morte cesserà di essere
assoluta» . Questo è emerso da un articolo risalente al 30 Dicembre 1895 su “La Poste”,
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G. Grazzini, La memoria degli occhi. Boleslaw Matuszewki: un pioniere del cinema, Carocci, Roma 1999,
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p. 65.
G. Grignaffini, Sapere e teorie del cinema, Clueb, Bologna 1989, p.18.
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solamente due giorni dopo la prima proiezione dei fratelli Lumiere, il cinema nei suoi
primi giorni di vita assumeva già delle profonde caratteristiche. Nel corso del 1907, si
segnala l’esigenza del cinema di insediarsi nei discorsi definiti: “colti’’, ad esempio, Henri
Bergson pubblica il suo più grande lavoro, L'evoluzione creatrice (L'Évolution créatrice)
che ad oggi, tra i suoi lavori è senza dubbio il più conosciuto e il più discusso. L’opera
compare all’interno del (suo) saggio “L’illusion cinématographique’’ e fornisce uno dei
contributi più profondi sulla riflessione filosofica, in quanto, in qualità di filosofo, è stato il
primo ad usare il cinema come metro di paragone per comprendere peculiari concetti
filosofici. Altro contributo, altrettanto importante arriva dall’italiano Edmondo De Amicis,
sulla rivista milanese “L’illustrazione italiana’’, pubblica sempre nel 1907 il racconto
Cinematografo Cerebrale, invece il francese Georges Mèliès delinea ne Les vues
cinèmatographiques le prime fondamentali caratteristiche dei generi cinematografici e per
di più ci offre un primo profilo della professione del regista. Senza alcun dubbio, il cinema
è un fenomeno sociale, proietta delle immagini e si rileva con stupore la straordinaria
potenza della loro suggestione, capaci di agguantare lo spettatore, di provocare colorite
reazioni, di influenzarne il comportamento, incentivate dalla sfera affettiva delle emozioni.
Il pubblico in sala costituisce un secondo spettacolo. È questo il contenuto centrale del
primo racconto del genere comparso in Italia, Al cinematografo di Gualtiero Fabbri, del
1907, indaffarato a contrastare le accuse di immoralità e corruzione che all’epoca erano
rivolte al cinema. Nel Maggio dello stesso anno, infine, su La Stampa, l’italiano: Giovanni
Papini pubblica: “La filosofia del cinematografo’’, articolo di poche pagine ma densissimo
di contenuto, in cui pone delle audaci riflessioni sul cinematografo come sintesi della vita
moderna, aggiungendo un invito ai filosofi affinché si impegnassero ponderatamente nei
meandri di questa nuova invenzione. Papini dunque, afferma che se i filosofi, si
dedicassero alle cause della «quasi miracolosa moltiplicazione di cinematografi»,
potrebbero trovare nel cinema «nuovi motivi di pensiero, e chissà?, perfino nuove
emozioni morali e suggerimenti di nuove metafisiche» . Da poco tempo in Italia e più
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precisamente nelle grandi città, vi fu all’epoca come la definisce Papini una “miracolosa’’
moltiplicazione di cinematografi, queste nuove affascinanti apparecchiature invadono le
vie principali, e pian piano spodesteranno: «I teatri, come le tranvie hanno spodestato le
Cfr. G. Papini, “La filosofia del cinematografo’’, «La Stampa», Torino, XLI, 18 maggio 1907, p. 1.
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vetture pubbliche, come i giornali hanno spodestato i libri, e i bars hanno spodestato i
caffè» . Grande lungimiranza questa esposta da Papini, collocato in un’epoca dove la
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fruizione del cinema non si capiva bene e ancor meno si comprendevano i suoi impieghi
futuri, Papini guardava oltre, capiva bene che il ruolo del cinema non era solo
“passeggero’’ . Questo nuovo fenomeno iniziava a diramarsi più velocemente di quanto ci
si aspettasse a quel tempo, imprimendo le sue radici in una società ancora poco abituata
alla nuova macchina, ma che poi, più avanti, non potrà più fare a meno delle sue funzioni.
Le attenzione di Papini, come preannunciavo, sono rivolte soprattutto verso i filosofi, in
quanto amatori del silenzio e solitari, li indirizza più spesso a frequentare il cinema. Infatti,
scrive:
Per il filosofo vero - non per quello che sta in mezzo ai libri e che si
potrebbe chiamare il rivendugliolo della filosofia - non c'è nessuna cosa
al mondo, per quanto umile, piccola, e ridicola sembri, che non possa
divenir materia di pensiero, e quelli che sanno filosofare soltanto quando
si tratta dell'esistenza del mondo esterno o dei giudizi sintetici, a priori
rassomigliano ad un anatomico, che non sapesse parlare che degli esseri
mostruosi e dei casi teratologici. Anche i cinematografi, dunque, sono
oggetto degno di riflessione, ed io consiglio vivamente gli uomini gravi e
sapienti ad andarci più spesso. Essi potranno cominciare col chiedersi per
quale ragione questi luminosi spettacoli incontrino così presto il favore
della gente .
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Quindi, lo scrittore si domanda la causa per cui gli spettacoli cinematografici incontrano
così presto il favore della gente e la risposta non tarda ad arrivare, è molto semplice,
rispetto al teatro, questi spettacoli sono: più sintetici, meno faticosi e meno dispendiosi. Ma
a fondamento di questo presupposto, esiste un’altra ragione, meno scontata. Assistere ad
uno spettacolo cinematografico, non implica: troppo sforzo o troppa attenzione,
agevolando un tratto specifico della modernità, ovvero l’attitudine verso l’economia. Il
cinematografo secondo Papini ha: «Il vantaggio di occupare un solo senso, la vista» ,
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poiché in una proiezione filmica anche se è presenta la musica, lo spettatore non pone
attenzione ad essa. Continuando nella sua argomentazione Papini, afferma anche che:
«Questo unico senso viene artificialmente sottratto alle distrazioni per mezzo della
Ibidem.
55
Ibidem.
56
Ibidem.
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wagneriana oscurità della sala» . Si potrebbe rintracciare un’altra differenza lampante col
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teatro: la sala. Proprio il “campo’’ di proiezione di un cinematografo come si è già ribadito,
è oscuro, in modo tale che lo spettatore presti attenzione alla proiezione non lasciandosi
distrarre dunque, come spesso poteva capitare a teatro, a causa degli altri partecipanti:
cenni e sguardi che nei teatri troppo illuminati sono senza ombra di dubbio fonte di
distrazione. Ma continuando su questa linea, quindi la superiorità che il cinematografo ha
rispetto al teatro (quest’ultimo sotto molti aspetti è indubbiamente inferiore), Papini
intravede ragioni ancora più specifiche. La capacità più rilevante che il cinema ci offre a
discapito del teatro, è la peculiarità di saper riprodurre sullo schermo le vicende più
complicate che ad esempio anche il più abile tra i macchinisti non potrebbe riprodurre sul
palcoscenico di un teatro. Infatti, davanti alla tela bianca di un cinematografo si ha la
sensazione: «Che quegli avvenimenti sono i veri avvenimenti veduti come si potrebbero
vedere in uno specchio che potesse seguirli vertiginosamente nello spazio» , ci offre
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quindi la possibilità di guardare grandi avvenimenti reali in maniera più vivida rispetto a
riviste e quotidiani. Anzi, volendo, si potrebbe affermare che il cinema è un binomio tra
quotidiani e riviste illustrate, in quanto, i primi ci narrano solo in forma scritta, dunque
omettendo le immagini dei fatti accaduti nel tempo, al contrario, le riviste illustrate, ci
offrono si le immagini ma sono statiche, mentre il cinema combina le caratteristiche di
quanto sopra enunciato. Come afferma lo stesso Papini, il cinematografo è: «Un aiuto allo
sviluppo della immaginazione; una specie di oppio senza cattive conseguenze» , ci
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permette di imbarcarci in un doppio mondo dove tutto può succedere, in realtà, in un
mondo più meraviglioso del nostro. Ma per l’illuminate scrittore, tutto questo ancora non
basta, perché dovrebbero occuparsene anche i filosofi?
Anche i filosofi, […] possono venire a ispirarsi in questi saloni oscuri
invece di aggirarsi nei mercati e nelle piazze, come Socrate, o fra i
sepolcri, come Amleto, o sulle montagne, come Nietzsche. Il mondo
quale ce lo presenta il cinematografo è pieno di un grande insegnamento
di umiltà. Esso è fatto soltanto di piccole immagini di luce, di piccole
Ibidem.
58
Ibidem.
59
Ivi, p. 2.
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immagini a due dimensioni, e che dànno, nonostante ciò, l'impressione
del moto e della vita .
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Altro italiano che merita di essere menzionato è Ricciotto Canuto di origini baresi, nel
1902 si trasferisce a Parigi, è precursore dell’estetica cinematografica incarnando
perfettamente la figura di intellettuale eclettico di fine secolo. A lui, va il merito di aver
dato origina ad una prima essenziale prospettiva teorica sul cinema, infatti, fu uno dei
primi intellettuali a considerare il cinema come qualcosa di più dell’ovvio simbolo della
modernità tecnologica. Canudo vedeva il cinema come una “nuova forma d’arte’’, ancora
embrionale ma ricca di risorse. Per essere più precisi, nel suo Manifesto, considerava il
cinema come “settima arte’’ perché al suo interno esso comprendeva le proprietà essenziali
delle sei restanti arti, ovvero: il cinema narra delle storie (peculiarità della letteratura
dunque comprende la poesia), tramite le immagini (proprie delle arte figurative:pittura e
scultura) che si presentano in successione scandite dal ritmo (la musica). In conclusione il
cinema così presentato si eleva al cospetto delle altre arti. Scrisse un solo testo sul cinema,
Hugo Münsterberg psicologo e filosofo tedesco, “The photoplay: a psychological study’',
pubblicato nel 1916 poco prima di morire, in questo saggio ci propone alcune analogie tra
la sfera mentale e la visione cinematografica; quindi focalizza la sua attenzione sui
“mezzi’’ mentali coinvolti nella proiezione di un film. Scrisse una monografia essenziale
sulla nuova forma d’arte, cercò di distinguere il film tramite i dispositivi tecnici che
impiegava per presentare le sue narrazioni. Flashback, primi piani sono alcuni esempi di
tecniche impegnate dai registi all’interno di un film, forme che ovviamente non vengono
utilizzate dal teatro. L’uso di questi dispositivi, per Münsterberg, ha distinto il cinema
come forma d’arte rispetto al teatro.
Per definire nella maniera più esaustiva possibile il concetto di cinema come arte
all’interno di questo quadro, è doveroso menzionare un altro autore di origini tedesche, si
tratta di: Walter Benjamin, pensatore eclettico, filosofo, scrittore e critico letterario, nato a
Berlino nel 1892 da una benestante e colta famiglia di origini ebrea.
Negli anni ’30 del novecento e più precisamente nel 1935\36, Benjamin indirizzò le sue
ricerche in un complesso progetto di analisi sulla modernità, svolta su più livelli, vi
rientrano: la sua lettura della poesia di Baudelaire considerato il prima artista allegorico, le
Ibidem.
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