Capitolo primo 
I CAMBIAMENTI DEL SETTORE AUTOMOBILISTICO E LE 
DIFFICOLTA’ DI FIAT 
1. Storia recente del settore automobilistico 
Il settore automobilistico ha assunto sin dalle sue origini una dimensione 
internazionale di carattere oligopolistico. Nel dopoguerra, alla crescita dell’industria 
automobilistica statunitense si associò quella dei produttori europei e giapponesi. Tra 
il 1950 e il 1973, anno del primo shock petrolifero, si verificò un boom 
automobilistico senza paragoni che permise di passare da una produzione di otto ad 
una di venticinque milioni di automobili. 
Negli anni ’50 la struttura di ciascun mercato nazionale in Europa era definita dalla 
presenza di pochi produttori per Paese. In Italia dominavano Fiat e Alfa Romeo, in 
Francia Renault, Peugeot e Citroen, in Germania Volkswagen; Opel (GM) e Ford 
(unico paese con due multinazionali americane), nel Regno Unito, infine, operavano 
British Leyland, BMC e Ford. 
Pressoché in tutti i paesi si verificò rapidamente un forte processo di concentrazione, 
i produttori minori venivano assorbiti dai produttori maggiori, parallelamente le 
multinazionali americane moltiplicavano gli investimenti in Europa. 
La concentrazione raggiunse il suo livello massimo negli anni ’70 con l’aumento di 
fusioni e joint ventures, soprattutto fra costruttori di una stessa nazione. La 
concentrazione fu indotta sostanzialmente da due motivi: il primo di natura 
industriale, il secondo legato alla politica della concorrenza. Nel primo caso le 
accresciute economie di scala derivanti dalle maggiori dimensioni d’impresa, 
ottenute attraverso le fusioni, permettevano di produrre in modo più conveniente; nel 
secondo, molte delle fusioni fra aziende di un medesimo paese erano di tipo 
preventivo, volte cioè ad impedire l’acquisizione di imprese nazionali da parte di 
costruttori stranieri che, installandosi in un determinato paese, avrebbero creato una 
più forte competizione interna. Gli effetti della concentrazione registratasi negli anni 
’70, dunque, confermavano la sempre più forte struttura oligopolistica del mercato 
automobilistico tanto a livello nazionale quanto, soprattutto, a livello mondiale. 
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Tutti i costruttori, disponevano, negli anni ’70, di un più o meno importante mercato 
interno e destinavano parti sempre più consistenti della loro produzione al mercato 
estero; allo stesso tempo avrebbero dovuto fronteggiare una concorrenza ancor più 
agguerrita sui diversi fronti: quella tra loro, quella dei produttori americani e 
giapponesi in Europa e infine quella tra loro e i produttori mondiali nei mercati extra 
europei, prevalentemente America Latina e Africa. 
Tutti i produttori europei, per quanto la competizione straniera si facesse aggressiva, 
godevano di una serie di protezioni che permisero loro di conservare una quota 
consistente del mercato nazionale, come Francia e Italia. 
Tra gli anni ’60 e ’80 la Germania, principale produttore di autoveicoli, presentava 
problemi solo in alcuni anni di forte crisi internazionale del settore venendo 
avvicinata dalla Francia solo verso la metà degli anni ’70. 
Il trend del Regno Unito è più controverso con un andamento discendente dalla metà 
degli anni ’60 e una contrazione ulteriore negli anni successivi allo shock petrolifero. 
L’Italia, infine, pur avendo un volume di produzione più basso degli altri paesi, 
presentava un trend crescente che si protrasse dai primi anni ’70 alla metà degli anni 
’80. 
Dopo gli shock petroliferi del 1973 e del 1979 iniziò un periodo di declino per tutta 
l’industria automobilistica europea, aggravato dalla stagnazione economica e dalla 
crescita delle quote mondiali dell’industria automobilistica giapponese. Ciò impedì a 
molti produttori di raggiungere il livello di produttività ottimale per vendere a prezzi 
competitivi, il cosiddetto break even point. 
L’andamento delle curve della figura sottostante riflette le diverse condizioni 
nazionali all’interno delle quali avvenne la crescita prima e poi la contrazione, 
dell’inizio degli anni ’90, della produzione del settore automobilistico, cui sarebbe 
seguita la ripresa alla fine del decennio, fino al nuovo rallentamento avvenuto nel 
2008 conseguente della crisi finanziaria e poi economica partita dagli Stati Uniti. 
Le trasformazioni che il mercato dell’automobile ha subito hanno condotto, tra gli 
anni ’70 e gli anni 2000, alla riduzione del numero dei produttori indipendenti. Dai 
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40 del 1970 si è scesi ai 14 del 2001, con la previsione per il 2015 di solo 7 
produttori indipendenti a livello mondiale. 
2. Trasformazioni di mercato e marketing automobilistico 
La progressiva maturazione del mercato automobilistico nelle aree economiche che 
per quasi un secolo hanno rappresentato il principale bacino della domanda 
automobilistica internazionale, la cosiddetta Triade (Usa, Europa, Giappone), e 
l’inserimento dei costruttori giapponesi, affacciatisi timidamente nella scena 
internazionale durante gli anni 60’, ma affermatisi in misura sempre più decisa, fino 
ad assumere il ruolo di policy maker, soprattutto da parte della Toyota Motor Co., 
hanno spinto le case automobilistiche a sviluppare strategie innovative sempre più 
decise e complesse, che hanno riguardato un po’ tutti gli aspetti della gestione delle 
imprese, ma che si sono manifestate in modo particolarmente evidente soprattutto 
nelle politiche di innovazione di prodotto. Si è quindi manifestato un fenomeno di 
innovazione comulativa nella quale la trasformazione quantitativa ha prodotto 
mutamenti che hanno cambiato anche la stessa natura qualitativa del mercato. Tra le 
trasformazioni più rilevanti abbiamo avuto innanzitutto un sensibile accorciamento 
del ciclo di vita (Cdv) del prodotto automobilistico. Nel decennio 1970-1980 la 
durata media del Cdv delle autovetture in Europa risultava pari a 10,7 anni, mentre 
nel periodo 2000-2006 esso si era ridotto a 5,6 anni, una contrazione molto marcata 
pari al 47,66%. Naturalmente le case automobilistiche avevano operato affinché la 
riduzione del Cdv complessivo avesse un impatto il più contenuto possibile sulla vita 
utile del prodotto, che qui fissiamo indicativamente come il periodo nel quale le 
vendite risultano essere pari al 70% delle vendite conseguite nell’anno di picco. 
Allo scopo le case costruttrici hanno cercato di contenere al massimo la fase iniziale 
di rump up e quella finale di invecchiamento del modello,definite rispettivamente 
come il tempo necessario per passare dal momento del lancio della produzione 
industriale al raggiungimento del picco di produzione e quello che va dal picco di 
produzione al ritiro del modello dal mercato. 
Questo sforzo è sostanzialmente riuscito dal momento che a fronte di una riduzione 
del Cdv medio da 10,7 anni a 5,6 anni, la contrazione del periodo nel quale il 
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modello si vende ad almeno il 70% del valore di picco è sceso in misura meno che 
proporzionale da 5,2 anni a 4,1 anni. 
Ciò è stato possibile sia agendo a livello produttivo, innalzando la pendenza della 
salita produttiva degli impianti, ma anche operando sul fronte della comunicazione e 
delle iniziative di sostegno del prodotto , dei servizi addizionali e delle campagne 
promozionali. 
Naturalmente ciò ha reso l’automobile in generale, e i singoli modelli in particolare, 
un prodotto sempre più influenzato da fattori di moda. 
A partire dagli anni 80’ la spesa per le campagne pubblicitarie e la comunicazione in 
genere è salita in modo particolarmente vistoso da parte di tutti gli operatori. Ma 
anche qui non c’è stata solamente una trasformazione di quantità, ma anche di 
qualità. Da un alato si è passati ad utilizzare un ventaglio sempre più ampio dei 
media, dalle riviste specializzate dedicate all’automobile, che un tempo quasi 
monopolizzavano l’offerta di messaggi pubblicitari, ai quotidiani, alla radio, alla 
televisione e così via. Dall’altro lato la necessità di comunicare a ritmo accelerato le 
caratteristiche dei prodotti, ma soprattutto la ricerca di modalità peculiari di 
comunicare, allo scopo di differenziare adeguatamente l’immagine del proprio 
prodotto, che altrimenti si sarebbe appiattita per effetto del crescente affollamento dei 
messaggi pubblicitari, ha spinto le case costruttrici a cambiare i contenuti stessi della 
comunicazione. Se in precedenza si cercava soprattutto di fornire conoscenza sul 
prodotto, focalizzandosi sulle prestazioni dei vari modelli, la crescente maturità del 
mercato ha portato a sottolineare sempre più lo stile di vita che l’automobile 
assicurava ai suoi proprietari. 
La sostanza di questo genere di evoluzione è che la componente tecnica e 
prestazionale del prodotto è importante, ma va coniugata con la componente 
comunicativa. L’essenza del prodotto non è più determinata oggettivamente dalle 
caratteristiche tecniche e materiali dell’automobile, essa comincia ad essere sempre 
più ciò che gli automobilisti vedono in essa attraverso il filtro psicologico dei 
desideri e delle aspettative personali. Di qui un esaltazione del significato emotivo 
dell’automobile, che una visione freddamente tecnica ed ingegneristica ha difficoltà a 
cogliere e a rappresentare. 
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Un secondo effetto collegato all’accorciamento del Cdv dei singoli modelli, divenuto 
negli ultimi anni sempre più evidente, è rappresentato dal moltiplicarsi delle nicchie 
di mercato. La vecchia segmentazione della domanda in quattro semplici classi: 
vetture piccole, medio piccole, medio-grandi e grandi, ha perso significato di fronte 
al moltiplicarsi dei modelli che andavano progressivamente a costituire cluster di 
prodotti sempre più specializzati. Dal punto di vista delle analisi di marketing 
automobilistico, ciò ha prodotto una vera e propria rivoluzione, nel senso che è 
cambiato profondamente il modo di guardare alla segmentazione del mercato. 
Come è noto segmentare il mercato vuol dire raggruppare i consumatori in classi o 
segmenti in modo che ciascun segmento contenga consumatori piuttosto omogenei e, 
di conseguenza, esistano differenze significative tra consumatori afferenti a segmenti 
diversi, con lo scopo di realizzare prodotti mirati su ciascun cluster. 
Tuttavia lo studio della clientela è un processo lungo e soprattutto costoso. Di fronte 
ad un mercato automobilistico che nel passato tendeva a raggrupparsi in pochissime 
classi di consumatori, è sembrato a tutti molto più semplice ed economico limitare il 
numero e la frequenza delle ricerche basate sulle interviste alla clientela a situazioni 
del tutto particolari, per considerare più semplicemente le indicazioni sul mercato 
emergenti dalle variazioni della distribuzione delle vendite tra le diverse categorie di 
modelli commercializzati, vale a dire le classi di vetture: piccole, medio-piccole, 
medio-grandi e grandi. In fondo negli anni 20’ il solo modello Ford T serviva il 55% 
del mercato americano e l’analisi di marketing poteva essere fatta in modo molto 
semplice. Tra le case automobilistiche vi è stato quindi un trasferimento di ottica, 
anziché studiare la domanda per fare di segmenti di consumatori ci si affidava 
sempre più ad una più semplice segmentazione del prodotto automobilistico. Il 
variare degli acquisti tra i diversi segmenti di prodotto risultava una proxy facile ed 
economica per valutare il variare delle preferenze della clientela. Con l’accorciarsi 
del ciclo di vita dei prodotti e il loro moltiplicarsi anche la segmentazione fatta sul 
prodotto è evoluta. Negli anni 80’ i segmenti normalmente utilizzati erano 6, e negli 
anni 90’ divennero 10 e così via, ma l’ottica prevalente rimase quella più semplice, 
ma a volte ingannevole, della segmentazione del prodotto anziché della clientela. 
I dati storici relativi alle vendite effettuate da tutte le case, ripartite su ciascun 
segmento, venivano poi utilizzati allo scopo di effettuare delle proiezioni di carattere 
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previsionale sulle possibilità di espansione dei diversi segmenti. Proprio sulla base 
del trend di domanda mostrato da ciascun segmento si era formata l’idea che in 
Europa esistesse una tendenza progressiva al passaggio dei consumatori verso i 
segmenti riguardanti le vetture più grandi, con un successivo spostamento del 
baricentro del mercato verso le vetture di cilindrata e prestazioni maggiori. 
In realtà non era corretto dire, solo sulla base del movimento relativo ai segmenti, che 
i consumatori in base alle loro intrinseche preferenze si stessero spostando verso i 
segmenti più alti, ma solo che, dati i rapporti prezzi/prestazioni dei modelli offerti, i 
consumatori sceglievano di fatto in numero crescente vetture appartenenti a segmenti 
più alti. In altre parole, l’analisi dei segmenti non rappresentava direttamente le 
esigenze dei consumatori, ma piuttosto indicava le scelte effettuate dai consumatori 
sulla base della struttura dell’offerta presente in quel momento; le vendite non 
rispecchiavano le libere scelte dei consumatori in senso proprio, ma solo le scelte dei 
consumatori stante l’offerta in un certo momento. Se si fossero analizzate più 
compiutamente le esigenze dei consumatori, ci si sarebbe accorti che vi erano 
rilevanti bisogni insoddisfatti che si sarebbero potuti servire attraverso l’offerta di 
nuovi prodotti e ciò avrebbe naturalmente sovvertito l’andamento delle vendite dei 
segmenti di prodotto esistenti in quel momento. 
Le aspirazioni dei consumatori possono essere anche sensibilmente diverse da quelle 
rappresentate dai prodotti offerti, ma ciò non appare, se non limitatamente e con 
notevole ritardo, se ci si limita a considerare la variazione ex post che si produce 
sulle vendite effettive tra i vari segmenti. Ciò significa che guardare al mercato 
attraverso la segmentazione del prodotto significa andare incontro a delle sorprese 
strategiche in quanto la visione del mercato può risultare distorta. 
E’ quanto è successo in Europa alla fine degli anni ’80 con la presentazione di una 
serie di modelli appartenenti al segmento B che hanno riscosso uno straordinario 
successo modificando significativamente la ripartizione della domanda fra segmenti. 
Il fatto di disporre di automobili aventi un corpo vettura esterno di piccole 
dimensioni come la Fiat Punto, la Ford Fiesta, la Lancia Y10, La Nissan Micra, la 
Peugeot 205, la Renault Clio, ma dotate di soluzioni tecniche, di prestazioni e 
comfort assai vicine a quelle di vetture di classe superiore, ha profondamente alterato 
l’importanza quantitativa dei segmenti convogliando verso l’alto gli acquirenti che in 
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precedenza avrebbero optato per vetture superutilitarie del segmento A e verso il 
basso quelli precedentemente orientati su vetture medie-inferiori. Numerosi 
consumatori appartenenti a fasce di reddito medio-alte in precedenza acquistavano 
vetture di dimensioni superiori in quanto solo oltre una certa dimensione e cilindrata 
venivano offerte vetture dotate di particolari caratteristiche (climatizzatore, 
servosterzo, sistema Abs, ecc.). 
Ma in realtà questi consumatori avrebbero preferito acquistare vetture di dimensioni 
più contenute, per un prevalente uso cittadino, purchè adeguatamente accessoriate. 
Negli anni ’90 si è manifestata una ulteriore trasformazione che prese in contropiede 
numerose case automobilistiche abituate a ragionare sui segmenti di mercato con 
un’ottica statica. Si trattava della comparsa dei veicoli monovolume, che inizialmente 
vennero considerati solo nella versione grande, quella che ci veniva dalla tradizione 
americana, rappresentata tipicamente dal modello Voyager della Chrysler prodotto in 
Usa nel 1983, immediatamente seguito in Europa dalla Renault con il modello 
Espace nel 1984. 
Ancora la Renault introdusse nel 1996 un qualcosa che non stava nei segmenti 
tradizionali: la Renault Scenic, un monovolume di piccole dimensioni, che ha indotto 
gli analisti di mercato ad inserire il segmento corrispondente poi articolato in 
monovolume grande, medio e piccolo. 
Successivamente si è inserito anche il segmento delle vetture multi spazio, 
rappresentate da versioni derivate da veicoli commerciali leggeri, mentre la classe 
iniziale dei fuoristrada si è dilatata in quella degli Sport Utility Vehicle (Suv). 
Attualmente quindi la segmentazione dei modelli fatta dalle società specializzate 
nelle analisi di mercato comprende almeno 23 segmenti, come evidenziato nella 
seguente tabella. 
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