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“fenomeno figlicidio” ad una maggiore consapevolezza che più che giudicare
sarebbe utile capire e comprendere il delicato ruolo do madre nella società
attuale.
Per ciò che concerne il materiale utilizzato, per la parte bibliografica ho
reperito informazioni oltre che dalle classiche monografie anche da riviste
scientifiche e siti internet dato che l’oggetto di studio sembra vivere una
seconda età negli ultimi mesi.
Mi sono altresì avvalsa per la parte criminologica della consultazione di
manuali di diritto penale e per la parte medica di manuali di psichiatria e
ginecologia (dato lo specifico arco di vita analizzato).
Per ciò che riguarda invece l’analisi del caso, quest’ultimo mi è stato
gentilmente offerto dal mio relatore e si tratta di una perizia fatta in merito ad
un annullamento di matrimonio religioso.
Nel primo capitolo ho parlato del figlicidio offrendo definizione,
statistiche, prospettive storiche e giuridiche sia del nostro Paese che di altre
nazioni.
Ho fornito tre chiavi di lettura del fenomeno: antropologico-culturale,
psicoanalitico e psicopatologico.
Nel secondo capitolo ho invece trattato della depressione materna di cui
ho mostrato le caratteristiche descrittive e le varie forme.
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Ho qui fatto riferimento a tre modelli interpretativi: medico, sociologico e
psicologico.
Al terzo capitolo è dedicata l’analisi di un caso di doppio figlicidio.
Ho riportato integralmente la perizia tacendo nomi, luoghi e date originari,
esprimendo le mie opinioni sullo specifico caso di figlicidio e lo specifico
tipo di depressione materna e trovando tra loro un nesso.
Nel quarto ed ultimo capitolo, infine, ho ritenuto opportuno affrontare le
conseguenze penali e psicologiche del crimine e della patologia oggetto di
studio, citando brevemente anche altri casi e auspicando più precoci metodi
di prevenzione.
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“O figli maledetti di trista madre,
possiate con vostro padre perire,
e con voi tutta la vostra casa rovini!”
(Euripide, Medea)
CAPITOLO PRIMO
Il figlicidio
1.1 Definizione
Con il termine figlicidio si indica l’uccisione del figlio da parte di un
genitore, sia il padre che la madre. Se la vittima è un neonato l’uccisione
volontaria di un figlio costituisce infanticidio, altrimenti si tratta di figlicidio.
La legge impone una netta distinzione tra i due reati anche nelle
conseguenze penali: il primo è punito con la reclusione da quattro a dodici
anni (art.578 del codice penale), il secondo con l’ergastolo (art.577).
Fatti del genere sono sempre accaduti ma ora presentano caratteristiche
diverse: gli infanticidi sembrano diminuiti mentre sono recentemente
aumentate le uccisioni di bambini non neonati da parte delle madri. In Italia,
secondo una indagine ISTAT relativa a tutti gli omicidi volontari compiuti
sul territorio nazionale nel 1998,di 670 casi, 120 risultano essere omicidi
effettuati in famiglia; di questi il 17% è rappresentato da casi di figlicidio.
Nivoli, 2002, Medea tra noi
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È probabile che questi dati statistici ufficiali siano nettamente inferiori alla
quantità reale di figlicidi commessi. Molti decessi di bimbi catalogati come
incidenti e disgrazie possono in realtà nascondere dei progetti omicidari di
madri che hanno compiuto un omicidio per volontarie carenze di cure e di
attenzioni (bimbi che soffocano in culla, che cadono dalla finestra).
Per quanto condannato, la comprensione del gesto dipende dalla tolleranza
verso le motivazioni che variamente gli si riconoscono. Se il neonato era
malformato, eliminarlo era una pratica tollerata in epoca romana e greca.
Con l’illuminismo e con la nascita della scienza giuridica, l’infanticidio
appare meno grave dell’omicidio comune. L’attenuazione è data da un
ribaltamento: dalle caratteristiche dell’oggetto si passa infatti a valutare
quella dell'agente del delitto.
Nei codici ottocenteschi l’infanticida per eccellenza risultava la madre
soprattutto se illegittima, la cui colpa si giudicava attenuata dall’aver agito
per salvare il proprio onore oppure per evitare sovrastanti sevizie:due diverse
motivazioni che entrambe chiamavano in causa i comportamenti e la
mentalità condivisa dell’ambiente in cui la donna attuava il suo violento
rifiuto della maternità.
Dei due motivi indicati, la legge italiana per quasi un secolo ha
contemplato unicamente quelli dell’onore di nubili e adultere.
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www.ecologiasociale.org
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Rispetto al primo codice penale del 1889, il codice Rocco li accentuava sia
perchè abbassava ulteriormente le pene dell'infanticidio sia perché riguardava
non solo la madre ma chiunque uccidesse un neonato.
Nel 1981 il testo e la norma sono cambiati. La causa d’onore è stata
finalmente abolita (legge 442/1981).
L’articolo, che è stato riscritto, torna ad individuare nella madre la
principale agente d’infanticidio, sottolinea come determinanti del gesto
“condizioni di abbandono materiale e morale” ed evita di attribuirle
esclusivamente alle gravidanze illegittime.
Nella distinzione tra infanticidio materno e figlicidio indifferentemente
genitoriale -il primo attenuante, il secondo aggravante dell’omicidio comune
-vi è la considerazione che divenendo madre la donna vive una particolare
fragilità la quale può sfociare nella depressione postpartum .
E’ nell’evento del parto e nei giorni immediatamente successivi che si
esaurisce la speciale condizione riconosciuta dal codice.
Nel momento preso in considerazione, dunque, la neomamma diviene
anche un soggetto criminologicamente a rischio, come appunto mostrano ai
profani i molti fatti di madri che uccidono i propri figli senza ragioni
apparenti spesso anche arrecando violenze a se stesse fino a compiere veri e
propri atti suicidari. Ed è per evitare che l’ignoranza e la leggerezza possano
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Costanzo, 2003, Famiglie di sangue
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condurre a false interpretazioni che il giudice, per cercare la verità causale
del fatto che indaga , si deve avvalere delle nozioni di altre persone, fornite
di un’istruzione e conoscenze speciali, cioè agli specialisti della materia o
delle materie dove la conoscenza di una sola branca del sapere fosse
insufficiente e si imponesse la collaborazione di più esperti. Rimane a lui
devoluto, dunque, il riesame critico sull’elaborazione peritale, nel
contraddittorio delle parti, poiché la perizia non è più considerata un mezzo
di prova bensì uno strumento tecnico per l’interpretazione e la soluzione di
tutti i problemi e le questioni che richiedono particolari conoscenze. In
alcune circostanze, ad esempio, al medico legale più esperto e coscienzioso
si affiancherà uno psichiatra, un ostetrico, un perito chimico etc.
Va precisato che nel nostro sistema giudiziario sussiste il divieto di
svolgere perizie di tipo psicologico, quelle ciò relative alla natura
dell'imputato, capaci di pronunciarsi sulla abitualità e professionalità del
reato, sul carattere e la personalità dello stesso e sulle qualità psichiche
indipendenti dalle cause propriamente patologiche; infatti tale indagini non
aiuterebbero a pervenire a conoscenze utili a concludere se, in concreto,
l’accusato o il sospettato sia da ritenere meno responsabile del fatto
contestatogli. Ancora, particolare caso è costituito da quello nel quale la
perizia viene disposta dal giudice per accertare l’imputabilità, la
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Di Tullio, Trattato di antropologia criminale
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processabilità, la compatibilità col sistema carcerario e la pericolosità sociale
del reo.
Per quanto afferisce al concetto di imputabilità, la richiesta del magistrato
al perito è quella di stabilire se al momento del compimento del reato quel
soggetto fosse in possesso della capacità di intendere e di volere.
Quando si parla di imputabilità, si parla di un qualcosa che consiste in un
modo d’essere di un soggetto, di uno status della persona, che deve
sussistere prima che il soggetto abbia compiuto il reato, nonché di alcune
cause che escludono o diminuiscono.
Nell’effettuare tale ricerca sull’attitudine del soggetto a rappresentarsi
rettamente l’oggetto della sua azione, si devono tenere presenti due momenti
significativi: quello intellettivo e quello volitivo.
Intellettivo, nel senso che l’agente deve saper intendere il proprio e l’altrui
operato ed essere consapevole delle conseguenze giuridiche, sociali ed etiche
derivanti da tale operato. Volitivo, nel senso che il medesimo deve avere la
capacità di volere, che consiste nell’avere la capacità di autodeterminarsi, di
volere quello che ritiene di dover fare.
Nelle leggi penali di tutti i paesi esiste oggi un particolare trattamento
penale per il reato di infanticidio, inteso come fattispecie meno grave di
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Ferracuti, 1988, Trattato di criminologia
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omicidio compiuto nei confronti del neonato in circostanze particolari e sotto
la spinta di pressioni sociali.
Le ragioni che giustificano, nelle varie norme penali, la previsione di un
trattamento punitivo meno severo appaiono essere due, talora disgiunte e
talora associate: in primo luogo la debilità fisica e psichica della madre,
conseguente al parto recente, comportante una condizione psichica
particolare che si riflette sulla coscienza e sulla volontà e in secondo luogo le
circostanze e i condizionamenti culturali connessi alla modalità illegittima
del concepimento o alle difficoltà ambientali nelle quali la donna sia venuta,
si viene o si verrà a trovare.
In talune legislazioni la circostanza attenuante è ravvisata unicamente nel
cosiddetto “turbamento psichico” connesso al parto recente: in tal senso un
gruppo di codici (come quelli francese, svizzero, inglese) configurano
l’infanticidio nel modo più estensivo, non ponendo pregiudiziali di ordine
sociale o motivazionale alla sua definizione, che risulta essere la pura e
semplice uccisione del neonato commessa dalla madre, che si presume
inficiata nelle sue determinazioni a cagione del parto. Nei casi citati non si
pongono esatti termini temporali all’esaurirsi del turbamento psichico e si fa
solo generico riferimento all’uccisione di neonato. Altri codici, come il
nostro, definiscono il tempo nel quale può riconoscersi l’infanticidio con
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www.diritto.it
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l’avverbio “immediatamente dopo il parto” ;altri ancora parlano di
“uccisione del figlio nato di recente” (Spagna); talaltri (Portogallo e Cile)
circoscrivono il tempo ad otto giorni dopo il parto. Il codice svizzero
configura l’infanticidio se realizzato durante il parto o finchè la donna “si
trova sotto l’influsso del puerperio”; in Canada si considera addirittura come
infanticidio l’uccisione del figlio che non abbia superato dodici mesi d’età,
da parte della madre “che non sia completamente guarita dagli effetti del
parto e dell'allattamento”.
Più o meno esplicita, è dunque comune la presunzione secondo la quale la
donna che ha da poco partorito si trovi in una situazione particolare di tipo
morboso. In tal senso sussistono ragioni sotto l’aspetto medico, che
configurano la situazione sia fisica che psichica della puerpera di
connotazioni particolari per un complesso intrecciarsi di fattori emotivi,
ormonali, circolatori, con riverberi psicopatologici e psicologici, che la
possono rendere particolarmente labile, depressa, soggetta a discontrolli,
incapace di dare una giusta dimensione ai problemi.
Tutto ciò viene ad assumere un significato ancor più rilevante quando il
parto avvenga in peculiari circostanze socio-ambientali: da qui la seconda
condizione che spesso nei codici configura il trattamento particolare per la
madre infanticida e cioè il verificarsi di pressioni e condizionamenti sociali
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www.psicologiagiuridica.com
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agenti specialmente sulla madre illegittima. Un gruppo di codici (Spagna,
Portogallo, Argentina, Cuba, Costarica, Grecia e con essi anche quello
italiano prima della riforma del 1981) fa esplicito riferimento, quale unica
motivazione valida per configurare l’uccisione del neonato come
infanticidio, alla tutela dell'onore sessuale. In coerenza con la prevalenza
motivazionale della causa d’onore, i codici che si riferiscono ad essa
estendono talora il trattamento di favore non solo alla madre, ma anche ai
congiunti: laddove invece, nei codici ove la motivazione non è esplicitata
nella causa d’onore, il trattamento di favore è limitato alla sola madre.
Altre legislazioni, infine, senza far specifico riferimento alla causa
d’onore, considerano in modo più ampio i condizionamenti sociali,
identificando l’infanticidio nell’uccisione del neonato illegittimo da parte
della madre (Germania, Austria, Belgio, Romania, Lussemburgo). Con tale
formula viene compresa la motivazione d’onore, ma vi ricadono oltre ai
condizionamenti culturali, anche altre situazioni, quali l’indigenza,
l’abbandono, le difficoltà psicologiche e materiali connesse all’illegittimità.
Volendo segmentare la storia più recente del reato di infanticidio in Italia,
potremmo distinguere tre periodi: quello delle due formule normative
precedenti all’attuale, quello della novella del 1981, quello in fieri dello
“Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale”.
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Ponti, Quaderni di criminologia clinica
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Nel testo in questione, infatti, all’art. 59, si legge: “Prevedere i seguenti
delitti: 1) omicidio doloso (omissis) 2) infanticidio in condizioni di
isolamento psicologico ovvero di abbandono materiale o morale (omissis)”.
A commento possono avanzarsi motivi di incertezza.
Il primo concerne l’espressione “isolamento psicologico”. Non si pretende
dal diritto precisioni di linguaggio scientifico, il diritto usa i termini delle
scienze dell'uomo ai propri fini e quindi può scegliere le accezioni per esso
meglio fruibili e ne è testimonianza la disinvoltura con cui vengono usate
indifferentemente espressioni diverse per il disturbo mentale: infermità o
deficienza psichica, persona inferma di mente, persona in condizione di
inferiorità psichica.
Ciò nondimeno, non solo il termine “isolamento psicologico” per le nostre
scienze non significa nulla, ma soprattutto può significare di tutto e quindi ci
si può immaginare la confusione cui potrebbe dar luogo.
Il sentimento di solitudine è sintomo di numerose condizioni
psicopatologiche, tutte quelle della serie depressiva ad esempio, ovvero è
criterio diagnostico di un disturbo di personalità (sentimenti cronici di vuoto,
per aversi Disturbo Bordeline di Personalità secondo il DSM IV TR), ma
soprattutto è condizione esistenziale diffusa.
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Gallina Fiorentini, Rassegna di criminologia