9
L’oggetto del presente lavoro di tesi consiste nell’analisi degli istituti giuridici di diritto familiare e
diritto successorio, vigenti nel medievale Regno d’Ungheria, così come codificati nel Tripartitum
Opus Iuris Consuetudinarii Inclyti Regni Hungariae (d’ora innanzi, Tripartitum), redatto da Istvan
Werboczy (ca. 1470
1
– 1541).
Il Tripartitum rappresenta il più grande tentativo di raccolta sistematica di principi normativi attuato
in terra d’Ungheria nell’epoca precedente l’era delle moderne codificazioni e la fortuna che esso
acquisì in ambito accademico non fu sicuramente maggiore della rilevanza che fu ad esso attribuita
nell’ambito della vita pratica. Prova ne siano le sentenze delle Corti ai vari livelli ai quali le
medesime erano collocate nella gerarchia giudiziale del Regno. Questa asserzione è corroborata da
due considerazioni, tra le molte, che riporto in quanto significative per la comprensione della
fortuna di cui godette l’opera.
È infatti risalente al maggio 1517 una decisione di una corte del Regno che, nel dirimere una
controversia concernente la divisione di beni tra fratelli possedenti una proprietà indivisa, giudica
sintetizzando in parte quanto esposto in Trip., I, 45
2
, per il quale capitolo la suddetta divisione tra
fratelli (col quale termine vengono compresi, nella terminologia werbocziana, tanto i carnales
quanto gli uterini) va normalmente condotta non processu litis sed per litteras, salvo quanto
indicato più avanti nel medesimo capitolo allorché il giudice consideri appropriata la richiesta
dell’attore. Ciò è tanto più degno di nota dal momento che la pubblicazione del Tripartitum, a
Vienna, data al maggio 1517. Seguirono inoltre, negli anni successivi, riferimenti parziali o totali
alla normativa in compilazioni di decisioni giudiziali, formulari per praticanti che volessero
intraprendere la professione di notaio, fino ad arrivare alla prima decisione, datata 1588,
esplicitamente e in toto basata sul Tripartitum, più precisamente sul capitolo cinquantesimo della
Parte seconda
3
.
La applicazione delle disposizioni contenute nel Tripartitum non fu comunque limitata nel tempo:
essa continuò nelle terre magiare che passarono sotto il controllo degli Asburgo nel 1526 e nelle
loro pertinenze (Transilvania in primis). Ciò avvenne nonostante la sconfitta ungherese del
medesimo anno a Mohacs che non solo permise agli Ottomani di occupare le propaggini
sudorientali del Regno (in particolare la contea di Timis con capitale Timisoara) bensì di arrivare a
1 La data di nascita del Werboczy è oggetto di controversie. Come indicato in M. RADY, Stephen Werboczy and his
Tripartitum, in J.M. BAK, P. BANYO e M. RADY, The Customary Law of the Renowned Kingdom of Hungary: A
Work in Three Parts Rendered by Stephen Werboczy (The “Tripartitum”), con uno studio introduttivo a cura di Laszlo
Peter, Idyllwild, CA, USA e Budapest,2005, p. XXIX, nota 9, viene considerato maggiormente probabile che la data di
nascita si collochi nei primi anni '70 del XV secolo. Il Rady sostiene ciò in considerazione della implausibilità di quanto
affermato dal nuncio papale in Ungheria nel 1540, ossia che Werboczy fosse già più che ottantenne a quella data. Rady
esplicita questa conclusione facendo riferimento al fatto che la conduzione di una missione a Costantinopoli
difficilmente poteva essere affidata ad un uomo che avesse raggiunto un'età per quei tempi estremamente veneranda.
Tuttavia in G. KARMAN e L. KUNCEVIC, The European Tributary States of the Ottoman Empire in the Sixteenth and
Seventeenth Centuries, Leiden, 2013, p. 68, si colloca la data di nascita intorno al 1458, rendendo così possibile che al
tempo della missione summenzionata il Werboczy fosse effettivamente ultraottantenne.
2 Ognuna delle tre parti del Tripartitum è divisa in capitoli (tituli). Ho seguito il metodo di citazione adottato tanto in
BAK, BANYO, RADY, The Customary Law…op. cit. quanto in M. RADY, Customary Law in Hungary: Courts, Texts
and the Tripartitum, Oxford, 2015.
3 RADY, Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 19.
10
prendere possesso di Buda. Questa efficacia nel tempo è resa ancora più degna di menzione per via
del fatto che non si riscontra un parallelismo temporale tra le prime codificazioni in Europa
occidentale, in seguito alla estensione della Repubblica (poi Impero) francese, e la prima
codificazione in Ungheria. Infatti, se eccettuiamo l’introduzione dei Codici Civile e Penale austriaci
alla metà dell’Ottocento (codici peraltro mai completamente entrati in vigore, anche per mezzo di
disposizioni statutarie e sentenze che andarono a contraddire quella che era vista come una
normativa straniera), l’Ungheria vide il suo primo Codice Civile pubblicato nel 1959 e vigente dal
1960. Si comprende quindi l’importanza assunta dall’opera di Werboczy, la quale cominciò ad
incrinarsi solo a partire dalla metà del XIX secolo in considerazione della incompatibilità tra le sue
disposizioni – rivolte alla classe nobiliare della quale Werboczy era componente – e l’intento di
abbattere le disuguaglianze sociali sempre accentuate in un sistema inevitabilmente segnato dalla
distinzione in classi. Ma, anche per via della legislazione tramite rendelet (decreti) e tentativi
novecenteschi di codificazione dal carattere sempre provvisorio, si dovette attendere la fine della
Seconda Guerra Mondiale per consegnare definitivamente alla storia Werboczy e la sua opera
4
.
L’analisi è accompagnata da una comparazione tra gli istituti giuridici delineati nel Decretum (titolo
che, fin dai mesi immediatamente successivi alla pubblicazione, venne attribuito al Tripartitum) e
gli istituti giuridici di diritto familiare e successorio presenti nell’Europa occidentale, segnata ormai
da secoli dall’evoluzione dell’esperienza giuridica dello ius commune, eccettuando la trattazione
dell’evoluzione del diritto nelle isole Britanniche in considerazione della loro strutturazione
peculiare del diritto basata sul common law.
È necessario, prima di addentrarsi nell’analisi, precisare alcune peculiarità dell’opera in oggetto.
In primis, analizzando il titolo dell’opera, notiamo un riferimento ad uno ius consuetudinarium del
Regno d’Ungheria. Ciò era teoricamente corrispondente a quanto ordinato da Vladislav (Ladislaus)
II di Boemia, Re d’Ungheria dal 1490 al 1516, il quale, nel 1504, 1505 e 1507, aveva ordinato che i
decreta regni promulgati in suo nome venissero riuniti in un’unica raccolta. Allo stesso modo, nel
1498, era stato ordinato che le consuetudini vive del regno, applicate quotidianamente nelle
decisioni e sentenze delle corti, fossero raccolte per essere sottoposte alla sua approvazione.
Tuttavia, Werboczy non si attenne fedelmente alle disposizioni date dall’autorità regale. Da
appassionato sostenitore del legame indissolubile presente tra legge scritta e consuetudine, asserì
che:
- La consuetudine, mediante l’uso continuato nel tempo che costituisce la conditio sine qua
non della sua validità nell’ambito territoriale nel quale si sviluppa, può implicitamente
annullare una disposizione di legge scritta. La disposizione di legge scritta, fosse essa
decretum, statutum, iussus regis o altro, perdeva il suo vigore nel momento in cui fosse
soppiantata nell’uso quotidiano dal costume, ciò che viene esplicitato in Trip., II, 2:9,
allorché si afferma che:
4 L. PETER, The Irrepressible Authority of the Tripartitum, in BAK, BANYO, RADY, The Customary Law…, op. cit.,
pp. XVIII-XXI e XXIII-XXVI.
11
Tunc priores leges vigorem habere dinoscuntur, si contrarius usus populi illis non preiudicaverit.
Nam usus realis et continuus saepe tollit legem
5
.
- I decreta non sono, naturalmente, privi di efficacia. Semplicemente, la consuetudine
provvede a convalidare la legge che viene promulgata. In mancanza di un uso costante e
fattuale, la legge non prevale su quanto costituisce la consuetudine del Regno. Ciò tuttavia
fa salvo il principio per cui una legge fresca di promulgazione deve essere applicata nelle
sentenze che seguono temporalmente la promulgazione della legge:
[…]dum videlicet novae leges fuerint introductae. Tunc secundum illas oportebit iudicare, sive sint
efficaces, sive mitiores prioribus
6
.
È alla luce di queste considerazioni che Werboczy esplicita il suo intento, rivolgendosi, nella
introduzione al Tripartitum, serenissimo principi et domino, domino Wladislao Dei gratia regi
Hungariae.
Non attribuendo a sé medesimo alcuna particolare erudizione, è comunque intenzionato a realizzare
un’opera mai compiuta o anche solo tentata prima del momento in cui scrive, ossia congiungere e
combinare i decreti, statuti, leggi e consuetudini del Regno al fine di redigere un corpus normativo
unitario che possa essere applicato all’intero Regno e alle sue pertinenze. Il corpus, da sottoporre
all’approvazione del Re, sarà redatto in modo chiaro, semplice e comprensibile a ciascuno,
suddiviso in capitoli, titoli e articoli, affinché venga meglio impresso nelle menti dei lettori
7
.
In secundis, è opportuno dare una breve scorsa alla struttura formale dell’opera.
Il Tripartitum è così intitolato per via della divisione in tre parti, che, nelle intenzioni iniziali,
avrebbero dovuto rispettivamente trattare delle persone, delle azioni esperibili e delle res. Il
5 BAK, BANYO, RADY, The Customary Law…op. cit., p. 228. (Trip., II, 2:9)
6 Ibidem, p. 228. (Trip., II, 2:10)
7 “Tantum enim abest ut mihi quippiam maioris industriae aut eruditionis attribuam ut meos etiam inter aequales ac
eiusdem professionis studiosos me in postremis haerere non inficiar. Vestrae tamen maiestatis secundissimo ductu
vestrisque felicibus auspiciis rem his regionibus ad hunc usque diem inauditam, et per tot saeculorum lapsus magno
dedecore sed maiori iactura neglectam aggrediar, statuta scilicet et decreta ac leges et consuetudines regni hactenus
divulsa, mutila, confusa et male cohaerentia in unum connectere ac conglutinare in scriptisque redacta vestrae
maiestati ad communem usum provulganda, summa cum obsequendi propensitate offerre. […] Opereprecium autem
duxi pro maiestatis vestrae voto universas regni consuetudines ac leges ac decreta dilucido, aperto ac unicuique facile
exposito stilo perscribere, et in capita, titulos ac articulos redigere ut deinceps prima legum nostri regni rudimenta non
ab antiquis illis fabulis quibus hactenus omne fere tempus aliis atque aliis aedendis iuribus inaniter contrivimus sed ab
ipso litterarum aditu ac sacrario ab ipsoque civilis disciplinae fonte depromantur in animisque cuiusque altius
insideant tenatiusque radicentur.” Ibidem, p.10-13.
12
risultato è tuttavia diverso dalle intenzioni di cui sopra in quanto la distinzione viene solo
parzialmente mantenuta nella prima parte e nella seconda
8
.
Ciò in quanto la prima parte si occupa di diritto sostanziale, trattando, tra le altre, di tematiche di
diritto amministrativo, costituzionale e delle obbligazioni: la parte del leone la fanno, tuttavia, il
diritto familiare e il diritto successorio. Nella mia analisi ho reperito 42 tituli concernenti il diritto
familiare, in quanto riguarda la prima parte. Nessun titulus che interessi il diritto di famiglia ho
invece trovato nelle parti seconda e terza. In quanto riguarda il diritto successorio, nella prima parte
i tituli rilevanti sono invece 35. A differenza però dei tituli concernenti il diritto familiare, nella
seconda parte e nella terza ne vengono in rilievo alcuni, seppur in misura non comparabile a quella
dei tituli della prima: più nello specifico, le tematiche sono trattate in Trip., II, 60-64 e in Trip., III,
29-30.
La seconda parte del Tripartitum (della quale, ai fini della mia analisi, riporto i tituli dal 60 al 64) è
più focalizzata sul diritto processuale, tanto civile quanto penale, e si caratterizza per la descrizione
di istituti peculiari del Regno d’Ungheria, non riscontrati nell’esperienza processuale europea
occidentale. Vengono in rilievo la repulsio con la quale, legalmente, il nobile ostacolava
fisicamente, mediante uso di armi, l’ufficiale giudiziario nell’esecuzione coattiva di una sentenza a
lui sfavorevole, e la reoccupatio con la quale al nobile al quale era stato sottratto un bene immobile
era consentito l’uso della forza per impossessarsi di quanto era stato a lui sottratto
9
.
La terza parte si connota per il mancato rispetto, in toto, delle intenzioni di divisione schematica
summenzionate: i capitoli che la compongono trattano dei temi più svariati, ponendo in rilievo il
diritto consuetudinario vigente in Transilvania e Slavonia, così come notizie sugli Székely
10
di
Transilvania, gli statuti delle città libere, cenni di diritto penale in merito alla legittima difesa, per
poi dedicare la maggior parte dei capitoli alla condizione dei borghesi e dei contadini, asserviti e
non.
In relazione alla terza parte, ho ritenuto di riportare nella mia analisi:
- Trip., III, 3-4 in merito all’applicabilità del Tripartitum nelle terre annesse al Regno
d’Ungheria;
- Trip., III, 25 per quanto concerne le condizioni e le leggi applicabili agli jobbagyok
11
;
- Trip., III, 29-30 in quanto rappresentano cenni di diritto successorio in relazione ai contadini
del Regno.
8 RADY, Stephen Werboczy and His Tripartitum, in BAK, BANYO, RADY, The Customary Law… op. cit., p. XXXV.
9 RADY, Stephen Werboczy and His Tripartitum, in BAK, BANYO, RADY, The Customary Law… op. cit., p.
XXXVI. Per la repulsio, si veda Trip., II, 73-78.
10 I Siculi di Transilvania (Székely) sono un gruppo etnico magiarofono, la cui origine è incerta. Sono stabiliti in una
piccola porzione di Transilvania (Székelyfoeld), oggi in Romania, da circa 800 anni.
11 Gli jobbagyok (singolare jobbagy) rappresentano gli equivalenti ungheresi dei servi della gleba italiani.
13
In tertiis, come già accennato sopra, il lavoro di Istvan Werboczy si focalizza quasi esclusivamente
sul mondo della nobiltà ungherese, originata da una casta di guerrieri tramutatisi in proprietari
terrieri nel corso del Basso Medioevo
12
: egli tratta della origine di questa classe, così come delle
proprietà, dello status da loro posseduto e, per ciò che più ci riguarda, delle norme concernenti
rapporti di famiglia ed eredità, potendo opportunamente essere considerato come riflettente, per la
maggior parte, le fattuali condizioni, norme e rapporti interni della nobiltà ungherese, pur con le
dovute precisazioni
13
di cui parleremo durante l’analisi dei singoli istituti.
È doveroso, tuttavia, sottolineare come il populus werboczyanus, la nobiltà ungherese legata
all’autorità regale, costituisse appena il 5% del totale degli abitanti del Regno. La popolazione non
appartenente al ceto nobiliare era peraltro non esclusivamente magiarofona: tralasciando gli Székely,
di cui sopra, e varie popolazioni nomadi (Jazyg e Cumani) che furono quasi subito magiarizzate,
abbiamo popolazioni provenienti dai Paesi Bassi e dalla Renania (i “Sassoni” di Transilvania)
parlanti tedesco, oltre, naturalmente, a popolazioni romene nelle terre orientali e sudorientali del
Regno, dotate di autonomia in quanto riguarda l’amministrazione e la giurisdizione a livello
locale
14
. Per questo verrà dato conto, al termine del lavoro, di brevi cenni sul diritto successorio e
familiare delle popolazioni romene residenti nelle terre appartenenti al Regno d’Ungheria.
Avendo compiuto la mia esperienza di studio all’estero nella città di Timisoara, che appartiene alla
Romania dal 1920, ma che al tempo della compilazione del Tripartitum era una delle più importanti
città del Regno magiaro, ritengo opportuno dar conto anche di quali fossero le consuetudini che
regolavano la vita degli abitanti di etnia romena nel Regno.
Anticipo fin d’ora che, in relazione a questi cenni, si parlerà prettamente di consuetudini, non
esistendo, al tempo del Tripartitum, alcuna codificazione o raccolta normativa in relazione alla vita
giuridica delle popolazioni romene (ma il discorso è valido anche per le altre etnie abitanti il
Regno). Il mos Olachorum (consuetudine dei Valacchi, cioè dei Romeni), o, in lingua slava, zakon
Vlahom
15
regolò fino all’epoca moderna la vita delle popolazioni in questione. Esso non perse
efficacia nemmeno con l’apparizione, ormai nel XVII secolo inoltrato, nelle Tarile Romane (terre
romene, Valacchia e Moldavia), delle prime legislazioni laiche codificate, che comunque dovettero
sempre arretrare dinanzi al diritto consuetudinario
16
. È comunque importante rilevare che in ambito
matrimoniale, familiare in generale e di diritto successorio, le consuetudini si limitavano ad
“abbellire” quanto disposto dai canoni della Chiesa Ortodossa di rito greco orientale
17
.
12 Il primo stanziamento delle popolazioni nomadi di ceppo etnico-linguistico turco (Onogur) e finno-ugrico (Magyar),
diventate in breve tempo un unico popolo, data all’896. Si veda RADY, Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 1.
13 E. FUEGEDI, Az Elefanthyak. A koezepkori magyar nemes es klanja, Budapest,1992, trad. ingl. The Elefanthy. The
Hungarian Nobleman and His Kindred, a cura di Csaba Farkas e Frank Schaer, Budapest, 1998, pp. 18-19.
14 RADY, Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., pp. 5-7.
15 V. HANGA, Les institutions du droit coutumier roumain, Bucuresti, 1988, pp. 44-46.
16 Ibidem, pp. 133-134.
17 Ibidem, pp. 89-90.
14
Dunque, nel primo capitolo verrà dato conto di notizie di carattere storico riguardante il Regno
d’Ungheria e di carattere biografico per quanto riguarda Istvan Werboczy.
Si passerà poi ad un secondo capitolo in cui verrà trattato il diritto di famiglia come risultante dai
capitoli del Tripartitum.
Il terzo capitolo delineerà i profili di diritto successorio risultanti dall’opera werbocziana.
Come anticipato, in entrambi i capitoli la tematica sarà discussa in una ottica di comparazione tra
istituti.
Il quarto capitolo darà, come precedentemente indicato, cenni di diritto familiare e successorio
nelle consuetudini delle popolazioni romene, nella medesima ottica di comparazione tra istituti,
prima di procedere con le conclusioni del presente lavoro.
15
CAPITOLO I:
L'Ungheria di Werboczy
16
Il Regno medievale d'Ungheria: cenni storici in rapporto al Tripartitum
L'Ungheria ha un'antica leggenda. I suoi sette capi, mille anni or sono, giurarono, col voto del sangue, di
rimanere eternamente uniti, fedeli alla loro gente e ad Arpad, il grande duce, il conquistatore della patria.
Essi dissero: “Come il nostro sangue si mescola in questa coppa, così saremo noi uniti sempre nella vita e
nella morte”.
18
Il passo in questione è specificamente riferito alla solenne commistione del sangue. Essa
rappresentava una pratica ancestrale del popolo magiaro
19
che, nel passo di cui all'opera del Roberti,
suggella il compimento del processo di adfratatio.
L'istituto in questione è citato una volta sola nell'opera werbocziana, in Trip., I, 49.
Il passo summenzionato, tuttavia, ed in particolare per quanto riguarda il concetto di fedeltà da
prestarsi al capo (poi monarca), costituisce una ottima base per dare dei cenni riguardo l'evoluzione
del Regno d'Ungheria, limitatamente a dei profili utili per comprendere il contesto di gestazione e
redazione del Tripartitum.
Fin dall'arrivo, nel bassopiano pannonico, del popolo magiaro, nell'896, si ricorse ad una
centralizzazione dei poteri nella persona del monarca. Ciò, naturalmente, valeva tanto ad uno stadio
più prettamente tribale, in cui la centralità era necessaria al fine di evitare spinte centrifughe da
parte di potenziali rivali, con conseguente disgregazione della struttura sociale che andava
formandosi, quanto ad uno stadio successivo, di completamento della struttura sociale medesima,
mediante la formazione di una organizzazione amministrativa e burocratica adatta a sopperire alle
necessità di una popolazione sempre maggiore.
L'organizzazione tribale magiara compì la sua evoluzione verso una organizzazione statuale
medievale anche con il contributo di cariche e strutture già esistenti nei principati slavi che vennero
soppiantati dalle tribù ungheresi. È d'obbligo, a riguardo, pensare alla divisione amministrativa in
contee (megye ha il significato di “confine” o “contea”)
20
ma anche ai titoli di ispan
21
e vajda (=
voivoda)
22
che ebbero fortuna ben oltre l'epoca “pagana” del popolo ungherese.
18 M. ROBERTI, Svolgimento storico del diritto privato in Italia, III, La famiglia, Padova, 1935, p. 349.
19 Il termine “magiaro” è da me utilizzato, qui e più avanti, secondo l'uso corrente, come sinonimo di “ungherese”, in
riferimento all'unico popolo nascente dalla unione dei due popoli stanziatisi nell'antica Pannonia,come esposto dalla
teoria riferita in RADY , Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 1.
20 RADY, Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 1.
21 Titolo amministrativo, designante l'autorità a capo della unità amministrativa ungherese che era la contea. Per questo
nei documenti in latino il titolo viene solitamente reso con il termine comes. Analogamente, l'alispan corrispondeva
al vicecomes.
22 Titolo diffuso in tutta l'Europa orientale e balcanica. In Ungheria era utilizzato con riferimento al V oivoda di
Transilvania, funzionario statale, dotato di poteri giudiziari, militari e amministrativi, controllante le province
orientali del Regno, annesse all'Ungheria sin dai primi anni dell'undicesimo secolo. Si veda RADY , Courts, Texts
and the Tripartitum, op. cit., p. 2.
17
Uno spartiacque nella storia del Regno si ebbe con la conversione al cristianesimo del Re Stefano I
(1000 d.C.) il quale venne, gradualmente, seguito dal suo popolo. Ciò perché unitamente
all'adozione della religione cristiana fu adottata la lingua latina, divenuta da allora la lingua ufficiale
dell'amministrazione, della burocrazia e delle corti: l'adozione di questa lingua permise una sempre
maggiore apertura del Regno al resto dell'Europa continentale, favorendo lo scambio non solo di
beni merce ma anche la diffusione in Ungheria delle idee che compenetravano la società medievale
romano-cristiana. Già nella prima metà dell'undicesimo secolo abbiamo testimonianze,ad esempio,
di viaggiatori, provenienti dalle Isole Britanniche, nel Regno
23
.
In tutta la storia medievale ungherese viene posto in rilievo lo stretto rapporto tra il monarca e la
classe nobiliare. Da sostanzialmente pacifico, quale si poteva riscontrare ai tempi di Arpad, a
complesso e tumultuoso nel quindicesimo secolo, esso fu una costante nelle dinamiche interne del
Regno. La rilevanza del tema era tale che lo stesso Werboczy vi dedica diversi tituli, collocati tra i
primi della prima parte del Tripartitum.
In Trip., I, 3, Werboczy discetta dell'origine della nobiltà in Ungheria. In Trip., I, 3:2-5, mostra
come, da uno stato comunitaristico di vita in cui il suo popolo
24
si trovava al momento dell'arrivo in
Pannonia, vi sia stata una evoluzione implicante una distinzione in classi. Gli strati inferiori della
popolazione sarebbero stati composti da coloro i quali non avevano ottemperato agli ordini dati
dalla comunità, capitaneis ordinatis, in relazione a problemi concernenti la comunità in toto, come
ad esempio il doversi armare per prepararsi alla guerra.
È in relazione a questa disobbedienza che Werboczy giustifica la presenza di classi sociali diverse
nella società magiara. Coloro i quali avevano ottemperato ai loro doveri, erano stati elevati ai più
alti gradi sociali; coloro i quali avevano cercato di eluderli o, ancor peggio, di rifiutare di compiere
il dovere che l'appartenenza alla comunità richiedeva, finirono perpetuam […] in rusticitatem.
Per l'autore del Tripartitum, questa è l'unica spiegazione alla riduzione a uomini plebeae […]
conditionis di un gran numero di ungheresi: discendendo essi tutti da Hunor e Magor
25
, una
riduzione d'imperio in servitù (o comunque in uno stato di inferiorità rispetto alla classe nobiliare)
era l'unica possibile.
In Trip., I, 3:6 vengono descritti dei passaggi importanti per comprendere il rapporto tra il monarca
e la classe nobiliare. Con riferimento all'incoronazione di Santo Stefano I re d'Ungheria, Werboczy
esplicita che il re è stato eletto sponte dalla libera volontà dei nobili, rappresentanti della comunità:
23 S. GAL, Hungary and the Anglo-saxon world, in http://mek.oszk.hu/02000/02096/html/saxon.htm . Si narra, più in
particolare, di Edward, figlio di Edmund Ironside, che sposò la figlia di Santo Stefano re d'Ungheria, rimanendo nel
Regno fino al 1057.
24 Werboczy considera gli Ungheresi discendenti degli Unni, provenienti dalla Scizia: è opportuno notare che il
territorio degli Sciti, tradizionalmente inteso dagli antichi, si voleva esteso dall'odierna Bielorussia all'odierno
Kazakistan. Come esplicitato in BAK, BANYO, RADY , The Customary Law…op. cit., p. 48-49, Werboczy struttura
i par. 2-5 del tit. 3 citando quasi testualmente dall'opera di Simone di Kéza, Gesta Hunnorum et Hungarorum.
25 Capostipite dei Magiari il secondo; il primo sarebbe stato, stando a Simone di Kéza in Gesta Hunnorum cit., il
fratello. BAK, BANYO, RADY , The Customary Law…op. cit., p. 50-51, nota 96.
18
conseguentemente, la medesima comunità avrebbe trasferito al re il potere esecutivo, investendolo
dell'autorità di guidare l'intero popolo.
La libera volontà nobiliare avrebbe concesso all'autorità regale una prerogativa fondamentale per
determinare chi potesse avere diritto allo status di nobile.
Essa consisteva nel potere di concedere la proprietà di una porzione di territorio da assegnare al
neo-nobile e ai suoi discendenti in perpetuo. La proprietà sulla terra distingueva il nobile dal plebeo:
e, in nome di ciò, Werboczy correttamente espose che la nobiltà, creata dal monarca
26
, dipendeva da
lui.
Viene tuttavia sottolineato come il legame tra autorità e ceto nobiliare non sia unidirezionale, bensì
che esista una reflexibilem connexionem tra le due entità, ut [...]alter sine altero fieri non possit
poiché sono i nobili che eleggono il re, allo stesso modo per cui è il re ad elevare un uomo al rango
di nobile.
Come spiegato in Trip., I, 4, questa elevazione deve trarre la sua giustificazione nella esplicazione
di particolari virtù da parte dell'uomo reso nobile.
In primis, può trattarsi di qualità venute alla luce nell'ambito del servizio militare. La società
magiara si caratterizza per essere una società fondamentalmente guerriera. Non avrebbe potuto
essere altrimenti, data la provenienza extraeuropea di questo popolo, stabilitosi in un bacino
prevalentemente disabitato, ma sempre esposto ad un costante rischio di disintegrazione per via
dell'accerchiamento geografico da parte di popolazioni slave su tre lati e della presenza, ai confini
occidentali, del Sacro Romano Impero.
Fu grazie alle qualità guerriere dei magiari che, nell'arco di un periodo di tempo relativamente
breve, furono sottomesse Transilvania, Slavonia, Dalmazia e fortificati i confini settentrionali del
Regno
27
.
In secundis, Werboczy, pur non menzionando una specifica qualità o virtù della quale si debba
necessitare al fine della elevazione al rango di nobile, ammette che quest'ultimo possa essere
acquisito caeteris animi corporisque dotibus et virtutibus: il monarca, assodate queste virtù , dona
una proprietà – che può consistere in un castro, vel oppido, sive villa aut alio iure possessionario –
cosicché l'uomo, anche se si trovi in condizione di servitù, possa essere da quel momento in poi
considerato nobile. Alla donazione deve poi seguire la legitima statutio con la quale il monarca
conferisce in modo solenne i crismi della legalità all'operazione di nobilitazione, mediante una
procedura convalidante
28
.
È fatto salvo, in un'ottica che considera l'autorità del monarca come autorità suprema, il potere del
medesimo di nobilitare un membro della comunità di popolo d'imperio, senza quindi il
26 Werboczy usa prevalentemente il termine princeps.
27 RADY, Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 3.
28 Che verrà esplicitata al momento dell'analisi di Trip., I, 8.
19
collegamento, che di regola è fondamentale, con la proprietà della terra precedentemente donata.
Non è necessario presentare una arma
29
come segno di riconoscimento dell'appartenenza al ceto
nobiliare, poiché, spiega Werboczy, molti borghesi e plebei ne possiedono una per donazione
dell'autorità regnante, ma ciò non rende gli stessi automaticamente nobili. Può tutt'al più servire
come requisito corroborante la pretesa.
Perciò, stante la mancata prova del diritto di proprietà, da fornire mediante la lettera di donazione da
parte del re, è più che sufficiente la quietanza di pagamento del Quartalicium
30
, il denaro o i beni
per il pagamento del quale sono da trarsi unicamente dal patrimonio ereditato (e non dai beni
acquisiti vita natural durante)
31
.
Le modalità di accesso al titolo nobiliare
32
, come descritte nel Tripartitum, riflettevano il
mutamento, nei rapporti tra Corona ungherese e ceto nobiliare, gradualmente avvenuto a partire dal
tredicesimo secolo
33
.
Nei primi due secoli, regnante la dinastia di Arpad, i nobiles ungheresi erano i diretti discendenti dei
guerrieri che avevano provveduto a stabilizzare il territorio nel quale si erano insediati. Con i loro
progenitori avevano in comune un rapporto di tipo personale con il re. L'autorità regale aveva
provveduto alla loro scelta e aveva attribuito loro il compito di esercitare le più disparate funzioni in
suo nome: amministrare la porzione di territorio che il re aveva loro garantito, dispensare giustizia,
provvedere alla esazione delle tasse in nome della Corona.
Tra i doveri che possedevano, vi era anche (e soprattutto) il compito di armarsi e armare drappelli di
uomini sulle terre sulle quali si trovavano, da destinare al servizio militare allorché il Regno
necessitasse di difendere i suoi confini o di condurre campagne militari al di fuori. A questi doveri
erano collegati privilegi non da poco. Il Rady riporta, in traduzione inglese, un privilegio datato
1204 e accordato dal monarca Imre I ad un certo Johannes Latinus proveniente dalla Transilvania,
in conseguenza dei numerosi servizi resi al re. Esso dà l'idea dei vantaggi che il serviens regis
otteneva
34
.
Il titolo di serviens regis viene riscontrato a partire dalle prime decadi del tredicesimo secolo. Stava
ad indicare la subordinazione diretta al re. La subordinazione in questione tese a divenire sempre
29 Ovverosia, lo stemma araldico della famiglia.
30 La definizione di Quartalicium è data in Trip., I, 88. Se ne parlerà diffusamente nel terzo capitolo.
31 Per la possibilità di nobilitazione anche in mancanza di una donatio possessionaria, Trip., I, 6.
32 Vengono, in verità, in rilievo altre modalità: l'adozione (della quale si tratterà nel capitolo seguente), la nobilitazione
per susseguente matrimonio con un componente del ceto nobiliare e la nobilitazione per acquisto di una proprietà
terriera (trattate allo stesso modo nel capitolo seguente benché non menzionate nell'opera werbocziana).
33 Riguardo il mutamento in questione, discusso nelle righe seguenti, si veda RADY , Courts, Texts and the Tripartitum,
op. cit., pp. 67-73.
34 “He and his heirs shall have complete right to keep company in the royal palace, and in respect of all the goods and
properties, homes and otherwise that he has acquired or will acquire, he shall not pay anyone any impost or tax,
nor shall he and his heirs be obliged to contribute anything, except in respect of military matters, in which they are
expected to serve us and the kingdom according to the liberty granted them.”
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più stretta allorché la classe guerriera decise di cautelare la sua posizione sociale, per via delle
alienazioni che la Corona, verso la fine del dodicesimo secolo, stava compiendo in misura sempre
maggiore. Ciò è comprensibile se pensiamo che i guerrieri dovevano essere soggetti alla
giurisdizione del locale signore della contea, secondo la normativa del dodicesimo secolo.
Perciò, mediante un legame ancora più stretto con il monarca, vi fu la tendenza della classe
guerriera a elevare ancor di più la propria posizione sociale. La qualifica di servientes regis era
adatta allo scopo, poiché implicava la possibilità di essere considerato parte della cerchia del re.
Coloro, tra i guerrieri, i quali non riuscivano in questo “salto” dovettero accontentarsi di una
subordinazione al proprietario terriero del luogo sul quale esercitavano la loro attività.
L'obbligo di contribuire alle spese militari e di fornire uomini e armi all'esercito, nonché la
prestazione militare di tipo personale, permasero anche allorché il tratto distintivo della nobilitas
Hungarica divenne la proprietà della terra, al punto che il conferimento di un appezzamento di terra
da parte del monarca veniva ritenuto un indizio evidente dell'appartenenza al ceto nobiliare della
persona che affermava la sua pretesa in questo senso. Il riferimento alla proprietà della terra si
estrinsecò, ad esempio, anche nella scelta del cognome, consistente in un toponimo che si riferiva al
luogo in cui si trovava la proprietà familiare principale; o all'appellativo, riferito ai parenti più
stretti, di frater condivisionales e non più generationales, a indicare la proprietà ereditata che
possedevano in comune
35
.
Il legame con la proprietà terriera, quindi, tese ad una sempre maggiore accentuazione nel corso dei
due secoli precedenti la compilazione del Tripartitum, fornendo al Werboczy il materiale per
trattare del rapporto tra monarchia e classe nobiliare, come sopra analizzato.
Nei rapporti tra le due entità, è d'obbligo sottolineare l'impatto che ebbe la Bolla d'Oro di Andrea II
d'Ungheria, in quanto il suo contenuto è riportato nell'opera werbocziana.
Essa si distingue per la presenza di svariate libertà concesse al ceto nobiliare, anche per ridare
tranquillità ad un Regno funestato dalle rivolte. È proprio per porvi termine che essa fu emanata
36
.
In essa si elencavano i diritti di cui i nobiles avrebbero beneficiato al fine di impedire abusi o
eccessive concentrazioni di potere, a loro discapito, da parte dell'autorità reale.
Come accennato, le libertà della classe nobiliare, come esposte nella Bolla, sono descritte da
Werboczy al fine di evidenziare ancor meglio il rapporto paritario che, nella sua ottica, doveva
intercorrere tra il monarca e i nobili
37
.
Le principali libertà in questione riguardano:
• il diritto di non essere arrestati, se prima non siano stati citati o non abbiano ricevuto l'ordine
di comparizione davanti ad un giudice. L'arresto, peraltro, non può essere eseguito laddove
35 Ibidem, p. 71.
36 Ibidem, pp. 78-79.
37 Trip., I, 9.
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non sia stata emessa una sentenza di condanna. La disposizione si applica anche in caso di
fuga dal luogo in cui è stato commesso il crimine. Ciò tuttavia non si applica nel caso in cui
i reati in questione siano omicidio, incendio doloso di uno o più villaggi, furto, rapina,
banditismo e stupro. Essendo casi in cui honorem titulumque et libertatem nobilitatis
quilibet amittit, il criminale può essere, benché di rango nobiliare, fermato anche da un
servo della gleba, ove venga colto in flagranza di reato.
• La soggezione del nobile ad un unico potere, quello del principe legittimamente incoronato;
e, comunque, viene ribadito il concetto di due process of law
38
a garanzia delle prerogative
del nobile.
• L'uso, a piena e completa loro discrezione, dei diritti di proprietà legittimamente accordati
loro dallo status che possiedono; l'esenzione totale dalle tasse, tributi di vario genere e dal
pagamento della tredicesima, con l'unico dovere di servire in armi a difesa del Regno.
Questo servizio militare obbligatorio a difesa del regno non cessò mai di essere compreso
nei doveri del membro del ceto nobiliare: ancora nel 1475, la delegazione del Re Mattia
Corvino in visita ufficiale a Milano sottolineava questo aspetto, descrivendo la nazione dalla
quale provenivano
39
.
• il diritto, in caso il monarca decidesse di agire in danno delle prerogative e libertà nobiliari,
di resistere e di opporsi al Re senza pericolo di essere accusati di nota infidelitatis
40
.
I privilegi evidenziano, nella costruzione werbocziana, una posizione paritetica della congregatio
nobilium e del monarca.
Ma, nel descrivere ciò, Werboczy non tiene conto della intera evoluzione dei rapporti tra nobili e
monarca.
Ricordiamo infatti che gli ultimi sovrani della casa di Arpad, infatti, pur dando sempre, nella
pratica, garanzia di rispetto formale e sostanziale delle prerogative nobiliari, non presero mai
decisioni esplicitamente basate sulla Bolla d'Oro emanata, come dicevamo, in un periodo di rivolte
interne
41
.
38 Che, a quei tempi, non era certo previsto per i facenti parte di classi inferiori: già Ottone di Frisinga, nelle sue Gesta
Friderici Imperatoris, dava conto della arbitrarietà della giustizia dispensata dal re, per quanto riguardava le classi
inferiori. Si veda RADY , Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., p. 3, nota 14.
39 E. FUEGEDI, Some characteristics of the Medieval Hungarian Noble family, in Journal of Family History, 7:1,
Budapest, 1982, p. 27. Viene riportata ibidem la trascrizione di un membro della cancelleria milanese, per la quale
“le casate dei zentilhomini che ascendano al numero de mille settecento case non pagano niente, ma sono obligati,
con omne suo potere, entrare in campo per defensione del Regno”. Si veda inoltre FUEGEDI, The Elefanthy, op.
cit., p. 3.
40 Equivalente al crimine di lesa maestà.
41 RADY , Courts, Texts and the Tripartitum, op. cit., pp. 80-81.