2 
 
Conseguenza della concezione realistica fu il rinnovato interesse per il 
principio di offensività: ed è per questo che il presente lavoro è 
dedicato, nella seconda parte, a cogliere i principali passaggi del 
trasferimento di tale dibattito dottrinale sul piano costituzionale: agli 
inizi degli anni Settanta si fa sempre più diffusa la convinzione che il 
modello del reato come offesa ai beni giuridici abbia il rango e la forza 
vincolante di un principio costituzionale, che si impone sia al legislatore 
sia all’interprete. Tale fermento dottrinale non poteva lasciare 
indifferente la Corte Costituzionale: ecco allora che si sono commentate 
alcune tra le sue più significative sentenze. 
La ormai acquisita consapevolezza della costituzionalizzazione del 
principio di offensività ha però lasciato impregiudicato il problema 
della persistenza, nel nostro ordinamento, di categorie di fattispecie in 
cui appare non rispettato tale principio e di cui si discute quindi la 
costituzionalità: i c.d. reati senza bene giuridico e reati senza offesa.  
Il ricorso alla Costituzione però non è apparso bastevole: la dottrina 
degli anni Ottanta ha ampliato i suoi orizzonti affrontando un problema 
non più eludibile: la riforma del codice Rocco. I suoi contributi, volti  
sia alla rifondazione dei principi di parte generale che alla ricostruzione 
delle fattispecie di parte speciale alla luce del principio di offensività, 
hanno preparato il terreno al lavoro della Commissione Pagliaro. Il 
risultato dell’attività dei giuristi che ne hanno fatto parte riassume in 
una certa misura gli sforzi trentennali di una parte della dottrina che, 
credendo fermamente nella necessità di conformare il codice Rocco ai 
principi costituzionali, riteneva necessario un intervento globale di 
riforma del sistema penalistico. 
3 
 
Esiste quindi un trait d’union tra la concezione realistica ed il più 
recente dibattito dottrinale? Nei paragrafi seguenti si cercherà di 
riportare i concetti fondamentali dei pensieri degli Autori che si sono 
occupati dell’argomento per sottolineare l’importanza basilare che nel 
nostro ordinamento penale riveste il principio di offensività. 
 
4 
 
 
 
I - La concezione realistica dell’illecito. 
 
1. Definizione del concetto. 
  
 Nell’ambito della scienza del diritto penale la prima distinzione 
fondamentale che consente di approfondire la teoria generale del reato è 
quella fra una concezione dell’illecito penale dalla struttura oggettiva ed 
una inquadrabile in un diritto penale soggettivo. Lo scopo di un diritto 
penale oggettivo puro è quello di apprestare un’adeguata tutela a 
determinati beni giuridici; è quindi la lesione effettiva del bene protetto, 
il disvalore dell’evento che funge da fulcro di tale sistema penale.  
Al contrario, in un diritto penale soggettivo puro è la colpevolezza che 
assume rilievo preminente; presso tale indirizzo prevale quindi la 
concezione metodologica del bene giuridico, in forza della quale 
l’interesse protetto rileva non come oggetto di lesione ma come 
obiettivo della tutela
1
. Il principio di offensività del reato si contrappone 
di conseguenza al principio del reato come mera violazione del dovere; 
la scienza penale odierna, nonostante le minoritarie tendenze 
soggettivistiche incentranti il reato sul “disvalore dell’azione”, è 
caratterizzata dalla tendenza alla riabilitazione ed alla riaffermazione 
del momento dell’offesa.  
La funzione del diritto penale di protezione dei beni giuridici vanta 
delle ascendenze illuministiche e nel corso dello sviluppo della teoria 
del bene giuridico si assiste alla oscillazione tra orientamenti che ne 
privilegiano ora la funzione dogmatica e sistematica in rapporto a un 
                                                 
1
 MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, p. 2 s. 
5 
 
 
determinato ordinamento positivo, ora la funzione politico-criminale, 
anche in prospettiva de iure condendo. Dopo il processo di progressiva 
formalizzazione propugnato dapprima dalla concezione metodologica e 
poi in maniera drastica dagli studiosi nazionalsocialisti, l’idea della 
protezione dei beni giuridici come scopo del diritto ritorna sulla scena 
del dibattito penalistico del secondo dopoguerra; evidente proiezione 
dell’avvenuto mutamento del rapporto autorità-libertà, vale a dire Stato-
cittadino, tale evoluzione è conseguente al consolidarsi degli 
ordinamenti liberaldemocratici
2
. Ma mentre si allontana lo spettro di un 
diritto penale totalitario, non si profila un serio disegno di riforma 
globale del codice ereditato dall’epoca fascista. In questo contesto, il 
dibattito sul concetto di bene giuridico non può avere come destinatario 
il legislatore: si discute piuttosto del ruolo del bene giuridico come 
strumento di interpretazione delle norme incriminatrici vigenti. 
L’obiettivo di tale fervore dottrinale è comunque quello di ricercare nel 
codice penale una norma di portata generale utilizzabile appunto in via 
interpretativa per arricchire tutte le fattispecie di reato del requisito 
dell’offensività
3
: in funzione dell’affermazione per la quale ogni reato 
ha un oggetto giuridico, costituito dall’interesse che il legislatore, 
delineando la figura criminosa, mira a tutelare, si comprende la 
correlativa affermazione per la quale ogni reato per essere definito tale 
deve essere necessariamente lesivo dell’interesse tutelato
4
. A fondare la 
responsabilità penale non sarebbe quindi sufficiente la commissione di 
un fatto concreto conforme al modello descritto dalla norma 
                                                 
2
 FIANDACA - MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 3ª ed., Bologna, 1995, p. 11. 
3
 MARINUCCI - DOLCINI, Corso di diritto penale, vol. I, Milano, 1995, p. 65. 
4
 MARINI, voce Reato, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVI, Roma, 1991, p. 1. 
6 
 
 
incriminatrice, ma, potendovi essere fatti conformi al tipo ma non 
offensivi, sarebbe altresì necessario accertare l’offesa del bene giuridico 
tutelato. Si parla a questo proposito di “concezione realistica” del reato, 
e come fondamento normativo ci si basa ora sulla definizione del delitto 
doloso dell’art. 43 c.p., dove si cita «l’evento dannoso o pericoloso» da 
cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, ora sulla disposizione 
dell’art. 49 comma 2 c.p., disciplinante la figura del reato impossibile, 
nella parte in cui si esclude la punibilità «quando, per la inidoneità 
dell’azione [...], è impossibile l’evento dannoso o pericoloso»
5
.  
Questa concezione è espressione del liberalismo penale ed assolve una 
funzione di garanzia del cittadino: esistendo dei casi in cui all’apparente 
conformità del fatto alla fattispecie legale non si accompagna 
un’effettiva lesione del bene protetto come nei casi classici del furto di 
un acino d’uva o di un chiodo arrugginito, oppure del falso grossolano o 
innocuo, la concezione di necessaria lesività del reato ritiene tali 
condotte di fatto innocue.  
Questa tesi, sollecitata dalla preoccupazione politico-ideologica di 
ancorare la punibilità alla tutela effettiva dei beni giuridici, pretende di 
poggiare anche su sostegni di ordine esegetico, desunti dal confronto tra 
le rispettive discipline del reato impossibile e del tentativo. Detta 
concezione si sviluppa su tre tipi di direttrici:  
I) la prima è volta, come abbiamo accennato, a dare all’art. 49 c.p. un 
significato autonomo rispetto alla disciplina del tentativo, e la 
constatazione del possibile scarto tra conformità al tipo e offesa fa 
giungere all’affermazione della necessità di provare il disvalore del 
fatto accanto alla conformità al tipo e quindi a farlo rientrare 
                                                 
5
 MARINUCCI - DOLCINI, op. cit., p. 65. 
7 
 
 
nell’oggetto del dolo; 
II) la seconda direttrice, pur condividendo tale interpretazione dell’art. 
49 c.p., trasferisce il discorso sul piano costituzionale e afferma che il 
principio generale di necessaria offensività espresso nell’art. 49 c.p. è 
stato costituzionalizzato tramite l’attribuzione alla pena di una funzione 
retributiva e rieducativa ad un tempo, per cui il momento garantista o 
liberale della retribuzione si fonde con l’istanza sociale della 
rieducazione, da qui l’illegittimità costituzionale di una vasta tipologia 
di incriminazioni; in forza degli artt. 25 e 27 Cost., alcuni autori hanno 
rilevato che nell’assenza di qualunque pericolosità concreta della 
condotta, la pena avrebbe una funzione solamente preventiva, sia nei 
confronti dei terzi che nei confronti dell’agente, punendo non il fatto, 
ma l’autore; di conseguenza, si osserva come tutto ciò non possa 
conciliarsi con un sistema costituzionale che conferisce espresso rilievo 
alla differenza tra pena e misura di sicurezza
6
. Tale direttrice, pur 
presentando delle differenze al suo interno, concorda nell’attribuire 
rilevanza costituzionale al principio di offensività e si ripromette 
dunque di assicurare a tale principio, all’interno del principio di legalità, 
una reale funzione garantista, per poi costruire ed interpretare la parte 
speciale del codice penale in termini di oggettività giuridica e di offesa
7
; 
III) infine, la terza direttrice, concordando con la tesi della 
costituzionalizzazione, constata la perdurante ed ineliminabile presenza 
nell’ordinamento di “reati di scopo” o “senza offesa” e propugna una 
riforma che risolva il problema dell’offensività con una nuova 
normativa ed una razionale tipizzazione delle fattispecie di parte 
                                                 
6
 BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Nss. D. I., vol. XIX, Torino, 1973, p. 82; M. 
GALLO, I reati di pericolo, in Foro penale, 1969, p. 8. 
7
 MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 3ª ed., Padova, 1993, p. 204. 
8 
 
 
speciale, non ritenendo più affidabile quindi  il riferimento a norme 
generali come l’art 49. c.p.
8
. 
Se questi sono gli sviluppi della concezione realistica, un approccio 
corretto a tale indirizzo dottrinale è stato facilitato dagli autori che 
hanno tentato un’analisi della casistica in discussione, individuando 
condotte innocue, assolutamente non offensive dell’interesse tutelato, 
anche se perfettamente conformi al modello legale di un reato, come nel 
caso di consegna nelle mani del prenditore di un assegno bancario senza 
data o postdatato in giorno di chiusura delle banche, nel falso nummario 
o documentale di macroscopica evidenza, nelle lesioni sportive e 
medico-chirurgiche, nel gioco d’azzardo con poste insignificanti in 
ambiente amichevole. Riguardo a questi casi, il riconoscimento della 
inopportunità di una punizione trova però delle difficoltà di reperimento 
di una soluzione giuridica, se si è costretti a ricorrere alle cause 
tradizionali di esclusione della pena od a cause speciali di liceità, legali 
ed extralegali
9
. 
 
                                                 
8
 VASSALLI, Considerazioni sul principio di offensività, in Scritti in memoria di U. Pioletti, 
Milano, 1982, p. 620 s. 
9
 FIORE, Il principio di tipicità e “concezione realistica del reato”, in Problemi generali di diritto 
penale, a cura di VASSALLI, Milano, 1982, p. 58 s. 
9 
 
 
2. Ricostruzione dell’istituto del reato impossibile. 
 
 Il secondo comma dell’art. 49 c.p., che disciplina il reato 
impossibile, così stabilisce: «La punibilità è, altresì, esclusa quando per 
l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa è 
impossibile l’evento dannoso o pericoloso». Tale disposizione, 
introdotta per la prima volta nel codice del 1931, è stata considerata per 
lungo tempo una disposizione complementare ed integrativa dell’art. 56 
c.p., una anticipazione in termini negativi del tentativo, la cui rilevanza 
si esaurirebbe nella funzione di limite esterno alla punibilità del delitto 
tentato, nei casi in cui la mancata verificazione dell’evento derivi o 
dall’assoluta inidoneità dell’azione o dall’inesistenza dell’oggetto 
materiale della condotta
10
. 
Tale orientamento poteva ritenersi conforme alla realtà normativa del 
codice Zanardelli, che non disciplinava la figura del reato impossibile, 
bensì si limitava a disciplinare nell’art. 61 solamente il tentativo, ma 
risulta inadeguato nei confronti dell’esplicita statuizione dell’art. 49 
c.p., che prevede l’istituto del reato impossibile, descrivendo i suoi 
elementi costitutivi e le sue conseguenze sanzionatorie. 
Mentre alcuni autori sostengono espressamente l’inutilità dell’art. 49 
comma 2 c.p. nei confronti dell’art. 56 c.p., altri giungono alla stessa 
conclusione implicitamente
11
, sostenendo che l’indagine sull’inesistenza 
dell’oggetto materiale va risolta nell’ambito del giudizio sull’idoneità 
degli atti ex art. 56 c.p. e dovendosi valutare, secondo un giudizio di 
prognosi postuma, se al momento dell’azione si presentava probabile la 
                                                 
10
 SERIANNI, voce Reato putativo e reato impossibile, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVI, Roma, 
1991, p. 2. 
11
 NEPPI MODONA, Il reato impossibile, Milano, 1965, p. 2. 
10 
 
 
presenza del punto di riferimento della condotta criminosa; l’inidoneità 
dell’azione inoltre non sarebbe che il contrario negativo dell’idoneità 
degli atti. 
Intuizioni felici come la distinzione tra il tentativo (di reato) impossibile 
ed il tentativo inidoneo, il primo disciplinato dall’art. 49 c.p., il secondo 
dall’art. 56, non portano ugualmente a conclusioni dissimili da quelle di 
buona parte della dottrina. I fautori della concezione tradizionale 
ritengono che, nonostante il legislatore abbia considerato il reato 
impossibile una figura a sé stante, esso, nella sostanza, non è che un 
tentativo rimasto senza successo
12
; «allorché l’evento non si verifica, 
per inidoneità dell’azione o per mancanza di oggetto dello stesso, si può 
ben dire che l’agente ha tentato di commettere un delitto senza 
riuscirvi»
13
; ed ancora: l’inidoneità degli atti - alla quale si può 
accostare l’inesistenza dell’oggetto - «fa venire meno un presupposto 
del delitto tentato di guisa che il fatto commesso va esente da pena»
14
.  
Si sostiene anche che il reato impossibile adempie alla funzione di 
limite alla punibilità del tentativo in situazioni caratterizzate 
dall’assoluta inidoneità di fatto dell’azione o dall’inesistenza assoluta 
dell’oggetto materiale del reato, «con l’intento, cioè, di limitare la 
portata delle teorie soggettive in tema di delitto tentato e di ancorare la 
punibilità del conato delittuoso all’estrinsecazione di attività materiali 
che si concretizzino in una realtà obiettiva, diversa dalla semplice 
                                                 
12
 CARNELUTTI, Tentativo di chiarire il concetto di tentativo, in Riv. it. dir. pen., 1953, p. 675; 
PANNAIN, Il tentativo, in Atti del congresso di diritto penale tenuto dall’8 all’11.4.1953 in Trieste, 
Roma, 1953, p. 53 s. 
13
 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 13ª ed. a cura di CONTI, Milano, 1994, 
p. 440. 
14
 PAGLIARO, Principi di diritto penale, Milano, 1987, p. 416.  
11 
 
 
intenzione di delinquere»
15
. 
Anche i vari tentativi della dottrina per cercare una definizione della 
figura del reato impossibile indipendente dall’art. 56 c.p. non hanno 
dato risultati soddisfacenti, in quanto volti ad inquadrare l’istituto in 
categorie precostituite, senza approfondire la reale portata dell’art. 49 
comma 2 c.p., come quando il reato impossibile viene inserito nella più 
vasta categoria del reato apparente
16
. 
Di “concezione realistica del reato”, e proprio in relazione al reato 
impossibile interpretato come «fatto non costituente reato perché non 
concreta una violazione dell’interesse penalmente protetto»
17
 si è 
parlato per la prima volta nel secondo dopoguerra, ma già 
precedentemente si era parlato di un “criterio realistico, riguardo il 
progetto preliminare del primo libro del codice penale”
18
. 
Se questo tipo di corrente dottrinale non deve essere confuso con 
l’indirizzo realistico della scienza del diritto penale
19
, comunque esso ha 
in comune con la tesi da noi esaminata la concezione del diritto non più 
come mera “forma” e la necessaria considerazione del fatto o rapporto 
sociale regolato dalla legge.  
                                                 
15
 NEPPI MODONA, voce Reato impossibile, in Nss. D. I., vol. XIV, Torino, 1967, p. 976. 
16
 DE MARSICO, Il reato apparente e l’apparenza nella teoria del reato, in Studi in memoria di 
Arturo Rocco, vol. .I, Milano, 1952, p. 335 s.; PELUSO, Il reato impossibile, in Studi in onore di 
Ernesto Eula, vol. III, Milano, 1957, p. 235. 
17
 VANNINI, Il reato impossibile, in Scritti giuridici in onore di Vincenzo Manzini, Padova, 1954, 
p.476.  
18
 DELITALA, Le dottrine generali del reato nel Progetto Rocco, Milano, 1927, ora in Diritto 
penale - Raccolta degli scritti, vol. I, Milano, 1976, p. 287. 
19
 ANTOLISEI, Per un indirizzo realistico nella scienza del diritto penale, in Riv. it. dir. pen., 1937, 
p. 121 s.  
12 
 
 
Le differenze, tratte dalla normativa, che corrono fra reato impossibile e 
tentativo sono state schematizzate in questa maniera: 
I) l’art. 49 c.p. si riferisce a qualsiasi reato che sia in apparenza 
consumato, ma che in effetti è un “non reato”; 
II) l’art. 49 c.p. si basa sui criteri dell’inidoneità della condotta e 
dell’inesistenza (mancanza) dell’oggetto; 
III) l’impossibilità citata dall’art. 49 c.p. riguarda il verificarsi 
dell’evento, dannoso o pericoloso; 
IV) non c’è nessun accenno all’elemento psicologico; 
V) l’art. 49 c.p. si riferisce alla “azione” e non agli “atti”. 
Nel tentativo, invece: 
I) l’art. 56 c.p. si riferisce ad un’ipotesi particolare, ad un delitto 
incominciato e non portato a termine; 
II) nell’art. 56 c.p. non si considera l’evento, a differenza che nell’art. 
49 c.p.; 
III) l’azione nel tentativo può non essere compiuta, e pertanto l’art. 56 
c.p. si riferisce ad “atti” posti in essere dal soggetto; 
IV) tali atti devono essere idonei a realizzare l’evento; 
V) essi devono essere diretti a commettere un delitto, rimanendo 
escluso dalla previsione dell’art. 56 c.p. quindi il delitto colposo
20
. 
La concezione realistica si propone dunque la ricostruzione dogmatica 
dell’istituto del reato impossibile visto come ipotesi tipica di divergenza 
tra conformità allo schema descrittivo e realizzazione dell’offesa
21
, 
mettendone in risalto l’autonomia concettuale e strutturale, attraverso 
un’indagine rigorosamente interpretativa ed agganciandosi alla 
                                                 
20
 SANTORO, voce Tentativo, in Nss. D. I., vol. XVIII, Torino, 1967, p. 1142. 
21
 M. GALLO, voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, p. 786. 
13 
 
 
Relazione Ministeriale ed ai Lavori Preparatori del codice Rocco. 
Viene osservato innanzitutto che, se fosse congrua l’interpretazione 
dell’art. 49 comma 2 c.p. come doppione rovesciato dell’art. 56 c.p., 
sembrerebbe comunque quantomeno singolare che il legislatore si sia 
preoccupato di caratterizzare negativamente un certo fenomeno prima 
di definirlo in termini positivi
22
. 
Le due disposizioni prevedono inoltre, anche tenendo conto della loro 
supposta complementarità, un differente trattamento sanzionatorio e 
questa circostanza già di per sé sembra sufficiente a far ritenere che il 
legislatore abbia voluto puntualizzare situazioni giuridiche distinte. 
Alla stessa conclusione si giunge pensando al fatto che è prassi costante 
che, una volta prevista positivamente una determinata figura criminosa, 
la legge non riservi più alcun cenno al suo contrario negativo
23
.  
Considerare l’art. 49 comma 2 c.p. come contrario negativo del delitto 
tentato contrasta poi con la formulazione dell’art. 56 c.p.; poiché l’art. 
49 comma 2 c.p. non si riferisce né implicitamente né esplicitamente 
alla “direzione non equivoca degli atti”, la coincidenza tra le due norme 
sarebbe solo parziale, con la conseguenza che se gli atti fossero idonei 
ma non univoci, l’agente sarebbe esente da conseguenze sanzionatorie, 
ma se gli atti fossero assolutamente inidonei, l’agente potrebbe essere 
assoggettato a misura di sicurezza.  
Ad analoga obiezione va incontro sia la tesi del reato impossibile quale 
limite del delitto tentato, in caso di assoluta impossibilità di 
verificazione dell’evento del delitto che si vuole commettere, dovendosi 
escludere che una condotta inefficiente in modo assoluto possa 
                                                 
22
 M. GALLO, op. loc. cit.; NEPPI MODONA, Il reato impossibile, cit., p. 21. 
23
 NEPPI MODONA, op. ult. cit., p. 22. 
14 
 
 
comportare effetti penali che atti solo relativamente inidonei non 
comporterebbero, sia la tesi che vorrebbe risolvere i problemi tra reato 
impossibile e tentativo inidoneo solo in termini di differenza 
quantitativa, applicando quindi la misura di sicurezza a colui che 
somministra a scopo omicida una dose di bicarbonato assolutamente 
inidonea a provocare la morte, risultando invece esente da qualsiasi 
sanzione colui che somministra ad un altro una dose insufficiente di 
veleno con l’intenzione di ucciderlo
24
, trattando dunque meno 
severamente un dato comportamento che presenta maggiore gravità di 
un altro. 
A questo punto ci si è domandati se accostare il reato impossibile alla 
figura del reato putativo, oppure inquadrarlo nell’ambito delle cause di 
esclusione del reato per mancanza dell’elemento oggettivo del fatto 
criminoso, permettesse di sostenere una maggiore autonomia della 
figura in questione nei confronti del delitto tentato, ma si è giunti alla 
conclusione che esse sono inadeguate a risolvere compiutamente il 
problema dei rapporti tra gli artt. 49 e 56 c.p.
25
.  
Quindi, sul piano delle conseguenze sanzionatorie, considerare l’art. 49 
comma 2 c.p. contrario negativo del delitto tentato porterebbe a tale 
risultato: limitandosi l’art. 56 c.p. alle sole figure delittuose, gli atti 
idonei diretti a commettere una contravvenzione, non essendo punibili a 
titolo di tentativo, andrebbero esenti da qualsiasi sanzione, mentre gli 
atti inidonei diretti a commettere una contravvenzione potrebbero 
configurare un’ipotesi di reato impossibile, quindi la comminazione di 
una misura di sicurezza.  
                                                 
24
 SERIANNI, op. cit., p. 3 
25
 NEPPI MODONA, op. ult. cit., p. 35. 
15 
 
 
La mancanza di qualsiasi correlazione tra reato impossibile e delitto 
tentato, resa evidente dai risultati insoddisfacenti ottenuti seguendo 
l’impostazione tradizionale, consente di affermare che i due articoli si 
riferiscono a realtà diverse. Appare dunque utile esaminare 
singolarmente i requisiti previsti dall’art. 49 comma 2 c.p., al fine di 
evitare soluzioni aprioristiche e preconcette.