INTRODUZIONE
« Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi » 1
Charles Hughes
Il mio lavoro ha inizio nelle terre d’Oriente, e più nello specifico in quei Paesi che vengono
definiti islamici, ovvero a maggioranza musulmana: dal Nord Africa alla Turchia, dall’Arabia
Saudita al Kazakistan, dall’India all’Indonesia. Sono circa 1,8 miliardi i musulmani nel mondo, il
23% della popolazione mondiale, ma questa tesi non tratterà solo di musulmani, tratterà più in
generale del Mondo Arabo, il quale racchiude diverse religioni e diversi pensieri, spesso in
opposizione tra loro. Parlerà anche di chi, invece, si è unito nonostante le divergenze di pensiero,
in una battaglia nella quale l’obiettivo è un bene superiore, al di là della distinzione di genere.
In questa breve descrizione del Femminismo Islamico, mi soffermerò in principio ad analizzare
tale fenomeno, la sua nascita, la sua espansione e le sue differenze interne.
Nel secondo capitolo invece descriverò più in generale la situazione della donna, partendo dal
periodo dell’Arabia pre-islamica fino ad oggi, facendo qualche accenno al diritto islamico.
Successivamente prenderò in causa il Corano, e attraverso alcuni dei passi più discussi,
descriverò come, durante tutto il corso della storia, esso sia stato interpretato con occhi
patriarcali e androcentrici, e non seguendo i veri messaggi coranici sull’uguaglianza e l’amore.
Nel quarto capitolo analizzerò un tema imprescindibile e delicato, ovvero il dibattito sul velo
islamico. In seguito allargherò ancora una volta lo sguardo del lettore trattando del rapporto tra i
femminismi islamici e quelli occidentali, le reciproche influenze e i punti di divergenza, parlando
anche dell’Italia, delle idee più diffuse in questo Paese, nate da secoli di resoconti di viaggio
inventati, politiche di demonizzazione e dell’Islamofobia.
L’ultimo capitolo sarà dedicato alle donne che, durante il corso della storia, hanno lottato per i
diritti per il proprio genere, sperando che fungano da esempio per le generazioni di oggi e di
domani.
La mia tesi non ha alcuna pretesa di fornire soluzioni o ulteriori interpretazioni, ma ha come
obiettivo quello di fare più chiarezza su una porzione di Mondo, eliminando incomprensioni
dovute alla paura e all’ignoranza.
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1 In La negoziazione sindacale: nelle società trasnazionali e nelle aziende a rete , FrancoAngeli, Milano,
2010, p. 42, a cura di Confindustria Latina.
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1. Cos’è il Femminismo
Prima di definire il concetto di femminismo islamico ritengo necessario soffermarmi sul primo
dei due termini: il femminismo.
Esso è quel movimento che ha come obiettivo principale il raggiungimento della parità di diritti
tra gli uomini e le donne. Esso nasce durante l’Ottocento, alla fine del secolo dei Lumi, per
indicare, appunto, quei movimenti che reclamavano ad alta voce l’emancipazione femminile
nella società. Le prime partecipanti presero il nome di suffragette e manifestarono per ottenere
l’allargamento del suffragio anche per le donne. L’epicentro di queste nuove azioni fu la Gran
Bretagna.
Esso è andato sempre più espandendosi, differenziandosi in merito all’ambito culturale e sociale:
dal femminismo occidentale al femminismo nero, da quello indigeno a quello islamico.
Nella maggior parte dei Paesi le donne hanno dovuto alzarsi in piedi e rivendicare la propria
presenza ed affermazione nella società, nella quale sono spesso state ritenute inferiori agli
uomini, i quali hanno cercato di “patriarcalizzare” intere culture nel corso della storia.
Ed è da questa prima denuncia che parte il percorso delle femministe islamiche. Esse ritengono
gli uomini autori di quelle interpretazioni dei testi sacri definite androcentriche e misogine, che
hanno portato all’affermazione di tradizioni e costumi discriminatori che giustificano la
sottomissione della donna per un volere divino.
In conseguenza a ciò, lo scopo principale di alcune delle femministe islamiche è quello di
rileggere i testi sacri islamici e sradicare tali teorie, svelando e portando alla luce il vero
significato sottostante ad essi: l’uguaglianza di genere.
Tale lavoro parte dall’ ijtihad, termine legale che letteralmente ha il significato di
“interpretazione”, e più nello specifico può essere definita come una ricerca indipendente e
personale delle fonti religiose islamiche, come il Corano e la Sunna, il codice di comportamento.
Essa, secondo le femministe islamiche, può essere compiuta da tutti, anche se lungo il corso della
storia è stata posta sotto la penna di una ristretta élite maschile. Infatti il Corano, come sostiene
Amina Wadud, non è solo un testo descrittivo, ma possiede anche una natura prescrittiva, la
quale trasmette contenuti regolamentativi che hanno lo scopo di stimolare delle reazioni nei
lettori.
Un altro strumento di cui si avvalgono le fautrici di questo movimento è il tafsir , letteralmente
“spiegare” o “chiarire”, con il quale si intende l’esegesi del Corano. Esso ha lo scopo di fornire
per l’intero Testo Sacro interpretazioni e chiavi di lettura, sia a livello grammaticale che retorico.
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Ovviamente tale compito è risultato essere, durante varie epoche, prerogativa esclusivamente
maschile.
Fino ad ora ho fatto riferimento ad una tipologia di femminismo islamico ben precisa.
Ma all’interno di questo movimento agiscono svariati gruppi. La distinzione principale che
ritengo necessaria fare racchiude due macro-aree: il femminismo appena descritto, ovvero
islamico e teologico, e il femminismo laico. Hanno entrambi lo scopo di migliorare le condizioni
di vita delle donne nei Paesi Arabi musulmani e nei Paesi della diaspora.
Il primo, come ho precedentemente descritto, non ritiene l’islam responsabile della segregazione
femminile, anzi sottolinea che in esso sono contenuti messaggi che valorizzano la donna nel suo
essere e nelle sue caratteristiche. Molte delle femministe islamiche sono anche chiamate
islamiste, perchè sono studiose ed esperte dei testi sacri.
Il secondo, quello laico, dichiara apertamente che l’essere femministe e l’essere musulmane
risulta inconciliabile. Secondo tale pensiero, la religione è un fattore giustificativo, se non il più
importante, della sottomissione della donna, il quale nega ogni diritto e libertà. Le femministe
laiche ritengono la religione solo una questione privata e personale, e rifiutano l’idea che l’islam
sia onnipresente nella loro società, soprattutto nella sfera politica. In linea con questo pensiero
sono i femminismi occidentali, i quali lo appoggiano promuovendo un movimento che tuteli tutte
le donne del mondo. Facendo ciò essi si presentano con uno spirito missionario, per aiutare le
donne musulmane a scappare dalle prigioni dell’islam, arrivando ad una libertà e civilizzazione
secondo il modello occidentale. Suddetta retorica però ha avuto la conseguenza di peggiorare
ancora una volta la situazione: ha creato l’associazione tra femminismo e imperialismo culturale.
Le azioni delle donne, durante gli ultimi secoli, venivano appoggiate e sfruttate dalla politica
coloniale per poter ostacolare il potere locale ed indigeno, creando in quest’ultimo il rigetto per
ogni tipo di azione femminista, ritenuta nemica della cultura arabo-musulmana.
Pertanto questo obiettivo viene largamente criticato dalle compagne islamiche, le quali accusano
loro di voler “occidentalizzare” con spirito coloniale costumi, tradizioni e modi di vivere tipici di
determinati contesti, non volendo vedere che «l’attuale riposizionamento dell’islam nella sfera
pubblica sta avvenendo anche ad opera e per volontà delle donne» (Pepicelli, 2018:26).
Se uno degli obiettivi è fornire la libertà alle donne, alcune femministe occidentali, secondo il
mio parere, agiscono erroneamente, non permettendo alle sorelle musulmane di poter praticare in
libertà la propria religione, rimanendo oltremodo femministe e fautrici di campagne di
sensibilizzazione.
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Dopo aver fatto tale distinzione, bisogna sottolineare che il femminismo islamico o laico non si
riduce solo a questi due gruppi: esso è l’unione di molteplici pensieri differenti tra loro in base
alle proprie esperienze, alle condizioni sociali e culturali alle quali si è soggetti. Una donna
algerina reclamerà diversi diritti di una donna curda.
A mio parere quindi, nello studio dei femminismi islamici, bisogna applicare ciò che in termini
antropologici viene chiamato relativismo culturale.
Esso può essere definito come un approccio epistemologico che considera ogni cultura e società
a sé stante, con proprie peculiarità e unicità, facendo poi un lavoro di comparazione tra esse, per
confrontarle e cercare elementi in comune. Tale approccio nega quindi ogni forma di
universalismo, preservando i costumi e le tradizioni tipiche di ogni cultura.
Alcune femministe islamiche, dunque, non ritengono necessario abbandonare la propria
religione, e le proprie tradizioni, come il velo di cui parlerò in seguito, perché è proprio in questi
fattori che dovrà fondarsi una nuova concezione della donna: è attraverso l’islam che la donna
riprenderà il proprio posto nella società.
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