5
e amministrativi ad enti che prima ne erano privi oppure che ne godevano in forma
limitata e derivata.
Ma non può esserci vero federalismo se alle funzioni e poteri allocati non fa
riscontro la possibilità di un'autonomia finanziaria e tributaria che consenta alle
diverse istituzioni di farsi realmente carico delle proprie potestà, senza dover
continuamente richiedere il trasferimento di risorse ad un organismo superiore.
Il federalismo fiscale è la conseguenza logica di questa necessità e l'art. 119
Cost., come riformato, descrive le tipologie di entrate degli enti introducendo il
fondamentale principio secondo il quale “le risorse derivanti dalle fonti di cui ai
commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”.
Il presente lavoro illustrerà il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito alle
innovazioni portate dal nuovo art. 119 Cost., tanto nel campo dei diversi istituti
introdotti in materia tributaria di entrata (tributi propri, compartecipazioni al gettito,
perequazioni fiscali, interventi speciali...) e di spesa dei diversi enti, quanto nella
controversa materia della natura dell'autonomia locale e del coordinamento della
finanza pubblica.
Nell'intenzione del legislatore costituzionale appare evidente la volontà di una
espansione dell'autonomia locale, a questo non sembra però corrispondere
l'esperienza pratica che ha visto il legislatore nazionale lasciare alla Corte la
definizione applicativa del Titolo V, oltre ai dubbi della dottrina, ha dimostrato come
questa risulti immobilizzata su posizioni non dissimili dal precedente assetto
istituzionale.
Infatti ciò che nel testo normativo appare chiaro non lo è nella sua applicazione, e
6
prova di questo è l'attesa, a 6 anni dall'approvazione della novella costituzionale,
dell'attuazione del federalismo fiscale nel sistema istituzionale italiano.
Come illustrato al termine di della presente opera, alcune recenti iniziative
regionali e nazionali stanno portando alla definizione di un federalismo fiscale
modellato sul primato di Stato e Regioni nel coordinamento e nella definizione dei
limiti entro cui si esplica l'autonomia degli Enti locali.
7
CAPITOLO I
1. Il cammino dell’assetto istituzionale repubblicano
Con l’anno 2001 l’assetto repubblicano ha visto una vera rivoluzione rispetto al
precedente sistema, infatti, l’avvento della "riforma Bassanini" (l. 15 marzo 1997, n. 59),
ed in particolare l’affermarsi del principio di semplificazione amministrativa, hanno
portato ad un maggior protagonismo degli Enti locali.
La legge Cost. 3 del 18 ottobre 2001 ha totalmente riformato il titolo V della
Costituzione dando un’impostazione federalista rispetto al precedente sistema
regionalista sotto l'egida del Governo centrale.
L'introduzione del principio di sussidiarietà nell'articolo 118 della Costituzione, resi
equi ordinati gli enti locali rispetto alle istituzioni superiori, dopo aver cancellato istituti
incompatibili con l’assetto istituzionale paritario quali il Commissario di Governo,ha
fatto in modo che la Repubblica si trovi ora ad essere un sistema ben più federale di
quello previsto dall’originario testo del 1948.
Affinché gli enti destinatari delle nuove funzioni siano davvero in grado di esercitare
quanto conferito è necessaria una nuova autonomia finanziaria, ma se formalmente si è
compiuta tale trasformazione, il livello sostanziale presenta ancora diverse pesanti
lacune.
La mancanza di decreti attuativi dell'art. 119 Cost., denunciata in più occasioni nei
8
primi anni dopo l’approvazione della riforma
1
, crea la situazione paradossale di un
federalismo monco
2
: ai poteri e funzioni delegate non fa riscontro la delega di
un’autonomia fiscale che sia in grado sostenere tali conferimenti.
Il necessario traguardo che il legislatore costituzionale deve raggiungere è quello di
un federalismo fiscale che sorregga il federalismo istituzionale, unica via perché in Italia
si attui anche a livello sostanziale ciò che la riforma del Titolo V ha enunciato ormai da
anni.
Questo è il parere di tutte le parti in causa.
Come sostenuto dai diversi Enti locali devolvere funzioni senza trasferire la
possibilità di finanziarle fa venir meno la possibilità di realizzare una vera autonomia
delle Istituzioni territoriali che si trovano ancor oggi a dover chiedere al Bilancio dello
Stato le risorse necessarie
3
.
2. Sistema previgente, dall'unità d'Italia al vecchio Titolo V
Il sistema trae la propria origine nell'unità d'Italia, ed era caratterizzato da un regime
politicamente accentratore con il compito di controllare, gestire e fornire omogeneità
alla neonata nazione
4
.
Il governo centrale di fine ottocento vede le Province e i Comuni come propri vicari:
tali Istituzioni sono appunto chiamate ad essere la longa manus politica e amministrativa
1
Si vedano le sent. 37 del 2004 , 296 e 297 del 2003 della Corte Costituzionale
2
tra i molti BERTOLISSI M., Una riflessione sul federalismo fiscale, in ANTONINI Verso un nuovo
federalismo fiscale, Giuffrè, 2005, 138
3
idem
4
BIN R., Diritto Regionale, il Mulino, 2004, 10
9
dello Stato, quest’ultimo, conferendo in particolare ai Comuni la competenza
sull'istruzione primaria con la creazione di un sistema scolastico nazionale, ha proceduto
nello sviluppo dell'Italia come nazione unitaria.
Il principio del primato dello Stato sui sistemi locali viene ripreso fortemente durante
il periodo fascista per poi essere avversato nel 1948, quando il collante dei padri
costituenti, appartenenti ad un'assoluta varietà di opposti schieramenti, era proprio
l'antifascismo.
L'impostazione Sabauda subisce i primi colpi con l'introduzione del titolo V della
Costituzione Repubblicana che ne apporta una consistente riforma: la creazione delle
Regioni causa quella svolta regionalistica già teorizzata ed auspicata anni prima da
illustri esponenti della politica italiana quali Luigi Sturzo
5
, questo avviene nonostante la
guida del governo centrale continui a mantenere un costante primato grazie al principio
dell'interesse nazionale
6
.
Malgrado l'organismo regionale sia già espressamente presente nel testo del 1948,
sono necessari oltre venti anni perché prenda definitivamente corpo; il primo atto in tal
senso consiste nella promulgazione della legge per l'elezione dei Consigli Regionali (l.
17 febbraio 1968, n. 108) ed i relativi provvedimenti finanziari (l. 16 maggio 1970, n.
281) conclusi con il successivo conferimento di poteri a partire dai d.p.r. del 1972.
La Costituzione vede tra i suoi principi fondamentali l'art. 5 che determina
l'indivisibilità della Repubblica ma al tempo stesso "promuove le autonomie locali; attua
5
STURZO L., La Regione, Milano, 1949, 322
6
BERTOLISSI M., Una riflessione sul federalismo fiscale, cit , 137
10
nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo;
adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del
decentramento".
Viene quindi riconosciuta un’unitarietà che valorizzi al meglio le autonomie locali,
così come sono descritte negli articoli del Titolo V che ne definisce il ruolo all'interno
della Repubblica.
L'art. 114 Cost. introduce nell'assetto istituzionale del Paese le Regioni che vanno ad
aggiungersi a Comuni e Province già presenti nel panorama pre repubblicano
antecedente al 1948.
Se nel primo articolo del Titolo V i vari ordinamenti appaiono accomunati, in realtà
il Legislatore ha voluto dare una caratura ben diversa all'istituto regionale rispetto agli
altri ordinamenti, come chiaramente espresso dagli art. 115 e 128 Cost.
Recita, infatti, l'art. 115 Cost. che "le Regioni sono costituite in enti autonomi con
propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione" mentre l'art. 128
Cost. dichiara che "le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi
fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni".
E' quindi concesso alle Regioni un rango costituzionale non riconosciuto agli altri
livelli locali, con un chiaro intento di privilegiare le prime rispetto ai secondi
7
.
A questo va aggiunta la quantità di articoli dedicati all'ordinamento regionale (dal
115 al 127 oltre al 131 Cost.) contro i tre dedicati agli organismi comunali e provinciali
(128,129 e 130).
7
DALL’AGATA M.,Il principio di sussidiarietà e il sistema finanziario della repubblica, Bologna, 2005,
31
11
Altra fondamentale distinzione risulta dalla possibilità per le Regioni di ricorrere alla
Corte Costituzionale, diritto non riconosciuto alle altre autonomie locali che nulla
possono contro leggi regionali e statali che li pregiudichino.
3. Il precedente art. 119 Cost.
Il Titolo V dedica l’articolo 119 Cost. alla definizione dell’autonomia tributaria delle
Regioni per il finanziamento delle proprie funzioni e dei bisogni relativi al proprio
territorio
8
.
Il primo comma dell'articolo conferisce alla legge il compito di stabilire quali siano
le caratteristiche del sistema fiscale e tributario, in linea con quanto prescritto
dall'articolo 23 Cost. che costituisce una riserva di legge sul prelievo ai cittadini
("nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge").
Fino agli anni '70 la situazione legislativa in materia tributaria è considerata al di
fuori di qualsivoglia coordinamento se non addirittura in preda al caos, il sistema fiscale
italiano è stato definito dagli studi effettuati all'epoca «tale da dover essere considerato
obiettivamente inapplicabile»
9
.
A sua volta la legislazione fino agli anni ’90 è caratterizzata dall’assenza di
8
Art. 119 Cost. "Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della
Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province, e dei Comuni. Alle Regioni sono
attribuiti tributi propri e quote dei tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese
necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente
per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi
speciali.La Regione ha un proprio demanio o patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della
Repubblica.”.
9
COSCIANI C., Stato dei lavori della commissione per lo studio della riforma tributaria, Milano 1964, 29
12
qualunque visione sistematica delle relazioni finanziarie, nonché dalla rinuncia ad una
generale riorganizzazione delle funzioni pubbliche, secondo criteri di economicità, in
modo che si possano adeguare le risorse alle spese necessarie
10
.
Nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, si era rilevata la circostanza per
cui non era considerato sufficiente che «l’ordinamento costituzionale affermi che l’ente
territoriale minore può decidere attorno alla propria attività, perché possa considerarsi
attuata l’autonomia dell’ente se l’ente deve, poi, rimanere soggetto al controllo dello
Stato nel momento in cui chiede i mezzi per espletare le proprie funzioni»
11
.
Nonostante ciò, l’autonomia finanziaria, che nel testo costituzionale veniva presa in
considerazione solo per le Regioni e non era enunciata con riferimento agli Enti locali,
era invece espressa in modo vago dal dettato dell’art. 119 Cost. vecchio testo,
rimandandone la definizione di limiti e forme alle consuete «leggi della Repubblica».
Queste ultime, poi, avevano il compito di coordinare la finanza regionale con quella
dello Stato, delle Province e dei Comuni.
Discorso diverso vale per le Regioni, a queste il secondo comma dell'articolo 119
Cost. concede maggior autonomia attribuendo tributi propri e quote di tributi erariali in
relazione ai bisogni per le spese necessarie a adempiere le loro funzioni normali.
Oltre a questo erano previsti anche particolari interventi finanziari per rispondere a
determinati scopi e sostenere Regioni in difficoltà economica quali il Mezzogiorno e le
Isole.
10
MORRONE A., Il sistema finanziario e tributario della Repubblica. I principi costituzionali, Bologna,
2004, 9.
11
Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea
Costituente, Roma, 1946, volume V, Finanza, I, Relazione, 18.
13
Da queste considerazioni nasce l'esigenza della legge delega 825 del 9 ottobre 1971
che , perseguendo l'obiettivo di dare una razionalità ordine al caotico sistema tributario
del Paese il d.lgs. 825/71, limita il numero dei tributi dandone un nuovo
coordinamento
12
.
L'attuazione della legge delega e dell'art. 119 Cost. con la legge finanziaria regionale
n. 281 del 1970 non portò i risultati sperati a causa di un’impronta fortemente statalista
che pregiudicava un serio sforzo riformatore di una finanza regionale non raggiungendo
l'autonomia costituzionalmente prevista
13
.
Nonostante le prime norme devolutive degli anni '70, nell'ambito del sistema
tributario di Regioni ed enti locali permane un vincolo pressoché totale nei confronti
della normativa statale.
La situazione è facilmente rappresentata dalla questione dei tributi propri che le
Regioni avevano il compito costituzionale di istituire tramite leggi ma che in realtà la
legge statale già definisce in modo preciso e dettagliato non differenziandoli in sostanza
dalle quote erariali
14
.
Le stesse aliquote tributarie hanno un limite minimo ed un limite massimo dettato a
livello nazionale che non concede alcuna particolare elasticità alla discrezione
dell'organismo destinatario del prelievo.
Completamente vincolata risulta inoltre la finanza degli Enti locali, che hanno perso
negli anni ’70 ogni autonomia fiscale e si trovano a dover completamente dipendere dal
12
DE MITA E., Principi di diritto tributario, Milano 2004, 119-121
13
MORRONE A., Il sistema finanziario e tributario della Repubblica. I principi costituzionali, cit., 84-85.
14
Sulla questione si rimanda al capitolo secondo
14
bilancio dello Stato
15
per il normale svolgimento delle proprie funzioni.
4. Evoluzione delle istanze federaliste
Una volta compreso come il sistema pubblico amministrativo italiano sia prossimo al
collasso, e come l'eccessivo accentramento sia in forte contraddizione con i principi di
economicità e buon andamento che dovrebbero guidare la P.A.
16
, iniziano ora ad
affermarsi i primi tentativi riformatori.
Primo passo in questa direzione è concesso dall’approvazione della legge n. 142 del
1990, voluta per fornire nuovi strumenti al decentramento e che introduce per la prima
volta nel sistema il principio di sussidiarietà verticale
17
.
Viene concessa l'organizzazione dell'esercizio delle funzioni amministrative a livello
locale attraverso i Comuni e le Province alla Regione che ora detiene un ruolo
d’indirizzo, coordinamento e programmazione delle attività amministrative riferite al
proprio territorio.
Spetta alla Regione lo svolgimento diretto solo di alcune attività che attengono ad
esigenze di carattere unitario nel proprio territorio
18
.
Ai Comuni spettano tutte le funzioni che la l. 142/90 non ha espressamente concesso
agli altri enti, in questo caso viene infatti utilizzato un criterio di attribuzione residuale.
Anche in tema di finanza locale la suddetta legge compie una forte evoluzione, in
15
CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino 2002, 137
16
Art. 96 Cost. “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”
17
VENTURA L., Autonomia e sussidiarietà. Vicende e paradossi di una riforma infinita, cit., 30-31
18
MARTINES T., A. RUGGERI, Lineamenti di diritto regionale, Milano 2000, 317
15
particolare vengono concesse alle competenze esclusive dei Consigli comunali e
provinciali alcune materie prima detenute dallo Stato.
Sono, infatti, devolute agli organi collegiali locali l'istituzione e l'ordinamento dei
tributi e la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi.
Un altro caposaldo riformatore è costituito dalla legge 421 del 1992 che tenta di
concedere alle Regioni, alle Province ed ai Comuni la possibilità di provvedere ad una
rilevante parte del loro fabbisogno finanziario attraverso risorse proprie (art. 4, l.
421/92).
Tramite i decreti legislativi successivi a questa norma sono nati tributi quali ICI,
TARSU e addizionale IRPEF ancora fonti di primario sostentamento delle casse locali
ma caratterizzate dal limite in precedenza descritto: i nuovi tributi sono in ogni caso
definiti in modo dettagliato in ogni loro parte dalla legge statale, all'organismo locale
rimane semplicemente il compito di fissare la determinazione dell'aliquota entro i
termini definiti dalla legge stessa (ad esempio per l'ICI deve rientrare in un’aliquota
variabile tra il 4 e il 6 per mille).
Procedendo in ordine cronologico, la legge 59 del 1997, la c.d. riforma Bassanini,
fornisce una radicale evoluzione del sistema amministrativo italiano; la norma istituisce
un rapporto sussidiario all'interno della P.A. e crea sfere distinte tra l'indirizzo, che
spetta al potere politico, e la gestione del potere amministrativo con l'unica eccezione
concessa ai livelli di primaria importanza della pubblica amministrazione che
sottostanno a criteri di spoil system dovuti al necessario rapporto di fiducia con il potere
direttivo d’indirizzo.
16
Un nuovo riordino della disciplina dei tributi locali è stato definito grazie alla c.d.
riforma Visco, il d.lgs. 446/1997, che ha istituito l'imposta regionale sulle attività
produttive (denominata IRAP), la cui qualifica di tributo proprio sarà al centro di un
forte dibattito giurisprudenziale e dottrinale dopo la riforma costituzionale del 2001.
Come le altre tasse locali anche la nuova imposta era limitata dalla definizione
nazionale di ogni suo connotato fondamentale con la facoltà per Comuni e Province di
modulare alcune caratteristiche entro determinati limiti.
Per quanto visto, la normativa, fino al 2001, riconosceva all'autonomia impositiva
degli enti locali la semplice possibilità di decidere se istituire o meno i tributi già definiti
da una legge statale o regionale e nel caso “l'individuazione e definizione delle
fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli
tributi.”(art. 52 d.lgs. 446/97)
19
.
La massima evoluzione dell'autonomia tributaria degli anni '90 è quindi stabilita da
una lenta dismissione dell'utilizzo dei tributi erariali grazie alla predilezione dei tributi
propri; questi sebbene definiti dallo Stato davano all'Ente una leggera, tuttavia maggiore,
libertà impositiva, e tale operazione ha posto le basi strutturali alla successiva riforma
costituzionale
20
.
Bastano pochi cenni per descrivere altri due fattori necessari per inquadrare
globalmente la situazione antecedente alla novella costituzionale del 2001: i sistemi di
coordinamento e i meccanismi di perequazione.
I primi, nonostante il testo costituzionale lo richiedesse, non sono mai stati presi
19
GALLO F., Prime osservazioni sul nuovo art. 119 Cost., in «Rass. Trib.», 2002, 590.
20
MORRONE A., Il sistema finanziario e tributario della Repubblica. I principi costituzionali, cit., 84
17
realmente in considerazione dal legislatore, addirittura si pone l’accento riguardo a come
non vi sia mai stata una legge statale che abbia fissato complessivamente dei criteri di
coordinamento dei rapporti finanziari tra Stato, Regioni ed Enti Locali
21
Per sopperire alle differenze, spesso pesanti, di gettito delle Regioni è stato istituito
nel 1995 il Fondo Perequativo tramite la legge 549/95 per poi sostituirlo con il "fondo di
compensazione interregionale"
22
del D.lgs. 446/97.
Il d.lgs. 56/2000 inerente alle "disposizioni in materia di federalismo fiscale" che
destinava alla realizzazione di obiettivi di solidarietà interregionale una parte del gettito
della compartecipazione all'IVA ha per ultimo riformato la materia mantenendo il fondo
nelle modalità descritte dalla precedente normativa.
5. Sistema elvetico, cenni comparativi
Volendo affrontare il tema del federalismo può essere utile un cenno comparativo
all'ordinamento Svizzero, geneticamente federalista dalla fondazione nel 1291 da parte
dei tre originali Cantoni Switz, Uri ed Unterwalden.
La Costituzione del 1848 (poi profondamente rivista dal 1874 ad oggi) istituisce la
Confederazione, nata in periodo liberale per questioni ideali da un lato e assolutamente
pratiche dall'altro: alla volontà di condurre al livello supercantonale le nuove idee di
stato e istituzioni si aggiunge l'esigenza di una difesa comune e dei vantaggi apportati
dall'allargamento dei mercati interni.
21
GIARDA P., Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119: un economista di fronte alla nuova
Costituzione, in «Regioni», 6/2001, 1432
22
F. MOSCHETTI, Federalismo e procedimento di applicazione del tributo: occasione per un confronto tra
diverse culture, in «Riv. Dir. Trib.», 1/2002, nota n. 64, 250
18
Inizialmente al livello federale sono concesse solo poche attribuzioni e soprattutto
non è riconosciuta capacità impositiva
23
.
Nei decenni seguenti all'approvazione della Costituzione si susseguono diverse
riforme fino all'ultima e fondamentale tappa datata 1 gennaio 2000.
L'art. 44.1 definisce la pariordinazione di Cantoni e Federazione i quali "collaborano
e si aiutano reciprocamente nell'adempimento dei loro compiti".
Al governo centrale è riconosciuto dall'art. 49.1 il principio di fedeltà cantonale per il
quale "il diritto federale prevale su quello cantonale contrario" oltre all'art. 42.2 secondo
cui "assume i compiti che esigono un disciplinamento unitario".
Ai Cantoni è quindi concessa una rilevante autonomia dal punto di vista strutturale
potendosi organizzare con proprie Costituzioni (purché democratiche ex art. 51 Cost.) e
dal punto di vista funzionale grazie alle competenze di cui sono legittimati.
Notevole risulta la sovranità cantonale in materia tributaria grazia alla definizione
dell'articolo 126.2 "nella determinazione delle aliquote la Confederazione prende in
considerazione l'onere causato dalle imposte cantonali e comunali".
La maggior parte del prelievo fiscale è cantonale, raggiunge da solo il 40%, mentre
ai comuni ed all'ordinamento centrale spettano in egual misura il 30% a testa.
La forte competitività fra Cantoni necessita di un sistema di perequazione che limiti
gli squilibri.
Il sistema è strutturato su di un reparto verticale (versamenti dalla confederazione ai
Cantoni) ed uno orizzontale (ridistribuzione delle risorse fra i diversi Cantoni).
23
VIVIANI SCHLEIN M. P., Federalismo e regionalismo in Svizzera in Federalismo e regionalismo,
Giuffrè, Milano 2005, 108