I
INTRODUZIONE
Lo sport è da sempre un’attività umana tipica del tempo libero e quindi, anche del
divertimento, oggi non è più solo questo. Infatti, le tendenze evolutive socio-
economiche in atto negli ultimi venti anni lo hanno reso anche e soprattutto un
business.
Lo sport come servizio, può quindi essere guardato dal punto di vista di un’economia
in crescita, appunto quella dello sport business, che intrattiene rapporti molto stretti
con altre economie sia industriali che di servizi. È riscontrabile nella realtà
quotidiana, la crescita esponenziale verificata nell'ultimo decennio da tale economia.
Cambiamenti epocali, paragonabili a vere e proprie rivoluzioni, si sono registrati
anche nelle modalità di gestione delle società sportive, passate in pochi anni da
essere società senza fini di lucro, a società quotate in borsa.
L’attività sportiva oggi, sia quella praticata dal singolo individuo, sia quella delle
organizzazioni, è sottoposta alla pressione di un ambiente economico assai vivace.
Certamente anche il settore sportivo non è immune da virus e non sta attraversando
un periodo di opulenza. Tracce della crisi economica ed un generale degrado
valoriale, sono purtroppo riscontrabili anche in esso come in ogni altro settore della
società.
Tuttavia, rispetto a mercati duramente colpiti ed ormai in una fase di recessione acuta
sia economica che culturale, nel settore sportivo, continuano ad emergere nuove
forze competitive e ad affermarsi nuovi business come produttori di articoli e
attrezzature sportive, gestori di comunicazioni delle società, network televisivi a
tema, società di organizzazione di eventi. Entità che fondano il proprio core business
sui bisogni degli atleti e delle organizzazioni sportive.
Nell’era contemporanea una risorsa sempre più scarsa e perciò costosa e difficile da
reperire è il cliente. Per questo motivo si sta lentamente e faticosamente modificando
la filosofia gestionale delle aziende moderne, le quali cercano di orientare la propria
attenzione verso le esigenze di ogni singolo cliente al fine di raggiungere l’obiettivo
ultimo della lealtà e della fedeltà del maggior numero possibile di clienti.
Oliver (1999) definisce la customer loyalty come la condizione di forte
coinvolgimento al riacquisto, o al riutilizzo, di un prodotto o di una marca, tale da far
II
superare le eventuali influenze situazionali e concorrenziali che potrebbero causare
comportamenti d’infedeltà. Quale situazione mentale è maggiormente assimilabile a
tale definizione, se non quella del legame tra un tifoso e la propria squadra del cuore?
L’intento di tale lavoro di tesi è quello di andare ad approfondire il legame, tra il
tifoso e la propria squadra del cuore considerato, spesso a torto, di carattere
accessorio ma in realtà fondamentale per la produzione di valore aggiunto (nel senso
più ampio della sua accezione) e la sopravvivenza nel lungo termine di ogni società
sportiva.
La stragrande maggioranza degli individui ha una propria squadra del cuore.
Certamente alcuni individui vivono tale legame in maniera maggiormente passionale
e viscerale, mentre altri in maniera più staccata e limitata, ma in pratica la stragrande
maggioranza della gente, tifa.
E lo fa per i più svariati motivi, perché attratta dai colori della maglia oppure perché
appartenente ad un determinato territorio che la squadra rappresenta e all’interno del
quale opera, oppure ancore semplicemente perché “loro sono simpatici”.
Partendo dalla concezione dello sport come servizio, attività rientrante a pieno titolo
nella cosiddetta economia del terziario e rifacendosi a Richard Normann (1992), il
quale pone il rapporto cliente/impresa al centro di ogni strategia e politica aziendale
che si rispetti, l’intento è quello di focalizzare l’attenzione sul legame tifoso/squadra
del cuore nelle sue caratteristiche essenziali. Si analizzeranno, inoltre, le dimensioni
di un servizio, che sono generatrici di qualità agli occhi del tifoso.
Il primo capitolo verterà sulla definizione del concetto di servizio alla clientela.
Saranno descritte le fondamentali dimensioni di ogni attività di servizio e i fattori che
generano qualità nell’erogazione dello stesso. Sarà indagata la qualità considerata
nell’ottica della percezione del consumatore/cliente per poi arrivare ai più noti
modelli di customer satisfaction e di customer loyalty.
Nel secondo capitolo, sarà affrontata la visione dell’attività sportiva come attività
globale di servizio, e in particolare saranno analizzati i numeri dell’offerta e della
domanda di sport in Italia. Analizzando le caratteristiche peculiari del marketing
sportivo ed in particolare dei suoi eventi, si cercherà di definire le attitudini
psicologiche e comportamentali del consumatore/tifoso sportivo.
III
Proseguendo nel terzo capitolo l’attenzione sarà posta sul comportamento del tifoso
sportivo ed in particolar modo sulle cause e sulle conseguenze dell’identificazione
del singolo individuo nella propria squadra del cuore. Sarà illustrato il processo
motivazionale del consumatore sportivo e l’importanza, per ogni società, della
costruzione di una propria identità e della ricerca di un sempre maggiore numero di
sostenitori attivi.
Il quarto capitolo verterà sul caso empirico relativo alle strategie ed alle politiche di
marketing attuate dalla società A.S.D. Audax Basket Reggio Calabria nella stagione
2008/2009, contestualizzandole all’interno del macro e del micro ambiente di
riferimento e illustrando nel dettaglio le principali leve di marketing utilizzate.
1
CAPITOLO 1
L’ECONOMIA DEI SERVIZI,
QUALITA’ DEL SERVIZIO,
SODDISFAZIONE E FEDELTA’ DEL CLIENTE
"Mi ricordo i tempi in cui
abbiamo cominciato a rotolare insieme,
la palla e io.”
1
1.1 Il concetto di servizio
Il termine servizio, pur nella sua apparente chiarezza, si presta frequentemente ad
ambiguità e difficoltà d’interpretazione. Gli usuali dizionari di lingua italiana
indicano che esso deriva dal latino servitium ovvero servitù, e che, in senso
economico, si riferisce agli effetti economicamente utili di beni materiali o di attività
umane, di cui beneficiano altri beni o gli uomini stessi. Tale definizione è alquanto
asettica, specialmente nel considerare il servizio come attività generatrice
esclusivamente di effetti economici. In realtà, l’utilità e la funzione di un servizio
vanno oltre.
Il termine servizio indica, indiscriminatamente, attività assai eterogenee e variegate
come i trasporti pubblici e le attività del tempo libero, i parrucchieri e la sanità, la
pubblica istruzione e le imprese di pulizie. Il terziario è, infatti, un settore
economico, un macro contenitore, all’interno del quale si trovano variegate attività
accomunate solo dal fatto di essere tutti servizi.
Ciò deriva anche da una sorta di retaggio culturale. Nella società contemporanea,
infatti, valori, modelli, metodi di creazione del valore aggiunto, sono stati prodotti e
vengono quotidianamente influenzati dalla cultura prevalentemente industriale o
anche definita del “fare”, secondo la quale l’attività economica per antonomasia,
deve fondarsi sulla trasformazione di materie prime in entrata e in prodotti finiti in
uscita del ciclo produttivo. Il tutto deve avvenire seguendo metodi specifici e
attraverso l’ottimizzazione di risorse scarse.
1. Soriano O. (1998), Futbol, pag. 6
2
Nell’erogazione di un servizio, tale processo di trasformazione di materie prime in
manufatti non avviene, o meglio avviene solo in parte e seguendo schemi atipici
rispetto alle imprese industriali. Si può affermare che la nota affermazione
Lavoiseriana del “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” applicata nello
studio di un servizio, possa essere in parte smentita.
Ciò avviene perché il servizio, più che trasformazione, è interazione tra persone,
comunicazione tra le stesse, che porta comunque alla creazione di valore aggiunto
attraverso l’utilizzo di processi, la cui standardizzazione è altamente complicata e
che vedono poca o alcuna traccia di materia prima in ingresso del ciclo di
produzione/erogazione (Normann, 1992). Tali processi produttivi prevedono sia
l’applicazione soggettiva da parte dell’addetto erogatore che la ricezione soggettiva
da parte del soggetto fruitore e sono intrinsecamente unici ed irripetibili.
Tali differenze, rispetto ai canoni tradizionali della cultura prevalente, hanno fatto in
modo che il settore dei servizi, specialmente in passato, venisse visto con un certo
alone di inferiorità rispetto alle attività di produzione industriali ed agricole.
Il terziario veniva, infatti, descritto come il contenitore di tutte quelle attività che non
rientravano a pieno titolo nelle prime due categorie, piuttosto che essere visto come
un comparto a sé stante, con una propria identità e dignità.
Il fatto, tuttavia, incontrovertibile è che nelle società avanzate contemporanee la
domanda di servizi ed il numero di occupati nel settore cresce giorno dopo giorno, a
fronte di fenomeni di tendenza del tutto opposti del settore industriale ed agricolo. A
tal proposito, di seguito sarà approfondito il concetto di economia dei servizi.
1.2 L’economia dei servizi
La struttura economica dei paesi occidentali, a partire dalla seconda metà del 1900 ha
subito significative trasformazioni, il tratto comune di fondo è stato certamente il
venir meno della centralità nel mondo della produzione e di molti aspetti che hanno
caratterizzato la società industriale per antonomasia, basata su grandi economie di
scala. Il segno più tangibile, di tali mutamenti, è stata la crescita numerica degli
occupati nel settore dei servizi.
Tale aumento, in periodi diversi da nazione a nazione, ha via via superato il numero
di dipendenti del settore industriale. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno raggiunto il
3
picco dell’occupazione nel settore manifatturiero nel 1978 quando l’industria
rappresentava il 21% del prodotto nazionale lordo. Da allora si è verificata la perdita
di 6 milioni di posti di lavoro nel settore industriale la cui quota di PIL nel 2006 è
pari solo al 14%. In Italia, il numero di occupati nel settore dei servizi è ormai pari al
66% circa della forza lavoro totale ed ha registrato nel 2006 un ulteriore aumento del
2,8% rispetto all’anno precedente, mentre dal 1970 ad oggi si assiste ad una graduale
e costante riduzione del numero di occupati nei restanti settori industriale e agricolo
(Rapporto Annuale Istat, 2006).
Il motivo dell’espansione esponenziale, dell’economia del terziario, è, in parte,
spiegabile attraverso la tendenza, ormai consolidata, del trasferimento all’esterno
dell’azienda industriale di varie attività di servizio che tradizionalmente erano svolte
in house dagli stessi dipendenti interni (Ciccotti, 1987). Tale fenomeno ha
determinato, negli ultimi 30 anni in particolare, la nascita di numerose aziende di
servizi caratterizzate da una più marcata specializzazione e produttività.
Più che di crescita spontanea, quindi, si può parlare di un fenomeno di trasferimento
di attività. Ma non solo. La crescita economica, a sua volta, ha prodotto una serie di
fattori chiave che hanno contribuito alla crescita del settore dei servizi: le migliorate
condizioni economiche hanno reso aziende, istituzioni e individui sempre più
propensi a scambiare denaro con tempo e a comprare servizi, risparmiando il tempo
altrimenti necessario per svolgere da soli determinate attività (Cherubini, 1990).
Le nuove tecnologie, inoltre, hanno trasformato e modificato la natura di molti
servizi esistenti, ma soprattutto hanno alimentato la creazione di nuove tipologie di
servizio. La disponibilità di redditi maggiori ha causato, una vera e propria
proliferazione dei servizi alla persona, soprattutto nel settore dello svago e dei
divertimenti. L’allungarsi dell’esistenza media di ogni essere umano, e quindi le
maggiori aspettative di vita, abbinate ad una maggiore complessità della stessa, la
crescente attenzione all’ecologia e alla scarsità di risorse sono tutti fattori, che hanno
comportato un aumento non solo nel volume complessivo, ma anche nella varietà dei
servizi offerti (Gronroos, 1994).
Da un punto di vista sociologico, sono diverse le cause della crescente
terziarizzazione dell’economia suggerite da una serie di studiosi. A partire dagli anni
settanta, alcuni autori avevano gia elaborato una concezione della società
4
contemporanea diversa da quella industriale, a cui è stato dato il nome di società
post-industriale.
Tra questi autori, il sociologo Daniel Bell (1973) descrive la società dei servizi come
un “gioco tra persone”, nel quale si dedica un’attenzione del tutto nuova e maggiore
rispetto al passato, alla gestione dei rapporti interpersonali. Per Bell (1973), la società
dei servizi è il risultato dell’informatizzazione e della conoscenza come forza
produttiva, aspetti che hanno comportato la rapida crescita di un’occupazione
professionale e qualificata di settore.
Il connubio tra computer e telecomunicazioni ha di fatto annullato la distinzione tra
l’elaborazione della conoscenza e la sua diffusione. Oggi si producono informazioni
in serie, come in passato si producevano automobili. La conoscenza dunque si sta
trasformando nella più importante attività economica, creando nuove forme di
relazioni interpersonali, causate dal venir meno degli apparati centralizzati e
dell’estensione di modelli reticolari d’imprese, tra di loro connesse attraverso la
comunicazione e lo scambio d’informazioni. La cura di tali relazioni dà origine così
alla produzione di nuove reti sociali, portando le aziende a espandere la propria
capacità organizzativa, andando ben oltre il proprio ambito interno di azione.
E se, le visioni più catastrofiche affermano il declino e la scomparsa della società
industriale, meno drastico nel suo giudizio, e forse per questo maggiormente
condivisibile è chi sostiene che l’economia dei servizi non si ponga assolutamente in
opposizione all’economia industriale, ma che rappresenti piuttosto uno stadio più
avanzato di sviluppo della storia economica, l’evoluzione fisiologica del nostro
sistema economico (Giarini, 1993).
Razionalizzazione ed economie di scala, saranno fattori che conteranno ancora nella
produzione di valore aggiunto; tuttavia, crescerà sempre di più la produzione di
valore legata all’attuazione del servizio nella sua accezione più ampia. Aziende di
servizi ed aziende industriali saranno sempre più collegate tra loro (Gronross 1994).
In tali considerazioni, si può facilmente intravedere un filo diretto con ciò che sta
accadendo negli ultimi anni, con la situazione di forte disagio competitivo che stanno
vivendo le imprese industriali, concentrate esclusivamente sulla razionalizzazione e
sull’economicità del prodotto, piuttosto che sull’innovazione, la gestione di reti di
rapporti e connessioni, la valorizzazione del capitale umano e degli intangible asset,
5
nell’accezione più ampia. Ciò che sembra maggiormente distinguere, infatti, l’era
della produzione di massa dall’attuale epoca di terziarizzazione dell’economia è la
sempre più diffusa attenzione al cliente.
Secondo Richard Normann (1992), autorevole esponente della cosìdetta “scuola
nordica” sul servizio, la concezione di “centralità” del cliente e l’estrema
personalizzazione dell’offerta devono rappresentare le linee guida in ogni mercato
produttivo e i punti cardini dai quali deve partire ogni strategia competitiva di
successo. Il cliente non è più da considerare come esclusivo utilizzatore o fruitore ex-
post, del bene o del servizio/prodotto, ma bensì deve essere visto come parte
integrante e principale attore, attorno al quale deve necessariamente ruotare l’intero
processo produttivo.
Proprio tali nuovi orientamenti gestionali, la cui diffusione è necessaria al fine della
sopravvivenza di ogni azienda, portano ad affermare che la filosofia alla base
dell’economia dei servizi, coinvolge ogni azienda moderna. Se già in passato, la
distinzione tra servizio e bene era abbastanza complicata, attualmente la linea di
demarcazione sta diventando sempre più labile ed il confine sempre più sbiadito.
Certo, esistono ancora i beni materiali puri o i servizi puri, ma sono davvero un
numero sempre più esiguo di attività. Affinché, infatti, si possa parlare di bene
materiale puro è necessario che il cliente tragga beneficio soltanto dal bene in se
stesso, escludendo qualsiasi valore aggiunto derivato da eventuali servizi a esso
collegati; allo stesso modo, un servizio puro comporta l’assenza di qualsiasi
elemento materiale durante l’erogazione della prestazione (Gronroos, 1994).
In realtà, nell’erogazione della stragrande maggioranza dei servizi sono compresi
anche elementi materiali: nelle attività di ristorazione il cliente riceve il cibo o le
bevande; la banca fornisce estratti conto e altri documenti cartacei; la riparazione di
un’auto comporta spesso la sostituzione di alcuni pezzi, e così via. Allo stesso modo,
anche la produzione di beni implica spesso la presenza e la gestione di qualche
attività di servizio, quali il trasporto, la consegna, la prenotazione e l’ordine del bene
stesso. Tra i due estremi, di beni e servizi puri, vi è così una ben più ampia categoria
di prodotti ibridi.
I sociologi J. Gershuny e I. Miles (1983) hanno avuto il merito di intercettare tale
mutamento socio economico agli albori del fenomeno e forniscono una primordiale
6
classificazione della categoria dei servizi, composta da una combinazione d’imprese
ed occupati con tipologie di servizio ed origini, molto differenti tra loro. Secondo
questi autori esistono alcune categorie di servizi che si sono formate grazie alla
dinamica espansione della produzione industriale quali i servizi bancari, finanziari,
d’ingegneria e di informatica. Nella stessa categoria trovano collocazione però altre
tipologie come i servizi distributivi, sociali ed i servizi personali, che nella logica
degli autori comprendono i servizi domestici, turistici e di ristorazione, di
intrattenimento, culturali e così via.
I due autori hanno, così, evidenziato ed anticipato, quello che oggi è sotto gli occhi di
tutti, ovvero che l’occupazione dei servizi è fatta da lavori e prodotti che sono
presenti in tutti i settori, che vanno dall’elaborazione dati, all’amministrazione, alla
progettazione, all’educazione, alla cultura ed alla cura della persona. In questo modo
l’area della produzione di servizi è un aggregato estremamente eterogeneo di attività
diversissime, ma che coinvolgono trasversalmente ogni settore economico.
Nell’affrontare la risoluzione dei problemi legati alle attività di servizio, si capisce
così che la distinzione beni/servizi sia un concetto strettamente confinato al mondo
della teoria, e come nella pratica le cose vadano diversamente (Cherubini, 1990;
Giarini, 1993; Gronross, 1994). La difficoltà di separazione è sia concettuale che
mentale.
Si può, per tali ragioni, affermare che l’economia di servizi non sia di pertinenza
soltanto delle imprese che vengono classificate all’interno del settore terziario, ma
bensì coinvolga anche le imprese appartenenti alle altre tipologie di settore. Tutte le
aziende moderne fanno parte dell’economia dei servizi, poiché tutte le aziende
moderne hanno bisogno d’innovazione, cooperazione ed interazione, concetti
cardine, alla base di ogni attività di servizio, in definitiva “tutti fanno parte
dell’economia dei servizi” (Gronross, 1994, pag. 4).
Il concetto di valore, nell’economia contemporanea, sta così evolvendo dal bene
materiale tangibile, al processo globale di produzione/erogazione, costituito da una
serie di performance e attività correlate nel tempo (Cherubini, 1990).
Certo, all’interno di questa classificazione, ci sarà sempre chi, baserà la propria
attività maggiormente sul servizio (come ad esempio le società sportive), e chi
7
considererà il servizio come una semplice attività di supporto al proprio core
business (ad esempio, un’azienda produttrice di spilli, di smithiana memoria).
Quel che è certo, tuttavia, è che nessuna impresa, può più escludere le componenti
intangibili dalla propria offerta. Ecco, quindi, che i servizi non sono più un settore
subordinato e di minore importanza, ma sono una parte fondamentale dell’azione
economica, rappresentando lo strumento indispensabile per soddisfare i bisogni
basilari degli individui e per accrescere la ricchezza delle nazioni (Giarini, 1990).
1.3 Le caratteristiche di un servizio
Definire il concetto di “servizio” di per sé, non è così semplice come potrebbe
sembrare, anche se sono facilmente identificabili alcuni tratti che accomunano ogni
attività di servizio.
Com’è stato già accennato precedentemente, le attività classificabili come servizi
sono tendenzialmente più intangibili dei prodotti industriali, anche se ciò non esula la
presenza di condizioni ibride (Zeithaml e Bitner, 2000; Bateson e Hoffman, 2001). In
tal senso, è possibile classificare alcune attività produttive in base al loro grado di
tangibilità/intangibilità (fig. 1.1):
Figura 1.1: Lo spettro della tangibilità (adattato da: G.L. Shostack, 1977).