addossare ai cittadini sotto forma di tasse e di tariffe siano frutto di una scelta
autonoma dell’ente locale, così da determinare efficienza ed economicità.
Obiettivo fondamentale dell’’attuazione dell’articolo 119 è il superamento del
sistema di finanza regionale e locale ancora improntato a meccanismi di
trasferimento, in cui le risorse finanziarie di Regioni ed enti locali non sono stabilite
e raccolte dagli enti che erogano i servizi ma derivano loro, in misura significativa,
dallo Stato, in base al criterio dei ripiani a piè di lista. In questo modo tuttavia il
sistema di finanza derivata non favorisce la responsabilizzazione degli
amministratori, né il controllo dei cittadini. Gradualmente si passerà all’autonomia
impositiva e al criterio dei «costi standard », per garantire a tutti eguali prestazioni.
Scopo del seguente lavoro è quello di ripercorre l’evoluzione del federalismo fiscale
in chiave principalmente tributaria ponendo l’attenzione soprattutto sui riflessi e le
conseguenze che un tale progetto riformatore avrà a regime sull’autonomia
finanziaria degli enti decentrati, anche se una riflessione completa e corretta del
federalismo fiscale o anche solo della storia della finanza locale degli ultimi anni in
Italia richiederebbe un volume, non poco più di un centinaio di pagine.
Cuore dell’elaborato è l’analisi della legge delega in tema di federalismo fiscale che
attua dopo circa otto anni di attesa le previsioni costituzionali disposte nell’art.119.
L’elaborato si sviluppa su tre capitoli che seguono una linea temporale.
Il primo capitolo analizza il dettato costituzionale in tema di federalismo fiscale,
quindi dopo una breve presentazione della Riforma del titolo V ci si sofferma in
maniera dettagliata sull’articolo 119 alle cui linee è ispirato il modello di
decentramento fiscale. La novella costituzionale del 2001, sconvolgendo il Titolo V
ha trasformato l'Italia in una repubblica federale, dove Stato, Regioni, Province, Città
e Comuni hanno pari dignità.
La riforma ha così devoluto, tramite gli articoli 117 e 118 Cost., poteri legislativi
e amministrativi ad enti che prima ne erano privi oppure che ne godevano in forma
limitata e derivata. Ma non si può parlare di federalismo se alle funzioni e poteri
allocati non fa riscontro la possibilità di un'autonomia finanziaria e tributaria che
consenta alle diverse istituzioni di farsi realmente carico delle proprie potestà, senza
dover continuamente richiedere il trasferimento di risorse ad un organismo superiore.
Introduzione
IX
Il federalismo fiscale è la conseguenza logica di questa necessità e l'art. 119 Cost.,
come riformato, descrive l’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali,
traccia i principi concernenti, le modalità di finanziamento delle loro attività. Nei
primi quattro commi infatti l’articolo 119 individua le fonti di finanziamento degli
enti decentrati nelle risorse scaturenti da tributi ed entrate proprie, da
compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, dal fondo perequativo per i territori
con minore capacità fiscale per abitante; continua al comma successivo con
l’individuazione delle risorse speciali e aggiuntive per far fronte ad esigenze
particolari.
Dopo aver esaminato le basi su cui poggia il federalismo fiscale si entra nel
cuore dello studio offrendo un’analisi sulle legge delega di recente attuazione senza
però tralasciare il travagliato e lungo percorso attuativo dell’articolo 119. In effetti
quello che appare evidente nell’intenzione del legislatore costituzionale di attuare
un’espansione dell'autonomia locale, non sembra corrispondere all'esperienza pratica
che ha visto il legislatore nazionale lasciare alla Corte la definizione applicativa del
Titolo V, in un periodo di paralisi comprovato dalla lunga attesa di oltre otto anni
dall’approvazione della novella costituzionale, dell'attuazione del federalismo
fiscale nel sistema istituzionale italiano.
Inizialmente si ripercorre l’avanzamento nel tempo del processo federalista e le
annesse tappe che lo hanno caratterizzato, a partire dal d.lgs 56/2000 che
nominalisticamente ha introdotto il termine di federalismo fiscale fino ad arrivare
alla bozza Calderoli che ha rappresentato, dopo diverse integrazioni e modifiche, la
versione definitiva della legge delega oggetto di analisi di questo capitolo.
Quindi si entra nel vivo della questione trattando i contenuti e le caratteristiche della
legge delega fornendo una rappresentazione della sua struttura, a cogliere i risultati
conseguiti e le questioni aperte, in certo modo prefigurando i possibili scenari
destinati a realizzarsi con l’attuazione della delega.
Aspetto peculiare sono i riflessi e le conseguenze derivanti dall’attuazione della
delega sull’autonomia tributaria degli enti locali: il nuovo decentramento amplia le
responsabilità degli enti, definisce le modalità e i criteri direttivi del finanziamento
delle attività, introduce politiche premianti e punitive.
Introduzione
X
Nella considerazione che il federalismo fiscale per diventare operativo necessita di
una serie di provvedimenti che si snoderanno nell’arco di sette anni: due anni per
l’attuazione e cinque per il regime transitorio, in ultimo si introduce il sistema
attuale delle imposte locali nelle sue principali manifestazioni di decentramento
fiscale. Ciò consente di affermare che il federalismo cui oggi si tenta di dare
attuazione, pur previsto da diverse disposizioni costituzionali, non si presenta come
una novità, intervenendo su una platea di enti già dotati di un certo margine di
indipendenza, quale conquista ottenuta a partire dagli anni Novanta, grazie ad un
consistente decentramento: amministrativo, politico, e finanziario, volto ad attribuire
agli enti locali maggiore indipendenza e responsabilità.
Procedendo in questa direzione, il terzo capitolo riassume interamente le tappe più
rilevanti del processo tributario a livello regionale e locale. Si evidenzia il graduale
passaggio dal cosiddetto “ centralismo fiscale”degli anni ‘70 al decentramento
fiscale degli anni ‘ 90, anni che hanno rappresentato la svolta in termini di autonomia
tributaria con l’istituzione di importanti tributi quali l’Ici, l’Irap, le addizionali
all’Irpef che ancora oggi, in un contesto in fase di cambiamento rappresentano gli
esempi più significativi di entrate tributarie a livello locale; per questo motivo si è
scelto di tracciare un quadro di sintesi di questi tributi alla luce anche di interventi
normativi recenti che ne hanno cambiato alcuni aspetti fondamentali e che per alcuni
versi ne lasciano intravedere anche un futuro incerto.
In conclusione un annotazione si rende necessaria. Il lavoro presentato di seguito
riguarda un tema molto attuale che suscita continue polemiche e argomentazioni; è
soggetto a cambiamenti, anche significativi, nel breve e medio periodo, sulla base
delle future evoluzioni normative e della concreta attuazione che avverrà a breve, che
ad oggi non ancora del tutto prevedibili.
Introduzione
XI
Capitolo Primo
IL DETTATO COSTITUZIONALE IN TEMA DI FINANZIAMENTO DEGLI
ENTI DECENTRATI
1.1 Il decentramento fiscale: premessa
Al fine di offrire un quadro corretto del contesto in cui si inserisce il federalismo
fiscale, le cui linee guida sono contenute nella legge 5 maggio 2009, n. 42, si deve
osservare che la sua introduzione, operata con la riforma del titolo V della
Costituzione, è stata preceduta, negli anni Novanta, da un consistente
decentramento: amministrativo, politico, e fiscale, volto ad attribuire agli enti locali
maggiore indipendenza e responsabilità. Si tratta di un complesso di interventi
estremamente ampio che ha introdotto nelle funzioni e nell’attività degli enti,
mutamenti consistenti a «costituzione invariata
1
». Ciò consente di affermare che il
federalismo cui oggi si tenta di dare attuazione, pur previsto da diverse disposizioni
costituzionali, non si presenta come una novità, intervenendo su una platea di enti
già dotati di un ampio margine di indipendenza
2
.
Il tema del decentramento della finanza pubblica ha infatti storicamente
accompagnato il lungo ma inesorabile processo evolutivo del nostro ordinamento
verso un sistema politico e amministrativo multilivello
3
.
Concettualmente, con il termine di decentramento si intende il trasferimento di
responsabilità e autorità per le funzioni pubbliche da un Governo centrale ai governi
subordinati: diversi poteri decisionali e responsabilità sono devolute a diverse sub-
unità del governo. In generale, il decentramento può avere natura:
Politica: i cittadini locali e i loro rappresentanti acquistano maggiore potere
decisionale;
Il dettato costituzionale
Capitolo I
1
1
L’autonomia finanziaria degli enti locali, si e ` sviluppata per effetto della legislazione statale, senza interventi
costituzionali.
2
Perez R., I tributi delle Regioni, in Giornale di diritto amministrativo, n.8,2009: pag. 809 e ss.
3
Fiorentini L., I profili organizzativi, in Giornale di diritto amministrativo, n.8, 2009: pag. 831 e ss
Amministrativa: si basa sulla redistribuzione di autorità, responsabilità e risorse
tra i diversi livelli di Governo;
Fiscale: comporta la definizione a livello locale di poteri relativi all’aumento di
reddito e all’accesso ai trasferimenti e alle decisioni sulle spese correnti di
investimento.
In generale, il decentramento fiscale ha sempre anche natura amministrativa e
politica e, viceversa, il decentramento politico e amministrativo, comportano, come
conseguenza, anche il decentramento fiscale.
La forma più estrema di decentramento fiscale è rappresentata dalla “devoluzione”,
meglio nota come devolution, tramite la quale ai governi sub-nazionali sono
concesse responsabilità per l’erogazione di servizi pubblici e l’autorità di imporre
tasse e canoni per finanziare i servizi stessi.
Il termine decentramento spesso viene utilizzato, forse non proprio correttamente,
come sinonimo di federalismo; in effetti il decentramento è lo strumento per
realizzare il federalismo inteso come quel processo delineato dalla riforma del titolo
V della Costituzione che ampliando i poteri amministrativi e legislativi degli enti
decentrati, è rimasto incompleto, almeno fino alla recente svolta della legge delega
42/2009, proprio per mancanza del federalismo fiscale, determinato dalla mancanza
di decreti attuativi dell'art. 119 Cost., denunciata in più occasioni nei primi anni dopo
l’approvazione della riforma.
Come afferma l’autore «E’ indubbio che il processo federale o è fiscale o non ha
valenza efficace
4
»
Ciò crea la situazione paradossale di un federalismo monco: ai poteri e funzioni
delegate non fa riscontro la delega di un’autonomia fiscale che sia in grado sostenere
tali conferimenti. Il necessario traguardo che il legislatore costituzionale dovrà
raggiungere attraverso i successivi decreti attuativi previsti dalla legge delega 42/09
è quello di un federalismo fiscale che sorregga il federalismo istituzionale, unica via
perché in Italia si attui anche a livello sostanziale ciò che la riforma del Titolo V ha
enunciato ormai da anni.
Il dettato costituzionale
Capitolo I
2
4
Cfr. Antonini L., Il nuovo federalismo fiscale, in Tributi locali e Regionali, n. 1, 2009.
Il processo di devoluzione agli enti territoriali di funzioni e compiti politici e
amministrativi, avviato fin dagli anni settanta dello scorso secolo, con l’istituzione
delle regioni
5
, e ripresa venti anni più tardi, con le riforme Bassanini
6
, non è stato
accompagnato dal riconoscimento di una decisa autonomia finanziaria, con la
conseguenza che il sistema dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali ha
seguito il modello della finanza derivata
7
: seppur riconoscendo il ruolo del
decentramento finanziario, questo era inteso in termini derivati rispetto a quello
statale e realizzato in termini di autonomia finanziaria, ovvero in termini di
autosufficienza delle risorse finanziarie trasferite agli enti territoriali.
Al decentramento delle decisioni di spesa non ha corrisposto, infatti, un analogo
decentramento delle decisioni di entrata, per cui le amministrazioni locali non sono
state sufficientemente responsabilizzate nella gestione dei propri bilanci e il livello
della spesa pubblica è lievitato con conseguente peggioramento dei saldi di finanza
pubblica. La riforma costituzionale del 2001 che riconosceva agli enti territoriali
piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa, pur contemperando le istanze
autonomistiche con le esigenze perequative e di unitarietà della Repubblica, è
rimasta inattuata per molti anni, essendo falliti i diversi tentativi avviati in tal
senso
8
.
Il dettato costituzionale
Capitolo I
3
5
La Regione è un “invenzione” repubblicana che, al pari di altre significative innovazioni istituzionali, è stata
svalutata nelle fasi successive di attuazione della Carta Costituzionale. Quando, con ampio ritardo, (nel 1970,
dopo più di vent’anni dall’entrata in vigore della Costituzione) si diede attuazione legislativa a tale ente, la
tendenza politica ed economica dominante considerava lo Stato centrale quale strumento politico indefettibile
nella produzione di servizi pubblici e nella realizzazione di condizioni di eguaglianza sostanziale. In questo senso
Giovanardi A., L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005: 35-36.
6
Ci si riferisce alla legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione
amministrativa” (cosiddetta Bassanini uno, dal nome del ministro proponente) e alla legge 15 maggio, n. 127
“Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di
controllo” (cosiddetta Bassanini due). Le due leggi sono state ulteriormente modificate negli anni seguenti (legge
n. 191 del 1998 e legge n. 50 del 1999, cosiddette Bassanini ter e quater) Tali provvedimenti sono anche
denominati “misure di federalismo amministrativo” o “pacchetto Bassanini”
7
Cfr, Fiorentini L., op.cit.;
8
Si pensi all’istituzione, nel 2002, dell’Alta Commissione perla definizione dei meccanismi strutturali del
federalismo fiscale (l. n. 289/02) e, successivamente, al mancato seguito del disegno di legge in materia di
federalismo fiscale proposto nel 2007 nel corso nella XV legislatura, come si dirà meglio nel proseguo del
presente lavoro.
1.2 Il decentramento fiscale nel tempo
Dopo la premessa si ripercorrono le tappe più importanti
9
che hanno caratterizzato
il decentramento fiscale.
E’ noto che la Riforma Fiscale degli anni ’70 ha previsto un sistema fortemente
accentrato, nel quale il finanziamento degli enti locali era connotato principalmente
da trasferimenti da parte dello Stato anziché da tributi a gettito decentrato. Tale
sistema è rimasto in piedi fino all’inizio degli anni ’90 in cui l’Italia ha sperimentato,
sia pure nell’alternarsi di accelerazioni e di periodi di stasi, un’intensa stagione di
riforme nella direzione di un sempre maggiore decentramento delle responsabilità di
spesa e di finanziamento. Nuove competenze di spesa, più ampi poteri autonomi di
tassazione, trasferimenti meno vincolanti hanno profondamente trasformato il quadro
della finanza regionale e locale.
Con l’approvazione della legge 142/90, in materia di ordinamento delle autonomie
locali, si sono poste le basi per un definitivo rilancio dell’autonomia impositiva degli
enti locali; ne è un esempio l’introduzione dell’ICI nel 1992 (destinata totalmente al
Comune) in sostituzione dell’ILOR sugli immobili che ha riconosciuto ai Comuni
un potente strumento di autonomia tributaria.
In una prospettiva di progressivo superamento del modello della finanza derivata,
nuove entrate tributarie hanno sostituito i trasferimenti erariali: l’istituzione
dell’imposta sull’attività professionale (ICIAP), la tassa automobilistica e i contributi
sanitari , la possibilità di introduzione di addizionali fiscali locali su alcuni consumi
energetici (elettricità, benzina). Nella seconda metà degli anni ’90 è stata introdotta
l’IRAP, che sostituendo preesistenti entrate fiscali, ha assicurato un considerevole
gettito alle Regioni; una addizionale sull’IRPEF , la compartecipazione all’IRPEF
(sia a livello regionale che locale) e all’IVA (a livello solo regionale)
Un successivo intervento normativo di rilievo riguarda il D.lgs. 446/97 che
attribuisce agli Enti Locali un’ampia potestà regolamentare in materia di riordino e
disciplina dei tributi locali .
Il dettato costituzionale
Capitolo I
4
9
Un’analisi dettagliata delle diverse imposte locali attuate nel corso degli anni sarà proposta nel Capitolo Terzo.
«Questa fase di impulso alla finanza locale (regionale e comunale), a costituzione
invariata , ha trovato il suo culmine nel decreto legislativo 18 febbraio 2000 n. 56
attuativo della legge delega n. 133 del 13 maggio 1999, che ha per primo introdotto,
nominalisticamente nel nostro ordinamento l’espressione “federalismo fiscale”.
Esso intendeva sostituire il meccanismo dei trasferimenti statali vincolati nella
destinazione con il meccanismo della compartecipazione . Tale decreto intendeva,
altresì, potenziare l’autonomia tributaria degli enti locali in modo da garantire la
certezza delle disponibilità finanziarie e l’adeguatezza delle stesse rispetto alle
spese
10
»
La tappa successiva è la riforma del Titolo V approvata nel 2001, che ha infine dato
una cornice costituzionale ad un’ulteriore fase di trasformazione del nostro Paese in
senso federale. Si tratta della più ampia, a partire dal numero degli articoli interessati,
e radicale, per i principi introdotti, riforma della nostra Carta Costituzionale dopo la
sua approvazione. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al
Titolo V della parte seconda della Costituzione”, opera, dunque, una rottura con la
vecchia articolazione istituzionale che vedeva al suo vertice lo Stato e pone come
obiettivi del nuovo assetto istituzionale l’avvicinamento dei cittadini, degli organismi
sociali e delle imprese alle sedi di elaborazione delle politiche pubbliche.
La riforma costituzionale tra le numerose importanti modifiche ha ribaltato il
precedente art. 117 della Costituzione, assegnando alle Regioni tutte le funzioni che
non fossero esplicitamente menzionate in tale articolo; ha innovato il quadro delle
relazioni finanziarie tra Stato ed enti territoriali in tema sia di allocazione delle
funzioni pubbliche tra le competenze legislative di Stato e Regioni, ampliando
significativamente i poteri legislativi di queste ultime, sia di disegno generale del
sistema di finanziamento dei livelli di governo sub-nazionali, riconoscendo loro
maggiore autonomia fiscale, escludendo i trasferimenti erariali quale modalità
ordinaria di finanziamento regionale, prevedendo l’istituzione di un fondo
perequativo. Sempre sul piano della riforma costituzionale il trasferimento di
funzioni e risorse previsto dal nuovo Titolo V è sostanzialmente fermo, e questa
Il dettato costituzionale
Capitolo I
5
10
Di Tucci B., Le modifiche del titolo V della costituzione: effetti sul sistema amministativo, sulle fonti e
sull'autonomia tributaria, in Tributi Locali e Regionali, Maggioli Editore, n. 5, 2008: 1-8.
inerzia ha certamente contribuito a inasprire la conflittualità tra Stato e regioni sui
confini delle rispettive responsabilità legislative. In particolare, è rimasta inattuata la
ricognizione dei principi fondamentali già presenti nella normativa, così come non si
è proceduto alla definizione dei livelli delle prestazioni per l’omogenea garanzia dei
diritti sociali e civili su tutto il territorio nazionale.
Il decennio riformista avviato all’inizio degli anni ’90 e conclusosi con la suddetta
riscrittura del Titolo V della Costituzione non ha probabilmente eguali nella storia
istituzionale ed amministrativa del nostro Paese quanto ad intensità e rapidità delle
trasformazioni; con esso si è inteso pervenire ad una progressiva
“responsabilizzazione” dei sistemi regionali e locali nell’assegnazione delle
competenze amministrative e nell’adozione di politiche tributarie. Una scelta che ha,
di conseguenza, attribuito quantomeno sul piano teorico, alle suddette autonomie
territoriali ampi poteri discrezionali nella individuazione delle modalità necessarie a
perseguire gli obiettivi istituzionali di soddisfacimento dei bisogni espressi dalla
domanda ai servizi pubblici
11
.
Il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della
Costituzione”, approvata a fine 2005, interveniva in maniera radicale (e
probabilmente destabilizzante) su molti profili delle nostre istituzioni e incideva
significativamente sulla ripartizione delle competenze legislative fissata dalla
Costituzione del 2001, trasformando in competenze esclusive regionali due materie
cariche di significati perequativi e di identità nazionale come sanità e istruzione. La
nuova riforma costituzionale lasciava, invece, del tutto inalterato, rispetto al testo
attuale, il disegno del federalismo fiscale in senso stretto (art. 119), cioè il
meccanismo di finanziamento delle autonomie territoriali (tributi propri,
compartecipazioni e trasferimenti perequativi). Il testo è stato poi bocciato dal
referendum del 25 e 26 giugno 2007.
Negli anni a seguire, il Governo e il Parlamento non hanno posto mano a quella
legge generale di coordinamento della finanza pubblica prevista dalla stessa
Costituzione che avrebbe dovuto tracciare le linee fondamentali dell’articolazione
del sistema tributario tra livelli di governo, del sistema perequativo e di un nuovo
Il dettato costituzionale
Capitolo I
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11