2
stampa sul sito internet Eurolab - e dei maggiori spettacoli prodotti dallo Stabile
milanese. Di grande aiuto è stata la cartella generica su Ferruccio Soleri che riportava
numerose curiosità legate soprattutto alla sua infanzia. Infine, le fotografie
dell’Archivio Fotografico del Piccolo Teatro scattate da Luigi Ciminaghi - tutelate da
copyright - sono state incluse nel mio lavoro come esempi significativi dell’attività
artistica di Soleri.
Successivamente ho contattato personalmente tutti i teatri italiani in cui Soleri
ha lavorato e molti di questi mi hanno gentilmente inviato il materiale in loro
possesso. Con l’occasione vorrei ringraziare in particolar modo il Teatro Regio di
Torino, l’Opera Nazionale di Roma, il Teatro Stabile di Genova, il Teatro Comunale
di Modena e il Teatro Olmetto di Milano. Ho contattato direttamente numerosi registi
e collaboratori con cui Soleri ha avuto occasione di lavorare e anche costoro sono
stati assai disponibili a elargire chiarimenti e notizie sul di lui lavoro artistico.
Infine, alla Biblioteca Sormani, alla Biblioteca Dergano di Milano e alla
Biblioteca Comunale di Desio ho reperito alcune informazioni attinenti agli spettacoli
interpretati dall’attore e ho potuto consultare diverse enciclopedie e dizionari di
teatro.
Nonostante le proficue ricerche in tali istituti ho avuto qualche difficoltà nel
recuperare il materiale legato agli esordi professionali e alle regie estere allestite da
Soleri. Ad aiutarmi a superare tale ostacolo è stato lo stesso attore, il quale
gentilmente mi ha permesso di consultare le recensioni da lui raccolte durante la sua
lunga carriera artistica.
Nel ricostruire la biografia artistica sono stata agevolata dalla preziosa
intervista rilasciatami dallo stesso Soleri il 9 settembre 2004, che si è dimostrata
fondamentale per comprendere con maggiore chiarezza e profondità i rapporti
lavorativi instauratisi tra i diversi registi e l’attore. Tale intervista mi ha fornito anche
interessanti aneddoti legati alla vita professionale di Soleri e notizie sulla sua vita
privata.
3
Il 14 febbraio 2004 ho assistito alla rappresentazione di Arlecchino Servitore di
due padroni, fondamentale nel momento della sua analisi durante la stesura della tesi.
Presso la mediateca della Biblioteca di Discipline musicologiche e dello spettacolo
dell’Università degli Studi di Milano ho avuto la possibilità di visionare varie
edizioni dell’Arlecchino strehleriano nonché altri spettacoli quali La tempesta e
L’opera da tre soldi sempre diretti da Strehler.
Tutte queste ricerche sono state uno strumento importante e prezioso per
delineare con più chiarezza le diverse fasi della carriera di Soleri e per superare le
difficoltà legate alla descrizione di un’arte per sua natura effimera. Ringrazio il signor
Soleri per essere stato disponibile nei miei confronti e per il sentito interessamento al
mio lavoro.
4
I CAPITOLO
GLI ESORDI
In questo capitolo approfondirò il periodo che precede il debutto di Ferruccio
Soleri come “titolare” della maschera di Arlecchino nel Servitore di due padroni di
Carlo Goldoni diretto da Giorgio Strehler
1
, evidenziando in particolar modo i principi
e i presupposti che lo hanno spinto ad interpretare questo personaggio per oltre
quarant’anni.
1.1 L’infanzia
Ferruccio Soleri nasce il 6 novembre 1929 a Firenze, nel quartiere di Ponte
Rosso, da una famiglia borghese colta, formata da professionisti e uomini politici di
origine piemontese.
Il padre, Ernesto Soleri, lascia il Piemonte all’età di 23 anni a seguito di un
grave incidente che lo priva della vista per sempre. Giunto a Genova, lontano da
coloro che lo vogliono sistemare in collegio, vive i suoi primi anni come un hippy
ante litteram chiedendo cibo e vestiti per sopravvivere ma non accettando
l’elemosina. Grande è la voglia di superare le avversità cosicché decide di iscriversi
al liceo classico diplomandosi in un anno. Successivamente giunge la laurea in lettere
e filosofia e l’impegno per fondare l’Unione italiana ciechi, di cui è eletto segretario.
Poiché come sede di questa fondazione è scelta Firenze, Ernesto si trasferisce nel
capoluogo lavorando come professore. Qui, sposa la giovane compagna universitaria
Anna Fabbri, di origine bolognese, arredatrice presso una nota rivista femminile, che
1
Giorgio Strehler (Barcola, Trieste, 1921 - Lugano, 1997). Nel 1947 realizza con Paolo Grassi il suo sogno: creare un
teatro stabile pubblico. Nasce così il Piccolo Teatro di Milano, inaugurato dallo spettacolo L’albero dei poveri di
Gorkij. A tale periodo risale anche la sua prima regia lirica alla Scala: la Traviata. Strehler opera all’interno di un
repertorio contemporaneo e classico: soprattutto Goldoni ha un ruolo importante nella sua ricerca registica con
Arlecchino servitore di due padroni (1947) di cui verranno realizzate altre otto versioni e la Trilogia della villeggiatura
(1954). Dal 1955 porta in scena il teatro di Brecht: L’opera da tre soldi, L’anima buona del Sezuan, L’eccezione e la
regola, Vita di Galileo. Altri suoi spettacoli di grande valore artistico sono I giganti della montagna di Pirandello, La
Tempesta, Re Lear di Shakespeare e la riscoperta di Bertolazzi con El nost Milan. Nel 1982 crea e dirige fino al 1988 il
Théatre de l’Europe a Parigi. Dotato di un’incredibile sensibilità teatrale, sempre filologicamente rispettoso dei testi che
allestisce, è in grado di ricreare atmosfere di altissima poesia con un proprio apporto creativo di alto valore tecnico
(scene, luci). Sull’argomento si veda anche Dizionario dello spettacolo del ‘900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli,
Milano, Baldini e Castoldi, 1998, s.v.
5
vanta all’interno della sua famiglia la presenza di un grande caratterista
dell’Ottocento: Ernesto Fabbri.
Il padre è molto amico di Antonio Gandusio
2
, uno straordinario attore triestino
stabilitosi a Genova, interprete, una sola volta, del ruolo di Arlecchino “servitore” di
stampo pre-strehleriano. Il piccolo Ferruccio ricorda di aver dormito nella stanza
dell’uomo e in sua assenza di avere sbirciato, consigliato dalla sorella dell’attore, fra
gli effetti personali di quest’ultimo: “C’era un armadio pieno di costumi. Indovina
qual è l’unico che ho sempre ricordato?”
3
.
Durante l’infanzia l’unico gioco che lo diverte è “fare il circo” ed esige sempre
la parte del clown. Il padre, però, spiega al figlioletto che questa è un’arte
antichissima che si tramanda di generazione in generazione e così con la sorella si fa
spesso accompagnare dalla donna di servizio nei circhi periferici della città dove nel
pomeriggio, sbirciando dietro i tendoni, osserva i vecchi insegnare ai giovani della
famiglia gli esercizi. Ferruccio guarda e poi nel giardino di casa sua si esercita da
solo, da autodidatta e per passione: a otto-dieci anni impara il salto mortale, la
verticale e a camminare sulle mani.
Al liceo scientifico di via Gordigiani in Firenze, Soleri segue con grande
interesse le lezioni del suo insegnante Mario Luzi
4
, che ancora oggi ricorda come uno
straordinario poeta.
2
Antonio Gandusio (Rovigno d’Istria, 1873 - Roma, 1951). Laureatosi in legge, entra nella compagnia di Alfredo De
Sanctis (1899) ed inizia una fortunata carriera durata cinquant’anni, nel corso della quale è il più acclamato attore
brillante italiano. Affermatosi dapprima nel repertorio pochadistico di moda, affronta accanto a testi di troppo scoperta e
clamorosa comicità, commedie di più rigoroso impegno umano e letterario (Pirandello, Anouilh, Saroyan) e, talora,
anche se non frequentemente, si accosta ai classici (Goldoni, Molière). Unitosi nel 1912 a Lydia Borelli, tre anni dopo
ignora il richiamo alle armi da parte di Vienna, avendo a suo tempo servito come ufficiale nell'esercito austriaco come
tutti gli istriani dell'epoca. Proprio nel fatidico 1915 entra a far parte della compagnia Melato-Betrone diretta da Talli,
specializzandosi nella nuova drammaturgia italiana che aveva per alfieri Chiarelli, Antonelli, Cantini. In particolare il
trionfo in La maschera e il volto lo induce a rivolgere minor attenzione al teatro di puro intrattenimento, preferendo ad
esso i campioni del grottesco e delle “avventure colorate” allora in auge. Artista di grande sensibilità e di carattere
schivo, bibliomane raffinato, la morte improvvisa lo coglie alla vigilia di registrare per la RAI il terzo atto del suo
cavallo di battaglia, Il deputato di Bombignac.
3
Intervista a Ferruccio Soleri raccolta da me in Milano, 9 settembre 2004. Testo inedito.
4
Mario Luzi (Firenze, 1914) Nel 1926 si trasferisce a Siena per tre anni. Nel 1929 è di nuovo a Firenze dove si laurea in
letteratura francese. Successivamente insegna nella scuole superiori e, dal 1955, tiene la cattedra di letteratura francese
presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze. È considerato uno dei fondatori dell’ermetismo,
nonché uno dei maggiori poeti italiani contemporanei. I suoi esordi letterari risalgono agli anni trenta - la prima
raccolta, La barca, è del 1935 - quando comincia a frequentare altri giovani poeti della scuola ermetica (Bigongiari,
Parronchi, Bo) e collabora a riviste d’avanguardia come “Frontespizio” e “Campo di Marte”.
6
L’amore per il teatro inizia ad affiorare, seppur occasionalmente, durante questi
anni, in cui non perde l’occasione di partecipare alle recite dilettantistiche o alle feste
goliardiche ove occorra un comico, come ad esempio ne La zia di Carlo di Brandon
Thomas.
Inoltre, è un grande sportivo: a 18 anni vince la medaglia d’oro ai campionati
provinciali di ginnastica artistica nell’incredulità di tutti coloro che sono a
conoscenza del fatto che egli non abbia mai frequentato una palestra o una società di
ginnastica sportiva. Nel biennio 1946-1947, invece, diventa ala sinistra della squadra
ragazzi “Assi Giglio Rosso” di Firenze e, due anni dopo, è goleador del gruppo
juniores della stessa società partecipando alle selezioni per la Fiorentina, la sua
squadra del cuore.
Gioca ancora un anno in promozione come titolare in prima squadra poi, nel
1950, è ceduto alla società sportiva Rufina, sempre in promozione, e di quel
campionato, giocando da centravanti, diventa il capocannoniere. La società vuole
venderlo al Cosenza, in serie C, ma il ragazzo non accetta di trasferirsi in una città
provinciale, desideroso di ricevere proposte da altri capoluoghi più interessanti.
Purtroppo, una brutta domenica subisce un infortunio alla gamba e perde il
primato. L’anno successivo si ritrova in panchina come riserva, ma la cosa non gli va
giù e un pomeriggio, dopo un’animata discussione con i dirigenti e l’allenatore,
strappa il cartellino e se ne va.
7
1.2 L’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico
Terminato il liceo Soleri sembra essere destinato ad una brillante carriera come
ufficiale della Marina militare. Deve ad una bocciatura da parte di “un’odiosa
professoressa liceale”
5
che lo rimanda in scienze naturali a ottobre, il rifiuto all’esame
di ammissione. Il giovane non si perde d’animo e si iscrive all’esame per
l’Accademia di aviazione, ma un’improvvisa febbre non gli permette di tentare la
prova d’ingresso e di conseguenza il padre, che lo vuole come lui futuro professore,
lo iscrive alla Facoltà di matematica e fisica.
Ma il teatro lo distrae. All’Università inizia, infatti, a recitare nella compagnia
studentesca del teatro universitario, la stessa dove stavano muovendo i primi passi
anche Paolo Poli
6
, Renzo Montagnani
7
, Ilaria Occhini
8
e il giovane regista Beppe
Menegatti
9
, con il quale Soleri stringerà un forte legame che lo accompagnerà anche
5
Intervista a Ferruccio Soleri raccolta da me in Milano, 9 settembre 2004. Testo inedito.
6
Paolo Poli (Firenze, 1929). Nel 1959 entra a far parte de La Borsa di Arlecchino, il piccolo teatro d'avanguardia che
nasce a Genova grazie a Trionfo. Ma suo primo vero spettacolo è nel 1961, Il Novellino, che va in scena alla Cometa di
Roma, a cui fanno seguito una serie di spettacoli divertentissimi, costituiti in gran parte da montaggi di testi letterari
commisti ad altre fonti di varia cultura o di cronaca popolare; è un vero e proprio teatro da camera, che rimarrà la cifra
distintiva del suo modo di fare spettacolo. In questo periodo gli si affianca come fedele collaboratrice Ida Omboni, e,
agli inizi degli anni '70, per un breve periodo, si unisce a lui la sorella Lucia, come coautrice e attrice (Apocalisse, 1973;
Femminilità , 1975). Questa personalissima strada di rivisitazione di testi letterari, montati in scena con siparietti comici
da avanspettacolo, trova un valido sostegno in divertenti colonne sonore: brani musicali e canzonette d'epoca da lui
cantate in falsetto.
7
Renzo Montagnani (Alessandria, 1930 - Roma, 1997). Laureato in farmacia, scoperto da Macario esordisce in teatro
come spalla di Carlo Dapporto, ma è nel cinema che ha successo come interprete di Metello, film tratto dal romanzo di
Pratolini diretto da Bolognini (1970). Per ironia della sorte, questo fortunato exploit gli porta solo proposte per film
erotici all'italiana, dove raramente può dimostrare il suo valore. Attore polivalente, continua a frequentare il teatro, oltre
che il cinema, interpretando La coscienza di Zeno di Svevo, diretto da Giraldi per lo Stabile di Trieste (1978),
L'incidente di Luigi Lunari, messo in scena da Luciano Salce ed è al Teatro Quirino di Roma in Il senatore Fox di
Lunari con la regia di Augusto Zucchi (entrambi del 1986). Oltre alla partecipazione cinematografica in Amici miei (atto
II e atto III) di Monicelli, la vera popolarità di Montagnani è dovuta comunque all'improbabile parroco don Fumino da
lui impersonato in una serie televisiva.
8
Ilaria Occhini (Firenze, 1936). Nel 1954 debutta al cinema con Terza liceo di Luciano Emmer, quindi si diploma
all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico. Approda al teatro nel 1957, ottenendo un ruolo importante nell'
Impresario delle Smirne di Goldoni diretto da Visconti. Una tappa importante della sua carriera è rappresentata
dall'incontro con Orazio Costa che, dopo averla diretta in Francesca da Rimini di D'Annunzio (1960) e in Dialoghi
delle Carmelitane di Bernanos per la televisione (1962), la chiama a interpretare Tre sorelle di Čechov (1974) e Le
allegre comari di Windsor di Shakespeare (1976). Negli anni Ottanta un altro incontro importante con Giuseppe Patroni
Griffi la porta a recitare due testi di Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore 1988 e Ciascuno a suo modo 1989)
all'interno del progetto “Trilogia del teatro nel teatro di Pirandello” dello stesso regista.
9
Beppe Menegatti (Firenze, 1929). Uscito dall'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica è aiutoregista di Luchino
Visconti nel 1954-56. Lavora poi con Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo, Luigi Squarzina e in proprio come regista
sia nel campo della prosa che in quello della lirica. Già dai primi anni Sessanta si occupa del teatro di danza (Il balletto
del festival dei Due Mondi, 1962), interesse che diventa primario grazie al matrimonio con Carla Fracci. Per esaltare la
versatilità interpretativa della moglie si dedica all'ideazione di balletti drammatici, trovando spunti sia nella letteratura
teatrale (The Macbeths, 1969; Il gabbiano, 1970; Mirandolina, 1983, Il lutto si addice ad Elettra, 1995), sia in quella
operistica (Il vespro siciliano, 1992) sia in biografie di personaggi storici che riadatta in drammaturgie (Nijinskij
8
negli anni successivi. È qui che Soleri si diletta ad interpretare scherzosamente ruoli
femminili e travestimenti in occasione delle feste universitarie. Ottiene, tuttavia, i
suoi primi ruoli seri, fra cui è ben riuscita l’interpretazione ne La condanna di
Lucullo di Bertol Brecht, per la regia di Menegatti che ha per protagonista
Montagnani.
La prima parte da protagonista la ottiene, invece, nel Comus di John Milton,
durante la stagione del Maggio Fiorentino del 1952, in un allestimento composto da
parti di recitazione, di musica e di danza. Da allora, spinto soprattutto dall’amico
Menegatti, decide di dedicarsi completamente al teatro lasciando al terzo anno gli
studi universitari e facendo domanda all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica
Silvio D’Amico di Roma.
Nell’attesa recita per la compagnia dilettantistica dell’Alberello, diretta dalla
contessa Lini, al Teatro della Pergola, impegnandosi in ruoli complessi come ad
esempio il personaggio del Signor Bonaventura di Sergio Tofano - parte cantata,
ballata e recitata - che unisce ironia e drammaticità, satira e ottimismo.
A proposito Soleri ricorda:
Mentre interpretavo il personaggio di Bonaventura, venne da me una critica di
balletto americana e mi chiese: «Scusi, lei dove ha studiato danza?»
«Io?!Danza?!Mai studiata!».«No?Ma allora deve farlo; guardi, è arrivata Darja
Collin
10
a Firenze e apre una scuola, deve andare!». Così sono andato…e mi sono
fatto un anno e mezzo di danza classica. Alla fine di questo periodo, ci fu
un’audizione per il corpo di ballo del Maggio Musicale fiorentino. Tutti gli allievi
della mia scuola ci andarono, così andai anch’io. La mattina dell’audizione mi arrivò
la conferma dell’ammissione all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di
Roma cui, precedentemente avevo fatto domanda. Decisi, per curiosità, di andare
memorie di giovinezza, 1989; Alma Mahler G. W., 1994; Zelda, riservami un valzer, 1998). Coadiuva Carla Fracci nella
direzione del corpo di ballo dell'Arena di Verona nel 1996-97.
10
Darja Collin (Amsterdam, 1902 - Firenze, 1967). Dopo i primi studi con Kurt Jooss e Menno Wigman, si avvicina
alla danza classica sotto la guida di Olga Preobrajenska, Viktor Gsovskij e Vera Trefilova. Ballerina, maestra e
coreografa dell'Opera italiana di Amsterdam, negli anni Trenta si esibisce da sola e con Alexander Freiherr von Swaine
in recital di danza moderna in tutta Europa e nei paesi orientali. Nel 1949 fonda, ad Amsterdam, il Nederlands Opera
Ballet, divenuto poi Het Nationale Ballet (Balletto nazionale olandese); nel 1951 si trasferisce a Firenze. Il suo
insegnamento è stato determinante nella formazione di molte ballerine toscane degli anni Sessanta, come Cristina
Bozzolini e Marga Nativo.
9
ugualmente all’audizione. Mi ricordo che la Nives Poli, coreografa e direttrice del
corpo di ballo, che diceva alla fine «Tu sì, tu no, tu sì…», venne da me «Tu sì» ed io
«No».«Come no, sì!». «No guardi, io vado all’Accademia». «All’Accademia?Tu così
piccolino, bruttino…va beh, bruttino no, ma insomma…sai ci vuole la voce…invece
tu hai delle qualità per fare il ballerino». «No, ho deciso di fare l’attore».
11
Così Soleri, dopo una lunga discussione con il padre, fa le valigie e parte per
Roma.
Nella capitale prende alloggio in una pensioncina di quart’ordine e, saltando
qualche pasto, se la cava senza chiedere al padre alcuna sovvenzione.
Fu una questione di orgoglio. Per lui, quello che volevo fare era semplicemente una
follia. Ebbe però il buon gusto di non farmi una scenata. «Io penso», rispose
lentamente, «che tu sia abbastanza grande, ormai, per decidere da solo il tuo
destino». Lo presi alla parola. «D’accordo». Replicai. «Facciamo finta che me ne sia
andato di casa e non parliamone più».
12
I rapporti con il padre si raffreddano ma Ferruccio mai potrà dimenticare il suo
grande insegnamento: la tenacia e la voglia di non arrendersi mai di fronte alle
difficoltà.
A casa, Soleri torna solo un mese l’anno, soprattutto per fare contenta la madre,
che lo appoggia nell’ombra e che, ogni tanto, di nascosto, gli fa pervenire un piccolo
assegno.
In quello stesso periodo, presso l’Accademia Musicale Chigiana, Soleri
frequenta un corso estivo di perfezionamento con Clotilde e Alessandro Sakarov
13
,
11
Ferruccio Soleri, Tecniche di improvvisazione strutturata, in “Biblioteca teatrale”, luglio-dicembre 2001.
12
Giuseppe Grieco, Il più famoso Arlecchino del mondo, in “Gente”, 13 luglio 1973.
13 Sakarov Aleksandr Zuckermann (Mariupol, Ucraina, 1886 - Siena, 1963) e Clotilde von der Planitz (Berlino, 1892
- Roma, 1974). Una delle coppie di danzatori più famose dei primi decenni del Novecento. Ambedue furono soprattutto
solisti, giacché nei loro spettacoli non si esibivano in coppia che una o due volte, ma la sintonia degli intenti artistici, la
solidità e la inscindibilità delle loro carriere, oltre al rapporto affettivo che li unì per la vita (si sposarono nel 1919),
hanno deciso del loro destino comune, consegnandoli quindi come coppia alla storia della danza. La loro fama, all'apice
in Europa negli anni Venti, si diffuse in Cina e Giappone nel decennio seguente grazie a fortunate tournée. Diedero gli
ultimi recital in Italia, dove si trasferirono nel 1951, dividendosi poi tra la scuola da essi fondata a Roma e le classi di
danza annualmente date all'Accademia musicale chigiana di Siena. Artisti dal magistero irripetibile e non trasmissibile,
hanno prodigato la visione di una danza di spiritualità e preziosità senza pari, il cui segreto è scomparso con loro.
10
che comprende anche la danza plastica, una gestualità moderna che si discosta dal
balletto in quanto interamente incentrata sulle espressioni del corpo, sul movimento e
sullo spazio.
Orazio Costa
14
, insegnante dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica
Silvio D’Amico, già al primo anno di corso, rimane affascinato dalla grande
espressività corporea del giovane allievo e gli confida che sarebbe stato un perfetto
Arlecchino.
Un giorno sbirciai fra gli appunti del mio maestro e con grande meraviglia lessi che
gli ricordavo molto il grande attore Paolo Panelli. Non capii mai il perché di questo
paragone, ma gli devo tutto perché fu il primo ad avere fiducia in me.
15
Così, nel 1954, mentre frequenta il secondo anno di Accademia, il regista
Giacomo Colli
16
, allora allievo della messinscena, su indicazione del maestro Costa,
gli affida la parte di Arlecchino nella commedia di Carlo Goldoni La figlia
obbediente, come saggio di fine anno accademico.
Per imparare il dialetto veneziano Soleri è messo nelle mani del veneto
Gastone Moschin
17
, suo compagno di Accademia, che in quegli stessi anni interpreta
14
Orazio Costa Giovangigli (Roma, 1911 - Firenze, 1999). Allievo della Scuola d'Arte Drammatica di Roma fin dalla
fondazione (1933), diplomatosi in regia con Tatiana Pavlova, è poi assistente di Simoni, Salvini, Sharoff, s'impone
come regista nel 1941, inscenando Il poeta fanatico di Goldoni alla Biennale di Venezia. Nell'immediato dopoguerra
assume la direzione artistica del Teatro Quirino di Roma, per poi fondare il Piccolo Teatro Città di Roma, un anno dopo
la nascita del Piccolo di Milano. Fin dall'esordio registico impone una concezione vagamente messianica della sacralità
del teatro, sollecitata da un'autentica ansia religiosa. Decisive sono le suggestioni del cattolico D'Amico e del
cattolicissimo Copeau. Ma i suoi interessi non possono essere conclusi nel recinto del teatro liturgico, anche se un
afflato di spiritualità permea tutte le sue regie, sia che volga l'attenzione a Ibsen o all'ancor più problematico Strindberg,
indugi su Čechov o affronti l'Alfieri, sia che venga tentato da Diego Fabbri o dal prediletto Ugo Betti. Sull’argomento si
veda anche Dizionario dello spettacolo del ‘900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Milano, Baldini e Castoldi, 1998,
s.v.
15
Intervista a Ferruccio Soleri raccolta da me in Milano, 9 settembre 2004. Testo inedito.
16
Giacomo Colli (Brescia, 1928 - Desenzano sul Garda, 1994). Si diploma in regia nel 1955 all'Accademia d'Arte
Drammatica di Roma con La figlia obbediente di Goldoni. Nel 1956 è chiamato a lavorare allo Stabile di Torino dove
esordisce con Pamela nubile di Goldoni. Quindi, sempre a Torino, allestisce due dei suoi spettacoli più importanti: La
giustizia di Dessì (1959) - di cui cura anche la regia televisiva nel 1962, anno in cui comincia la sua collaborazione con
la Rai - e La tempesta di Shakespeare (1960). Quindi comincia a lavorare allo Stabile di Napoli, dove mette in scena:
Giacomo o della sottomissione di Ionesco (1961); Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello e L'uomo che andrà in
America di Buzzati (entrambi nel 1962). Negli anni successivi alterna regie televisive a regie teatrali (L'amante militare
di Goldoni, 1971, al festival di Venezia).
17
Gastone Moschin (San Giovanni Lupatoto, Verona, 1929). Si diploma all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di
Roma e debutta, subito dopo, nel 1955, con Ivanov di Čechov diretto da Mario Ferrero al Teatro Stabile di Genova. Nel
1964 ottiene un buon successo con Troilo e Cressida di Shakespeare per la regia di Squarzina, ma raggiunge una
considerevole popolarità soprattutto con lo sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi I miserabili di Hugo, che lo spinge
ad abbandonare per un certo periodo il teatro dedicandosi all'attività televisiva e cinematografica. Riprende gli impegni
teatrali nella seconda metà degli anni Settanta interpretando Zio Vanja di Čechov (1977) e I giganti della montagna di
11
il personaggio di Pantalone. Inoltre, di sua iniziativa, decide di chiudersi in biblioteca
per ore e ore a studiare le caratteristiche del personaggio.
Per i movimenti è previsto l’insegnamento del grande Marcello Moretti
18
, che
però non giunge mai perché troppo impegnato con Strehler. Arriva solo per la prova
generale e dopo averlo osservato recitare attentamente gli dice che il suo Arlecchino è
molto diverso dal suo, ma che avrebbe dovuto continuare nella sua personale ricerca.
Unico suggerimento che gli dà è di entrare in scena facendosi largo, persuadendo lo
spettatore che sul palco non esiste altro personaggio.
Un Arlecchino predestinato, dunque, ma insieme refrattario, poiché sono
nutrite e motivate le opposizioni da parte sua. Egli si decide, infatti, a vestire i panni
di Arlecchino per le pressioni del suo maestro.
Soleri è estremamente consapevole delle barriere culturali e linguistiche tra la propria
toscanità e l’irriducibile dimensione della Venezia goldoniana,nonché della certezza
di essere saldamente ancorato ad una prospettiva di attorialità affatto moderna:
ovvero, quanto mai remota, sia a livello di concezioni compositive della
messinscena, sia sul piano dei rapporti tra interprete e personaggio, da quelle che
avevano distinto la lunga storia dei comici dell’Arte e dei loro epigoni.
19
Pirandello (1979) diretti da Missiroli. Notevole la sua attività cinematografica di cui ricordiamo: Signore e signori
(1965) di Germi, L'harem (1967) di Ferreri, Il padrino II (1974) di Coppola e Amici miei (1975) di Monicelli.
18
Marcello Moretti (Venezia, 1910 - Roma, 1961). Intraprende, non più giovanissimo, gli studi di recitazione
all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica. Si diploma nel 1940 interpretando, nel saggio finale, l' Arlecchino
servitore di due padroni di Goldoni, che rimarrà come un segno indelebile nel destino della sua carriera di attore. Nel
1947 entra a far parte del Piccolo Teatro di Milano partecipando allo spettacolo inaugurale e collaborando a diversi
progetti. Sempre nello stesso anno Strehler allestisce il suo Arlecchino con il proposito di valorizzare l'importanza della
riforma goldoniana nel recupero della tradizione della commedia dell'arte. Moretti è il protagonista di questo progetto:
interpretando Arlecchino nell'arco di tredici anni e portandolo in ventisei diversi Paesi del mondo, l'attore dedica quasi
interamente la sua carriera allo studio di questo personaggio. La sua ultima grande interpretazione da ricordare è quella
di Bérenger in Il rinoceronte di Ionesco del 1960. Sull’argomento si veda anche Dizionario dello spettacolo del ‘900, a
cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Milano, Baldini e Castoldi, 1998, s.v.
19
Roberto Tessari, Arlecchino signore di due regni: la Commedia dell’Arte e il teatro moderno, nel Programma di sala
di Ritratti di Commedia dell’Arte, 30 giugno 2001.
12
1.3 Il tirocinio teatrale
Entrato in Accademia nel 1952, Soleri è costretto a frequentare il terzo e ultimo
anno solo cinque anni dopo, poiché chiamato per il servizio militare nel 1955.
Tuttavia, nel 1954, sostiene un’audizione in Accademia ed è scelto fra oltre
cento toscani per il ruolo di doppiatore nel film Cronache di povere amanti per la
regia di Carlo Lizzani
20
.
A due mesi dal termine del servizio di leva chiede il trasferimento a Roma
frequentando l’Accademia in divisa militare, ma non terminerà mai il normale corso
di studi - e dunque mai otterrà il diploma - poiché è chiamato anticipatamente dal
Piccolo Teatro di Milano ad interpretare una piccola parte, il figlio di re, nella Favola
del figlio cambiato di Luigi Pirandello, debuttando quindi come attore professionista.
Il maestro Orazio Costa, infatti, regista della messinscena, chiede il permesso
alla direzione dell’Accademia romana di portare con sé Soleri nella città del primo
teatro stabile italiano, dandogli la possibilità di lavorare accanto a grandi attori quali
Tino Carraro
21
, Franco Graziosi
22
e Valentina Fortunato
23
.
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Carlo Lizzani (Roma, 1922). È stato regista, critico, attore, regista televisivo, scrittore, sceneggiatore, insegnante di
regia e sceneggiatura presso il CSC di Roma, direttore della Mostra di Venezia dal 1979 al 1982. Si forma
nell’ambiente culturale che getta le basi del Neorealismo e, come critico, per Cinema e Bianco e Nero, sviluppa insieme
ad altri, con articoli e interventi, il dibattito, che porterà il cinema italiano a una svolta. Dopo aver diretto alcuni
documentari, l’esordio nel lungometraggio è del 1951: Achtung! Banditi!, film dedicato alla Resistenza. La sua
produzione spazia dal documentario al comico satirico, dal western all’italiana al thriller, con una dimensione
espressiva portante che è quella dell’inchiesta sull’attualità sociale. Tra i suoi film più noti: L'oro di Roma (1961), Il
processo di Verona (1962), Celluloide (1995).
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Tino Carraro (Milano, 1910 - ivi, 1995). Si diploma all'Accademia dei Filodrammatici di Milano: entra nelle maggiori
compagnie di giro dell'epoca. Al Piccolo Carraro, che prende il posto lasciato libero da Gianni Santuccio, interpreta in
questo decennio spettacoli memorabili, nei quali può realizzare pienamente un modo di essere attore poco divistico,
molto legato a messinscene d'ensemble. In questi anni interpreta ruoli classici e contemporanei, dall' Ingranaggio di
Sartre (1952) al ruolo di Bruto in un Giulio Cesare di Shakespeare in chiave psicologica (1953), alla Trilogia della
villeggiatura di Goldoni (1954); recita, inoltre, nel primo Giardino dei ciliegi diretto da Strehler e nel Nost Milan di
Bertolazzi (1955). Sempre diretto da Strehler interpreta quello che sarà, eccezion fatta per alcuni recital, il suo unico
Brecht: un insuperabile Mackie Messer in una memorabile Opera da tre soldi (1956) con Milly e Mario Carotenuto;
quando il regista gli preferisce per Vita di Galileo di Brecht (1963) Tino Buazzelli, Carraro si allontana dal Piccolo
entrando alla corte di Luchino Visconti. Ma è al ritorno di Strehler al Piccolo come direttore unico che restano legate le
sue interpretazioni maggiori, da Re Lear (1972) a Prospero nella Tempesta di Shakespeare (1978). Il suo addio al
pubblico avviene con I giganti della montagna di Pirandello nel 1994, sempre diretto da Strehler. Sull’argomento si
veda anche Dizionario dello spettacolo del ‘900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Milano, Baldini e Castoldi, 1998,
s.v.
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Franco Graziosi (Macerata, 1929). Iniziata la carriera a sedici anni, debutta con Strehler nel 1953 in Un caso clinico
di Buzzati. Da questo momento partecipa a quasi tutti gli spettacoli del Piccolo, fino al 1958: da La sei giorni di
D'Errico a La mascherata di Moravia, da Arlecchino e La trilogia della villeggiatura goldoniani al Giardino dei ciliegi,
dove è Iaša. Seguono il primo Nost Milan, L'opera da tre soldi, Coriolano, e, finalmente, interpreta l'aviatore Iang Sun
nell' Anima buona di Sezuan accanto a Paola Borboni, Valentina Fortunato e Marcello Moretti. È il 1958 quando lascia
il Piccolo, sposa Esperia Pieralisi, sorella di Virna Lisi, ed entra nel complesso diretto da Luigi Squarzina. Fra le ultime
prove, la lunghissima maratona del ronconiano Pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda e Spettri di Ibsen.
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Naturalmente avevo solo particine ed il compenso era minimo. Ma come inizio
potevo essere più che soddisfatto
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Soleri è presentato subito a Giorgio Strehler il quale immediatamente lo
riconosce come “l’Arlecchino dell’Accademia”, segno che a Moretti, senza dubbio,
era rimasto impresso qualcosa di importante durante quel breve incontro in occasione
del saggio di fine anno della scuola.
La scrittura al Piccolo serve al giovane Soleri per trovare lavoro in televisione
e per passare successivamente nella compagnia teatrale del Teatro S. Erasmo e del
Teatro del Convegno. Il 7 gennaio 1958 debutta, così, nel film TV Il tunnel, dramma
in un atto di Mabel Costanduros e Haward Hagg diretto dal regista Giacomo
Vaccari
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nel ruolo di un ballerino muto accanto ad attori del calibro di Monica Vitti
26
e Franco Volpi
27
. Le prove per il giallo televisivo durano circa un mese e il
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Valentina Fortunato (Milano, 1928). Debutta nel 1948 al Quirino di Roma come Olivia nella Dodicesima notte di
Shakespeare, con la compagnia di Fantasio Piccoli (poi divenuta Stabile di Bolzano); dal 1952, al Piccolo Teatro di
Genova, recita Goldoni, Gor'kij, Mauriac ed è la Celestina di de Rojas. Quest'ultima interpretazione fa sì che l'anno
successivo venga scritturata al Piccolo di Milano, dove diventerà primattrice; dopo La famiglia dell'antiquario, Piccoli
borghesi e Il fuoco sulla terra, è Giacinta nella Trilogia della villeggiatura di Goldoni (1954), Varja nel Giardino dei
ciliegi di Čechov e Martirio ne La casa di Bernarda Alba di García Lorca (entrambi del 1955), e viene diretta da
Strehler in L'anima buona di Sezuan (1958). Si unisce poi alla Compagnia degli Associati (con Fantoni, Garrani,
Vannucchi, Sbragia), portando in scena Don Carlos e Strano interludio, con la regia di Giancarlo Sbragia. Gli anni
Ottanta vedono il ritorno al Piccolo Teatro nel Temporale di Strindberg con la regia di Strehler e in Spettri di Ibsen.
24
Giuseppe Grieco, Il più famoso Arlecchino del mondo, in “Gente”, 13 luglio 1973.
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Giacomo Vaccari (Roma, 1931 - ivi, 1963). Regista, soprattutto di fiction televisive, artefice di prodotti dalle
straordinarie qualità artistiche e decisamente innovativi, viste anche le limitazioni tecniche dell’epoca. Tra i film più
importanti da lui diretti La Pisana (1960) e Mastro Don Gesualdo (1964), sua ultima prova televisiva prima di morire a
soli 32 anni in un incidente stradale.
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Monica Vitti (Maria Luisa Ceciarelli, Roma, 1931). Dopo il liceo, si iscrive all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio
D'Amico, diplomandosi nel 1953. Se è il cinema ad averla resa famosa, prima con la trilogia di Antonioni (L'avventura,
1959, La notte, 1961, L'eclisse, 1962, alla quale si aggiunge Deserto rosso, 1964), poi con una carrellata di personaggi
comici, ma di spessore (diretta da Scola, Monicelli, Risi, Sordi), è dal teatro che ha cominciato la sua carriera di attrice
duttile, affermandosi tanto nei ruoli drammatici quanto in quelli comici. Dopo aver preso parte a La mandragola di
Machiavelli per la regia di Pagliero e Lucignani (1953) ed essere apparsa nella rivista Senza rete di Bonucci e Panelli
(1954-55), nel 1956 interpreta Bella nella commedia omonima di Cesare Meano e Ofelia nell' Amleto di Riccardo
Bacchelli; Nella stagione 1964-65, nel pieno della sua prolifica carriera cinematografica, recita in Dopo la caduta di
Miller, diretta da Franco Zeffirelli.
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Franco Volpi (Milano, 1923 - Roma, 1998). Dopo aver frequentato l'Accademia dei Filodrammatici di Milano, nel
1938 debutta nella compagnia Ricci-Adani. Interprete soprattutto di teatro leggero, dove è spesso attore protagonista,
dal 1948 dà vita a una felicissima coppia con Ernesto Calindri, sia in teatro che nella pubblicità. Nel repertorio brillante
degli anni Cinquanta diventano titoli di grande cassetta Oh il matrimonio! di Shaw, L'importanza di chiamarsi Ernesto
e Il marito ideale di Oscar Wilde e Vita felice di Taylor. Diventa noto al grande pubblico grazie al duetto, sempre con
Calindri, per il Carosello della China Martini; qui vestiva i panni di un gentiluomo preoccupato dalla modernità ed
esclamava “Dura minga!” (1957). Negli anni Settanta il personaggio di Lucius Lutzle, nelle riduzioni per il piccolo
schermo dei romanzi di Dürrenmat, lo riporta alla notorietà.
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programma televisivo di stampo esistenzialista ottiene un buon successo grazie alle
musiche di Nicola Arigliano
28
, cantante di musica jazz agli inizi della sua folgorante
carriera.
Il 6 marzo 1958, Soleri debutta al teatro S. Erasmo di Milano ne Il Castello di
Franz Kafka. La rappresentazione diretta dal marchese Arardo Spreti
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si avvale della
riduzione scenica di Max Brod e narra la vicenda dell’agrimensore Giuseppe K., il
quale, dopo un lungo viaggio, giunge in un villaggio ai piedi di una collina su cui
domina il Castello. K. desidera svolgere dei lavori chiedendo di poter fare visita ai
signori del Castello ma, nonostante i lavori non gli vengano negati, i signori rinviano
la visita cercando di tenere il più lontano possibile l’uomo dal Castello. K. Non si
scoraggia ma l’attesa diventa spasmodica e la gente del villaggio sempre più ostile.
L’unica persona che cerca di addolcire la sua solitudine è Freda, una ragazza del
villaggio. Invano aspetta quella visita che col tempo si riduce ad una serie di equivoci
nati da una burocrazia iniqua che domina la vita del Castello. Alla fine il protagonista
muore di esaurimento. Nella conclusione, che Kafka non ha scritto ma solo spiegato a
Max Brod, il cosiddetto agrimensore K. finisce per ottenere soddisfazione, almeno in
parte, ricevendo sul letto di morte, attorniato dalla comunità, la decisione da parte dei
signori del Castello di poter vivere e lavorare nel villaggio senza tuttavia ottenere il
diritto di cittadinanza. Secondo Brod Il Castello personificherebbe Iddio. Una simile
interpretazione, tuttavia, poco convince la critica poiché è difficile immaginare un
Dio così violentemente dispotico e materialista. Piuttosto Il Castello potrebbe
significare l’irrazionale; quella sorta di irragionevolezza che sconvolge la nostra vita
oppure una velata speranza in una fede che l’uomo, nella sua solitudine, vuole
raggiungere. Infatti, Giuseppe K., cerca disperatamente di partecipare alla vita sociale
del villaggio, di mitigare quella solitudine, ma alla fine deve soccombere e
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Nicola Arigliano (Squinzano, Lecce, 1923). Dopo una precoce educazione musicale si trasferisce a Milano dove
suona sax, batteria e contrabbasso. Studia nel frattempo composizione con il maestro Corradini. Ha occasione di
incontrare musicisti importanti nell'ambiente del jazz come Renato Sellani, Franco Cerri, Gianni Basso, Oscar
Valdambrini e tanti altri. Inizia a cantare in ritardo, quasi per caso, incoraggiato dai colleghi più lungimiranti. Il
repertorio di Arigliano va dallo swing italiano ed americano degli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta e Sessanta, a tutta
una serie di canzoni grottesche tipiche del suo personaggio, che ne hanno fatto e caratterizzato il repertorio.
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Arardo Spreti. Regista milanese di origini nobili, il marchese Spreti diventa una figura importante, nella Milano degli
anni Sessanta, contribuendo a formare centinaia di giovani attori. È stato direttore della Scuola d’ Arte Drammatica e
del teatro S. Erasmo di Milano.
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riconoscere la fragilità della sua condizione. Spreti, invece, risolve lo spettacolo in
chiave essenzialmente religiosa, attraverso una concezione cristiana che sconfina nel
cattolicesimo, facendo citare addirittura salmi di David. Per tali motivi la regia non
convince la critica ed il pubblico applaude moderatamente. Tuttavia gli attori, sono
elogiati per la loro fatica e chiarezza; agilissime acrobazie sono fatte per l’occasione
da due giovani attori tra cui, appunto, Ferruccio Soleri.
Ma forse il regista esigendo da loro tutti quei salti, ha diminuito gli effetti suggestivi
che, con altro accorgimento, avrebbe potuto ottenere”
30
.
Il 5 maggio 1958 ritorna al teatro Gerolamo di Milano l’attrice Lilla
Brignone
31
, in un recital composto da due piccole tragedie: Il bell’indifferente di Jean
Cocteau e Ritratto di Madonna di Tennessee Williams. Se il primo, in forma di
monologo lamentoso, può essere definito il dramma dell’attesa, il secondo è uno dei
più noti blues
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dello scrittore americano. L’atto unico, già recitato qualche anno
prima a Milano dalla compagnia di Enzo Ferrieri, può essere considerato
un’anticipazione, forse nella sua sintesi più poeticamente espressiva, del personaggio
di Blanche Du Bois in Un tram chiamato desiderio.
La Brignone, avvolta da una veste sbiadita, regala al pubblico del Gerolamo
una Lucrezia Collins - vergine folle - di gran cuore drammatico, agitata da sogni
accalorati di amplessi e di maternità. Difficile è dimenticare quel pallore smemorato
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Vice, Il mistero di Kafka e il romanzo di Max Brod, in “La Notte”, 7 marzo 1958.
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Lilla Brignone (Roma, 1913 - ivi, 1984). Se suo prediletto quanto intransigente maestro fu Ruggeri, una svolta
decisiva nella sua carriera avviene con la settennale esperienza presso l'appena nato Piccolo Teatro di Strehler e Grassi,
dove fu impegnata con Shakespeare, Molière, Pirandello, ma anche con Camus, Anouilh, Savinio, oggi sofoclea Elettra
(1951), domani shakespeariana Lady Macbeth (1952). Dalla maturazione con Strehler alla consacrazione con Visconti il
passo fu breve ma essenziale, trascorrendo dalla Nennele di Come le foglie di Giacosa (1954) alla Elizabeth del
Crogiuolo di Miller (1955), dalla Contessina Giulia di Strindberg (1957) a La monaca di Monza di Testori (1967). In
coppia con Gianni Santuccio, per una dozzina d'anni suo compagno d'arte e di vita, affrontò classici e moderni, tragici e
comici (Seneca e Schiller, O'Neill e Brecht, Williams e Albee, Goldoni e Ibsen), affidandosi a registi come Squarzina,
Enriquez, Scaparro, Fenoglio. Negli ultimi anni lavorò soprattutto con Sepe, un regista «uscito dalle cantine romane»,
con il quale fu tra l'altro l'enigmatica signora Frola di Così è (se vi pare) di Pirandello, suo straziante canto del cigno.
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Il blues nasce come evoluzione di canti di lavoro (shouts) e di canti rituali (spirituals) della popolazione afro-
americana a cavallo della fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. È evidente, sia dalla struttura armonica che da
quella ritmica, che le radici arcaiche del blues fanno capo all'Africa. Il blues nasce nelle baraccopoli intorno alle
piantagioni di cotone nel sud degli Stati Uniti come canti da dopo lavoro, e si svilupperà dapprima acustico e poi
elettrificandosi. Quasi tutta la musica americana e non moderna (lo swing, il jazz e tutti i derivati; il rock e tutti i suoi
derivati; il rythmin & blues, il funky e tutti i suoi derivati) diviene in linea diretta come un'evoluzione del blues.