C. Santulli
4
episodi di divergenza all’interno del partito. Si formano, è vero, all’interno del filofascismo
alcuni movimenti, di cui i più noti ed attivi furono l’Unione Nazionale di Carlo Ottavio
Cornaggia ed il Centro Nazionale Italiano; tuttavia il riscontro a livello sia locale che
nazionale di questi gruppi rimane molto modesto ed altri tentativi, come per esempio quello
del conte Paganuzzi di riportare in vita l’Opera dei Congressi nel 1922, non superano lo
stato di progetto2. La conseguenza di questo è una certa disomogeneità del fenomeno del
filofascismo, come ha riconosciuto Francesco Malgeri:
una realtà politica, che non riuscì ad incidere sul piano sociale (anche se ebbe non marginale peso sul
piano economico e finanziario), che non fu movimento di massa, ma é legato a singole personalità e
gruppi, ognuno dei quali ebbe una sua storia, una sua particolare visione, un suo modo di collocarsi e di
interpretare la realtà vissuta dal paese e dal mondo cattolico in quegli anni3.
Fatta questa premessa, é necessario precisare che nomi illustri del mondo cattolico furono
tra i fiancheggiatori del fascismo. Tra loro si possono ricordare Stefano Cavazzoni,
Egilberto Martire, Paolo Mattei Gentili, Aristide Carapelle oltre alla triade di anziani nobili,
legati alle esperienze del movimento cattolico d’anteguerra, costituita da Carlo Santucci,
Filippo Crispolti e Giovanni Grosoli. Il nome di Grosoli é noto, oltre che per la sua attività
1
Vedi per esempio la FUCI durante la presidenza di Igino Righetti con monsignor Montini come
assistente centrale in GABRIELLA MARCUCCI FANELLO, Storia della FUCI, Studium, Roma, 1971.
2
Vedi in particolare SILVIO TRAMONTIN, La formazione dell’ala destra del Partito Popolare Italiano, in
Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti della politica dei cattolici nel ‘900, a cura di G. Rossini, Il
Mulino, Bologna, 1972, p.477 sgg.
3
Prefazione a DOMENICO SORRENTINO, La conciliazione e il fascismo cattolico. I tempi e la figura di
Egilberto Martire, Morcelliana, Brescia, 1980 p.VII
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
5
d’anteguerra nell’Opera dei Congressi e nell’Unione Popolare, anche per il trust della
stampa cattolica, che viene di solito indicato con il suo nome. L’uscita di Grosoli dal P.P.I. il
25 luglio 1923 porta dunque alla sconfessione di varie testate cattoliche da parte della
segreteria del partito. In particolare il “Corriere d’Italia”, giornale romano del trust,
aveva già criticato in diverse occasioni a partire dal ’21 la linea politica della segreteria del
P.P.I., ma ora muta definitivamente orientamento e si accosta al fascismo. Al trust aderivano
altri quotidiani cattolici, tra cui "Il momento" di Torino, che ebbe tra i collaboratori in quel
periodo Crispolti e Speranzini (v. § 3.3).
All’interno dei cattolici che aderirono al fascismo, viene anche spesso fatta una distinzione
tra clerico-fascisti e filofascisti. Con ogni probabilità, questa distinzione ha origine da uno
scritto di Don Sturzo pubblicato nel 1924 ed edito da Gobetti, “Popolarismo e fascismo”.
Sturzo distingue tra i filofascisti, p.es. gli aderenti all’Unione Nazionale di Carlo Ottavio
Cornaggia Medici o l’ex-popolare di sinistra, Giuseppe Speranzini legato al gruppo di
"Conquista popolare", e i clerico-fascisti, cioè quegli esponenti del P.P.I. che non sono
d’accordo con Sturzo sulla necessità di sospendere la collaborazione col governo. I
filofascisti erano già usciti dal partito prima del congresso di Torino4 quando questo ancora
collaborava col governo Mussolini, e la loro azione politica tendeva ad una convergenza
sulle posizioni fasciste. I clerico-fascisti, usciti invece dal P.P.I. tra fine luglio ed agosto
1923, quando il partito aveva deciso di abbandonare la collaborazione col governo
4
Speranzini era stato espulso insieme a Romano Cocchi ed a Luigi Degli Occhi nei primi mesi del 1921. I
tre avevano cercato di formare una corrente di sinistra nel P.P.I., che poi porterà alla formazione effimera
C. Santulli
6
Mussolini e di astenersi sulla legge Acerbo, cercano una propria via politica, che conservi
una certa autonoma, pur nell'ambito dei fiancheggiatori del fascismo5. Questa via politica si
espresse, come già ricordato, nella fondazione di un movimento, il Centro Nazionale
Italiano, che promosse alcune iniziative, dei convegni regionali ed un convegno nazionale di
studio a Roma nel 1928, venendo definitivamente sciolto nel 1930. Come scrive Giovanni
Grasso
la posizione di questi personaggi - che, più o meno inconsciamente, pensavano di poter cattolicizzare,
con la loro sola presenza il fascismo - si andò man mano appiattendo sull'azione del governo fascista,
perdendo anche quel sostanziale riserbo che la S.Sede aveva tenuto nei confronti delle violenze
squadriste6.
La gradualità della convergenza dei clerico-fascisti verso il fascismo, rilevata da Grasso, è in
effetti chiaramente riscontrabile dalle fonti. Nel 1924 i clerico-fascisti non sono certamente
disposti a concedere tutto al fascismo e specialmente a passar sotto silenzio l’esigenza di
normalizzazione, né tanto meno sono disposti a tacere del tutto, di fronte al perdurare delle
violenze squadriste. Così, non si può assimilare del tutto i clerico-fascisti al filofascismo, che
gradatamente coinvolgerà larghi settori della Chiesa. Il loro progetto non manca di qualche
ambizione:
di un Partito Cristiano del Lavoro. Cornaggia invece aveva formato l’Unione Nazionale poco prima della
Marcia su Roma, uscendo così dal P.P.I.
5
Vedi sulle idee di Sturzo relativamente alle scissioni anche l’intervista su “La Stampa”, 2 febbraio 1924.
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
7
I clerico-fascisti vogliono accreditarsi come l’espressione di larga parte dei cattolici italiani, senza
peraltro riuscire a realizzare quella profonda attrazione esercitata dal P.P.I. né a legare alla propria politica
il consenso della gerarchia ecclesiastica7
La graduale convergenza dei clerico-fascisti verso il fascismo, ma la loro assenza di reali
vincoli di partito ha anche un’altra conseguenza, cioè che la spaccatura prodottasi nel P.P.I.
dopo la discussione alla Camera della legge Acerbo nel luglio 1923 non sembra
immediatamente irreversibile. Ci sono ancora rapporti tra le due parti, i popolari sturziani ed
i clerico-fascisti, specie a livello personale, e non mancano tentativi di riconciliazione, come
quello di Filippo Meda nel novembre 1923. La spaccatura diviene irreversibile quando
alcuni clerico-fascisti entrano nella lista nazionale per le elezioni del 1924 e sfocia nella
polemica aperta fra le due parti col delitto Matteotti, la conseguente “questione morale” che
porterà la maggior parte dei popolari sturziani sull’Aventino ed infine la formazione del
Centro Nazionale Italiano nell’agosto 1924. Al di là però della divisione, rimane in alcuni
casi stima personale e considerazione. Ad esempio, un popolare vicino a Sturzo, Igino
Giordani, pur a volte aspramente polemico nei confronti dei clerico-fascisti, ricorda non
senza rammarico in un suo libro di memorie due clerico-fascisti come Cavazzoni e Martire,
"passati dal popolarismo al fascismo, con nostra grande delusione8”. E lo stesso conte
Santucci, anch’egli uscito da un biennio dal P.P.I., scrive a Don Sturzo ormai in esilio (12
6
GIOVANNI GRASSO . I Cattolici e l’Aventino. Studium, Roma, 1993, p.188.
7
A. RICCARDI, Clerico-fascismo in Storia del movimento cattolico in Italia, Marietti, Casale Monferrato,
1981.
8
IGINO GIORDANI, Memorie di un cristiano ingenuo, Edizioni Città Nuova, Roma, 1990, p.98.
C. Santulli
8
settembre 1925) una lettera affettuosa, proponendogli la formazione di un’Unione Popolare,
che avrebbe permesso, superando la crisi dell'Aventino, di far rientrare in Parlamento i resti
del P.P.I., ormai depurati, dopo il congresso di Roma (luglio 1925), della sinistra estrema
sindacalistica di Guido Miglioli (v. anche § 3.5) 9. Per inquadrare meglio la natura di questi
rapporti, può essere utile ricordare le parole di Carlo Arturo Jemolo, che rappresentano un
possibile approccio al problema della scissione del P.P.I., anche se indubbiamente non
privo di un certo schematismo:
Bisogna intendersi: sono tutti cattolici, “destri” e “sinistri”, tutti obbedienti alla Santa Sede, Rodinò e
De Gasperi, rimasti nel partito, come Grosoli e Crispolti. Se il Papa mandasse una persona di sua fiducia
a De Gasperi o a Don Sturzo e ordinando loro di sciogliere il partito e di non scoprire la persona del
pontefice ed eseguire l’ordine fingendo di agire spontaneamente, De Gasperi e Don Sturzo
obbedirebbero senza esitare10.
In questa frase di Jemolo c’é anche un motivo, forse, del non eccessivo interesse che la
storiografia ha mostrato per il fenomeno del filofascismo cattolico. Spesso infatti, i clerico-
fascisti sono stati visti come un gruppo di esponenti politici di scarsa originalità, distaccatisi
dal P.P.I. nel momento in cui la stessa Santa Sede desiderava prenderne le distanze, ed
appiattiti da allora su un’adesione acritica al fascismo. In verità, approfondendo l’esame,
specialmente per quanto concerne l’attività parlamentare, si può notare come la
9
G. DE ROSA , Luigi Sturzo , UTET, Torino, 1967, p.289-291.
10
CARLO ARTURO JEMOLO. Chiesa e stato in Italia. Dalla Unificazione a Giovanni XXIII. Einaudi,
Torino, 1967 p.208.
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
9
partecipazione dei clerico-fascisti al dibattito politico è tutt’altro che trascurabile in questo
periodo, specie durante la seconda metà del 1924, quando, in seguito al delitto Matteotti, la
questione morale diviene di importanza cruciale per quei cattolici, che intendono continuare
la collaborazione col governo di Mussolini. La scelta della collaborazione col fascismo non
significa tuttavia che non vi sia un significativo dibattito tra i clerico-fascisti su quale possa
essere il loro ruolo politico, il che coinvolge il discorso più generale di come la Chiesa
potrebbe trarre il massimo beneficio dal nuovo regime, specialmente in vista del grande
obiettivo della Conciliazione. Negli anni tra il 1923 ed il 1926, lo spazio di manovra dei
clerico-fascisti si fa sempre più ridotto e anche la Santa Sede non sembra volersi avvalere di
una loro intermediazione col regime. Tuttavia, non si può dire che le varie personalità
cattoliche che fiancheggiavano il fascismo rinunciassero a cercare di definire e precisare la
propria azione e specialmente a motivare la loro adesione al nuovo regime.
Una partecipazione molto vivace al dibattito politico, unita ad una continua definizione e
motivazione della propria adesione al fascismo, è quella che si trova nell’attività
parlamentare e giornalistica di Filippo Crispolti. Il nome di Crispolti è spesso associato a
quelli di Carlo Santucci e di Giovanni Grosoli ed in effetti le loro vicende presentano più di
qualche rassomiglianza: tutti e tre nobili, avevano partecipato attivamente al dibattito
all’interno del movimento cattolico nell’anteguerra ed erano usciti dal P.P.I. negli stessi
giorni del luglio 1923. Questo associare i tre nomi ha fatto tuttavia a volte dimenticare le
sostanziali differenze tra i tre personaggi. Un esempio di queste differenze può essere
mostrato dall’attività senatoriale dei tre durante i primi anni del fascismo: Grosoli, che non
C. Santulli
10
aveva mancato di evidenziare il suo interesse per il fascismo ben prima della Marcia su
Roma, riduce la sua attività senatoriale alla sola presenza alle sedute ed alla partecipazione
alla Commissione Senatoriale che deciderà di non concedere l’autorizzazione a procedere
contro Emilio De Bono per il delitto Matteotti11. Santucci, dopo essere uscito dal Banco di
Roma nel 1923, riprende, anche per vivere, la professione di avvocato, e di questo c’è
traccia nei suoi rari (e brevi) interventi in Senato, che tendono a vertere su questioni
tecniche, e nello stesso studio sulle modifiche alla Legge delle Guarentigie, presentato come
uno studio personale non destinato alla pubblicazione (1925)12. Al contrario, l’attività
parlamentare e giornalistica di Crispolti è inesauribile ed affronta tematiche politiche,
cercando di precisare la sua idea di collaborazione e di fascismo. Nelle posizioni assunte da
Crispolti rimane netta la distinzione tra l’esecrazione della violenza squadristica, ed il
sostanziale apprezzamento per l’azione di normalizzazione del Presidente del Consiglio
Mussolini, reale ed unico interlocutore della sua collaborazione col Governo. Benché
sostanzialmente allineato sulle posizioni governative, Crispolti non rinuncia a puntualizzare e
precisare le sue opinioni su un ampio spettro di argomenti politici e non si nega a diversi
contraddittori, di cui é noto quello con De Gasperi sulla collaborazione popolare-socialista
nel luglio 192513. Tuttavia, Crispolti è stato il meno studiato dei tre: non vi sono infatti opere
paragonabili a quella di Sgarbanti su Grosoli ed a quella di De Rosa su Santucci ed anche le
11
Vedi ROMEO SGARBANTI, Ritratto politico di Giovanni Grosoli, Cinque Lune, Roma 1955, p.161-162.
12
Il testo della bozza di Trattato redatta da Santucci è riportato in G. DE ROSA , I conservatori nazionali.
Vita di Carlo Santucci, Morcelliana, Brescia, 1962, p.195-219.
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
11
specifiche caratteristiche del personaggio non sono completamente messe in evidenza dalla
storiografia esistente. L’interesse nel percorso politico di Crispolti in quegli anni sta nel fatto
che egli, esponente politico di lunga esperienza e di vasta cultura, cerca una sua via di
approccio al fascismo, non priva di diffidenze iniziali e di graduali aperture, e tenta di
spiegare, insieme con i motivi del suo appoggio, anche il regime stesso, definendo i ruoli del
Capo del Governo, dei partiti di governo o nazionali e delle opposizioni. Ancora più del
percorso politico di altri clerico-fascisti, quello di Crispolti è assolutamente personale, con
idee ed affermazioni impegnative solo per chi le fa, ma non si può negare che dal complesso
delle sue attività politiche risulti una non comune capacità di intravvedere cosa si andasse
preparando per l’Italia in quegli anni.
13
F. Crispolti, Per un vecchio manifesto. Al segretario politico del PPI, “Il Momento” 4 luglio 1925, A.
De Gasperi, Per un vecchio manifesto. Il Segretario politico del PPI risponde al Senatore Crispolti, “Il
Nuovo Trentino” 7 luglio 1925 e F.Crispolti, Replica all’On. De Gasperi, “Il Momento” 14 luglio 1925.
C. Santulli
12
CAPITOLO SECONDO
LA FORMAZIONE DEL CLERICOFASCISMO
1. Dalla nascita del partito popolare alla Marcia su Roma
Per risalire all’origine del fenomeno dei cattolici filofascisti, è importante esaminare
l’evoluzione dei rapporti tra la Santa Sede ed il fascismo, specie per quanto riguarda la
possibilità di emanazione di leggi più favorevoli alla Chiesa e successivamente l’inizio di
trattative per la conciliazione. La posizione della Chiesa nei confronti del partito popolare
non era stata univoca dal 1919 alla Marcia su Roma: specie a livello locale, vi erano stati
casi di deciso appoggio al P.P.I. da parte dei vescovi, ma non meno clamorosi casi di
disinteresse od ostilità per il nuovo partito14. Rimane difficile capire quanto la Chiesa
intendesse essere coinvolta nella formazione del P.P.I. Certamente il cardinale Gasparri,
segretario di Stato, scrive a Carlo Santucci a posteriori, nel 1928, rigetta ogni
responsabilità nella formazione del partito, da Santucci attribuita a Gasparri ed a papa
Benedetto XV, facendo al P.P.I. una serie di appunti estremamente chiari:
[...] più volte ho rimproverato al Partito Popolare di avere come Presidente o Direttore un sacerdote, ma
non ho ottenuto o che D. Sturzo si dimettesse, o che il partito lo dimettesse. [...] Un altro rimprovero io
14
Già a partire dal 1920 non erano mancate delle significative prese di posizione di una parte del clero
contro il partito popolare. Vedi in GAETANO SALVEMINI. The origins of fascism in Italy, Londra 1971 (il
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
13
ho fatto ripetutamente ma inutilmente al Partito Popolare, cioè, di ritenere nel partito individui di idee
ultra avanzate, per esempio Miglioli. Il mio apprezzamento, poi, del Partito Popolare per rapporto agli altri
Partiti che allora, cioè prima dell’avvento del partito fascista, imperversavano in Italia, era questo: é il
meno peggio di tutti, ossia meno peggio del Partito comunista, socialista, radicale, liberale15.
Si può dunque pensare che, benché le idee di Gasparri debbano intendersi come punti di
vista personali, questa posizione del “meno peggio” trovasse un certo riscontro nella Chiesa,
specie dopo il 1923 ed in particolare all’approssimarsi della Conciliazione. Una parte della
storiografia, risalendo alle idee di Gobetti e di Salvemini, ha ipotizzato la formazione dopo la
Marcia su Roma di un vero e proprio accordo tra Chiesa e fascismo, di cui avrebbe fatto le
spese il partito popolare. Certo la politica fascista nei confronti della Chiesa, culminata poi
nella Conciliazione, non poteva lasciare insensibili quei clericali che nel 1919 avevano
aderito al P.P.I.. A questo riguardo era particolarmente importante la posizione mediatrice
di Luigi Sturzo, come avvertiva Piero Gobetti:
I rapporti tra Stato e Chiesa dunque si potranno migliorare solo se si manterrà costante la pregiudiziale
cavouriana della laicità. Si tratta di liquidare lentamente e insensibilmente gli ultimi residui di
clericalismo, se non si vuole veder rinascere con singolare asprezza la lotta anticlericale. Questo
programma in Italia è stato rappresentato da Luigi Sturzo, il solo che avrebbe saputo, liquidando il
clericalismo con il consenso dei cattolici, evitare una reazione cruenta. L’accordo di Mussolini col
Vaticano contro Sturzo segna certo il ritorno di politiche più avventurose e compromettenti ma non è
cap.22 è dedicato alle vicende del P.P.I.) i due casi del cardinal Pio Boggiani, commentata nel Corriere
della Sera del 6 agosto 1920, e del cardinal Pompilj, vescovo di Velletri.
C. Santulli
14
ancora lecito dire quale dei tre malanni (neoguelfismo, clericalismo o anticlericalismo) ci attende in
questa parentesi di politica illiberale.16
L’idea di Gobetti, come si diceva, é che si fosse creato vero e proprio accordo, od
un’alleanza tra Mussolini ed il Vaticano, anche in vista di una possibile Conciliazione.
Partendo da questo presupposto, a volte forse con troppo schematismo, si cerca di porre
da parte di alcuni storici una data esatta per una presunta inversione di tendenza della
Chiesa nei confronti del fascismo17. Certo, Pio XI non nutriva particolari simpatie per la
democrazia italiana, ed inoltre la sua esperienza di nunzio apostolico in Polonia, dove nel
1920-21 aveva potuto osservare da vicino gli eccessi delle armate bolsceviche, lo renderà
poco incline a valutare positivamente una collaborazione popolare-socialista nel 1924 (v. §
3.5). Questo non autorizza tuttavia a ritenere che il Papa intendesse dare un effettivo
sostegno, o peggio un avallo politico, al fascismo.
Al di là dell’ampiezza dell’effettiva convergenza tra Chiesa e fascismo, spiegare il pensiero
dei cattolici filofascisti come una pura conseguenza della loro obbedienza alla Chiesa appare
riduttivo. Questo per due motivi: prima di tutto, perché le posizioni dei filofascisti sono
diversificate, anche sulle modalità dell’appoggio al fascismo e sulla fiducia nella sua capacità
15
Lettera di P.Gasparri a C.Santucci 1° aprile 1928, riportata in G. DE ROSA . I conservatori nazionali.
Vita di Carlo Santucci, Morcelliana, Brescia, 1962, p.78
16
PIERO GOBETTI. La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Einaudi, Torino, 1995
(I ed. 1924), p.140
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
15
di governo. Per fare un esempio, quando il fascismo propone la legge per l’abolizione delle
società segrete, tra cui la massoneria, ai timori di Cavazzoni e Martire sulla possibile
applicazione di questa legge ad alcuni ordini religiosi fa riscontro l’assoluta fiducia di
Crispolti nel governo (v.§ 4.4). Il secondo motivo é che il filofascismo non si restringe a
quegli anziani aristocratici reduci dalle esperienze dei movimenti cattolici d’anteguerra (da
Grosoli a Cornaggia, da Santucci a Paganuzzi), ma coinvolge anche una destra più moderna
e vicina anche al nazionalismo, come quella di Martire, Carapelle o Mattei-Gentili, fino a
giungere ad un’ulteriore destra, più economica ed industriale, che può essere ricondotta ai
nomi di Verga e Nava, ma anche, parzialmente, allo stesso Cavazzoni. Infine, va notato che
il filofascismo cattolico non fu ristretto alla destra popolare, come l’evoluzione di Speranzini
dimostra.
Il dato del P.P.I. come partito composito già dalla sua fondazione nel 1919, e molto più di
quanto non faccia supporre la comune matrice cattolica degli aderenti, é stato evidenziato
dalla storiografia, e con particolare pregnanza da Roberto Vivarelli:
In breve, le tendenze politiche presenti all’interno della deputazione parlamentare popolare sembrano
riducibili a tre: un centro sturziano, geloso dell’autonomia dei cattolici e, pur rifuggendo da ogni
estremismo, aperto verso una politica di riforme, nel quale potevano ugualmente confluire esponenti
della vecchia tendenza clerico-moderata, quali Filippo Meda e Giuseppe Micheli, accanto a uomini
17
Vedi in ERNESTO ROSSI , Il manganello e l'aspersorio, Laterza, Roma-Bari, 1968 l’evoluzione
dell’atteggiamento della "Civiltà Cattolica" verso il fascismo nel bimestre antecedente la Marcia su
Roma (agosto-ottobre 1922).
C. Santulli
16
nuovi, quali Antonio Boggiano Pico, Giovanni Bertini, Mario Augusto Martini, Umberto Tupini, Mario
Cingolani; una destra sostanzialmente filo-clericale e non priva di venature nazionalistiche, già
riconoscibile in uomini quali Filippo Crispolti, Stefano Cavazzoni, Cesare Nava, Egilberto Martire, Livio
Tovini, Giulio Padulli; una sinistra, soprattutto attiva sul piano sindacale e non aliena dall’assumere
posizioni estremistiche in concorrenza con i socialisti, dove accanto alla nota e per certi versi eccentrica
figura di Guido Miglioli, si ritrovano uomini quali Angelo Mauri, Italico Corradino Cappellotto,
Sebastiano Schiavon, Giovanni Gronchi. [..] si ha l’impressione che ai margini di queste tre distinte
tendenze, un cospicuo numero di deputati non fosse ancora su posizioni chiaramente definite18
L’estremismo, socialista prima e fascista poi, spingerà molti di questi uomini ancora incerti a
schierarsi, ed all’epoca della Marcia su Roma, molte posizioni saranno più definite.
Nonostante ciò, tuttavia, dividere i popolari in tendenze presenta notevoli difficoltà, in
particolare riguardo all’atteggiamento verso il fascismo, nel qual caso, come già osservato e
come si vedrà anche in seguito (§ 2.2), ulteriori suddivisioni e precisazioni sono necessarie.
Vedendo le cose da un’altra angolazione, é anche vero che alcuni degli ex-clerico-moderati
erano entrati nel P.P.I. con idee non completamente consonanti con quelle espresse nel suo
programma. Giovanni Grosoli, ad esempio, in un'intervista rilasciata l’11 agosto 1923 al
“Corriere Italiano”19, ricordava come l’ammissione di Guido Miglioli, esponente di due
tendenze che non trovavano il suo consenso: “il non incondizionatamente nazionale di fronte
alla guerra e il troppo avanzato in materia sociale”, lo avesse lasciato non poco dubbioso
18
ROBERTO VIVARELLI, Storia delle Origini del Fascismo , Il Mulino, Bologna, 1991 II volume, p.173.
Filofascisti e Partito Popolare (1923-1926)
Questione morale e ruolo dei cattolici nell’attività politica di Filippo Crispolti
17
sulla sorte del partito. In una di poco successiva lettera all’amico Mario Cingolani,
pubblicata dai giornali del “Trust” il 19 agosto, Grosoli chiariva il suo pensiero risalendo alla
formazione del P.P.I.:
[...] Io non ho detto nulla di nuovo
20
; ho detto invece molto di vecchio, perché ho dimostrato che i
dissensi che ci dividono esistevano prima che nascesse il P.P.I. E’ avvenuto così che mi sono
soffermato a ricordare le origini del partito, rifacendomi al tempo in cui vigeva il “non expedit”, quando i
cattolici erano, sul terreno politico, transigenti o intransigenti, elezionisti o non elezionisti, e sul terreno
sociale, di fronte agli insegnamenti della Rerum Novarum, renitenti o aderenti o tendenti ad esagerarne e
falsarne l’applicazione. Questi dissensi i cattolici portarono nel P.P.I., nei quali quasi tutti entrarono; di
modo che, in sostanza, ci hanno diviso oggi le stesse differenze che ci dividevano ieri
21
Premesso queste difficoltà di coesione tuttavia, la realtà delle cose all'epoca della Marcia su
Roma vedeva ancora un partito popolare forte nelle sue organizzazioni sindacali e di partito,
con 106 deputati, e sul quale convergeva il voto di larga parte dei cattolici. Nei primi tre
anni di vita del P.P.I. non erano mancati tuttavia dissensi su alcuni punti del programma.
Vere e proprie correnti di destra se ne erano manifestate diverse: già nel 1919 si era avuta
l’esperienza della cosiddetta Ala Destra ad opera del conte Paganuzzi.
19
“Il Corriere Italiano” aprì le sue pubblicazioni proprio quel giorno come organo ufficioso del governo:
v. R. SGARBANTI. Ritratto politico di Giovanni Grosoli. Edizioni 5 Lune, Roma, 1955 p.138-139
20
Nell’intervista a “Il Corriere Italiano” sopra citata. A proposito della novità o meno del suo pensiero,
confronta questa intervista con quanto Grosoli aveva detto al giornalista Arrigo Pozzi sui giornali del
trust nel 1921 (v.p.19).
21
R. SGARBANTI. Ritratto poitico di Giovanni Grosoli. Edizioni 5 Lune, Roma, 1955 p.138-139