12
La “fictio iuris” è sempre stata un materia estremamente interessante
per il diritto a partire dall’esperienza giuridica romana sino ai giorni
nostri. Tutte le volte che si parla di “fictio”, o della sua traduzione
italiana “finzione” s’intende, nella comune accezione “atteggiamento
o comportamento falso o simulato, episodico o abituale”. Di tale
termine esistono diverse accezioni di cui tratterò, spero in maniera
esaudiente, in questa mia tesi.
Il mio lavoro prevede infatti, nel primo capitolo, un’analisi filologica
del termine “fictio” seguita da un approfondimento sulle cause
teoriche e dunque sul motivo per cui gran parte degli ordinamenti, in
particolar modo quello romano, fa ricorso alla finzione giuridica per
attuare tramite questo istituto un notevole progresso giuridico.
Nell’affrontare tale tema mi occuperò anche della distinzione che
intercorre tra fictio e interpretazione estensiva o analogica.
Per interpretazione estensiva s’intende quella possibilità di individuare
tutte le ipotesi disciplinate dalla norma, che ne sono estranee solo
apparentemente, a causa della non espressa menzione.
Per analogia, invece, s’intende quel procedimento logico con cui si
cerca di estendere l’applicabilità di talune proprietà o regole da un
caso noto e definito, ad altri casi che presentino aspetti di ragionevole
somiglianza.
Tra gli ordinamenti che hanno fatto uso della finzione giuridica quello
romano è quello a cui si deve indubbiamente attribuire la creazione
cosciente e l’utilizzazione sistematica dello strumento in questione.
Tuttavia non è stato l’unico, infatti, vi sono stati altri importanti
esempi di finzione in differenti realtà giuridiche. Alcuni ordinamenti
hanno preceduto il diritto romano nell’utilizzo delle finzioni, come si
13
rileverà a proposito dei diritti mesopotamici, di cui tratterò sempre
nel primo capitolo laddove parlerò delle ricadute storiche preromane.
Successivamente, in tema di sviluppi della fictio iuris nella tradizione
romanistica, esporrò anche l’esperienza del Common Law.
Nella premessa del secondo capitolo, che sarà la parte più ampia ed
impegnativa del mio lavoro, affronterò la questione dell’origine dello
strumento in esame. In particolare mi soffermerò sulla tesi del
Demelius, confermata da Ernesto Bianchi, circa l’origine in sacris
della fictio. Seguirà un minuzioso studio sulla nascita del valore di
finzione in diritto romano tenendo presente l’esposizione del
manoscritto di Gaio
1
e proseguendo il discorso con l’esame delle
tradizionali categorie delle finzioni pretorie, legislative e
giurisprudenziali.
Più precisamente illustrerò dapprima le fictiones connesse ad esigenze
di carattere pubblicistico e quindi esporrò la fictio ideata per andare
incontro ad un edile curule che ricopriva allo stesso tempo anche la
funzione di flamen Dialis trovandosi così in una situazione di
conflitto tra gli obblighi legislativi previsti a proposito del giuramento,
il quale era considerato un obbligo per l’esercizio della magistratura, e
il divieto di giurare previsto per chi fosse flamen Dialis .
1
Gaio, giurista romano (II sec. D.C.). Di lui si conosce solo il prenome (Gaius) e nulla si sa della
sua vita. Studioso di diritto privato Gaio fu seguace della scuola dei sabiniani. L’opera più
importante e più nota di Gaio è costituita dalle famose Institutiones. Essa si presenta come il primo
esempio di esposizione sistematica del diritto privato e si compone di quattro libri di cui: il primo
tratta delle persone e della famiglia, il secondo e il terzo delle cose (acquisto, successioni,
obbligazioni), il quarto delle azioni cioè del diritto processuale. Già conosciuta soprattutto
attraverso le Istituzioni di Giustiniano, l’opera di Gaio fu rinvenuta nel 1816, in un testo purtroppo
interpolato e denso di glosse, dallo storico Barthold gorge Niebuhr in un palinsesto della
Biblioteca Capitolare di Verona. Le Institutiones, pur essendo nell’intenzione dell’autore destinate
a studenti, costituiscono tuttavia un documento di eccezionale importanza per lo studio del diritto
romano nel periodo classico.
14
Ad esigenze di carattere pubblicistico è connessa anche quella che si
può considerare la più antica finzione processuale e cioè la ficta
pignoris capio illustrata da Gaio nel passo 4,32.
Il mio lavoro proseguirà con l’esame delle tradizionali categorie delle
finzioni pretorie, in particolare esaminerò le caratteristiche della fictio
heredis, che consente al bonorum possesor di esercitare le azioni
inerenti all’eredità ed alla quale accosterò quell’altra fictio a cui il
pretore deve aver ricorso per individuare le categorie dei chiamati
all’eredità, e cioè la fictio suitatis, operante a favore degli emancipati
e dei figli di padre straniero che abbia ottenuto la cittadinanza romana
ma non l’attribuzione della patria potestas; la fictio del bonorum
emptor, che si concretizza nell’actio Serviana; la fictio dell’actio
Pubblicana introdotta originariamente a tutela dell’acquirente di res
mancipi non trasmesse con mancipatio o in iure cessio; la fictio
civitatis, attribuzione fittizia della cittadinanza romana allo straniero
con lo specifico fine di conferirgli legittimazione processuale e infine
la finzione della rescissione della capitis deminutus, quella consistente
nel non considerare capite deminutus la controparte processuale.
Passando, quindi alla categoria delle finzioni legislative, dopo alcune
considerazioni generali sulla singolarità del ricorso allo strumento
finzionistico anche nell’ambito della legge, esaminerò le due
principali fictiones introdotte per legge: la fictio legis Cornelia e
quella configurata dalla lex Iunia Norbana.
Terminata l’esposizione delle finzioni legislative seguirà quella delle
finzioni giurisprudenziali che si concentrerà attorno alla questione
sulla divergenza di vedute circa l’esistenza o meno di tal tipo di
finzioni.
Infine, dopo aver osservato, si spera nel modo più soddisfacente
15
possibile, ciascuna categoria delle fictiones, passerò ad analizzare lo
sviluppo di esse nella tradizione romanistica e in special modo mi
soffermerò sull’interrogativo relativo all’esistenza o meno di finzioni
giuridiche nel diritto vigente cercando di rispondere attraverso
l’esposizione delle due tesi contrapposte.
16
CAPITOLO I - Le ragioni della creazione della categoria
logica “finzione”: le cause teoriche e le ricadute storiche preromane
1.0. – Premessa
1.1. – Le cause teoriche
1.2. – Le ricadute storiche preromane
1.3. – Conclusione
17
1.0. PREMESSA.
La “fictio iuris”, che tradotto in italiano significa “finzione giuridica”,
è uno fra gli artefici della tecnica giuridica, largamente praticato da
tutti gli ordinamenti, per cui si dà come esistente o come inesistente
un fatto al fine di ricollegare alla sussistenza del fatto, o alla sua
mancanza, le conseguenze giuridiche che ne deriverebbero qualora
esse corrispondessero alla realtà, rendendo cioè possibile o escludendo
l’applicabilità di una norma al rapporto dato.
In altre parole invece di modificare le norme esistenti, si modifica
artificiosamente il fatto a cui queste dovrebbero applicarsi, fingendo
inesistenti alcuni elementi che osterebbero all’applicazione di una
norma, o fingendo sussistenti tali altri elementi che soli ne
renderebbero possibile l’applicazione.
Col termine finzione si allude al risultato di un processo mentale che,
in quanto immaginato o inventato, non corrisponda puntualmente ad
una specifica realtà.
Il termine finzione deriva dalla lingua latina.
“Fictio da fingo, originariamente finctio ( la parola italiana mantiene
la n di fronte alla t convertita in z). Dal significato fondamentale:
foggiare, modellare, dare forma, anche plasmare, scolpire, figurare,
quindi trasformare, fino a creare; ed anche procreare; trasponendo
sul piano dell’attività mentale: creare immagini, e quindi credere,
supporre e anche sognare; e ancora inventare ad arte o a artificio,
anche falsamente e maliziosamente, mentire, simulare, e perciò
18
macchinare, ordire; in altra direzione: adattare, accomodare; in altra
ancora: istruire, educare”
2
.
Quando si parla di “fictio”, o della sua traduzione italiana “finzione” si
intende, nella comune accezione “ atteggiamento o comportamento
falso o simulato, episodico o abituale”, ma la dicotomia finzione/realtà
è un problema estremamente complesso, che ha interessato ed
affascinato da sempre sia la filosofia che le scienze fisiche. Il termine
latino “fictio” è l’equivalente del greco ποιησις, e quindi vale
“generatim est actus formandi”
3
, in senso tecnico “fictio legis dicitur
quum per legem aliquam cuipiam conceditur, ut alia conditione
censeatur, atque in praesenti est”
4
.
Ma del termine “finzione” vi sono più accezioni, fermo restando che
tutte consistono nel “procedimento mentale per cui si considera
esistente qualcosa (indifferentemente oggetto materiale, azione umana
o altro accadimento) che in realtà si ‘sa’ non esistere”
5
.
Una prima definizione, sotto il profilo “dogmatico” ritiene la
finzione “una deformazione cosciente della realtà cui si riconnette una
conseguenza giuridica”
6
, o focalizzando sul momento interpretativo
del diritto, “ quel procedimento logico, per cui, pur non essendo un
dato fatto direttamente contemplato da una norma giuridica, si riesce
ad assoggettarlo ugualmente alla disciplina dettata da quest’ultima,
immaginando che in luogo del fatto stesso se ne sia verificato un altro
diverso, rientrante nella previsione normativa”
7
.
2
Pugliatti Salvatore, Finzione, Ed. D., vol. XVII, Varese, 1968, p.659
3
Cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, vol. II, Padova, 1940, ed. 1965, p. 471.
4
Cfr. Forcellini, cit.
5
Ernesto Bianchi, Fictio iuris. Ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico
all’epoca augustea,Padova, 1997, p.10.
6
Ernesto Bianchi, cit., p. 12.
7
Vincenzo Colacino, Fictio iuris, in NDI, 1957, p.269-271.
19
Una seconda definizione, la quale mette in risalto la finalità della
fictio, la ritiene “un mezzo per far corrispondere le conseguenze
giuridiche proprie di una determinata fattispecie ad altra diversa
fattispecie che, di per sé, ne sarebbe assolutamente priva”
8
.
Una ulteriore definizione, che evidenzia la struttura della fictio, la
qualifica come “modo di rappresentare o di parlare, cogliendo,
appunto, gli strumenti linguistici che consentono l’economia dei
mezzi normativi”
9
. Le ultime due definizioni, tra loro complementari,
non riescono ad individuare univocamente il fenomeno, ma spesso
individuano semplicemente una particolare modalità espressiva
tramite cui esplicare determinati concetti.
Fingere e funzione hanno ereditato molto poco dei significati e delle
sfumature dei termini dai quali discendono. Sappiamo bene come
ricorrere allo studio delle origini della parola spesso offre poche e non
univoche risorse. Questo vale ancor di più per quella zona di cultura
che è propria della scienza giuridica. Infatti il ragionamento della
scienza giuridica “posta di fronte al mondo della realtà umana, alla
realtà concreta, a quella che potremmo dire la realtà storica
(intendendo con questa espressione ciò che gli uomini concretamente
vivono, fanno, manifestano, attuano, perseguono) riduce e traduce
questa realtà in un mondo di parole”
10
. In altre parole la scienza
giuridica non ha per oggetto la realtà nella sua concretezza: essa opera
in principio un processo di verbalizzazione dell’esperienza o meglio
crea concetti e termini verbali correlativi e su di essi sviluppa il suo
pensiero.
8
Ernesto Bianchi, cit., p. 12 e 13.
9
Ernesto Bianchi, cit., p.14
10
Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, Torino, 1961, da nota
Pugliatti p.659.
20
Dunque è un’utopia – ricorrente nella scienza del diritto – quella di
“operare prontamente sulla realtà, poiché, invece, nel discorso della
scienza giuridica, il dato o il fenomeno entra come concetto”
11
. Tali
considerazioni non sono riferibili esclusivamente alla scienza
giuridica ma almeno tendenzialmente a qualunque discorso
scientifico, il quale per sua natura, in quanto discorso, è un tessuto di
simboli verbali, e in quanto scientifico, un sistema di concetti. Non si
tratta, pertanto, di pura contingenza e di mero arbitrio, ma di esigenze
strutturali e funzionali.
“Nel mondo regnato dalla cultura giuridica dei romani, se non può
dirsi che sia nata la finzione giuridica, è certo nata l’espressione fictio
iuris. Insomma, il momento genetico dell’espressione, se non coincide
con quello del fenomeno, coincide certo con quello del concetto
tecnico giuridico di esso”
12
.
11
Orestano, cit., da nota Pugliatti p.659
12
Pugliatti, cit., p. 660.