Introduzione
I rivolgimenti politici, economici e sociali che hanno caratterizzato il
mondo arabo contemporaneo, hanno riproposto la “Questione femminile”,
ovvero le lotte delle donne per la conquista dei fondamentali diritti civili e
per l’emancipazione.
Il risultato di queste lotte si configura sul piano sociale con una
1
rilettura globale del Corano, degli Hadit e delle leggi in materia di statuto
personale del cittadino. Tali conquiste giuridiche hanno condotto nel
migliore dei casi, come in Tunisia, a una effettiva modernizzazione; nel
peggiore dei casi, come accade oggi in Afghanistan, Iran, Pakistan, Sudan,
Palestina, Arabia Saudita, Cisgiordania, parte del Maghreb, alla completa
dimenticanza del soggetto donna in quanto essere umano, detentore dei
propri diritti, anche quelli più elementari.
La posizione generale nella quale la donna musulmana si trova oggi
nella maggior parte dei paesi islamici risulta essere uno stato di
subordinazione, povertà, subalternità e mancanza di diritti. Tale stato è dato
da una concezione basata sulle pratiche ancestrali e patriarcali di esclusivo
appannaggio maschile, che hanno svolto un ruolo centrale nello stabilire la
posizione della donna all'interno della società musulmana e nel definire
leggi e istituzioni islamiche, molte delle quali sono ancora oggi in vigore.
Non mancano però le eccezioni.
La situazione che si è venuta a costituire con il passare dei secoli è causa
dell’influenza delle altre culture quali quella mesopotamica, quella ebraica e
quella cristiana (greco-bizantina). Il contributo apportato da Maometto
attraverso la diffusione dell’Islam ha permesso, per di più, di dar vita
all’odierna cultura musulmana.
1
Si tratta di brevi racconti scritti sul Profeta e i suoi seguaci nei primi tre o quattro secoli dopo la sua
morte. Non tutti sono autentici e vengono spesso utilizzati dai dotti musulmani per legiferare. Cfr. L.
Ahmed, Oltre il velo. La donna nell'Islam da Maometto agli ayatollah, La Nuova Italia, Firenze,
1995, p. 53.
1
1. Il femminismo
Generalmente, si suole definire il femminismo come un fenomeno
prettamente occidentale. Dagli studi condotti, invece, esso non appare come
una corrente di pensiero circoscritta alle sole aree europea e americana; non
è un fenomeno né unico né singolo. È qualcosa di più profondo: è un
fenomeno globale, diviso in tanti e vari femminismi, che posseggono
attualmente le loro peculiarità, ma che interessano tutto il mondo. E globale
2
è anche il femminismo islamico.
L'origine dell’espressione “islamico” è contemporanea: essa
comparve per la prima volta in vari paesi musulmani quali Sudafrica,
Turchia, Marocco e Iran negli anni Novanta, nell'ambito di diverse iniziative
3
culturali e politiche o attraverso libri e riviste femminili che avevano
accolto articoli di note scrittrici e studiose musulmane per descrivere e
sottolineare un modello femminista emergente, che è oggi contenuto nel più
4
ampio panorama della Storia delle donne.
In quanto corrente di pensiero, il femminismo islamico può essere
annoverato all'interno di quello che può essere considerato, in generale, il
fenomeno femminista. È necessario ricordare, però, che quello islamico
possiede una diversa concezione del suo esistere e si fonda su radici diverse
da quelle occidentali. Il termine “femminismo” venne coniato per la prima
volta in Francia nel 1880 da Hubertine Auclert, che lo introdusse nella sua
rivista “La Citoyenne”, con l'obiettivo di criticare il predominio maschile e
per farsi portavoce dei diritti e dell'emancipazione delle donne propugnati
quasi un secolo prima dalla Rivoluzione francese.
Nel primo decennio del XX secolo, il pensiero femminista si espanse
raggiungendo altri paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti (in Egitto si
sviluppò all’inizio degli anni Venti), e dando vita a movimenti diversi che,
malgrado un'unica radice in comune, ovvero la parità dei diritti e
2
Cfr. S. Ragusa, Islam. Il Corano letto dalle donne, in “Popoli ”, marzo 2008,. p. 1.
3
Articoli quali quelli pubblicati sulla rivista iraniana “Zanan” (Donne), fondata dalla Sherkat nel
1992 o libri quali Feminism and Jslam, pubblicato dalla yemenita Mai Yamani nel 1966 o Modernità
negata, pubblicato da Nilufer Gole nel 1991, sono alcuni fra i molti scritti che ripropongono la
“questione femminile” musulmana. Cfr. M. Badran, Femminismo islamico. Cosa significa?, in
“Afriche e Orienti”, n. 2/2002, pp. 162-168.
4
Questa nuova disciplina prese avvio come nuovo campo di studi negli anni Sessanta, ma raggiunse
l'apice della diffusione tra il 1970 e il 1980.
2
l'uguaglianza tra uomini e donne, si prefissarono scopi differenti. Dunque il
femminismo, o per meglio dire, i femminismi, sono svariati proprio perché
nascono in contesti storico-sociali diversi. Essi, in altre parole, sono
“articolati in termini locali” e prodotti da donne che vivono in quelle
determinate realtà.
1.1 Il femminismo islamico
Abbiamo detto che il femminismo islamico si presenta come un
fenomeno globale, non sempre di facile attuazione, ma che coinvolge
l'intero universo femminile. Esso nacque, al pari di quello occidentale, sulla
base di principi e scopi comuni quali il principio di uguaglianza tra uomini e
donne e la giustizia sociale. Allo stesso tempo lo si può definire diverso dal
femminismo occidentale almeno per due ragioni: innanzitutto, i vari
femminismi che si svilupparono nel Medioriente (dove l'Egitto svolse un
ruolo di vero pioniere) e nei differenti paesi asiatici, lo fecero all'interno di
movimenti di liberazione nazionali o di riforma religiosa; in secondo luogo,
le donne che decisero di intraprendere la strada del cambiamento, lo fecero
dando sempre spazio alla religione musulmana.
All'interno dei principi sopracitati, le donne musulmane in
particolare, si fecero portatrici di altre richieste non meno rilevanti, quali il
diritto allo studio e al lavoro, i diritti politici, la possibilità di usufruire
liberamente degli spazi della moschea, la possibilità di prendere parte alle
decisioni riguardanti i settori sociale, politico ed economico e soprattutto la
volontà di modificare le leggi discriminatorie sulla famiglia, il matrimonio,
il divorzio e i diritti personali. Per poter realizzare questo programma esse
auspicavano, e lo fanno ancora oggi, un sentito e sincero coinvolgimento
degli uomini per abolire quella che è sempre stata la negazione della libertà
e la negazione all'autodeterminazione della donna, perpetuata nei secoli dal
potere patriarcale.
Prima della comparsa del movimento femminista mediorientale,
l'unico punto di riferimento e fonte di ispirazione per le donne che
anelavano a far valere i propri diritti, era il femminismo occidentale, accolto
e insieme rifiutato dal mondo femminile islamico e dalla concezione
maschilista di entrambe le culture.
3
Ma perché le femministe musulmane rifiutarono e rifiutano ancora
5
oggi il pensiero femminista di matrice occidentale? Dalal Bizri ci fornisce
tre motivazioni. Prima di tutto, il femminismo occidentale ha sempre
cercato di occupare una posizione egemonica rispetto agli altri movimenti,
pretendendo quasi di farsi attribuire un ruolo da “pioniere”. In secondo
luogo, esso ha portato avanti uno studio “orientalistico” della cultura
islamica e della condizione della donna fin dall'epoca del colonialismo,
considerando sempre il pensiero islamico strutturalmente debole. Ovvero,
secondo tale concezione, le donne islamiche potrebbero liberarsi dalle
catene dell'oppressione solamente se accogliessero l'esempio occidentale
della donna liberata. Il terzo punto può essere considerato quello focale,
perché ci spiega soprattutto la differente origine del movimento femminista
islamico e di quello occidentale, che si basano su radici culturali diverse;
radici che hanno in seguito portato a uno scontro “ideologico”, dovuto in
particolar modo alla “modernità” di cui il femminismo occidentale era
portatore: una modernità che si opponeva ai dettami religiosi e ai costumi
patriarcali dominanti. Dunque, a dispetto dell’accezione occidentale del
femminismo, per migliorare la loro condizione e quella delle donne in
generale le donne musulmane non hanno abbandonato e non rinunciano
oggi alle caratteristiche della loro religione.
Le differenze, però, non finiscono qui: infatti il femminismo
islamico, al contrario di quello occidentale che prevedeva una completa
parità nella sfera pubblica, ma una complementarità in quella privata,
auspicava una completa uguaglianza sia nella sfera pubblica che in quella
domestica. Per le femministe islamiche l'uguaglianza esisteva ed esiste nel
pubblico come nel privato.
Per poter realizzare questi obiettivi, le donne musulmane (sia esse
credenti o agnostiche; arabe o di altra etnia), utilizzarono l’islamismo come
modello: adottarono cioè come punto di partenza la loro stessa religione con
l'obiettivo di provare la validità del loro pensiero. La loro indagine si basò e
si basa ancora oggi su una attenta lettura e interpretazione del Corano e
degli altri testi della cultura islamica in un'ottica esclusivamente femminile.
Questo tipo di procedimento entra a far parte di ciò che alcuni studiosi
chiamano la “Teologia islamica femminista”.
5
Professoressa di Sociologia politica presso l'Università del Libano.
4
Riprendendo il concetto di ermeneutica, le femministe mirarono e
mirano a produrre una decostruzione di tutte quelle pratiche e di tutte quelle
interpretazioni maschiliste patriarcali che fissarono il ruolo della donna già
6
nel IX secolo e che portarono alla successiva formazione della Fiqh e alla
7
introduzione, in età contemporanea, della Shari`a come organo politico di
controllo.
8
Lo studio degli Hadit, degli Ayyāt e della Shari`a venne portato
avanti da studiose quali Amina Wadud, Fatima Mernissi o Azira al-Hibri,
per dare solo qualche esempio, e si avvalse di metodologie e ambiti
disciplinari tradizionali e moderni. Tra i metodi tradizionali troviamo quelli
910
classici dell'Ijtihad e del Tafsir; tra le metodologie e le discipline
moderne, invece, abbiamo la Linguistica, l'Analisi lessicale, l'Etimologia;
troviamo inoltre la Storia, la Sociologia, la Letteratura e l'Antropologia.
Le femministe islamiche condussero tale indagine credendo
fermamente nell'esistenza, all'interno del Libro sacro, del principio di
uguaglianza (morale, spirituale, ontologica e giuridica) che però, nella
realtà, non venne riconosciuta, ma addirittura impedita e sovvertita
dall'ideologia patriarcale.
Molto spesso, infatti, dall'epoca classica fino alla contemporaneità,
gli Ulemā si sono serviti di versetti e di hadit non sempre storicamente
riconosciuti o comunque di provenienza dubbia, per screditare l'immagine
della donna facendola apparire come colpevole di diversi atti (come quello
del giardino dell'Eden) e per giustificare come “volere di Allah” pratiche e
decisioni a sfavore delle donne e a sostegno della superiorità maschile.
Molto spesso le citazioni sacre sono state utilizzate fuori luogo perché il
Corano non fornisce delle risposte riguardo a precise situazioni o
comportamenti da adottare da parte del fedele. Nella rilettura tutta al
femminile del testo e dei documenti sacri, le donne cercarono di apportare
6
Termine che può essere tradotto con giurisprudenza coranica o diritto musulmano.
7
La Shari'a è un corpo di principi religiosi islamici che possiede una valenza di legge. Essa serve per
regolare la vita dei fedeli musulmani. L'attuazione di quest'ultima si basa sul Corano e sulla Sunna
(ovvero gli scritti del Profeta), che vengono utilizzati come fonti. Oggi la legge islamica applica la
Shari'a in quattro casi diversi: apostasia, adulterio, uccisione ingiusta di un musulmano e bestemmia
contro Allah. Ma in paesi quali l'Iran, l'Arabia Saudita e la Nigeria, la Shari'a viene adottata anche per
giustificare l'omosessualità, punita con la morte (cfr. Safiya, Masto, Io Safiya, Sperling e Kupfer
Editori, Milano, 2003, p. 192).
8
Sono per l'Islam i 6.236 "versetti" che compongono le 77.439 parole delle 114 Sure del Corano.
9
È la ricerca indipendente sulle fonti religiose. Cfr. Badran, Femminismo islamico, cit., pp. 162-168.
10
Con questo termine si indica l'interpretazione autentica dei difficili passaggi testuali del Corano,
che viene effettuata dagli Ulemā.
5
una loro personale interpretazione interrogandosi sul significato della loro
esistenza, dei loro compiti e sul principio di uguaglianza.
Secondo il femminismo islamico, esistono molti versetti che
sembrano affermare l'uguaglianza tra uomo e donna. Uno di questi è
contenuto nella Sura al- Hujarat, ovvero “Le stanze intime”, che recita: “Oh
umani, vi abbiamo creato da un'unica coppia di uomo e donna, abbiamo poi
fatto di voi tribù e nazioni in modo che possiate conoscervi l'un l'altro, non
disprezzarvi l'un l'altro. Il più nobile fra di voi agli occhi di Dio è colui che è
più giusto, colui che maggiormente pratica “taqwa”, devozione”. Questo
versetto ci spiega chiaramente che “tutti gli esseri umani sono uguali, e che
uomo e donna si differenziano tra loro solamente in virtù della pratica del
principio coranico fondamentale della giustizia”.
Un altro versetto simile al precedente è invece contenuto nella Sura
IV An- Nisâ', dedicata alle donne. Il verso 34 recita: “Gli uomini sono
responsabili (qawwamun) per le donne perché Dio ha dato ai primi più che
alle seconde, e perché essi le mantengono con i loro beni”. Come ben
sappiamo, nonostante esista nelle culture occidentali l'uguaglianza formale
tra gli uomini e le donne, entrambi sono stati creati biologicamente diversi
per dar modo al genere umano di perpetuarsi. Di conseguenza uomo e donna
avranno ruoli diversi all'interno della società e della famiglia, dove solo la
donna può partorire e allattare i figli. Ed è in questa circostanza che il
Corano ingiunge al marito di fornire un aiuto materiale affinché il bambino
possa crescere.
Le donne esegeti, dunque, per asserire la loro teoria, mettono in
evidenza il termine “qawwamun”, che non significa che in quelle
circostanze la donna non possa provvedere a se stessa e al bambino
(giustificando così la superiorità maschile), ma che assume il senso di
“provvedere per”. In ultima analisi, le studiose stesse sottolineano
l'importanza della mutua responsabilità di uomini e donne.
Esaminiamo ora un ultimo versetto, appartenente alla Sura IX
intitolata At- Tawba, ovvero il “Pentimento o la disapprovazione”: “I
credenti, uomini e donne, sono protettori gli uni delle altre”. Da questa frase
si può ben comprendere l'inutilità, la falsità e l'ingiustizia che giustificano
qualsiasi tipo di violenza a cui le donne ogni giorno sono sottoposte.
6
1.2 L'Egitto negli anni Sessanta e la nascita
dell'Integralismo islamico
Il movimento femminista islamico prese forma in Egitto, considerato
il precursore per eccellenza di tale fenomeno, e si espanse in seguito in tanti
altri paesi come Tunisia, Iran, Algeria, Palestina, Turchia e così via con
modalità e tempi differenti. Si sviluppò in Egitto perché qui, come
conseguenza del colonialismo, penetrarono usi e costumi dell'Occidente e
vennero introdotte varie riforme per promuovere l'istruzione femminile.
Nei primi decenni del Novecento, quindi, assistiamo a una vera
rivoluzione dei costumi: la maggior parte delle donne smise di indossare il
velo e chi sceglieva di farlo, ne indossava di tipi molto leggeri. La
precedente creazione di scuole elementari e secondarie femminili, inoltre,
aveva permesso alle donne di poter accedere all'istruzione e prendere parte
alla vita pubblica. Questo periodo di grande fermento culturale diede vita a
varie forme di attivismo femminile.
A partire dagli anni Sessanta, la condizione delle donne in Egitto
subì notevoli miglioramenti, soprattutto dal punto di vista lavorativo, grazie
all'ormai facile accesso all'istruzione divenuto gratuito. Finalmente, infatti,
la presenza femminile fu allargata a numerosi settori occupazionali quali
l'aeronautica, il giornalismo, la radio-televisione, l'ingegneria, la grande
industria e la politica. La ricerca di un'occupazione portò, in breve tempo,
sia a un miglioramento del tenore di vita delle famiglie, poiché le donne
lavoravano per integrare il guadagno del proprio marito, sia alla modifica
delle più conservatrici e tradizionali norme che governavano il nucleo
familiare stesso, dando alle donne maggiore libertà di movimento e
maggiore possibilità di dedicarsi anche alla carriera lavorativa. Il
miglioramento della condizione femminile fu dovuto innanzitutto al
progresso sociale e civile della popolazione e ai nuovi e più stretti rapporti
con l'Occidente e con le regioni musulmane limitrofe. Infatti, grazie alla
ricchezza di questi paesi, dovuta alla presenza del petrolio, a partire dagli
anni Sessanta si registrò un notevole flusso migratorio verso queste zone da
parte di uomini e donne in cerca di un lavoro sicuro. Queste migrazioni
naturalmente permisero anche la diffusione dell'Islam come linguaggio
comune e sociale.
7
I cambiamenti maggiori riguardo alla condizione delle donne,
tuttavia, si verificarono con il nuovo governo presieduto da Nasser,
instauratosi in seguito alla rivoluzione del 1952 e favorevole sia
all'emancipazione femminile sia all'uguaglianza sociale.
I primi tentativi di trasformazione si manifestarono attraverso il varo
della riforma agraria, promulgata nello stesso anno, che limitava per ogni
persona l'ampiezza dei possedimenti terrieri. Ciò aveva l'obiettivo di
limitare il potere della grande proprietà fondiaria tramite la distribuzione
delle terre eccedenti ai contadini poveri e ai piccoli coltivatori. Nel 1953
l'Egitto venne dichiarato una Repubblica.
Dopo il 1956, il nuovo governo, che nel frattempo aveva aderito al
“socialismo arabo”, inserì nel suo programma un pacchetto di riforme atte a
promuovere innanzitutto l'uguaglianza sociale ed economica, che doveva
essere garantita dallo Stato. Tra queste: il controllo degli affitti, la
retribuzione di un salario minimo, che però era sostenuto dall'offerta di tutta
una serie di servizi sociali, e la nazionalizzazione sia delle imprese straniere
sia delle grandi industrie.
Attraverso l'adozione di queste riforme lo Stato produsse un
cambiamento radicale del sistema sociale, dissolvendo di fatto le grandi
élites e dando la possibilità, a uomini e donne, di raggiungere una vera
promozione sociale.
Ma soprattutto la popolazione femminile ottenne i miglioramenti più
grandi. Nel 1956 Nasser concesse il diritto di voto alle donne e la possibilità
di presentarsi come candidate alle elezioni politiche. Solamente un anno
dopo, nel 1957, due donne vennero elette in Parlamento e nel 1962 un'altra
donna venne nominata ministro degli Affari Sociali.
Le riforme non si fecero attendere nemmeno nel settore scolastico:
attraverso un decreto emanato nel 1952 il governo, per promuovere il ruolo
delle donne, rese gratuita e obbligatoria l'istruzione primaria per tutti i
ragazzi e le ragazze in età compresa fra i sei e i dodici anni e inoltre istituì le
cosiddette “classi miste” a livello di scuola elementare, mettendo fine a un
canone tradizionale che vedeva la separazione fra i sessi. Successivamente,
l'istruzione venne dichiarata gratuita a tutti i livelli, compreso quello
universitario, al quale si poteva accedere senza distinzioni di sesso.
8