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Calabria,stabilendo una diretta connessione tra i problemi del
Mezzogiorno,che hanno radici lontane nella storia, e gli studi del folklore.
Oggi tuttavia il folklore è visto come il prodotto di una cultura subalterna,
secondo i criteri dedotti dalla cultura a cui si appartiene e che esprime a volte
il rimpianto di un mondo idilliaco, a volte vedendo in esso anche segni di
inciviltà.
Senza volere strumentalizzare la tradizione e nemmeno sminuirla, in quanto
fenomeno sociale pregnante, ho cercato di analizzare il tessuto sociale con
un’indagine riguardante la storia delle coppie intervistate, prese in egual
misura tra giovani e anziani, e estrapolando quello che è la realtà locale in
riferimento all’oggetto d’indagine, di cui qui di seguito è dato conto con
l’elaborazione dei dati ottenuti.
Nella speranza di aver esaurientemente raggiunto il mio obiettivo desidero
sottolineare che questa è stata un’esperienza che mi ha arricchito di nuove
conoscenze, a volte difficili da decifrare, perché non appartenenti al mio
tempo, a volte disarmanti nella loro immediata semplicità che ha mostrato
questa parte di Calabria intrisa di valori antichi , a conclusione di un corso di
studi per me quanto mai coinvolgente.
Roma, luglio 2005
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CAPITOLO 1
Il corteggiamento
La fase del corteggiamento è quella più delicata riguardo all’iter
che il pretendente deve compiere per conquistare la donna amata; infatti il
corteggiamento è un’iniziativa che parte esclusivamente dall’uomo il quale
sceglie la donna che diventerà sua moglie, nel caso quest’ultima ricambi tali
attenzioni. Infatti l’uomo calabrese di un tempo ricopriva di premure e
gentilezze l’amata, ma sempre a debita distanza, visto il ferreo controllo da
parte di genitori e familiari della ragazza, che difficilmente poteva rispondere
palesemente a tali attenzioni.
Era infatti inconcepibile che maschi e femmine si frequentassero e
stringessero amicizia. Una fanciulla che fosse stata sorpresa a parlare con un
giovane era considerata poco seria e rischiava di rimanere "zitella".
Le giovani potevano uscire da casa solo se accompagnate da una persona
anziana o dai fratelli più piccoli,
questo perché la donna viveva in una posizione subordinata rispetto all'uomo
e, liberatasi col matrimonio dalla tutela del padre, passava sotto quella del
marito, e in mancanza di entrambi, sotto quella dei parenti più stretti.
7
L'educazione che veniva impartita aveva l'unico scopo di prepararla al
matrimonio in modo che divenisse una buona donna di casa, la compagna di
vita dell'uomo e l'educatrice amorosa dei figli.
Le ragazze, chiedevano e chiedono aiuto a Sant’Antonio, patrono delle
giovani donne, affinché potessero trovare un buon marito, andando alla
chiesetta a lui dedicata e recitando la novena (nove giorni) prima della sua
festa, il 13 giugno.
Le occasioni di incontro dei giovani erano rare e avvenivano in occasione di
feste di paese, fiere o durante i raccolti nei campi come appunto è
documentato da Raffaele Corso «[…] in Calabria l’idillio sbocciava tra i
campi,fra le messi verdeggianti e i vigneti in germoglio
1
».
Spesso i giovani si scambiavano in dono proprio i frutti della terra come le
arance o altri generi di consumo alimentare, come mi è stato riferito da alcuni
intervistati che mi hanno parlato di sguardi furtivi durante la raccolta del
grano o delle fragole nel corso della quale rubavano qualche carezza di mani
allo sguardo attento degli adulti. I corteggiamenti come è noto iniziavano in
età molto precoce rispetto ad oggi: per le donne intorno ai tredici-quindici
anni, per gli uomini prima dei venti anni, e di conseguenza anche il
matrimonio avveniva molto presto. Tuttavia c’era l’usanza di promettere i
propri figli in sposi in tenerissima età, dice infatti lo Zuccagni Orlandini nel
suo libro:«immoralissino l’uso presso il popolo calabrese -di promettere le
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R. Corso, (1925), Patti d’amore e pegni di promessa, S. Maria Capua Vetere, Ed. Edikron, pg. 22
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fanciulle in fasce al matrimonio, soffocando per vedute di interessi domestici
le voci della natura e del cuore […] la fanciullesca prole è portata a fare atti
di solenne promessa analoghi a quelli degli adulti, prima che le semplici
anime siano sbocciate all’amore»
2
, tutto ciò confermato dall’adagio “figghia
in fasce e doti ‘nta cascia”cioè “figlia in fasce e la dote nel baule”. Bisogna
ricordare che la nascita di una bambina, nelle famiglie povere del profondo
sud, era motivo di preoccupazione: si preferivano i figli maschi perché
garantivano la continuità del casato e comunque tale preoccupazione era
dovuta al fatto che bisognava predisporre il corredo nuziale, fin dalla più
tenera età: mamma e nonna si adoperavano a realizzarlo, come è successo per
chi sta scrivendo e come, allo stesso modo, succedeva in tempi più remoti in
cui anche la ragazza collaborava, appena imparava a ricamare: questo lavoro
si svolgeva prevalentemente la sera al ritorno dai campi, alla luce del lume. Il
corredo veniva preparato secondo precise tradizioni, legate ai numeri e al
rango della sposa:« a S. Costantino di Briatico (VV) la sposa deve portare
come dote il suo corredo che varia secondo la posizione finanziaria a cui
appartiene, la biancheria ad 8, 12, 16, 18, 20, 24 e anche a 30, rigorosamente
sempre in numero pari. Allo sposo spettava l’arredo della casa: 2 trispidi
(arnesi di legno su cui poggiano le tavole da letto: cavalletto), il pagliericcio
perché i materassi di lana sono nella dote della sposa, 4 sedie, un lume, ’na
2
L.M.Lombardi Satriani, (1975), Diritto Egemone e Diritto Popolare, (VV), Ed. Quale Cultura, pg. 291
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lumera (altra forma di lucerna con piu lucignoli), 2 piatti, ed una limba
(conchino), 2 gozzi, (brocche), ecc»
3
.
Un corredo fatto “a 24 o a 30 ” indicava l’appartenenza a una famiglia nobile
e comunque ricca, invece la dote “a 4, a 6 o a 12” indicava l’appartenenza a
una famiglia tutt’altro che benestante.
Come riferisce il Corso «la biancheria va considerata in pezzi e vari di essi
formano una serie di egual numero di pezzi o capi: per esempio 4 camice, 4
corpetti, 4 sottane, 4 lenzuola, ecc. Cosi si dice che la tale ragazza porta la
roba “quattro a quattro”o “sei a sei” cioè mezza dote, o a dodici cioe la dote
intera»
4
. Una tradizione legata al corredo, che mi è stata riferita da tanti
intervistate giovani, ma soprattutto anziane, è la cosiddetta “cunsigna d’a
doti”, cioè “consegna del corredo” che è l’esposizione pubblica di tutta la
biancheria pochi giorni prima del matrimonio: la madre dello sposo è colei
che deve stimare il corredo, dargli quindi un prezzo; a seguire i parenti e
anche i vicini passano in rassegna tutti i singoli capi controllando con estrema
precisione il numero dei pezzi, come già spiegato sopra: se il corredo non è di
gradimento della madre dello sposo, o comunque se qualcuno ha qualcosa da
obiettare, può anche accadere lo scioglimento del fidanzamento per non aver
adempiuto ai patti fra i genitori. Tale procedura è da considerarsi allo stesso
modo di un’ accordo d’affari dei giorni nostri.
4
R. Corso (1925) Patti d’amore e pegni di promessa,S.Maria Capua Vetere ,Edikron ,pgg. 90-91
10
La differenza sta nel fatto che si contratta sul futuro della coppia.
Per garantire che il corredo soddisfacesse le aspettative si ricorreva al notaio
come risulta da documenti che riferiscono:« il corredo si componeva secondo
atti notarili di: “un saccone nuovo e un paio di lenzuoli ancora nuovi, i
materassi sono ripieni di lana” oppure “una lettiera usata, 2 cuscini di lana,
3 coperte nuove. Se la famiglia è povera la sposa porta un “letto di panni
all’uso del paese” e se è nobile “due letti di panni”. Gli sposi di solito
portavano ognuno il proprio letto, che uniti formavano il talamo, mentre l’uso
dei nobili era che la donna fornisse l’intero letto nuziale. I patti in materia
sono vari: a Tropea (VV) lo sposo, in caso di morte della moglie,
“guadagnava il letto” come anche la moglie in caso contrario». E ancora: «
era molto importante lo “statino” o il “notamento”, in caso di dissoluzione
del matrimonio, perché permetteva alla donna di riprendersi gli oggetti della
dote o quantificarli in denaro»
5
.
Una forma particolare di corredo era prevista anche per il figlio maschio:« A
Porto Salvo di Vibo Valentia, se il padre dello sposo non possiede nulla,
suole, anzi deve dare, 2 tomoli di grano o granone perché il pane non deve
mancare e perché la sposa trovi la cassa piena di questo primo elemento»
6
.
L’uomo comunque era tenuto, come anche oggi, a “portare” la casa, la quale
doveva essere pronta per accogliere a tempo debito la sposa scelta:« L’uomo
passando a matrimonio ha l’obbligo di far la casa, arredandola per farla
5
R.Corso, (1925), Patti d’amore e pegni di promessa, S. Maria Capua Vetere,Ed.Edikron , pgg. 82-88-89
6
L.M. Lombardi Satriani ,(1975), Diritto Egemone e Diritto Popolare, (VV), Ed. Quale Cultura, pg. 289
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trovare bell’e pronta alla sposa - d’altro canto la donna era tenuta a
concorrere anche all’arredo - «con utensili e arnesi da cucina e da lavoro (la
caldaia, qualche sedia, qualche tavolo, la casseruola, il mestolo, il tripode, la
“coddara”(grande pentolone), “ ‘a tijeja”(pentola in terracotta), il telaio e il
vaso da notte. L’insieme di questi oggetti si chiama “scirpi” o “scirpiti” con
significato analogo di “scirpa” o “scherpa”. Con tale nome si comprende
anche il corredo, cioè gli abiti e la “roba bianca” che sono la “dota d’intra”
(cioè interna), che è differente da quella esterna (la dota di fora) consistente
in bestiame e immobili, tipica dei nobili. Quella delle figlie dei “massari”
(contadini possidenti) era fornita anche di bestiame, quella dei “garzoni”
(braccianti) solo dal corredo composto da abiti e biancheria
7
». Inoltre la
futura sposa deve portare :« a titolo di “dota” oltre il corredo personale, anche
le tovaglie da tavola per il pane e le tovaglie per coprire il capo, le fasce per
bambini in segno di augurio, tela non ancora lavorata in rotoli che si trova a
canne o a metri (trusciu‘i tila). Va pure incluso il letto matrimoniale
completo di 2 materassi di lana e 2 pagliericci di paglia o di foglie secche di
grano turco. Utensili e mobili quali: una “buffetta”(tavola da mensa
grossolanamente fatta; desco) “’nu buffettinu” (tavolino) “’na madia”,
(maiza) di casse di abete per conservare la biancheria»
8
.
Il corteggiamento si realizzava anche con usanze particolari che giocavano
sulle parole non dette, sui sentimenti non espressi di cui magari erano tutti o
7
R.Corso (1925), Patti d’amore e pegni di promessa, S. Maria Capua Vetere, Ed.Edikron, pg. 91.
8
L.M. Lombardi Satriani (1975), Diritto Egemone e Diritto Popolare, (VV),Ed. Quale Cultura, pg.290.
12
quasi a conoscenza, come accadeva per il ceppo messo dal pretendente
davanti alla porta dell’amata di cui i più importanti studiosi del folklore
calabrese riferiscono, e come scrive il Corso, può farsi risalire alla tradizione
etrusca:« quel tronco di albero simboleggia la “stirps”e fa pensare al lare
latino»
9
. Di tale usanza parla anche Paolo Toschi e dice:« ancora oggi […] vi
è l’usanza assai curiosa e caratteristica del ceppo che il pretendente pone
davanti alla porta della ragazza come simbolo della richiesta di fidanzamento:
se essa accetta prende il ceppo e se lo tiene in casa; se invece respinge la
profferta fa rotolare il ceppo in mezzo alla strada»
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. E ancora:« Il ceppo
sposalizio come avviene a Serra San Bruno: il pretendente nel silenzio della
notte, non visto e non udito da alcuno, colloca sul limitare dell’uscio della
fanciulla un ceppo di quercia. L’indomani, al sorgere del sole osserva se la
gente della casa vedendolo lo ritiri dentro, o invece lo faccia rotolare sulla
via. Nel primo caso è favorito, la casa dell’amore gli è aperta per sempre,
nell’altro non gli resta che andare a tentare la sorte ad altri usci
11
.
Questa usanza pare abbia analogia con l’albero delle nozze, mediante il
quale, presso alcuni popoli non civilizzati, si sposano a una pianta l’uomo e
la donna, prima di celebrare fra loro le nozze, allo scopo di assicurarsi felice
e prospera unione»
12
.
9
R.Corso (1925), Patti d’amore e pegni di promessa, S. Maria Capua Vetere, Ed.Edikron , pg.18.
10
P.Toschi (1959, Tradizioni popolari italiane, pg. 119.
11
Un intervistato, il Sig. Marco N., 70 anni, mi ha segnalato che il ceppo è un usanza presente anche in
Puglia (S.Marco in Lamis , suo paese d’origine) con le stesse modalità.
12
R.Corso (1925), Patti d’amore e pegni di promessa, S. Maria Capua Vetere, Ed. Edikron, pg.35.
13
Lo Spinelli cosi descrive il rito dell’albero:«quando due persone di sesso
diverso decidevano di fare vita comune. si mettevano in corteo e andavano
alla piazza grande .
Li era un albero: alcuni dicono un pioppo, altri un gelso; ad ogni modo lo
sposo e la sposa e dietro ad essi tutti gli invitati giravano attorno a questo
albero per tre volte, mentre lo sposo doveva dire:
Arviru mia h’urutu Mio(a) albero fiorito
Ja sign’u spusu ,tu si la zita; io sono lo sposo,tu sei la sposa
a cui la sposa doveva rispondere:
Arviro mia h’iuritu Mio albero fiorito
Ja sugnu ‘a zita tu si lu spusu io sono la sposa, tu sei lo sposo
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Queste frasi sono formulate nel cosiddetto “matrimonio ‘n cannistrinu”, cioè
“matrimonio clandestino”, di cui parlerò nel capitolo ad esso dedicato.
13
L. M. Lombardi Satriani (1975), Diritto Egemone e Diritto Popolare, (VV), Ed. Quale Cultura, pg. 301
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CAPITOLO 2
Il fidanzamento
Nella società occidentale il passo che precede il matrimonio è
quello per cui i due innamorati decidono di condurre vita comune, perché
legati da un sentimento forte per il quale sono disposti a intraprendere un
cammino insieme, con tutti i pro e i contro che una scelta cosi importante
comporta, facendone partecipi familiari, parenti, amici: tutto ciò è il
fidanzamento, tappa fondamentale nella strada da seguire verso le nozze. Van
Gennep, nella sua classificazione definisce il fidanzamento, uno dei riti di
passaggio, che comportano un cambiamento di stato, e sono in particolare
legati ad un periodo di margine, «presso un gran numero di popolazioni. I riti
di passaggio costituiscono una parte speciale e autonoma delle cerimonie del
matrimonio[…] dove troviamo anche riti di separazione e di aggregazione».
.
Secondo la definizione dell’Enciclopedia delle Scienze Sociali: «il
fidanzamento fu ignorato durante l’ Alto Medioevo e fu riscoperto e
introdotto nel diritto canonico nel XII e XIII sec.[…]; i canonisti introdussero
la distinzione fra verba de futuro e per verba de presenti. Il primo costituiva
l’impegno per l’avvenire, quindi il vero fidanzamento. Questo rapporto di
trasformava automaticamente in matrimonio (detto matrimonio presunto) se i
due promessi sposi andavano ad abitare insieme e avevano rapporti sessuali.