INTRODUZIONE
Tommaso da Gaeta, uno dei giuristi più insigni della cerchia di Federico II,
riflettendo sulla frenetica attività di costruttore dell'Imperatore svevo, rilevava con
rammarico come gravassero sulle spalle della povera gente le spese per la costruzione e
la manutenzione di castelli, torri, rocche e fortificazioni e quanto poco lo stesso
Federico si rammentasse dei suoi avi normanni che innalzavano cattedrali, chiese e
monasteri per guadagnare le anime e non vincere i corpi dei propri sudditi.
Emergono qui due elementi di grande interesse che riflettono con precisione i
programmi edilizi messi in atto dai Sovrani dell'età normanno-sveva: il carattere
religioso dell'edilizia normanna e il carattere ghibellino o laico degli edifici federiciani
visibili e individuabili in una ben precisa tipologia strategico-militare.
È evidente la forzatura introdotta dal funzionario caietano nel contrapporre
dialetticamente la politica edilizia dell'età normanna con quella dell'età sveva: si tratta
di uno scoperto espediente che volutamente trascura il grande impegno dei re normanni
nell'erezione di edifici che assolvessero alle esigenze della residenzialità e della
rappresentanza come i palatia, le domus, i pomeria, o a quelle della difesa come le
torri e i castelli, o a quelle del diletto, del riposo o dello svago come il parco, il
giardino, la tenda; così come l'appunto fatto a Federico n di aver costruito solo castelli,
ma nessuna cattedrale o chiesa, non è certo una caratterizzazione esauriente dei suoi
complessi rapporti con le Chiese del Regno di cui rispettò i patrimoni, senza dire
dell'attenzione verso gli Ordini monastici, come i Cistercensi, assunti quale punto di
riferimento della sua stessa esperienza religiosa.
Federico II non sviluppa certamente un programma edilizio di impronta
religiosa e di così imponente respiro come i suoi antenati normanni, ma non mancano
indizi di un suo coinvolgimento nell'architettura sacra di quel periodo: basterà far
cenno alla chiesa vescovi le eretta nel 1247 a Vittoria, oppure alle ricche donazioni e ai
numerosi privilegi concessi alla Cattedrale di Anglona, al Duomo di Bamberga e a
quello di Bari, alla cappella di Santa Maria e San Giorgio a Francoforte sul Meno, alle
chiese monastiche dei dintorni di Lentini, a Santa Maria della Valle presso Messina
tutti concomitanti con l'apertura dei rispettivi cantieri e, quindi, verosimilmente
finalizzati alle fabbriche ecclesiastiche o in rifacimento o in costruzione.
In questo contesto, assume grande significato l'esempio della chiesa
archipresbiteriale di Altamura, fondata direttamente da Federico II nel 1232, una chiesa
esente di tipo signorile in quanto l'Imperatore si riserva il diritto di patronato, cioè il
diritto di presentare il candidato destinato ad officiare il luogo di culto.
È più che probabile che l'iniziativa di dotare la «civitas nova» di Altamura di
una chiesa, fosse partita dagli abitanti del luogo, come si evince da un documento del
1299.
In ogni caso, un protagonismo di Federico appare scontato.
Scopo di questo lavoro, è indagare i complessi problemi legati al monumento,
poiche i rifacimenti successivi (il primo già del 1316, in seguito ad un terremoto che
aveva fatto crollare gran parte dell'edificio) lo hanno reso di difficile lettura
scoraggiando l'approccio ai numerosi interrogativi che la chiesa pone.
Ho creduto necessario e opportuno valutare lo stato della storiografia relativa
all'argomento, per poter operare un raffronto tra le varie posizioni, con l'ausilio della
documentazione conservata presso l'Archivio Capitolare, da poco ordinata e
accessibile.
Ho tentato di dare, poi, attraverso le pagine degli esperti e gli scarni documenti,
un quadro abbastanza completo della problematica ubicazionale, architettonica e
storico-artistica di una delle più insigni testimonianze della presenza federiciana nel
Mezzogiorno: la chiesa archipresbiteriale, la cappella regia, la Cattedrale di Santa
Maria che, pur voluta e postulata dagli abitanti, Federico II non esitò a definire
«Ecclesia nostra Altamure».
1. IL CARATTERE "GHIBELLINO" DELL 'EDILIZIA FEDERICIANA
Alla quantità straordinaria di costruzioni militari e pubbliche promosse da
Federico II di Svevia, non fa riscontro la costruzione di chiese e monasteri che possano
competere con quelle; nessuna fonte elogia i meriti dell'Imperatore in questo campo.
Al contrario, ci pervengono da tutte le parti, non solo dal Regno, lamentele per
la distruzione di chiese e, più precisamente, non tanto rovine causate dagli orrori di una
guerra o di una rivolta, ma piuttosto distruzioni lucidamente programmate, nel senso
che spesso una chiesa, a causa dell'importante posizione strategica o per altri motivi,
doveva cedere il posto ad un castello o ad un palazzo
1
.
Rolandino da Padova ci ha riferito che a Monselice, sui colli Euganei, Federico
II riconoscendo l'importanza strategica di quel luogo, aveva fatto demolire la Chiesa di
Santa Giustina situata in posizione dominante e costruire al suo posto una fortezza
2
.
Gli avversari andarono poi così lontano, fino a rimproverare all'Imperatore la
deliberata profanazione del luogo, dove prima sorgevano le chiese
3
.
Anche se queste accuse rientrano, in parte, nella sfera del malevolo
travisamento dei fatti, non ci sono dubbi, tuttavia, circa la distruzione di chiese o la
confisca di possedimenti ecclesiastici operate allo scopo di costruirvi castelli o
fortezze.
Anche se l'Imperatore avrà indennizzato le chiese in questione con permute o
tacitazioni d'altro genere, per la perdita di un monumento, reso sacro dagli anni e dalle
tradizioni, non poteva esserci alcun risarcimento adeguato.
Inoltre, sotto Carlo I, lamentele e restituzioni stanno a dimostrare che, in alcuni
casi, non era stato concesso alcun indennizzo o che questo era stato giudicato
insufficiente.
Solo in due casi l'Imperatore deve essersi reso conto della sua ingiustizia: nella
rovina della chiesa di Sora
4
, città rasa al suolo dopo la rivolta scoppiata nel 1229
mentre l'imperatore si trovava in Terrasanta, e nell'abbattimento della Chiesa di
Lucera, distrutta per far posto alla colonia saracena
5
.
Questi fatti, devono aver tormentato la sua coscienza; a ciò, si ricollega la
disposizione, inclusa nel testamento, di ricostruire le due chiese
6
.
Ai molti casi di chiese demolite, fa riscontro soltanto una nuova creazione di
rilievo: la chiesa di Altamura, che doveva aumentare a quattro il numero delle chiese
palatine di Puglia (insieme con S. Nicola di Bari, S. Maria Maggiore di Barletta e la
chiesa di Acquaviva delle Fonti).
Senza dubbio, la chiesa di Altamura non fu l'unica fondata da Federico II
7
.
Nel 1247, per esempio, l'Hohenstaufen, eresse una chiesa vescovile in onore di
S. Vittore
8
, nella città-campo di Vittoria, alle porte di Parma. Nel caso della cattedrale
di Anglona (Basilicata)
9
, del duomo di Bamberg
10
e di Bari
11
, della Cappella di Santa
Maria e San Giorgio in Francoforte sul Meno
12
, come in quelli delle chiese conventuali
presso Lentini e di S. Maria della Valle
13
presso Messina (entrambe in Sicilia),
i privilegi e gli stanziamenti di Federico possono essere messi in relazione solo
indirettamente con il progetto di costruzione ecclesiastico.
Affreschi, oggi perduti, che rappresentano Ruggero II, Guglielmo I, Costanza
d'Altavilla e Federico II sulla facciata del Duomo di Cefalù
14
sono stati realizzati
probabilmente su commissione dell'Imperatore.
Federico nel 1215 e nel 1243 chiama il santuario di S. Nicola, fondato a Bari nel
1087, "capella specialis" o “nostra Capella”
15
. Onorò, inoltre, i monasteri di
Montecassino e Cava dei Tirreni
16
con la qualifica di "camere imperiales”, facendo
godere loro di una pace relativamente lunga nonostante la guerra tra l'imperatore ed il
papa Gregorio IX.
È da rilevare, invece, che nelle costruzioni di castelli e fortezze, Federico non
progettò mai di edificare una cappella. Fu Carlo d'Angiò a costruirne all'interno di
parecchi castelli svevi dell'ltalia Meridionale
17
.
Soltanto la cappella del castello di Lagopesole (Basilicata) viene, di quando in
quando, considerata nella ricerca come parte integrante delle componenti federiciane
del castello
18
.
Nell'anno 1222 l'imperatore in persona partecipa alla consacrazione della
Cattedrale di Cosenza (Calabria)
19
di cui era arcivescovo Luca Campano, già alla corte
siciliana del re infante nel 1189 e nel 1201 come notaio. In questa Cattedrale, furono
seppellite, in un sarcofago di marmo, le spoglie di re Enrico, figlio di Federico II e re
di Germania, suicidatosi nel 1242 in seguito alla prigionia, impostagli dal padre, per la
sua ribellione e per l'alleanza con i comuni lombardi del 1234.
Questi pochi documenti conservati, già dimostrano quanto sia da considerare
assolutamente inesatto il rimprovero che i contemporanei rivolgevano a Federico per
essersi dedicato esclusivamente alla costruzione dei suoi castelli
20
.
Ma non può esserci ombra di dubbio neanche sul fatto che l'imperatore non
senti urgente il bisogno di compiere opere pie, fondando e creando nuove chiese e
monasteri, come gli aveva già raccomandato nelle sue lettere il notaio Tommaso da
Gaeta.
È, quindi, comprensibile lo stupore del canuto diplomatico che, ai suoi tempi,
aveva assistito al sorgere dei numerosi edifici religiosi di Guglielmo II
21
e ora, invece,
vede Federico "erigere in altum arces [...] in ascensum arduos colles munire [...]
latera montium abscindere, multiplicibus muris et turribus sepire"
22
.
La strada che il giovane Imperatore aveva imboccato, era di gran lunga diversa
da quella percorsa dai re normanni; ma, a questo punto, è spontaneo chiederci se in ciò
possiamo vedere l'espressione di una ideologia laica o ostile alla Chiesa, come è stato
rinfacciato a Federico n dai suoi contemporanei di parte avversa, a partire da quando il
precipitare della situazione e la necessità delle cose lo costrinsero ad intraprendere la
grande lotta contro il papato
23
.
Proprio le lamentele di Tommaso da Gaeta, mosse negli anni in cui la pace con
il Papa non era ancora stata offuscata, parlano in senso contrario.
Il comportamento di Federico II diventa comprensibile, anche senza
presupporre una deliberata ostilità verso la Chiesa, se invece delle tradizioni normanne,
si prendono a confronto quelle sveve.
È stato osservato, infatti, che le fondazioni religiose degli Svevi siano
veramente poche rispetto a quelle degli Ottoni e Salii
24
nel Reich, e rispetto a quelle
dei Nonnanni nell'ltalia meridionale, e che le opere che hanno motivato la fama di
committenti di Federico Barbarossa e di Enrico VI, fossero costituite quasi
esclusivamente da residenze imperiali.
La Cattedrale di Santa Maria in Altamura, quindi, costituisce un unicum: è
l'unico edificio sacro tuttora in buono stato di conservazione, voluto, fondato e
riconosciuto da un Imperatore che sembrò preoccuparsi solo della corona, piuttosto che
della salvezza dell.anima.
Ma anche la Cattedrale vede, in un certo senso, sfumare i confini cui è
sottoposta per destinazione d’uso e significati simbolici: sarà anch’essa, infatti, come
avremo modo di dire meglio in seguito, un centro di potere, piuttosto che la traduzione
in pietra del simbolo divino.
NOTE
1
Così annota puntualmente A. HASELOFF, Architettura sacra, in Architettura sveva
nell’Italia Meridionale (1920), trad. it. a c. di L. Bibbò, I, Bari, Adda Editore, 1992,
pp. 26-27.
2
Vd. Regesta imperii, V, Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp von Schwaben,
Otto IV"': Friedrich II. Heinrich VII. Conrad IV, a c. di J.F. Bohmer, Innsbruck,
Wagner, 1881, p. 1002, n. 2428 a.
3
Così nella Vita Gregorii IX, in Le liber censuum de I'eglise romaine, a c. di P. Fabre
e L. Duchesne, Il, Paris, E. De Boccard, 1893, [1981], p. 31, secondo cui Federico II
avrebbe usato le rendite delle chiese vacanti per la costruzione dei suoi castelli; e anche
Nicolaus De Carbio, Vita Innocentii IV, a c. di F. Pagnotti, Roma, Società Romana di
Storia Patria, 1898, p. 102, in cui il Papa rimprovera all'Imperatore di aver costruito la
latrina del suo castello nel luogo in cui c'era l'altare di una chiesa.
4
Per la distruzione di Sora, vd. Regesta imperii, V, cit., p. 940, n. 1765 a; vd. anche
Historia diplomatica Friderici II, a c. di J.- L.- A. Huillard- Breholles, IV, Paris, H.
Plon, 1858, p. 909; inoltre M.S. CALÒ MARIANI, L'arte del Duecento in Puglia,
Torino, Istituto Bancario S. Paolo di Torino, 1984, p. 113.
5
Per il trapianto dei saraceni a Lucera e sulla storia della colonia, vd. E.
KANTOROWICZ, Federico Il imperatore (1927), trad. it. a c. di G. Pilone Colombo,
Milano, Garzanti, 19814, pp. 115-117; P. EGIDI, La colonia saracena di Lucera e fa
sua distruzione, «Archivio Storico Napoletano», XXXVI, 1911, IV, pp. 597-694;
inoltre, A. HASELOFF, Storia e topografia di Lucera nel XIII secolo, in Architettura
sveva dell'Italia meridionale, I, cit., pp. 99-340, in cui è scrutinato il materiale
bibliografico completo. Si veda, inoltre, in Monumenta Germaniae historica. Epistolae
saeculi XIII et regestis pontiflcum Romanorum selectae, I, BerIin, Rodemberg, 1883, p.
398, la lettera di protesta di Gregorio IX del 3 dicembre 1232 che lamenta la
distruzione della Chiesa di S. Pietro, appartenente al convento di S. Lorenzo presso
Lucera: i saraceni avrebbero portato via dalla Cattedrale in roVina, pietre e armature di
legno, per la costruzione delle loro case.
6
Regesta imperii, V, cit., p. 2740, n. 3825 a.
7
Su Federico II committente nella costruzione di chiese: R. WAGNER RIEGER, Die
Architektur der Hohenstaufen, in Die Italienische Baukunst zu Beginn der Gotik, II,
Süd-und Mittelitalien, Graz-Koln, H. Bohlan, 1957, pp. 146-182; R. BONELLI & C.
BOZZONI, Federico II e la Cattedrale di Altamura, «Antichità Viva», XXI, 1982, n.
2/3, pp. 2-20; e infine CALÒ MARIANI, L 'arte del Duecento in Puglia, cit., p. 113.
8
Ce ne dà notizia Monumenta Germaniae historica, Scriptores rerum Germanicarum
in usum scholarum ex Monumentis Germaniae historicis separatim edidit, XVIll,
Chronica regia coloniensis, a c. di Q. Waitz, Hannover, Hahniani, 1871, p. 791; per la
costruzione della città di Vittoria, vd. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, cit.,
pp. 656-659; per dati più precisi, vd. P. COLLENUCCIO, Compendio dell'Historia del
Regno di Napoli, Venezia, Tipografia Giunti, 1613, p. 97 e poi ancora HASELOFF ,
Architettura sacra, in Architettura sveva ne// 'Italia meridionale, cit., p.356.
9
Sulla donazione dell'imperatore alla cattedrale di Anglona (intorno al 1221): F.G.
BIEHRINGER, Kaiser Friedrich II, Berlin, Vaduz, 1965, p. 361 e C. GARZYA
ROMANO, Calabria e Sicilia Romanica, in Italia Romanica, IX, Milano, Jaca Book,
1988, p. 103.
10
Sulla fondazione di Bamberg «ad opus ecclesie» (1225): R. NEUMÜLLERS
KLAUSER, Die Quellen zur Bangeschichte des Ekbert-Domes nach 1185, in Der Dom
in Bamberg, I, Berlin, Vaduz, 1979, pp. 32-51; R. HAUSSHERR, Dombauten und
Reichsepiskopat im Zeitalter der Staufer, Mainz, Akadernie der Wissenchaft und der
Literatur, 1991, p. 28.
11
Nel 1209, per mano di Gualtiero di Pagliara, Federico dona all'arcivescovo di Bari,
Berardo Costa, due pezzi di terreno per costruzione, come si evince in Codice
Diplomatico Barese, I, Le pergamene del Duomo di Bari (952-1264), Bari, Società di
Storia Patria, 1897, pp. 143-144, n. 74.
12
Su preghiera dei cittadini di Francoforte nel 1219 Federico II lascia in eredità per la
costruzione della cappella (oggi San Leonardo) un appezzamento dei beni imperiali,
come in H. SCHOMANN, Frankfurter Baudenkmliler schildern. Illustriente
Beschreibung der wichtigsten historischen Gebäude der Stadt, Frank.furt, Weidmann,
1977, p. 22.
13
Su S. Maria della Valle: WAGNER RIEGER, Die italienische Baukunst zu Beginn
der Gotik, cit., pp. 170-173; invece, W. KRÖNIG, Sizilien, in Kunstdenkmäler in
Italien, Darmstadt, R. Hootz, 1986, p. 438, per una possibile datazione al tempo degli
Aragonesi.
14
Degli affreschi c'è testimonianza soltanto a partire dal 1323. Vd. G. SAMONÀ, Il
Duomo di Cefalù, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1940, p. 27, e inoltre G.
CASSATA, G. COSTANTINO & R. SANTORO, Sicilia Romanica, in Italia
Romanica, VII, Milano, Jaca Book, 1986, p. 273.
15
Codice Diplomatico Barese, VI, Le pergamene di S. Nicola di Bari. Periodo svevo
(1195-1266), Bari, Società di Storia Patria, 1906, pp. 53-54, n. 33.
16
Beato Balsamo (1208-1232), abate di Cava, fu molto apprezzato dall'imperatore
Federico II che lo nominò giustiziere reale per tutti i possedimenti cavensi e dichiarò la
Badia, "Camera Imperiale".
17
Vd., CALÒ MARIANI, L'arte del Duecento in Puglia, cit., pp. 113-114.
18
Più esauriente per la collocazione della cappella del castello: A.A. WESMÜLLER,
Notes on the Castle of Lagopesole in Basilicata, «Castelluffi», XX, 1980, n. 3, pp.
566-578 e M. AVAGNINA, Lagopesole: un problema di architettura federiciana, in
Federico il e l'arte del Duecento italiano, Atti della III Settimana di Studi di Storia
dell' Arte Medievale dell'Università di Roma (Roma, 15-20 maggio 1978), I, Galatina
(Le), Congedo Ed., 1980, pp. 153-174.
19
WAGNER RIEGER, Die italienische Baukunst zu Beginn der Gotik, II, cit., p. 115,
p. 120 e p. 170; GARZY A ROMANO, Calabria e Basilicata Romaniche, cit., p. 126.
20
Sulle rimostranze di papa Gregorio IX e del consulente legale Tommaso da Gaeta,
vd. CALÒ MARIANI, L'arte del Duecento in Puglia, cit., p. 113, p. 214 e nota 3;
anche E. HORST, Federico il di Svevia (1977), trad. it. a c. di G. Solari, Milano;
Rizzoli, 1981, pp.135-141.
21
Vd. la lunga elencazione di chiese costruite da Guglielmo II in G.A. SUMMONTE,
Historia della città e Regno di Napoli, Napoli, A. Bulifon, 1675, pp. 64-72.
22
L'intera lettera di Tornmaso da Gaeta a Federico II è in P. KEHR, L'epistolario di
Tommaso da Gaeta giustiziario di Federico II, trad. it. a c. di G.B. Guarini, «Rivista
Abruzzese di Letteratura e Arti», XXI, 1906, IV, pp. 55-155; la lettera è la n. XI, p. 60.
Tornmaso da Gaeta. funzionario siciliano noto nel 1191 come notaio e intorno al 1195
come giustiziere, fu nel 1202 "regiae curiae magister iustitiarus". Incaricato di
numerose missioni presso la Curia, ne aveva assimilato alcune idee. Così
KANTOROWICZ, Federico II imperatore, cit., p. 106.
23
Circa l'analisi dell'evoluzione dei rapporti tra Federico II e la Curia Romana,
interessante D. ABULAFIA, Federico II (1988), trad. it. a c. di G. Mainardi, Torino,
Einaudi, 1990, pp. 110-168.
24
V. BEZOLD & G. DEHIO, Die Kirchliche Baukunst des Abendlandes, I, Stuttgart,
G. Mohn, 1892, p. 480.