Introduzione
Ciò che ci si accinge a esporre è il frutto di una dovuta presa d'atto da parte della letteratura
italiana. Solo negli ultimi anni si è cominciato a considerare la Storia della mia vita, il
voluminoso libro in cui sono contenute le memorie di Giacomo Casanova, come uno dei
maggiori capolavori della prosa settecentesca in Italia. Testo che per alcuni rappresenta l'atto
di nascita del romanzo moderno, è stato per più di centocinquanta anni al centro di molteplici
discussioni intorno ai contenuti scabrosi, alla poca affidabilità dell'autore, allo scarso valore
letterario della voce di colui che si faceva chiamare Cavaliere di Seingalt. Oltre a essere
Storia della mia vita, i XII volumi si chiamano anche Histoire de ma vie poiché chi le
redigeva era ben deciso a rivolgersi a una platea europea e scelse lo strumento di koiné
letteraria e filosofica del Secolo dei Lumi e della Rivoluzione. Eppure, dall'isolamento di uno
sperduto paesino in Boemia e lontano dagli eventi che scuotevano il secolo, Casanova era
digiuno di una lingua che egli stesso ammetteva di non aver mai padroneggiato alla
perfezione. Dovette ricorrere, laddove la competenza non lo assisteva, ad adattare allo
strumento l'idioma di quella patria che lo aveva voluto esule. Strano caso, Italia e Francia, che
a lungo bandirono l'avventuriero veneziano dal proprio territorio e dalla propria élite
linguistico-letteraria, ora fanno a gara nell'appropriarsi di un testo che riconoscono
fondamentale per la propria cultura. Ma proprio questo è il punto. Perché ora? Ebbene, a parte
i persistenti pregiudizi per un'opera facente bella mostra di un cospicuo contenuto erotico, che
insieme alle divagazioni filosofiche dell'autore ha suonato e talvolta continua a suonare come
una blasfemia alle orecchie dei più «costipati lettori», come Casanova li avrebbe chiamati,
l'Histoire de ma vie ebbe la sfortuna di incappare in mani quantomai sbagliate. In seguito a
pubblicazioni pirata che danneggiavano l'editore proprietario del manoscritto originale,
Friedrick Arnold Brockhaus, fu lanciata la vera edizione integrale del testo. Ma il francese di
Casanova doveva essere tradotto nel francese di un francese e ne fu incaricato tale Jean
Laforgue. Sfortuna volle che questo Laforgue fosse una spia dagli ideali bonapartisti, volendo
accaparrarsi il profilo ideologico del defunto Casanova decise di farne un protorivoluzionario
minando la costituzione originale del testo. Quell'edizione restò per oltre un secolo l'unica
ritenuta originale, ma nessuno tardò ad accorgersi delle discrepanze, talvolta apparentemente
inspiegabili, con le edizioni pirata. Il testo comunque ebbe ampissima fortuna, tanto che
dicendo “Casanova” si parla per antonomasia di un seduttore. Si dovette attendere il 1960
perché la casa Brockhaus tirasse di nuovo fuori il manoscritto per dare alle stampe una
versione integrale e finalmente autentica del testo. Di lì, poi, una revisione di molto di quello
che era stato scritto e detto sull'autore o sull'opera che ha portato al dovuto riconoscimento
letterario.
Questo lavoro, nel primo capitolo, cerca di ripercorrere le tappe di una ricezione complessa e
stratificata andando a prendere in esame come dalla composizione in senso stretto si sia giunti
alla pubblicazione e infine, fondamentale per il caso italiano, alla traduzione. Il secondo
capitolo, invece, cerca di sbrogliare alcuni equivoci sulla struttura del testo in sé. Infatti,
l'Histoire de ma vie non è solo un ibrido linguistico, ma anche un ibrido letterario, e in ciò
consiste parte del suo straordinario valore. Conversatore instancabile e abile tessitore
d'intrighi, Casanova seppe dotare le sue memorie di caratteri finzionali che le resero
ampiamente romanzesche. Quella che avrebbe voluto essere una straordinaria invenzione fu
però motivo di biasimo verso lo sventurato autobiografo: lo si accusò di non aver fatto altro
che accumulare menzogne. Per fortuna, è stato proprio il contenuto finzionale inaspettato
contenuto, ad esempio, nei dialoghi che ne ha decretato il riconoscimento di originalità in
Italia negli ultimi anni. I primi due capitoli sono serviti nella redazione di questa trattazione
per mettere carne al fuoco; c'era bisogno di scomporre il testo negli elementi fondamentali che
gli erano propri per capire quanto di essi fosse passato nella ricezione nostrana: un appiglio
teorico fondato su linguistica e narratologia ha fatto da grimaldello nel tentativo di scassinare
l'Histoire e classificarla.
Il terzo capitolo, infine. Si è cercato di far tesoro di quante informazioni si erano accumulate
in precedenza per utilizzarle come chiavi interpretative a ciò che di concreto giunge oggi a noi
lettori italiani di Casanova, le traduzioni che portano finalmente il titolo di Storia della mia
vita. Si è trattato poi di svolgere un lavoro comparativo raffrontando le edizioni integrali in
italiano derivate dal manoscritto originale per mettere alla luce l'ermeneutica sottesa all'opera
di ogni traduttore che abbia affrontato le memorie dell'evaso dai Piombi.
Ma la fortuna del più famoso degli avventurieri settecenteschi non è rimasta incollata alle
pagine del suo manoscritto; anzi, innumerevoli sono le rivisitazioni del personaggio all'interno
e persino all'esterno del mondo che aveva deciso di raccontare nella propria autobiografia. E
così che per concludere la trattazione e chiudere il discorso sull'eredità umana lasciata da
questo «vegliardo straordinario», come lo chiamava Da Ponte, rinchiuso in una biblioteca a
scrivere le sue memorie, si è cercato di fare accenno ad alcune rivisitazioni cinematografiche
del personaggio che ne trasmettono, ancora una volta, l'affascinante molteplicità.
Capitolo I – Biografia di un'autobiografia
1. Quale Histoire?
Mago, ciarlatano, galante, impostore, truffatore, giornalista, libertino, donnaiolo, spudorato,
empio, geniale, traduttore, massone, provocatore, chiacchierone, diplomatico, pervertito,
filosofo, furfante, storico, galeotto, matematico, baro, alchimista, falsario, scommettitore,
saggista, volgare, immorale, viaggiatore, spia, romanziere, buffone. Epiteti, questi, tutti
accostabili a un unico personaggio: Giacomo Casanova. Colui che fece del proprio nome il
sinonimo di seduttore e libertino e lo iscrisse, ultimo arrivato, nella tétrade della letteratura
erotica accanto a quello di Pietro Aretino, il conte di Villamediana (meglio noto come Don
Giovanni Tenorio) e al "divino marchese" De Sade. Questa percezione nell'immaginario
collettivo, questo riflesso popolare, l'avventuriero veneziano lo deve innanzitutto a una lunga
tradizione che ne ha disconosciuto i meriti e condannato i comportamenti. Laddove in Francia
ci si appropriava del suo capolavoro, l'Histoire de ma vie, e col tempo si andava a iscriverne
l'autore nel novero degli immortali, in Italia quasi due secoli sono dovuti passare perché il
fuggiasco dei Piombi avesse giustizia della propria fama. Eppure anche così la figura di
Casanova sembra oggi essere percepita in forma sdoppiata: da una parte l'atleta dell'erotismo
e dell'impostura, dall'altra il campione della filosofia libertaria. Non cessa dunque di
affascinare e di far discutere Casanova, ed è bene che si vadano a scovare le cause di tale
opposizione.
Questo singolare pregiudizio, ovvero se egli possieda un profilo degno di essere ricordato, ha
frenato irreparabilmente la fortuna dell'opera. Il problema dev'essere aggirato più che
affrontato. Non è possibile dare un giudizio morale sull'individuo; ciò sarebbe più che altro
inappropriato, oltre che inutile: la percezione di un autore reale, la persona fisica di Giacomo
Casanova, nonostante qualunque sforzo, sfugge e sempre sfuggirà; non si potrà accedervi che
attraverso i documenti, le testimonianze e, ovviamente, gli scritti che lasciò ai posteri. Da
questi ultimi si può discutere semmai di un autore implicito, sarebbe a dire la proiezione
fantasmatica dell'autore nella mente di ogni lettore, la quale, per una singolare combinazione
di scatole cinesi, nel genere autobiografico va a coincidere con il narratore, il personaggio e
parzialmente anche con l'autore: equivoco, questo, che genera la critica sulla persona più che
sull'opera. Se si adotta invece un atteggiamento ricettivo, a ogni singola lettura corrisponderà
un Casanova, la totalità dei quali, limitata solo da ciò che il testo propone o prescrive, ne
1
costituirà l'identità nell'immaginario collettivo
1
, poiché ogni costruzione soggettiva del
personaggio sarà legittima. Un approccio di questo genere permette di schivare la discussione
morale che ha segnato la critica su Casanova dai principi e ne ha determinato via via
l'emarginazione o la riabilitazione. Considerato unicamente per sé stesso e non in relazione
fisica con chi lo scrisse, come fosse appunto un’opera prettamente narrativa o un romanzo di
autofiction, il testo casanoviano può inoltre finalmente permettersi di non essere più materia
di costante confronto documentario allo scopo di provarne la veridicità: anche se Casanova
avesse deciso di mentire – cosa che tra l'altro non ha mai fatto, almeno di proposito, come
puntualmente gli studi hanno dimostrato – non avrebbe avuto torto, non essendo richiesto a
un'opera narrativa, ossia per alcuni aspetti finzionale, di essere veritiera
2
. Anche la quaestio
sulla veridicità è dunque inappropriata. In ogni studio letterario è però lecito domandarsi
quale sia il testo più fedele alla forma originale, specialmente in uno studio che ne fa
l’elemento principe di un‘analisi, ciò costituisce la base di qualunque successivo discorso.
Ebbene, si è giunti all'annosa questione. L'Histoire de ma vie ha avuto un destino avventuroso
quasi quanto quello del suo protagonista e la ricezione ne ha profondamente risentito. Non si
andrà troppo lontani dalla verità affermando che gran parte delle edulcorazioni ermeneutiche
sopra accennate abbiano messo radici su una pubblicazione più che mai faticosa, oltre che
colpevolmente rimaneggiata. Sarà addirittura intrigante allora rintracciarne le orme dalla fase
embrionale all'apparizione definitiva.
2. Una vita degna di essere narrata
Spinse Casanova allo scriver di sé una profonda consapevolezza di aver trovato la sua vita
degna di essere narrata, maturata non solo in vecchiaia, a Dux, dove il precetto sempre seguito
del Sequere Deum gliene apparecchiò l'occasione, ma già dalla giovinezza. Il Settecento fu il
secolo dell'autobiografia, eppure Casanova volle discostarsi dallo statuto tradizionale della
vita del letterato che guarda alla propria giovinezza con giudizio e maturità o che descrive i
meriti che ne hanno segnato la carriera, così come volle rifuggire da quello più innovativo
della confessione
3
. Non c'è traccia di ravvedimento, ostentazione di gloria – che non ebbe,
1 I concetti di autore reale e implicito, narratore e personaggio saranno ripresi più tardi, quando verrà fornito
un prospetto narratologico dell'opera.
2 Anche su questo argomento si tornerà più in là, allorché si andrà a parlare dei procedimenti narrativi che
Casanova adotta nella costruzione dell‘intreccio.
3 «Quando mi verrà voglia di scrivere la storia di tutto ciò che mi è capitato nei diciotto anni da me passati
correndo l'Europa fino al momento in cui piacque agli Inquisitori di Stato di concedermi un onorevole rientro
nella mia patria, la comincerò da dove finisce questa[...] Non darò alla mia narrazione il titolo di
Confessione, dopo che uno stravagante ha insozzato questa parola che non posso più soffrire, ma sarà una
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