PARAGRAFO 1: I NUMERI DEL PROBLEMA.
Oggi, almeno in Occidente, di fronte agli incontestabili miglioramenti delle
condizioni di vita delle donne, si tende a considerare ormai superata la questione
dell‟uguaglianza tra i sessi. In realtà, nonostante gli indubbi successi nella crescita
della presenza femminile nell‟istruzione, nel lavoro e nella vita culturale, se solo si
considera la presenza delle donne nelle sedi di decisione economica e politica, ci si
rende conto che l‟uguaglianza di fatto tra uomini e donne è ben lontana dall‟essere
acquisita. In tutti i settori lavorativi gli uomini tendono insomma ad occupare le
posizioni di maggior risalto; nelle organizzazioni i dirigenti sono per lo più uomini e
nelle istituzioni politiche il numero di donne è costantemente inferiore, nella
maggioranza dei Paesi, a quello degli uomini.
Con questo lavoro si è cercato di analizzare uno degli ambiti in cui, di fatto,
ancora si manifestano disuguaglianze tra i sessi, concentrando l‟attenzione sulla
scarsa presenza delle donne nelle sedi di decisione politica. Un apporto importante
nella realizzazione di tale elaborato, mi è stato offerto dalla partecipazione al Corso
“Donne Politica e Istituzioni”1, tenutosi durante gli ultimi mesi dell‟anno 2009. Tale
Corso mi ha consentito di constatare che, soprattutto al di fuori del dato normativo2, il
quadro è poco confortante.
La situazione non è critica solamente in Iran, Sudan e Nigeria, dove le donne
adultere continuano a venire lapidate; o in Pakistan, dove oltre il 90% della
popolazione femminile è vittima di una qualche forma di violenza consumata fra le
1
Il Corso formativo “Donne politica e istituzioni. Percorsi formativi per la promozione della cultura di genere e
delle pari opportunità” è stato attivato presso la Facoltà di Giurisprudenza (nelle sedi di Ferrara e di Rovigo) con
l’obiettivo di fornire conoscenze teoriche e pratiche per la diffusione della cultura di genere e per la
promozione della partecipazione delle donne alla vita politica e sociale. Il Corso si è tenuto nel periodo
settembre - dicembre 2009.
2
“È importante capire ciò che accade oltre il dato normativo, perché dietro le norme ci sono pur sempre
uomini (in questo caso donne) in “carne ed ossa”, con le loro sofferenze e con le loro differenze. E i dati ci
mettono di fronte ad un paradosso. Perché se c’è un campo dove nella maggior parte del mondo la legislazione
ha raggiunto i traguardi più avanzati, questo è il campo delle donne, dei loro diritti, della loro tutela contro ogni
forma di prevaricazione. Ma se c’è un campo dove le garanzie giuridiche sono rimaste sulla carta, tale ancora
una volta è il campo che delimita la condizione femminile. Qui entra in gioco soprattutto la vita quotidiana di
una buona metà del genere umano, una vita attraversata da discriminazioni oggi talvolta più gravi ed evidenti
che in passato”. Tratto da M. AINIS, La riforma dell’art. 51 Cost. e i suoi riflessi nella rappresentanza politica, in
La parità dei sessi nella rappresentanza politica, R. BIN – G. BRUNELLI – A. PUGIOTTO – P. VERONESI (a cura di),
Giappichelli, Torino, 2003, 25.
Introduzione.
8
mura domestiche; o ancora, in India, dove in media 5 donne al giorno vengono
bruciate per motivi collegati alla dote e su 8.000 aborti registrati a Bombay, una
ricerca medica ha scoperto che 7.999 sono feti femminili3.
In realtà violenza, soprusi e discriminazioni nei confronti delle donne sono in
vario grado diffusi in tutto il mondo, anche in quello Occidentale. Secondo una
ricerca della Harvard University, in tutto il mondo le donne fra i 14 e i 44 anni
muoiono più di percosse e di stupri che di guerra; e ad ucciderle è spesso l‟amante, il
marito o il convivente4. A sua volta, l‟Unicef dichiara che una donna su dieci subisce
uno stupro almeno una volta nella vita, e ogni anno in 5.000 restano vittime dei delitti
“d‟onore”5. Anche in Europa, un quinto della popolazione femminile ha ricevuto abusi
e maltrattamenti familiari (ma solo un caso su venti viene regolarmente denunziato),
tanto che il 30 aprile 2002 il Consiglio d‟Europa ha incitato gli Stati membri a
interessarsi con più efficacia del problema6. Fra il 30% e il 50% delle donne europee
subiscono molestie sessuali nel luogo di lavoro: un‟aggressione che in Italia hanno
sperimentato circa 728.000 lavoratrici, nella metà dei casi durante il colloquio di
assunzione7.
Ma le discriminazioni di genere coprono in pratica ogni ambito della vita
associata. Nel 2001, su centinaia di ambasciatori residenti a New York c‟erano
appena 11 ambasciatrici8. Nella primavera del 2002 un‟analista, Louise Barton, si è
dimessa dal fondo d‟investimento Investec Henderson Crothwaite citando i vertici per
discriminazione sessuale, quando ha scoperto di essere pagata meno degli uomini
che aveva alle proprie dipendenze9. In Spagna la disoccupazione femminile pesa il
60% in più rispetto a quella maschile, e il dato europeo non si discosta di molto10.
Dall‟istituzione del Nobel, nel 1901, e lungo tutto il Novecento, il premio per la pace è
stato consegnato soltanto a 9 donne (su 80 premiati); quello per la chimica a 4 donne
(su 121 premiati); quello per la fisica a 2 donne (su 146 premiati); una sola donna ha
3
I dati sono rinvenibili su www.stringer.it/Stringer%20Schede/HR_donne.htm, e su
www.intrage.it/approfondimenti/famiglia/donne.
4
Per una sintesi di tale ricerca si veda il sito www.angelisullapelle.com/tailleur_ds_1.htm.
5
In merito si può consultare il sito www.unicef.it.
6
Lo ha fatto con una raccomandazione adottata a Strasburgo dal comitato ministeriale, e ripresa dall’Ansa il 1°
maggio 2002.
7
Questi dati sono frutto di una ricerca realizzata presso l’università “La Sapienza” di Roma, per il resoconto si
veda A. ARACHI, Molestie sul posto di lavoro per 730 mila donne, in Corriere della Sera, 23 aprile 2002.
8
Il dato si coglie dal sito www.un.org/womenwatch/un/who.htm.
9
Si veda A. ALTICHIERI, Manager e donna? Bonus dimezzato nella City, in Corriere della Sera, 26 giugno 2002.
10
Si veda il sito www.italiadonnalit/lavoro/lav05a.htm.
9
ricevuto il premio per la psicologia e medicina su 158 premiati; nessuna donna per le
scienze economiche11.
L‟Italia da parte sua non fa eccezione. A parità di qualifica le donne italiane
vengono retribuite il 27% in meno dei loro colleghi maschi, secondo una rilevazione
di Od&M e Corrierelavoro12. Eppure le donne italiane lavorano il 28% in più rispetto
ai colleghi maschi, dato che una madre lavoratrice dedica fino a 7 ore al giorno alla
famiglia, e fanno i lavori part time, quelli meno garantiti: secondo una statistica
diffusa da Il Sole24 Ore13 sono circa il 17,8% le donne che svolgono tale tipo di
lavoro contro il 3,8% degli uomini. Le donne si fanno largo nelle professioni, ma
quasi mai riescono a scalare nella carriera. In base ad una rilevazione Inpgi14, alla
fine del 2001 c‟erano nei quotidiani appena due donne direttore (2,2%), soltanto una
nei Tg Rai, nessuna nelle agenzie di stampa15. Sulla base delle tabelle riportate nel
Corriere della Sera, nell‟estate del 2002 risultava che su cento professori universitari
la percentuale femminile s‟attestava ad un misero 14%. Sempre meglio tuttavia del
numero di donne che sedevano sullo scanno di rettore: il 3,1%. Infine, secondo
un‟indagine del Csm16, il 40% delle toghe sono rosa ma solo diciotto dirigono uffici
giudiziari affidati nel 97 % dei casi agli uomini.
Prevalgono invece le donne negli ospedali e nelle Asl: fra medici, personale
infermieristico, amministrativo e tecnico, sono quasi il 60% e le dottoresse hanno
superato numericamente i colleghi maschi nella fascia 25-35 anni17. Piccolo
particolare: i primari col nome proprio che finisce con la “A” sono appena il 10%.
Le donne quasi mai compaiono nelle prime cinque pagine dei quotidiani a
meno che non siano vittime di fatti di cronaca. Ma non assurge spesso a cronaca lo
stalking18, un fenomeno a base di minacce telefoniche, lettere anonime, pedinamenti,
11
Dati e commenti tratti da M. AINIS, La riforma dell’art. 51 Cost. e i suoi riflessi nella rappresentanza politica,
in La parità dei sessi nella rappresentanza politica, cit., 25 ss.
12
Pubblicata dal Corriere della Sera, il 26 giugno 2002.
13
Il Sole24 Ore, 22 aprile 2002.
14
Riportata da La Stampa, 23 maggio 2002.
15
Di rilievo, anche, la ricerca fatta per la Rai dall’Osservatorio di Pavia nel 2008, secondo la quale in tv le donne
raramente sono protagoniste nei programmi di attualità, o sono interpellate come esperte, mentre spesso
decorano un programma o lo presentano. In merito si veda A. PADRONE, Donne e politica. Non sia solo
questione d’immagine, in Il Messaggero, 4 marzo 2008.
16
Riportata da Il Corriere della Sera del Marzo 2005.
17
Da come evidenzia un rapporto dell’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali diretta da Laura Pellegrini,
pubblicato sulla rivista Monitor nel 2005.
18
Con il decreto legge del 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38), è stato introdotto
all’art. 612 bis c.p. il reato di “atti persecutori”, espressione con cui si è tradotto il termine di origine
anglosassone to stalk, (letteralmente “fare la posta”), con il quale si vuol far riferimento a quelle condotte
10
che ha per vittima una donna nell‟86% dei casi. Perfino la sperimentazione sui nuovi
farmaci viene sviluppata sul modello del corpo maschile, nonostante le diversità
biologiche per esempio nel campo dei tumori, delle malattie cardiovascolari,
dell‟osteoporosi. Infine, anche la depressione si declina soprattutto al femminile: in
un articolo de La Stampa19 viene riportato che la depressione colpisce una donna su
5, in prevalenza casalinga20.
Anche per quanto riguarda il mondo della politica, l‟Italia non eccelle per i suoi
risultati: secondo una ricerca realizzata dall‟Istat21 nel 2006, il nostro Paese risultava
superato per presenza sia di deputate che di senatrici, all‟interno del Parlamento, da
tutti gli altri Paesi dell‟ Unione Europea. Seppur tale risalga al 2006, nel 2009 i dati
non erano assolutamente mutati: La Gazzetta del Mezzogiorno22 ha così constatato
che la presenza delle donne fra i seggi del Parlamento Nazionale raggiunge solo il
20%.
In un‟analisi più dettagliata, realizzata da Cittalia23, una fondazione dell‟Anci, è
possibile constatare ulteriormente lo squilibrio di genere nelle cariche elettive: dei
148mila amministratori comunali, le donne sono poco meno di un quinto del totale,
pari al 17,6 %.
Tra i Sindaci, solo il 10% è donna. Nei 12 Comuni con più di 250 mila abitanti,
tre sono quelli guidati da donne, ma nella capitale non c‟è mai stato un Sindaco
donna.
I Sindaci donna nei Comuni fino ai 15mila abitanti sono 791 contro 6599
colleghi uomini; i Vicesindaci donna sono 418 e gli uomini 2698; tra gli assessori la
differenza resta significativa: 2146 donne, 9547 uomini. Infine 153 sono i Presidenti
di consiglio donna e 455 gli uomini.
Nei Comuni oltre 15mila abitanti, i Sindaci donna sono 49 contro 604 colleghi
uomini, i Vicesindaci donna sono 21 e gli uomini 185. Tra gli assessori le donne sono
178 e gli uomini 1079, ed infine i Presidenti di consiglio donna sono 22 contro i 294
uomini. I Presidenti di giunta donna sono 15, mentre gli uomini 93.
persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona. Il reato in oggetto è stato inserito nel capo III
del titolo XII, parte II del codice penale, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale
19
Del Giugno del 2002.
20
Da evidenziare che i dati utilizzati per l’analisi, sino qui condotta, della presenza delle donne nelle sedi
decisionali in Italia sono, per la maggior parte, tutti risalenti al periodo 2002-2005.
21
Sulla base di una convenzione con la Commissione Pari Opportunità tra Uomo e Donna, indagine realizzata
nel febbraio del 2006 e raccolta nel fascicolo dal titolo “Partecipazione politica e astensionismo secondo un
approccio di genere”, rinvenibile in www.retepariopportunita.it.
22
Del Settembre del 2009.
23
Che risale all’Agosto 2009. Per maggiori informazioni si veda il sito www.cittalia.com.
11
Numeri al contrario in 5 Comuni, dove l‟ 80% degli assessori è donna: sono
Rhemes Notre Dame (Aosta), San Felice del Molise (Campobasso), Cannole
(Lecce), Borgofranco sul Po (Mantova), Ronzo-Chienis (Trento) e Missaglia (Lecco).
Situazione anomala risultava essere quella del Comune di Santagata Bolognese,
dove sindaco e assessori erano tutte donne.
Il quadro può risultare più chiaro consultando i seguenti grafici, esplicativi dei
dati sino ad ora elencati.
12
Sono dati che permettono al nostro Paese di detenere la maglia nera anche
sul piano mondiale: ciò che sorprende è che l‟Italia, in relazione al numero di donne
presenti in Parlamento, si trova collocata al 54° posto, a pari merito con la Cina, ma
al di sotto di Paesi quali il Ruanda, il Mozambico e l‟Eritrea.
Occupiamo gli ultimi posti anche a livello di percentuale di membri donne nel
Parlamento Europeo!24
Tutto questo ha a che fare con il tema di questa tesi. Non è possibile
ragionare sulla scarsa presenza delle donne nell‟attività politica in generale e nei
luoghi decisionali in particolare come se si trattasse di un problema a se stante. I dati
e gli esempi riportati mostrano che la vita delle donne, il loro rapporto con la società
e lo Stato, resta disseminato da stereotipi, luoghi comuni, pratiche discriminatorie,
ingiustificate e crudeli, tali da mettere a rischio, in certi contesti, la loro stessa vita e
la loro integrità fisica e psicologica. Secondo lo Human Development Reporter,
redatto dall‟ Onu nel 1997, risultava già allora che non esisteva Paese al mondo che
trattasse le donne bene quanto gli uomini, come attestava un ampio ventaglio di
fattori quali l‟educazione, il benessere e il lavoro.
Come si vedrà nel corso del testo, quello che viene messo in discussione negli
ordinamenti democratici non è tanto la parità giuridica: la presenza numerosa e
qualificata di donne nelle professioni, nella magistratura, nelle imprese, nella scienza,
nel mercato e nel lavoro in generale è un dato acquisito. Quel che resta
insoddisfacente è invece il trasferimento di queste competenze femminili sul piano
24
Tutti i dati sono rinvenibili su www.ipu.org.
13
della politica. Fra gli ostacoli che limitano l‟accesso delle donne ai luoghi di
rappresentanza politica giocano un ruolo preminente le tradizioni culturali e sociali
(educazione, modelli culturali, identità legata alla dimensione familiare), e le difficoltà
legate all‟atteggiamento e all‟organizzazione interna dei partiti.
L‟oligarchia maschile nella politica poggia su relazioni di vario segno, intessute
nel corso degli anni: relazioni tra uomini, perché le sedi che le hanno occasionate
non erano frequentate da donne. Le donne rimangono ancora in larga misura
estranee a quella rete di rapporti, nobili e meno nobili, utili a catturare voti e
preferenze, anche perché la loro effettiva libertà ed uguaglianza giuridica è
un‟acquisizione recente. Sulle donne continua a gravare la grande massa del lavoro
di cura, condiviso talora, e solo in minima parte nella sua fetta più “gradevole”, la
crescita dei figli, e in nessun modo nel carico più triste e faticoso, il sostegno dei
malati e degli anziani. Agli ostacoli consueti, si aggiunge un diffuso disagio delle
stesse donne nel partecipare ai concreti modi di esercizio del potere politico,
connotati da una cifra tutta maschile di comportamenti, costumi, tempi e umori.
Credo che tale ultima affermazione possa essere resa più chiara riportando
l‟estratto di un articolo pubblicato su La Famiglia Cristiana del Dicembre 2008. Si
tratta di un‟intervista a Roberto Olla, giornalista Rai, il quale descrive la difficoltà per
le donne di affrontare “le feroci battaglie quotidiane” della politica, prendendo ad
esempio alcune donne di fama internazionale che allora tentavano di “trovare il
proprio posto in tale mondo”:
“Partiamo da Hillary Clinton, la prima possibile presidente donna degli USA,
opposta nelle primarie al primo possibile presidente di colore, afroamericano.
[..] A farmi scattare la molla è stato il diverso atteggiamento riservato ai due
contendenti: da un lato il massimo del politicamente corretto nei confronti di
Obama (guai anche solo pensare di sfiorare l‟elemento razza) dall‟altro un
accanimento, un antifemminismo, e delle critiche basate sul genere davvero
violente. […] Ségolène Royal corre per la presidenza francese e il marito
François Holland che fa? Prima dichiara: “Se mia moglie vince, non andrò mai
all‟Eliseo”, poi, in piena campagna elettorale, rilancia con l‟ineffabile “Sto
vivendo una tragedia”. Immaginiamo le stesse parole in bocca alla consorte di
un candidato: scandalo, tradimento, disfattismo! E invece nessuno ha messo
alla gogna quel signore, mentre a essere massacrata è stata lei. “Non sa
14
governare la sua famiglia, come farebbe con il Paese?” […] A una donna che
fa politica si chiedono cose incredibili: essere bella, ma non troppo; truccata,
ma non seduttiva; ben vestita, ma non appariscente; sì a un po‟ di tacco, ma
guai eccedere[…]”
L‟analisi della realtà evidenzia come insomma le donne da sempre (e tuttora)
risultano fattualmente escluse ed ostacolate, per le ragioni più variegate, dall‟ambito
dell‟elettorato politico passivo25.
25
La collocazione delle donne nella società e il loro rapporto con il potere sono sempre stati segnati da una
serie di luoghi comuni che sarebbe ingenuo ritenere del tutto superati.
Le donne fanno ingresso in politica, nello spazio pubblico ove si rendono visibili, affrancandosi dal privato.
L’accesso delle donne alla politica viene inteso quindi come il loro accesso allo spazio pubblico. Il privato, cioè
la vita delle donne che non hanno accesso alla politica, ha assunto due configurazioni nel senso comune: la
prima, quella di origine classica, del privato-domestico, spazio della non-libertà nei confronti di altri, cioè della
soggezione a coloro alla soddisfazione dei cui bisogni esse vengono addette; la seconda è quella del privato-
personale, spazio della non-libertà nei confronti di se stesse, cioè dell’assoggettamento alle dinamiche
sentimentali, passionali, affettive ed emotive refrattarie al controllo della razionalità, che vengono riservate in
maniera esclusiva o preponderante alla loro gestione.
In entrambi i sensi lo spazio privato è quello definito da mancanza, si tratta appunto di uno spazio di privazione.
Tanto nel privato domestico quanto in quello personale le donne mancano di libertà, ma ad esse nel privato
difetta anche l’eguaglianza: nel primo senso difetta loro la proprietà dell’uguaglianza, non essendo esse
soggette all’eguale trattamento, all’eguale considerazione e rispetto che può essere solo tributato ad individui
liberi; nel secondo senso difetta loro la concezione dell’eguaglianza tra gli individui, perché evidentemente gli
individui, dal punto di vista degli affetti, non sono tutti parimenti degni.
In primo luogo, l’ingresso delle donne nello spazio pubblico significa la loro uscita dalla casa, dalla sfera
domestica in cui per secoli si è svolta la loro vita di relazione. La sfera domestica viene intesa come sfera di
privazione, in quanto è quella segnata dal dominio e quindi dalla diseguaglianza, ma è pur sempre una sfera
sociale perché in essa si svolgono delle relazioni interpersonali; e in questa sfera il ruolo occupato dalle donne è
un ruolo subordinato. Ora le donne, in quanto appunto (con gli inabili ed i servi) sono segnate da questa loro
condizione di essere per natura soggette ai bisogni impellenti della vita, condizione che ne determina
l’inferiorità, non possono essere soggetti della politica, non possono essere uguali. Gli uomini, invece, sono
uguali nella politica; lo sono perché sono individui liberi, in quanto cioè non sono dominati dai bisogni, e quindi
possono lasciare la casa luogo in cui essi sono dominatori.
In secondo luogo, l’ingresso delle donne nello spazio politico significa la loro uscita da sé. In questo senso la
sfera privata si contrappone a quella pubblica, non più come la sfera dei rapporti sociali di dominio-soggezione
si contrappone ai rapporti sociali improntati all’uguaglianza; ma, da una parte come la sfera personale ed
intima si contrappone a quella sociale delle relazioni intersoggettive; dall’altra come la sfera delle relazioni
intersoggettive intrecciate dai sentimenti e dagli affetti si contrappone alle relazioni intersoggettive intrecciate
dalla ragione o dagli interessi. Il privato individua una sfera che nel tempo è stata ritenuta di pertinenza
soprattutto femminile. E ancora, è sulla natura femminile che si è preteso di fondare la definizione della donna
come prigioniera della propria sfera privata, talvolta sulla natura spirituale della donna, che può essere
accomunata per questo non più ai servi e agli inabili ma ai bambini e agli insani; talaltra per la sua natura fisico-
biologica. Proprio dalla tesi della specificità “emozionale, non-universale” della natura femminile discende la
diffidenza nei confronti della capacità delle donne di assumere il ruolo di soggetti pubblici.
I tratti del soggetto della politica sono ritenuti essere, la razionalità e l’universalità, cosicché è il riferimento alla
natura emozionale, non-universale delle donne che giustifica il loro confinamento nel privato. Dato che la
donna conosce solo i vincoli dell’amore e dell’amicizia, sarà una persona pericolosa nella sfera politica,
disposta, forse, a sacrificare a qualche legame personale, o preferenza privata il più vasto interesse pubblico.
Si ritenga dunque, che le donne entrino nella politica emancipandosi dalle relazioni domestiche; o si ritenga che
vi entrino emancipandosi dalla propria vita personale e intima, da quel privato luogo ove sono dominate dai
sentimenti e dalle passioni; sempre comunque si ritiene che esse giungano alla politica da un luogo ove sono
15
PARAGRAFO 2: LA SCALATA VERSO L’UGUAGLIANZA FEMMINILE NEL MONDO
POLITICO.
La scalata verso la libertà e l‟uguaglianza femminile nel mondo politico trova
origine nella saggezza e lungimiranza di donne come Olympe de Gouges, con la sua
Déclaration des droits de la Femme et de la Citoyenne (1971), fondata sul principio
che “la donna nasce libera e uguale all‟uomo in diritto”; o di Mary Wollstonecraft,
autrice della Vindication of the Rights of Woman, del 1972, e infine di donne
carismatiche come Anna Maria Mozzoni, che presentò al Parlamento Italiano (nel
1877 e nel 1906) due petizioni per il voto politico alle donne, perché “la giustizia, che
suona così alta nei discorsi elettorali, non riguarda che gli elettori, e non si estenderà
fino a noi se non quando, e in quanto saremo elettrici”. Si legge nella petizione della
Mozzoni del 1906, sulla quale si svolse un importante dibattito parlamentare
conclusosi con esito negativo, che “tutte le donne (come tutti gli uomini) hanno il
diritto di voto”, e vi hanno diritto, perché cittadine, contribuenti e produttrici di
ricchezza, esattamente come gli uomini. Ciò che si chiede è il ristabilimento
dell‟uguaglianza violata. Ricordiamo che in Italia vigeva ancora il codice del 1865, il
quale prevedeva nei confronti della donna una forte discriminazione e
subordinazione al marito, capo famiglia ed esclusivo titolare della patria potestà; vi
era l‟istituto “dell‟autorizzazione maritale” per gli atti giuridici più rilevanti, anche
relativi al patrimonio proprio della moglie. La donna era considerata un soggetto
naturalmente incapace di intendere e di volere, e per questo da mettere sotto tutela.
Il problema della parità d‟accesso delle donne alle cariche elettive animava già
le discussioni giurisprudenziali di inizio „900. Ne è testimonianza la sentenza della
Corte di Appello di Ancona del 1906, c.d. sentenza “Mortara”. In quell‟anno vi fu un
susseguirsi di pronunce di varie Corti d‟Appello e della Corte Suprema di
Cassazione, poiché numerose Commissioni elettorali provinciali avevano accolto
l‟iscrizione di molte donne nelle liste elettorali.
L‟art. 24 dello Statuto Albertino, che dichiarava il principio dell‟uguaglianza dei
cittadini davanti alla legge, veniva consuetudinariamente interpretato nel senso
private delle libertà che solo la ragione garantisce. Cosicché per le donne questo ingresso ha il senso e la
funzione di un riscatto dal privato.
Si veda in merito L. GIANFORMAGGIO, Eguaglianza, donne e diritto, A. FACCHI - C. FARALLI - T. PITCH (a cura
di), Il Mulino, Bologna, 2005, 165 ss.
16
dell‟esclusione delle donne dall‟elettorato politico attivo e passivo. Ma, l‟articolo 24
così recitava: “tutti i regnicoli, qualunque sia il loro grado o titolo, sono eguali dinanzi
alla legge. Tutti godono egualmente di diritti civili e politici, e sono ammissibili alle
cariche civili […] salve le eccezioni determinate dalle leggi”. Dalla lettera dell‟articolo,
tuttavia, le donne non sembravano affatto esonerate dalla possibilità di godere
dell‟elettorato attivo e passivo, né tale esclusione si poteva rinvenire nelle leggi
elettorali politiche che si susseguirono. Il Testo Unico elettorale approvato con regio
decreto il 28 marzo 1895, n. 83, prevedeva che fosse “elettore” chi: godesse dei diritti
civili e politici, avesse compiuto il ventesimo anno di età, avesse determinati requisiti
di censo e un certo livello di istruzione. Nessun rilievo veniva dato al criterio del
sesso. Un‟esclusione precisa era invece prevista dall‟art. 22 della legge comunale e
provinciale (Testo Unico 4 maggio 1898, numero 164) che negava l‟elettorato
amministrativo, oltre che agli analfabeti e ad altre categorie di soggetti, anche alle
donne. Ciò si era reso necessario dal fatto che, prima dell‟unificazione nazionale, le
donne erano titolari del voto amministrativo in Toscana e nel Lombardo-Veneto.
Dal momento che la legge elettorale politica parlava generalmente di elettori, e
non vi era alcuna disposizione specifica che vietava il voto femminile - come prima
accennato - in alcune città vi furono donne che chiesero di essere iscritte nelle liste
elettorali politiche e le Commissioni elettorali provinciali ammisero numerosi reclami
presentati per le iscrizioni femminili rifiutate delle Commissioni comunali (e molte
donne, dunque, furono iscritte nelle liste degli elettori). La questione giunse,
attraverso i ricorsi del pubblico ministero, presso le magistrature competenti, e la
risposta fu di assoluta chiusura, con la sola eccezione della sentenza della Corte
d‟Appello di Ancona del 25 luglio 1906, che suscitò grande clamore anche per
l‟autorità scientifica di chi la redasse, Lodovico Mortara.
La motivazione di tale pronuncia è di estremo interesse. Dopo aver precisato
che l‟espressione “regnicoli”, contenuta nello Statuto Albertino, si riferisce ai cittadini
di entrambe i sessi, i giudici propongono una nozione di diritti politici assai avanzata
che contrasta con la definizione rigida, codificata dalla dottrina tradizionale. Si
osserva, infatti, che l‟affermazione secondo cui le donne sarebbero escluse dalla
titolarità dei diritti politici è del tutto errata, dal momento che i diritti fondamentali
garantiti dallo Statuto sono certamente comuni ai due sessi. È quindi sbagliata la
posizione della dottrina dominante, secondo la quale sono diritti politici soltanto quelli
che si manifestano nell‟esercizio di pubbliche funzioni o nell‟investitura di cariche
17
pubbliche. Il diritto elettorale è a sua volta un diritto politico, e anch‟esso spetta a tutti
i cittadini, salve le eccezioni che devono essere “espressamente stabilite”, e che non
è permesso dedurre “dal silenzio della legge”. Secondo la Corte di Ancona dunque,
se vi è un dubbio intorno all‟intenzione del legislatore, questo può essere risolto nel
senso della libertà, trattandosi per l‟appunto di determinare l‟estensione di un diritto
politico. Successivamente, la Corte Suprema di Cassazione, con sentenza del 12
dicembre 1906, annullò la decisione della Corte di Ancona, stabilendo che “il diritto
all‟elettorato trova per le donne un ostacolo in quelle eccezioni determinate dalla
legge di cui parla l‟art. 24 dello Statuto”, le quali non devono essere espressamente
formulate, ma possono risultare anche “dalle regole fondamentali e dallo spirito
informatore di tutta la legislazione in materia di diritto pubblico”26.
Nel 1925 vi è un riconoscimento del diritto elettorale ad alcune categorie di
donne (con determinati requisiti di istruzione e censo) solo per l‟elezioni
amministrative, con la legge n. 2125 del 1925. A sostegno di tale legge Mussolini
così interviene nell‟aula parlamentare: “(…) noi viviamo in un secolo arido e triste: il
secolo del capitalismo, cioè di un determinato sistema di vita sociale. E questo
determinato sistema sociale, che ormai ha un secolo di vita, ha strappato le donne al
focolare domestico, le ha cacciate a milioni nelle fabbriche, le ha cacciate a milioni
negli uffici, le ha immesse violentemente nella vita sociale. E, mentre voi siete atterriti
di sapere che ogni quattro anni una donna metterà una scheda in un’urna, non siete
affatto atterriti quando vedete delle maestre, delle professoresse, delle avvocatesse,
delle medichesse, che invadono metodicamente tutti i campi dell’attività umana. E
non lo fanno, o signori, per un capriccio: lo fanno per una necessità.”
Tuttavia tale diritto di voto, appena conseguito, non verrà mai esercitato in
quanto le elezioni amministrative saranno immediatamente abolite con l‟introduzione
della figura del Podestà a partire dal 1926.
Dopo la seconda guerra mondiale finalmente si ha il riconoscimento
dell‟elettorato sia passivo che attivo alle donne, con i d. legisl. lgt. 1° febbraio 1945
numero 23 e numero 74 del 1946. La prima occasione in Italia dove le donne
voteranno, sarà il 2 giugno 1946, con il referendum istituzionale che consacra la
caduta della monarchia e la scelta repubblicana.
26
Per una più completa ricostruzione della vicenda si veda G. BRUNELLI, Donne e Politica, Il Mulino, Bologna,
2006, 24 ss.
18
Subito dopo, la Costituzione del 1948 ha sancito il diritto di parità tra i sessi,
sia in termini generali che all‟interno del principio di uguaglianza di cui all‟art. 3. Con
riguardo specifico alle cariche elettive c‟è poi da segnalare anche l‟art. 51 della Cost.
Tuttavia l‟attuazione di tali disposti costituzionali è stata molto lenta nel tempo. Nei
primi anni dopo l‟entrata in vigore della Costituzione, molto si è discusso sul
significato da attribuire all‟art. 51 Cost., in relazione al requisito del sesso per
l‟acceso ai pubblici uffici, dovendosi valutare la legittimità di una legislazione
precostituzionale (leggi n. 1176 del 1919 e n. 1314 del 1939) che escludeva le donne
da molti impieghi e funzioni pubbliche. La posizione che nel tempo prevalse,
delineata dalla dottrina maggioritaria, fu quella garantista che vedeva nell‟art. 51
della Cost. ribadito il principio di uguaglianza formale di cui all‟art. 3 della Cost.
comma 1°. Il legislatore solo nel 1963 con la legge n. 66 arrivò ad ammettere le
donne giudice. Con tale legge venne ripetuta in maniera esplicita l‟asserzione
dell‟accesso delle donne a tutti i pubblici uffici, magistratura compresa.
La Corte Costituzionale, nella sentenza numero 33/1960, aveva nel frattempo
precisato che il sesso femminile poteva essere accolto dalla legge come ostacolo
all‟assunzione di un pubblico ufficio, solo se implicate la mancanza di qualche ben
specifico requisito attitudinale. In precedenza la stessa Corte Costituzionale con la
sentenza numero 56 del 1958, era invece riuscita a giustificare la previsione di una
diversa partecipazione numerica dei due sessi alla composizione della Corte
d‟Assise, concepita affinché le donne non fossero mai in maggioranza sugli uomini. È
ciò per il seguente motivo: “Le leggi possono tenere conto nell‟interesse dei pubblici
servizi, delle differenti attitudini proprie degli appartenenti a ciascun sesso”.
L‟argomento della “natura” della donna, assieme all‟idea delle attitudini femminili
come tipicamente familiari, è qui dunque usato come parametro di una decisione
giurisdizionale.
Negli anni ‟70 e ‟80 il legislatore, nel tentativo di adeguarsi al dettato
costituzionale, adotta una serie di leggi “sensibili” al tema delle donne. Come, ad
esempio, la legge del 9 dicembre 1977, n. 903 che ha disposto la parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, o l‟abrogazione di fattispecie
penali quali l‟art 544 del c.p. e l‟art. 587 c.p.27
27
Nel 1981 con la legge numero 442 vengono abrogate alcune fattispecie penali di rilievo per la materia che si
sta trattando: si tratta in primo luogo dell’ art. 544 del Codice Penale il quale prevedeva l’estinzione di tutti i
reati contro la libertà sessuale (anche del reato di violenza carnale) nel caso in cui intervenisse il matrimonio
“riparatore”; in secondo luogo fu eliminato l’art. 587 del Codice Penale che disciplinava il delitto d’onore.
19
Negli anni ‟90 furono adottate disparate norme a protezione della donna, dalla
tutela della maternità al sostegno delle lavoratrici, dalla repressione di ogni forma di
violenza sulle donne ad alcune misure per allargare la loro partecipazione in politica.
Infine nel 2001 con le leggi costituzionali n. 2 e 328 il legislatore ha introdotto
importanti modifiche in tema di rappresentanza di genere per quanto riguarda le
Regioni tanto a Statuto speciale che quelle ordinarie. Altro intervento rilevante è stata
la modifica dell‟art. 51 della Costituzione avvenuta con legge costituzionale numero 1
del 200329.
.
PARAGRAFO 3: LA STRUTTURA DELLA TESI.
Questa breve esposizione introduttiva è alla base dell‟intero lavoro; essa
motiva il perché di una tesi dedicata interamente alla “lotta continua” delle donne per
l‟accesso alle cariche elettive. L‟obiettivo è quello di analizzare, nel succedersi
cronologico, gli interventi normativi volti al riequilibrio di genere, mettendo in luce i
loro aspetti positivi e negativi, nonché integrando tale attività normativa con la
relativa giurisprudenza costituzionale di merito, per percepire quali possano essere
gli strumenti migliori per favorire l‟accesso delle donne alle cariche elettive.
Il lavoro si articola in quattro capitoli.
Il primo Capitolo assume il ruolo di “cornice” dell‟intera trattazione: esso
contiene un‟esplicazione del significato dei principali termini via via utilizzati e offre
un panorama completo sulla legislazione nazionale, comunitaria e internazionale in
materia. A livello comunitario saranno altresì approfondite alcune pronunce
giurisprudenziali di grande rilievo. L‟esposizione toccherà temi “sensibili”, quali il
rapporto tra le azioni positive e il principio di eguaglianza nonché il legame tra
rappresentanza politica e rappresentanza di genere. Da ultimo, a supporto di tutto il
materiale giuridico precedentemente descritto, saranno elencati gli argomenti “forti” a
favore di una maggior presenza delle donne nelle Assemblee elettive.
Nel secondo Capitolo si entra quindi nel dettaglio della vicenda italiana.
Saranno così esaminate le prime leggi elettorali (degli anni ‟90) che introducono
“misure positive” nel nostro ordinamento, illustrando nel dettaglio le opinioni
favorevoli e contrarie a tali interventi normativi.
28
Delle quali si tratterà nel Capitolo III.
29
Della quale si tratterà nel Capitolo III.
20
La riflessione sarà principalmente concentrata sulla la sentenza n. 422/1995,
con la quale la Corte Costituzionale si pronunciò sulla normativa elettorale che
conteneva misure volte a favorire l‟ingresso delle donne in politica. Data l‟importanza
della decisione, ad essa è dedicato ampio spazio, analizzando nel dettaglio i motivi
del ricorso e gli elementi portanti sui quali la Corte ha argomentato la propria
pronuncia.
Nel terzo Capitolo si passerà, quindi, all‟analisi del contesto politico e del
dibattito successivo alla sentenza n. 422/1995. Tale periodo è segnato da rilevanti
mutamenti costituzionali, ragione per cui la trattazione si concentrerà sulle modifiche
costituzionali del 2001 e 2003, nonché sui riflessi che queste hanno avuto sulla
disciplina elettorale nazionale e sulla disciplina per l‟elezione dei membri del
Parlamento europeo.
Infine, nell‟ultimo Capitolo, si esamineranno le ripercussioni che le modifiche
costituzionali del 2001 hanno avuto sull‟attività del legislatore regionale. Saranno
esposte le norme contenute negli Statuti regionali, finalizzate a promuovere il
riequilibrio della rappresentanza di genere e le corrispondenti norme contenute nelle
leggi elettorali regionali.
In particolare l‟attenzione sarà focalizzata su due importanti momenti: il primo
riguarda il caso valdostano e la pertinente legge elettorale impugnata dal Governo di
fronte alla Corte Costituzionale (e oggetto della sentenza n. 49 del 2003). Il secondo
riguarda un fatto recente, ovvero la legge elettorale della Regione Campania,
anch‟essa oggetto di una pronuncia del giudice delle leggi (la sentenza n. 4 del
2010).