7
Capitolo I
Il Territorio
1.1 Il territorio fisico della regione
Il territorio preso in esame è costituito dalle odierne Marche, regione italiana
che si colloca sul medio versante adriatico e si estende per circa 9.366 kmq,
risultando tra le piø piccole regioni italiane. Si contano oggi 239 comuni sul
territorio, per la maggior parte con una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti,
con una densità di un comune ogni 39,4 kmq, dato che testimonia la
frammentazione insediativa della regione
3
.
Le Marche confinano al nord con la Romagna, dalla quale sono separate dal
fiume Conca; ad est il confine è segnato dal mare Adriatico; a ovest gli
Appennini le dividono dall’Umbria e dalla Toscana, mentre il fiume Tronto le
separa dalla regione Abruzzo. Nella parte sud ovest confinano anche per un
breve tratto con la provincia laziale di Rieti.
Questo territorio risulta oggi politicamente diviso in cinque province, che, dal
nord al sud, sono: Pesaro – Urbino, Ancona (capoluogo di regione), Macerata, la
nuova provincia di Fermo, istituita nel 2004, ma operativa dal 2009, e Ascoli
Piceno.
Nonostante le Marche costituiscano un paesaggio omogeneo in tutto il
territorio e ben distinto dalla Romagna e dall’Abruzzo
4
,raramente furono
un’unica entità nella storia. Nell’ordinamento augusteo erano divise in Regio VI,
3
V. Villani, Origine e sviluppo delle autonomie locali marchigiane, in Id. (a cura di), Istituzioni
e statuti comunali nella marca d’Ancona, dalle origini alla maturità (secoli XI-XIV), I, Ancona,
2005, pp. 41-42.
4
N. Alfieri, Le Marche e la fine del mondo antico, Istituzioni e società nell'alto medioevo
marchigiano. Atti del Convegno: Ancona-Osimo-Jesi, 17-20 ottobre 1981,(Atti e memorie della
Deputazione di storia patria per le Marche, 86) 1, Ancona, 1983-1985, pp. 9-34. a p. 16.
8
Umbria et ager Gallicus, a nord dell’Esino, e Regio V, Picenum
5
. Con la riforma
amministrativa di Diocleziano alla fine del IV secolo, le due zone vennero
unificate nella provincia della Flaminia et Picenum. All’inizio del secolo
successivo ci fu un nuovo smembramento in Flaminia et Picenum annonarium a
nord, collegato a Ravenna e con la funzione di provvedere ai rifornimenti
annonari di Milano e della residenza imperiale, e Picenum suburbicarium
6
, che
restò nel vicariato di Roma e provvedeva alla sua annona. Ancora una volta era
l’Esino il fiume che faceva da confine
7
.
Il territorio fisico della regione è schematicamente suddiviso in tre fasce
longitudinali: la prima è quella montuosa, che ricopre circa il 31% del suolo; la
seconda, molto piø ampia delle altre, è quella collinare (69%)
8
; l’ultima è quella
pianeggiante, molto limitata o quasi inesistente. L’orografia cresce in
compattezza da est verso ovest e culmina nella catena montuosa degli
Appennini, che divide la regione, come già detto, dall’Umbria. Nel complesso le
Marche possono considerarsi una delle regioni piø montuose dell’Italia, anche se
i valori altitudinali sono modesti
9
, soprattutto nella parte settentrionale del
territorio.
L’intero territorio marchigiano emerse circa 800.000 anni fa, durante l’epoca
Quaternaria, quando ci fu un intenso sollevamento tettonico e uno
sprofondamento della superficie marina, per via della collisione del continente
europeo con quello africano, e un forte smembramento del territorio
primordiale. I successivi mutamenti invece furono opera delle variazioni
climatiche glaciali e interglaciali che si susseguirono nei millenni
10
.
Gli Appennini che attraversano le Marche vengono definiti umbro-
marchigiani e costituiscono la dorsale della regione articolandosi in catene,
5
Ibid., pp. 10-11; R. Bernacchia, Incastellamento e distretti rurali nella Marca Anconitana
(secoli X-XII), Spoleto, 2002, pp. 87-88.
6
N. Alfieri, Le Marche cit., p. 13; R. Bernacchia, Incastellamento cit., pp. 87-88.
7
N. Alfieri, Le Marche cit., p. 14.
8
Marche. Guide d’Italia, T. C. I., Milano, 2006, p. 12.
9
Marche, Touring club italiano. Milano, T. C. I., Roma, 2005, p. 29.
10
G. Pambianchi, Caratteristiche geologiche e geomorfologiche, in G. de Marinis e G. Paci (a
cura di), Beni Archeologici. Atlante dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo,
Fermo, 2000, pp. 9-13, a p. 9.
9
anche dette “quinte”, tra di esse parallele. La prima catena che si incontra da
nord è quella del Falterona, che interessa la regione con il solo monte Fumaiolo
(1407 m). Perpendicolarmente ad essa si ergono le due catene del Montefeltro,
limite settentrionale della regione. Vi sono poi la catena del Catria che giunge
fino al fiume Chienti segnando il confine con l’Umbria, la quale presenta
pendenze molto aspre prima dei 1000 m, e la “quinta” del San Vicino, parallela
a quella del Catria e posta piø ad est, che si estende tra la gola del Furlo (PU) e
quella di Arquata (AP). Queste due catene si riuniscono a sud del fiume Chienti
nei monti Sibillini, che si differenziano dagli altri rilievi marchigiani per
l’elevata l’altitudine, quasi sempre superiore ai 2.000 metri (monte Vettore 2476
m) e per i lineamenti che ricordano quelli alpini
11
. Questa catena montuosa si
trova nei territori ascolano e fermano e per la sua storia millenaria di lenta
formazione costituisce un importante museo della storia geologica e
geomorfologica dell’Italia centrale
12
. Come già ha efficacemente sostenuto
Roberto Bernacchia, è per via di queste asperità che il territorio sud-occidentale
delle Marche ha assistito ad un minore sviluppo dell’insediamento umano nel
corso della storia
13
. «Questi fenomeni contribuirono sicuramente in taluni casi
ad orientare le scelte dei siti medievali; in altri ne causarono un piø o meno
precoce abbandono»
14
.
L’intermedia fascia collinare, il Subappennino, è costituito da rilievi che non
superano i 400 metri di altezza e sono formati da materiale sabbioso-arenaceo e
marnoso – argilloso
15
. Queste colline sono molto dolci poi sulle punte, e sono
inoltre modellate a scacchiera grazie all’azione erosiva dei fiumi.
Il litorale marchigiano è lungo circa 173 km e appare diviso in due parti dal
monte Conero (572 m.) a sud di Ancona, detto anche “gomito d’Italia”
16
, presso
11
Marche cit., 2005, p. 29-30; A. Cherubini, Territorio e abbazie nelle Marche, in E. Simi
Varanelli (a cura di), Le abbazie delle Marche: storia e arte. Atti del Convegno internazionale:
Macerata, 3-5 aprile 1990, Cesena, Macerata, 1992, pp. 249-362, a p. 252; R. Bernacchia,
Incastellamento cit., p. 75.
12
G. Pambianchi, Caratteristiche geologiche cit., p. 9.
13
R. Bernacchia, Incastellamento cit., p. 75.
14
Ibidem.
15
Ibidem.
16
Ibidem.
10
il quale cambia anche l’orientamento della costa. A nord, e cioè da Gabicce ad
Ancona, esso ha una direzione da ovest –nord\ovest a est – sud\est; dopo il
Conero e fino al Tronto ha andamento da nord-nord\ovest a sud-sud\est
17
.
Un’altra breve zona di costa alta è presso Grottammare (AP), nel litorale medio
– meridionale e a nord di Pesaro con il colle San Bartolo. La costa è sicuramente
la zona della regione che piø ha subito l’influsso dell’uomo nei millenni, ma ad
incidere su di essa sono state anche le forze naturali. L’area costiera infatti
assunse questa morfologia intorno al III secolo a.C., quando si verificò la
costruzione di un cordone litoraneo che formava verso l’entroterra stagni e
paludi costiere. L’accumularsi di questi cordoni viene visto come la reazione
dell’ambiente ai processi di erosione innescati dal clima freddo e umido di quel
periodo (900-300 a. C.) e dei primi disboscamenti per attività agro pastorali
della popolazione dei Piceni, in quel periodo stanziata sul territorio. La
sedimentazione continuò poi per tutta l’epoca romana
18
.
Sono tredici le vallate principali della regione, che hanno un andamento da
sud – ovest a nord – est, formando una struttura definita spesso “a pettine” che
ha sicuramente influenzato la geografia antropica
19
.
I fiumi hanno nella totalità carattere torrentizio, pochi affluenti e possono
essere catalogati in base alla loro portata
20
: i fiumi propriamente detti sono, da
nord a sud, il Foglia, il Metauro, il Cesano, l’Esino, il Potenza, il Chienti ed il
Tronto; i corsi d’acqua minori sono il Conca, il Misa, il Musone, il Tenna, l’Aso
e il Tesino. Di piø piccole dimensioni sono l’Arzilla, l’Ete Vivo e il Menocchia.
Tutti sfociano nell’Adriatico tranne il fiume Nera, il quale nasce solo in
territorio marchigiano, attraversa la regione umbra per gettarsi, come affluente,
nel Tevere. Fino al 2009 tra i fiumi marchigiani vi era anche parte del
Marecchia, l’alta valle, il quale sfociava poi nell’Adriatico in territorio
Romagnolo. Oggi il Marecchia scorre interamente in territorio Romagnolo
17
Marche cit., 2005, p 30.
18
G. Pambianchi, Caratteristiche geologiche cit., p. 12.
19
N. Alfieri, L’insediamento urbano sul litorale delle Marche durante l’antichità e il medioevo,
in P. M. Duval e Ed. FrØzouls (a cura di), Themes de recherches sur les villes antiques
d'Occident: actes du colloque Strasbourg, 1-4 octobre 1971, Parigi, 1977, pp. 87-96, a p. 89.
20
A. Cherubini, Territorio e abbazie cit., p. 253.
11
poichØ sette comuni marchigiani (per un’area di 328 kmq) dell’alta valle hanno
deciso, con un referendum, di divenire parte della regione Emilia Romagna. La
variante territoriale è in vigore dall’agosto del 2009, risultando il primo caso di
distacco-aggregazione di comuni fra due regioni nella storia dell'Italia
repubblicana, in attuazione del dettato dell'art. 132 della Costituzione
21
.
Le vallate dei fiumi marchigiani sembrano costituire quasi delle unità sub-
regionali amalgamate al loro interno
22
, e sono degli elementi essenziali nella
storia della regione. Si potrebbe «definire la storia marchigiana come una storia
di vallate»
23
, da cui dipesero spesso i percorsi di comunicazione: esse sono cioè
elementi “forti” del paesaggio. La loro importanza dipende dal fatto che
seguono un percorso ortogonale alle dorsali appenniniche
24
.
Un unico lago della regione è il lago di Pilato a 1940 m., nell’alta valle
dell’Aso, sui monti Sibillini, in territorio ascolano. Esso si formò in una
deposizione morenica in seguito all’ultima imponente glaciazione dell’era
Quaternaria, detta glaciazione wurmiana
25
, che toccò il massimo freddo 20.000
anni fa
26
. Il livello delle sue acque subisce delle forti variazioni durante l’arco
dell’anno, mancando un fiume che lo alimenti.
Ulteriore aspetto da tenere in considerazione è il clima. Nelle Marche esso è
condizionato da alcuni aspetti fondamentali che sono la posizione di media
latitudine (42°-44°), l’alto grado di marittimità (1:56), l’Adriatico quale mare
chiuso e poco profondo, il diverso orientamento della costa a nord e a sud del
Conero, la presenza delle catene montuose a poca distanza dalla costa e il loro
21
Legge 3 agosto 2009, n. 117: "Distacco dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria,
Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello dalla regione Marche e loro aggregazione
alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132,
secondo comma, della Costituzione.", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto
2009.
22
R. Bernacchia, Incastellamento cit., p. 78.
23
P. Persi, Dall’ambiente naturale allo spazio organizzato: la viabilità delle Marche nel tempo,
in Le strade nelle Marche: il problema nel tempo. Atti del Convegno: Fano, Fabriano, Pesaro,
Ancona, 11-14 ottobre 1984, 1 (Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche,
89), Ancona, 1987, pp. 9-47, a p. 20.
24
Ibid., p. 17
25
P. Persi, Dall’ambiente naturale cit., p. 29.
26
G. Pambianchi, Caratteristiche geologiche cit., p. 12.
12
lento evolversi in altezza allontanandosi progressivamente dal litorale
27
. Queste
condizioni climatiche però non sono immutate nella storia. Prima della
romanizzazione, in un arco di tempo che andava dal 900 al 300 a. C., cioè quello
della civiltà picena, il clima era freddo e umido, con piovosità molto alta e con
l’avanzamento dei ghiacciai. Questo influiva sulla portata dei fiumi i quali, a
differenza di oggi, costituivano delle vere e proprie barriere naturali. Con la
conquista romana iniziò una nuova fase climatica che durò fino al 400 d. C.,
caratterizzata dall’addolcimento delle temperature e dalla diminuzione della
piovosità. Su di essa influì sicuramente l’intenso disboscamento romano. Altro
radicale cambiamento climatico si verificò negli anni 400-750 d. C., nel periodo
definito tardoantico e di passaggio all’alto medioevo, con una diminuzione della
temperatura e un aumento della piovosità che portò dissesti idrogeologici e
variazioni idrografiche. Tutto questo influì anche sul paesaggio agrario e sugli
insediamenti, che si degradarono, e molti territori tornarono boschivi
28
. Questo
raffreddamento riguardò soprattutto le aree continentali dell’Europa causando il
movimento di intere popolazioni verso l’Atlantico e il Mediterraneo. Questo è il
periodo in cui le Marche si spaccarono in due, con il dominio bizantino a nord e
quello longobardo a sud
29
. In questo periodo di passaggio e di crisi, la
produzione agraria e silvo – pastorale della regione riuscì a mantenere una
sostanziale autosufficienza per i generi di prima necessità
30
. Nel X e XI secolo si
raggiunse di nuovo un optimum climatico, periodo caldo dell’epoca medievale,
con il regresso dei ghiacciai e l’innalzamento della temperatura media, che rese
piø facile la vita sugli Appennini
31
.
Le Marche sono una regione a vocazione agricola: questo orientamento è
determinato dalla carenza di risorse minerarie e dallo scarso sviluppo del
commercio e dell’industria. Nonostante i porti le Marche sono rimaste isolate
per molto tempo dalle grandi correnti del traffico nazionale e internazionale
32
, e
27
Marche cit., 2005, p. 35.
28
E. Catani, Caratteristiche climatiche in età romana, in Beni Archeologici cit., p. 13-14.
29
P. Persi, Dall’ambiente naturale cit., p. 30.
30
N. Alfieri, Le Marche cit., p. 21.
31
R. Bernacchia, Incastellamento cit., p. 81.
32
Ibid., p. 86.
13
questo ha determinato un paesaggio fortemente antropizzato
33
. Il panorama
risulta disseminato di piccoli insediamenti, di case coloniche sparse ancora oggi
nelle campagne. Questo è il risultato della diffusione del contratto mezzadrile
nel XV secolo.
1.2 Il Fermano
La provincia di Fermo è nata ufficialmente nel 2004 con la legge n. 147
dell’11 giugno 2004, è diventata operativa nel 2009
34
ed è cronologicamente la
piø giovane delle Marche, ma anche dell’Italia; prima rientrava politicamente
nel territorio di Ascoli Piceno.
La provincia è costituita da quaranta comuni, trentatre dei quali con meno di
5.000 abitanti, per un totale di circa 170.000 abitanti. Questo territorio è infatti
caratterizzato da centri abitati molto piccoli, di solito situati sopra le colline, da
aree urbanizzate e da case coloniche isolate. Il paesaggio è perlopiø agricolo
35
e
anche Fermo non è caratterizzata da uno sviluppo moderno in senso
metropolitano.
Il Fermano si estende dal mare Adriatico fino ai monti Sibillini e si chiude ad
ovest con i comuni di Amandola e Montefortino. A nord i fiumi Tenna e Chienti
lo dividono dal territorio di Macerata, mentre al sud è il fiume Aso che lo separa
dall’Ascolano. In totale ricopre circa 860 kmq
36
dei 9366 dell’intero territorio
marchigiano ed è quindi la piø piccola provincia della regione.
Il territorio fermano racchiude tutte le peculiarità geologiche e
geomorfologiche della regione marchigiana. Ad ovest si trovano le alte vette dei
33
Ibid., pp. 84-85.
34
Marche cit., p. 146.
35
M. Pasquinucci, S. Menchelli, Landscape archaelogy in South Picenum: the Tenna, Ete and
Aso River Valleys, in H. Dobrzanska, E. Jerem, T. Kalicki (a cura di), The geoarchaeology of
river valleys, Budapest, 2004, pp. 27-49, a p. 30.
36
Ibidem.
14
monti Sibillini, ad est di essi invece c’è l’estesa area collinare
37
, che dà forma al
caratteristico paesaggio fermano.
Alcuni dei monti piø alti dei Sibillini rientrano in territorio fermano, come il
Monte Priora di 2.334 m e il Monte Sibilla di 2.175 m sul livello del mare,
entrambi nel territorio comunale di Montefortino, nonostante solo il 9% della
provincia sia classificato come montuoso, mentre oltre il 90% del territorio è
classificato come collinare. Le pianure sono praticamente inesistenti, se non si
considera la piccola fascia costiera e i lungo fiume.
I territori di Ascoli e Fermo condividono la Comunità Montana Sibillini. Il
parco nazionale dei Monti Sibillini, oltre che sul territorio di Fermo, si estende
su quello di Ascoli Piceno, Macerata e Perugia.
Nel Fermano rientra parte della vallata del Chienti, la vallata del Tenna,
cuore della provincia fermana lunga 62 km
38
, la vallata dell’Ete Vivo e parte di
quella del fiume Aso. Fino a 5 milioni di anni fa il territorio fermano era
ricoperto dal mare ed è emerso in seguito alla collisione dei continenti europeo e
africano che causò il corrugamento appenninico
39
: sono stati ritrovati infatti
fossili ittici sul monte Falcone e sulla rupe di Montefalcone Appennino.
Il fiume Tenna nasce dal Monte Priora e sfocia nel mare Adriatico a sud di
Porto Sant’Elpidio
40
; l’Aso sgorga invece dal Monte Porche e termina sul
litorale di Pedaso percorrendo 58 km
41
; l’Ete Vivo è molto piø piccolo rispetto
agli altri due fiumi, ha origine nei pressi del comune di Montelparo, sfocia a S.
Maria a Mare ed è lungo 32 km circa
42
.
In seguito all’alternarsi millenario di periodi interglaciali e di periodi glaciali
si sono sviluppati diversi ordini di terrazzi alluvionali, riscontrabili lungo le valli
dei fiumi fermani a varie altezze. Anche i fenomeni morenici sui monti Sibillini
testimoniano questo fenomeno
43
.
37
E. Catani, Caratteristiche climatiche cit., p. 9.
38
Marche cit., p. 146.
39
E. Catani, Caratteristiche climatiche cit., p. 9.
40
M. Pasquinucci, S. Menchelli, Landscape archaelogy in South Picenum cit., p. 30.
41
Ibidem.
42
Ibidem.
43
E. Catani, Caratteristiche climatiche cit., p. 12.
15
La città di Fermo, capoluogo di provincia, sorge sul ripido colle del Sàbulo a
319 m, oggi comunemente detto Girone o Girfalco, che si trova a circa 7 km dal
mare tra le valli del Tenna e dell’Ete Vivo
44
. Esso forma un terrazzo lungo e
stretto con l’asse maggiore in direzione est-ovest con forma simile ad un piede,
interrotto da rupi e pendii
45
; l’orografia del colle condizionò lo sviluppo
urbanistico di Fermo e infatti le costruzioni si disposero lungo le linee di livello
del colle
46
. La spianata sommitale derivò dall’evoluzione morfologica
quaternaria e gli interventi antropici nel corso dei millenni l’hanno esaltata
funzionalmente
47
.
Fermo fu una colonia di diritto latino fondata nel 264 a.C. dopo la conquista
romana del Piceno nel 268 a.C.
48
, edificata sul monte Sàbulo, dal quale era
possibile controllare il territorio conquistato e che assicurava una difesa naturale
alla città
49
. Il territorio della città era però frequentato già dall’epoca preistorica.
L’ipotesi piø condivisa dagli studiosi è che il centro di Fermo si sarebbe formato
per via della colonizzazione di alcuni centri dell’Etruria meridionale e interna, le
cui popolazioni avrebbero risalito il Tevere e il Nera per controllare gli scambi
commerciali oltremarini. Questa enclave villanoviana sarebbe poi stata
riassorbita dalla civiltà picena nel VII secolo a. Cristo
50
. I reperti archeologici
rinvenuti escludono però che si possa parlare di città. Con la deduzione romana
ha quindi di fatto inizio la storia di Fermo
51
.
La città risulta essere una delle otto diocesi, su quindici totali delle Marche,
di cui si ha notizia sulla sede episcopale in epoca anteriore al tardo medioevo
52
.
Testimonianza ne sono gli scavi effettuati tra il 1934 e il 1938 sotto l’attuale
44
Marche cit., p. 147.
45
E. Catani, Firmum Picenum , in Beni Archeologici cit., p. 120.
46
F. Pirani, Fermo cit., p. 1.
47
S. Agostini, Geomorfologia dell’area urbana, in L. Polverini, N. F. Parise, S. Agostini e M.
Pasquinucci (a cura di), Firmum Picenum I, Pisa, 1987, pp. 89-94, a p. 89.
48
L. Polverini, Fermo in età romana, in Firmum Picenum I cit., pp. 19-75, a pp. 23-24.
49
G. Baldelli, F. Erbacci, A. Montali, Fermo. Schede per località, in “Picus, studi e ricerche
sulle Marche nell’antichità”, XXIII (2003), p. 351; F. Pirani, Fermo cit., p. 2.
50
G. Baldelli, F. Erbacci, A. Montali, Fermo. Schede per località cit., p. 345.
51
L. Polverini, Fermo cit., pp. 26-27.
52
L. Pani Ermini, Ecclesia cathedralis e civitas nel Picenum altomedievale, in Istituzioni e
società cit., pp. 301-331, a p. 303; F. Cocchini, La basilica paleocristiana di Fermo, in L. Paroli
(a cura di), L’Italia centro-settentrionale in età longobarda, Firenze, 1997, pp. 443-455.
16
duomo
53
, mentre il primo documento scritto è del 580, quando Gregorio Magno
in una epistola nomina Fabio vescovo di Fermo
54
.
Il territorio fermano costituì inoltre un ducato nell’VIII secolo, durante il
dominio dei Longobardi con il re Liutprando
55
. Esso venne costituito per
contrastare il ducato di Spoleto nell’Italia centrale. Diventò poi marca fermana
in età postcarolingia
56
, in concomitanza con il fenomeno dell’incastellamento,
entrambi aspetti della tendenza all’autonomia che si manifesta in questo
periodo
57
.
1.3 L’assetto viario
Lo studio della viabilità altomedievale nelle Marche è stato affrontato in
modo sistematico nel convegno della Deputazione di Storia Patria nel 1984
58
,
momento fondamentale per l’approccio alla tematica e punto di partenza da
integrare con articoli e contributi che sono stati scritti negli anni seguenti.
Momenti di riflessione piø specifici sono stati quello sulla Salaria in età antica
59
e quello sull’Appennino in età romana e nel primo medioevo
60
.
Due sono i tipi di fonti che permettono la ricostruzione dei tracciati viari
antichi: archeologiche e letterarie. Le seconde rientrano nella categoria degli
itinerari che illustrano le strade ai viaggiatori: in particolare sono sei quelli che
riguardano l’attuale regione marchigiana. Francesca Fei
61
in un suo intervento in
53
L. Pani Ermini, Ecclesia cathedralis cit., p. 321.
54
F. Cocchini, La basilica paleocristiana cit., p. 444.
55
R. Bernacchia, I Longobardi nelle Marche. Problemi di storia dell’insediamento e delle
istituzioni (secoli VI-VIII), in L’Italia centro-settentrionale in età longobarda cit., pp. 9-30, a pp.
26-27.
56
Ibid., p. 29.
57
R. Bernacchia, Incastellamento cit., p. 92.
58
Le strade nelle Marche cit.
59
E. Catani e G. Paci (a cura di), La Salaria in età antica, Atti del convegno di studi, Ascoli
Piceno, Offida, Rieti, 2-4 ottobre 1997, Roma, 2000.
60
M. Destro e E. Giorgi (a cura di), L’Appennino in età romana e nel primo medioevo. Viabilità
e popolamento nelle Marche e nell’Italia centro-settentrionale, Bologna, 2004.
61
F. Fei, Note sulla viabilità e sugli insediamenti abbaziali nelle Marche, in Le abbazie delle
Marche cit., pp. 235-241.
17
un convegno internazionale sulle abbazie delle Marche
62
, ne ha fatto un utile e
dettagliato elenco. Essi sono: l’Itinerarium Gaditanum, di età traianea;
l’Itinerarium Antonini, forse del tempo di Caracalla e frutto di una copia privata,
il quale cita sei percorsi che attraversano le Marche (la litoranea nei due versi di
percorrenza, la Salaria, la Flaminia, un diverticolo della Flaminia e un percorso
trasversale ad alcune vallate); l’Itinerarium Maritimum con rotte di navigazione;
l’Itinerarium Burdigalense (o Hierosolymitanum) redatto dopo un
pellegrinaggio da Bordeaux alla Terra Santa alla metà del IV secolo; la Tabula
Peutingeriana del IV secolo, ma pervenuta in una copia del XIII, una
rappresentazione pittorica dell’Europa romana, dell’Africa settentrionale e
dell’Asia fino al limite delle conquiste di Alessandro, per informare i
viaggiatori. Delle Marche quest’ultima riporta la via litoranea, la Salaria, la
Flaminia e alcuni loro diverticoli. L’ultimo itinerario, detto Geographica di
Guidone, è un’opera enciclopedico – didascalica del XII secolo.
Il secondo tipo di fonti disponibili sono quelle archeologiche. Si tratta
soprattutto di cippi miliari, studiati negli anni Settanta da Angela Donati per la
IV e V regio dell’Italia
63
. Per il settore a sud dell’Esino non se ne conoscono di
posteriori al IV secolo e quelli rinvenuti appartengono alla Salaria, all’Adriatica
ed a una viabilità transappenninica
64
. Il maggior numero di essi riporta il nome
degli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano e spesso sono ottenuti
riutilizzando monumenti già esistenti
65
. Secondo Angela Donati
66
e Nereo
Alfieri
67
essi si inquadrano nella categoria dei cippi propagandistici, non
assicurando che ci siano stati effettivi interventi all’epoca degli imperatori
nominati; l’uso del dativo per indicare il nome dell’imperatore, al posto del
nominativo, viene visto come atto di devozione e strumento di propaganda
politica. Di diversa opinione è invece Lellia Cracco Ruggini, la quale afferma
62
Le abbazie delle Marche cit.
63
A. Donati, I milliari delle regioni IV e V dell’Italia, in “Epigraphica, rivista italiana di
epigrafia”, XXXVI, 1-2 (1974), pp. 155-222.
64
N. Alfieri, Le Marche cit., p. 17.
65
A. Donati, I milliari cit., p. 160.
66
Ibid., p 162.
67
N. Alfieri, Le Marche cit., pp. 17-18.
18
che questi miliari marchigiani testimoniano la preoccupazione degli imperatori e
dei ceti dirigenti di preservare la rete stradale con opere di restauro
68
,
aggiungendo che anche altre costituzioni imperiali hanno lo stesso scopo, come
le norme di Valentiniano I contro il brigantaggio nel Piceno
69
. Anche Marinella
Pasquinucci e Simonetta Menchelli in uno studio del territorio fermano in età
tardoantica sostengono che i miliari rinvenuti e databili al IV secolo d.C. sono il
segnale della vitalità dell’area in un momento di crisi generale per l’impero
70
.
Parlando di viabilità non si può però non considerare l’aspetto fisico del
territorio, fondamentale nell’organizzazione della rete stradale, poichØ la
struttura della regione ha condizionato, e condiziona ancora oggi, gran parte
della viabilità, interna ed esterna
71
. «Le caratteristiche geo-morfologiche
ovviamente hanno fortemente condizionato l’assetto viario, che sin dalla
preistoria doveva essere strutturato in piste che correvano lungo le valli fluviali
e in tracciati collinari intervallivi
72
».
Peris Persi introdusse l’aspetto geografico al citato convegno del 1984 “Le
strade nelle Marche, il problema nel tempo”, affermando che l’assetto viario fa
parte di quel processo di trasformazione ambientale operato dall’uomo che porta
al territorio, e cioè allo spazio organizzato
73
, e che la strada è il piø antico segno
della presenza umana, strumento di penetrazione e di dominazione dello spazio
naturale
74
. Persi continua dicendo che la rete viaria si dispose lungo le linee di
minore resistenza, sia fisica, come catene montuose e corsi d’acqua, che umana,
intendendo confini politici o barriere doganali
75
.
68
L. Cracco Ruggini, Fra isolamento e transiti: il Piceno dall’Esino al Tronto nei secoli IV-VI,
in Tra Tardo antico e alto Medioevo tra l'Esino ed il Tronto. Atti del 40. convegno di studi
maceratesi: Abbadia di Fiastra (Tolentino), 20-21 novembre 2004 (“Studi Maceratesi”, 40,
2006), Macerata, Centro di studi storici maceratesi, 2006, pp. 19-42, a p. 27.
69
Ibid, p. 32.
70
M. Pasquinucci, S. Menchelli, Il territorio fermano in età tardo-antica, in Tra Tardo antico e
alto Medioevo tra l'Esino ed il Tronto cit., pp. 185-194, a p. 192.
71
N. Alfieri, Le Marche cit., p. 17,
72
M. Pasquinucci, S. Menchelli, Viabilità, popolamento rurale e sistemazioni agrarie nell’ager
firmanus, in “Atlante tematico di topografia antica”, XIII (2004), pp. 135-146, a p. 135.
73
P. Persi, Dall’ambiente naturale cit., p. 13.
74
Ibid., p. 14.
75
Ibidem.
19
Le peculiarità del territorio marchigiano, e in particolar modo di quello
fermano, sono già state descritte in precedenza, e da queste si deve partire per
una completa considerazione dell’assetto viario del Piceno centrale nell’età
tardoantica e altomedievale.
Opere di ingegneria vennero comunque messe in atto, soprattutto lungo la
Flaminia, asse principale per attraversare gli Appennini e giungere a Roma dalla
Romagna.
Per poter parlare dell’assetto viario medievale bisogna analizzare prima di
tutto quello romano, perchØ quello medievale è una sua continuazione.
Cambiamenti ce ne furono nel corso degli anni, ma hanno interessato la struttura
materiale della strada, visto il venir meno dell’efficiente e centralizzato sistema
di manutenzione romano, come ci dice Pier Luigi Dall’Aglio
76
. ¨ sbagliato
pensare che ci fu una cancellazione totale dell’intera rete romana nel
tardoantico, visto che ancora oggi il nostro sistema viario si basa su di essa
77
, e
fuorviante è anche parlare di “area di strada” e di “naturalità” del sistema
stradale dopo la caduta dell’impero, da contrapporre a quello “artificiale”
romano, visto che anche il tessuto viario secondario romano era formato da
strade che si adattavano all’ambiente naturale, ovvero i diverticoli, mentre le
opere di ingegneria riguardavano solamente i grandi assi viari, come appunto la
Salaria e la Flaminia che collegavano centri o regioni lontani tra di loro.
78
Si può
dire quindi che i Romani furono innanzitutto «dei geografi, oltre che strateghi,
ingegneri e organizzatori del territorio»
79
.
Due scrittori romani ci testimoniano questa situazione, Siculo Flacco del II
secolo d.C. e Ulpiano del II-III sec. d. C.
80
, che, catalogando le vie della
complessa rete stradale romana, parlano di vie principales o publicae, con
76
P. L. Dall’Aglio, La viabilità delle Marche tra età romana e primo medioevo, in E. Menestò
(a cura di), Ascoli e le Marche tra tardoantico e altomedioevo. Atti del Convegno di studio
svoltosi in occasione della sedicesima edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno, Ascoli
Piceno, 5-7 dicembre 2002, Spoleto, 2004, p. 71.
77
Ibid., p. 68.
78
Ibid., pp. 69-71.
79
P. Persi, Dall’ambiente naturale cit., p. 35.
80
P. L. Dall’Aglio, La viabilità delle Marche cit., pp. 69-71.
20
funzione di collegamento a lungo raggio e bisognose di un tracciato rettilineo e
poco accidentato, quindi di grandi opere.
Parla invece di «tragico scompaginamento» e di strade che scompaiono
«inghiottite dalla boscaglia» Vincenzo Galiè
81
. Lo storico racconta le invasioni
barbariche e la guerra greco – gotica come un periodo buio e calamitoso con
alluvioni, frane e terremoti in seguito ai mutamenti climatici. Per questo motivo
sorsero altre direttrici viarie poichØ la rete stradale tardoantica si adattò alla
nuova situazione storica, demica e geologica
82
.
La Flaminia fu costruita tra il 220 e il 219 a.C. dal censore Gaio Flaminio
83
.
Questa arteria aveva la funzione di collegare Roma a Fano, quindi il Tirreno
all’Adriatico, proseguendo poi verso nord per Pesaro e infine Rimini
(Ariminum). Essa venne ristrutturata da Augusto, da Adriano e da Vespasiano.
Quest’ultimo fece costruire la celebre galleria della gola del Furlo tra il 76 e il
77 d.C.
84
, “porta” geografica tra la Padania e Roma
85
.
Il tratto marchigiano della Flaminia
86
valicava il passo della Scheggia,
scendendo bruscamente verso la vallata del Burrano, e superando il monte
Martino, raggiungeva Cantiano e Cagli. Seguendo il fiume Burano giungeva ad
Aqualagna e poi alla gola del Furlo, passata la quale arrivava a Fossombrone e
proseguiva verso Fano, città sulla costa adriatica. Infine seguendo il litorale
giungeva fino a Pesaro.
La Flaminia non perse di importanza con il passaggio delle truppe visigote di
Alarico (408 – 410), nØ durante il regno degli Ostrogoti, nØ durante la guerra
greco – gotica (535 – 553). Un cambiamento si nota invece con l’invasione
longobarda e con il ducato di Spoleto, venendo a mancare la continuità
81
V. Galiè, Presenze romane e altomedievali lungo la strada impropriamente detta litoranea, in
Le strade nelle Marche cit., pp. 516-520.
82
Ibid., pp. 526-527.
83
E. Cotturi, Le strade dei pellegrini nelle Marche nell’Alto Medioevo”, in Le strade nelle
Marche cit., pp.859-867, a p. 860; F. Fei, Note sulla viabilità cit., p. 241; P. L. Dall’Aglio, La
viabilità delle Marche cit., pp. 72-73; M. Luni, La viabilità antica, in Id. (a cura di), Archeologia
nelle Marche. Dalla preistoria all’età tardoantica, Firenze, 2003, pp. 109-134, a p. 109.
84
E. Cotturi, Le strade dei pellegrini cit., pp. 860-861.
85
P. Persi, Dall’ambiente naturale cit., p. 22.
86
M. Luni, La viabilità antica cit., pp. 112-125.
21
territoriale fra i territori bizantini
87
. L’asse di spostamento principale da nord a
sud venne spostato al settore tirrenico, facendo le fortune della Toscana (via
Francigena), mentre l’apertura della via Amerina in territorio umbro permise i
collegamenti tra Ravenna e Roma. In questo modo la Flaminia perse la sua
naturale funzione di collegamento e portò al definitivo isolamento della regione
marchigiana
88
.
Importante per il territorio fermano sono invece i diverticoli della via Salaria,
principale arteria viaria di collegamento tra Roma e il Piceno
89
. Essa derivava il
suo tracciato da un antichissimo asse di percorrenza che metteva in
comunicazione la costa adriatica con l’interno dell’Appennino, attraverso un
percorso orizzontale che sfruttava le vie naturali
90
. Per questo il nome non le
deriva dal magistrato che si occupò della sua apertura, come la Flaminia, ma
dalla funzione originaria di via di commercio per il trasporto del sale
91
proveniente dalle saline alla foce del Tevere. La romanizzazione del medio
adriatico apportò innovazione alla viabilità precedente unificando il territorio
politicamente e creando un percorso strutturalmente omogeneo
92
, poichØ Fermo
e il suo territorio dopo il 264 a.C. rivestirono un ruolo strategico e alternativo ad
Asculum, capitale dei Piceni che era rimasta indipendente dopo la conquista
romana
93
.
La Salaria, partita da Roma, entrava in territorio marchigiano attraverso il
Reatino, superando la gola di Arquata del Tronto e, seguendo il corso del fiume
Tronto, giungeva ad Ascoli e infine a Porto d’Ascoli, antico Castrum
Truentinum
94
.
87
N. Alfieri, Le Marche cit.. pp. 18-19.
88
P Persi, Dall’ambiente naturale cit., p 36; S. Bocci, Le Marche nelle fonti storico-letterarie
tra V e VI secolo, in Ascoli e le Marche tra tardoantico e altomedioevo cit., pp. 27-61, a pp. 57-
60.
89
M. Luni, La viabilità antica cit., p. 125.
90
E. Giorgi, La via consolare Salaria e le sue diramazioni nel territorio, in Beni Archeologici
cit., pp. 145-153, a p. 145.
91
F. Fei, Note sulla viabilità cit., p 244; E. Coturri, Le strade dei pellegrini cit., p. 864.
92
E. Giorgi, La via consolare Salaria cit., p. 145.
93
M. Pasquinucci, S. Menchelli, Viabilità, popolamento rurale e sistemazioni agrarie cit., p.
136.
94
E. Giorgi, La via consolare Salaria cit., pp. 146-153; M. Luni, La viabilità antica cit., pp.
125-130.