16
1.2 Destinatario bambino-adulto.
Solitamente il fiabesco viene pensato come a un genere prettamente – ed
esclusivamente ‒ rivolto al pubblico infantile, rilegato quindi ad un livello basso;
come vedremo non è sempre stato così: «Per secoli la fiaba è stata una forma di
intrattenimento coltivata dalla società degli adulti di tutte le classi sociali e in ogni
contesto culturale».
25
Tolkien ha affermato che fu per accidente storico che le fiabe divennero, nel
mondo alfabetizzato, proprietà peculiare dell’infanzia – secondo lui, non c’è
alcun motivo particolare per il quale le fiabe debbano rivolgersi ad un pubblico
infantile anziché adulto (Tolkien, 1964; tr. It.: 50).
26
La fiaba tradizionale veniva originariamente narrata oralmente, rivolta agli
adulti, sebbene l’uditorio – colto o popolare che fosse – era composto anche da
bambini e ragazzi. La corrente di pensiero, che vede il bambino come unico e
privilegiato destinatario della fiaba, è piuttosto recente: fino al Seicento non vi era
nemmeno una differenziazione tra il mondo dell’infanzia e quello adulto; «Nel
mondo medievale non c’era posto per i bambini […].»
27
Raggiunta una sufficiente
autonomia, il bambino entrava automaticamente a far parte della realtà adulta: non
era visto come un’innocente creatura da formare e proteggere, bensì doveva avere
gli stessi interessi, abbigliamento e svago dell’adulto. Ciò era naturale e non
veniva visto con riprovazione.
25
V PISANTY, Leggere la fiaba, cit. p. 47.
26
Ibid.
27
V. PISANTY, cit, p. 50.
17
Ovviamente la posizione sociale influenzò molto il pensiero e l’atteggiamento
all’epoca comune e, mentre nel Settecento la borghesia iniziava a preoccuparsi
attivamente dell’educazione dei propri figli, nelle famiglie di contadini le
condizioni misere non permisero questo cambiamento: i bambini lavoravano nei
campi e dormivano stipati, spesso dovendo assistere in prima persona all’attività
sessuale dei propri genitori, condividendone inoltre le preoccupazioni.
La nascita della letteratura per l’infanzia (generalmente identificata con
Charles Perrault), si afferma contemporaneamente alla nuova visione del bambino
da parte delle classi più elevate. Vengono distinte anche linguisticamente le
diverse fasi di maturazione dell’individuo, con l’introduzione di termini come
“infanzia” e “adolescenza”, precedentemente del tutto inesistenti.
Il problema dell’educazione dei bambini viene affrontato dai moralisti e dagli
educatori che, dapprima con una certa severità e poi, verso la fine del secolo, con
maggiore dolcezza, si preoccupano di fornire ai fanciulli un’ineccepibile
educazione morale.
28
Il controllo si estese anche ai contenuti delle letture dei bambini, che non
dovevano includere termini impuri o terrificanti. Spettava agli adulti la selezione
dei testi: in questo contesto si affermò una letteratura pedagogica infantile, distinta
dall’universo adulto, che abbandonò il romance per il novel
29
, ritenuto più
artistico e culturalmente elevato. Le fiabe venivano dunque ora rilegate ad un
basso livello, destinate solo ai bambini e alle classi subalterne. I principi educativi
28
V. PISANTY, cit., p. 53.
29
“Mentre il novel si compiace del suo realismo e della sua serietà, le fiabe per bambini possono
ancora contenere inverosimiglianze”. (p. 52).
18
prevedevano tagli e censure ai testi, rispetto agli antichi racconti popolari, spesso
ricchi di dettagli cruenti e non adatti ad un pubblico giovane.
Perrault stesso, nella rielaborazione delle fiabe che sarebbero entrate a far parte
dei suoi Contes, applicò questi accorgimenti, sebbene non sarebbero stati solo i
bambini a leggere i suoi testi, poiché «[…] erano molto apprezzati nei circoli
parigini alla moda.» e «la questione di chi fossero realmente i destinatari dei
racconti di Perrault è in effetti piuttosto controversa.»
30
Sempre la Pisanty ci fa
notare come nelle fiabe dello scrittore francese, fossero introdotti dettagli
descrittivi riguardanti la raffinata moda femminile francese in Cenerentola, o per
l’arredamento accurato della corte nella Bella addormentata nel Bosco.
Tuttavia, con l’edizione dei Kinder- und Hausmarchen (Le fiabe) dei Grimm,
del 1819, il bambino diviene ufficialmente e completamente destinatario
prediletto del genere fiabesco. «Essi furono i primi a intendere una raccolta di testi
del folklore come un lavoro scientifico, proponendosi di rendere fedelmente con la
scrittura la parola del popolo»
31
; dobbiamo però ricordare che i fratelli tedeschi
non trascrivevano sempre i testi prendendo come riferimento la voce diretta
popolare, bensì quella di amici, familiari e narratori di origine borghese che
raccontavano storie legate alla loro esperienza infantile, basandosi sulle narrazioni
di balie o inservienti. I Grimm rimaneggiarono le storie popolari, introducendo
cambiamenti a livelli stilistici e tematici, con tagli e sostituzioni dove secondo
30
Ibid., 54-55.
31
I. CALVINO, Sulla fiaba, p. 96.
19
loro fosse necessario. «[…] la raccolta grimmiana divenne una vera e propria
istituzione nazionale […].
Laddove erano disponibili sia le versioni perraultiane, sia quelle grimmiane
delle medesime fiabe, la tendenza principale è stata […] in favore delle seconde,
in quanto ritenute più adeguate ad un pubblico infantile».
32
Ovviamente le
eccezioni non mancano: ad esempio Andrew Lang (1844-1912) nella sua raccolta
Fairy Books, in merito alla fiaba di Cappuccetto Rosso, non prese spunto dalla
versione grimmiana, bensì da quella francese, riportando anche in questo caso
delle modifiche.
L’idea d’infanzia che aveva lo scrittore scozzese, era quella di un’età pura, da
salvaguardare. In Gran Bretagna, a fine Ottocento, la famiglia borghese aveva
decisamente a cuore l’educazione dei figli, ai quali, se da una parte era riservato
un atteggiamento amorevole e attento, dall’altra vi era anche una ferrea disciplina;
in questo contesto non poteva che prevalere con successo il racconto ammonitore.
In passato, come abbiamo visto, la fiaba era rivolta indiscriminatamente a
bambini ed adulti. Oggi, invece, sembra che il processo iniziato nel Seicento, sia
giunto a conclusione, col risultato di un genere “confezionato su misura” per i
lettori più piccoli. Le raccolte di fiabe odierne nascono da una visione pura da
parte dello scrittore-narratore adulto, che interviene sul testo proprio come
accadeva in passato. A livello contenutistico la fiaba è entrata profondamente in
32
V. PISANTY, cit., p. 59.
20
crisi negli anni '70, messa al bando da vari studiosi, poiché considerata
antieducativa ed antipedagogica
33
.
Oggi, invece, le vengono riconosciute qualità e valori positivi a livello
intellettuale, linguistico ed emotivo-affettivo. «I contenuti tipici della fiaba
riflettono da vicino gli interessi del bambino[…]»
34
e trattano temi e
preoccupazioni del mondo infantile: abbandono, legami sociali e sentimenti.
L’animismo dei bambini trova un contesto più che favorevole nel mondo fiabesco,
popolato da animali e oggetti dotati di personalità. Secondo Bruno Bettelheim
(1903-1990) la fiaba parla alla mente conscia, preconscia e subconscia del
bambino in forma simbolica e lascia all'ascoltatore la libertà di lavorare con la
propria fantasia e di decidere se godere semplicemente della narrazione fine a sé
stessa, oppure se applicare quanto letto a una realtà più personale.
Ogni bambino quindi adegua quella fiaba alla sua presente situazione
psicologica, che può anche variare di in base al momento o ad una seconda lettura
dello stesso testo. Dal punto di vista strutturale, invece, in aiuto del bambino
intervengono le formule fisse e le ripetizioni che, con l’ausilio della lettura ad alta
voce dell’adulto, permettono una memorizzazione più rapida e semplice.
Anche se la nostra cultura sembra aver escluso l’adulto come fruitore di questo
mondo incantato, in realtà la fiaba si presta per infinite letture e riscritture, anche
da parte dello stesso soggetto: «ogni volta che questi riprenderà in mano un
33
“Si credeva che evitando di alimentare l’immaginazione del bambino si sarebbero eliminati i
giganti e gli orchi dalla fiaba – cioè gli oscuri mostri dimorati nell’inconscio – in modo da non
ostacolare lo sviluppo della mente razionale del bambino”. BRUNO BETTELHEIM, The Uses of
Enchantment, 1976, New York; (trad. Ita., Il mondo incantato – Uso, importanza e significati
psicoanalitici delle fiabe; Milano, 2013, Feltrinelli), p. 119.
34
V. PISANTY, cit., p. 64.
21
vecchio libro di fiabe, di cui ha già fruito durante l’infanzia, scoprirà che per lui
esso significa qualcosa di nuovo […]».
35
Il rapporto con la lettura provoca allo
stesso tempo familiarità ed estraneità: sarebbe impossibile pretendere di rivivere –
attraverso un testo letto a distanza di anni – gli stessi ricordi e le medesime
emozioni, ma ciò che si crea è un insieme di nuove interpretazioni, difatti:
Ogni nuova lettura deve fare i conti, oltre che con il testo stesso, con tutta la serie
di interpretazioni precedenti che il testo ha provocato e che sono state codificate
nell’ambito di una certa cultura […] (68).
Inoltre con l’occasione di lettura-ascolto si ha modo di rafforzare il legame
bambino-adulto, la cui attenzione è rivolta al piccolo ascoltatore che familiarizza
altresì con la lingua materna e ottiene informazioni utili ai rapporti sociali ed
interpersonali. Con l’aiuto dell’adulto, il bambino può apprendere ed interpretare
a suo modo gli elementi del mondo fiabesco: «[…]il lupo può essere trasformato
in uno spauracchio di cui l’adulto si serve per farsi obbedire […] o al contrario
può stimolare […] una fruizione di tipo creativo (riscrittura e parodia)»
36
L’operazione di riscrittura, quindi, – a differenza di quanto sostenuto da alcuni
studiosi –, offre occasione di stimolo creativo sia all’adulto che al bambino: è il
genere fiabesco stesso a chiedere all’artista di trasformarlo e riadattarlo secondo i
nuovi contesti e gusti dei lettori, poiché altrimenti rischierebbe di “fossilizzarsi” e
terminare così la sua funzione artistica.
35
Ibid., p. 66.
36
V. PISANTY, cit., p. 73.
22
Simili operazioni di riscrittura incontreranno il favore dei bambini stessi i quali –
ci dice Rodari – dopo una primissima fase durante la quale manifesteranno una
tendenza a voler sentire le fiabe con le stesse identiche parole […], più avanti
cominciano ad apprezzare il gioco di “sbagliare le storie” (Rodari, 1973: 54)
37
«La fiaba si presta, forse più di qualunque altro genere narrativo, ad essere
usata»
38
: per ognuno di noi rappresenta un legame continuo, che va dall’infanzia e
non si esaurisce – come abbiamo visto – alla tenera età. Bisogna però sottolineare
che, manipolando il testo e adattandolo alle proprie esigenze, cultura e contesto,
non si sta compiendo un’interpretazione, bensì un uso
39
, che per sua stessa natura
– creativa – non può che sfociare nella riscrittura.
37
Ibid., p. 74.
38
V. PISANTY, cit., p. 82.
39
“In questo caso il testo non è che uno stimolo iniziale per un’ulteriore attività creativa” cit., 80.