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Possiamo quindi intuitivamente dedurre come una tale funzione possa
essere efficacemente svolta solo se le informazioni fornite dal bilancio
rappresentano in modo corretto la situazione dell’impresa. In questo senso, un
bilancio falso/inattendibile cessa di essere un valido strumento
d’informazione e quindi pregiudica gli interessi di molti soggetti.
Tali considerazioni acquistano poi maggiore valenza nel contesto
dell’informazione esterna d’impresa: non a caso (proprio perché
l’informazione esterna dell’attività e dei risultati conseguiti dalle imprese ha
assunto nell’attuale sistema economico-sociale una rilevanza sempre
maggiore, in quanto è su tale base che assumono decisioni i soggetti che in
vario modo entrano in relazione con l’impresa) i bilanci destinati a
pubblicazione sono oggetto di analitica regolamentazione giuridica quanto a
contenuto e forma espositiva (tale regolamentazione, peraltro, lascia margini
di discrezionalità, più o meno ampi, e possibilità ed obblighi di deroga il cui
corretto esercizio è strumentale ai fini della corretta informazione esterna).
Data, quindi, l’importanza strategica dell’informazione esterna d’impresa,
l’approccio che questa può assumere nel fornire informazioni di tipo
economico (proprie del bilancio) ai propri interlocutori, può essere di due tipi:
• fornire un’informazione chiara, trasparente e completa nonché
sinteticamente neutrale (ossia, non finalizzata a nessun altro obiettivo che
non sia quello di informare correttamente la generalità degli utenti). In tal
caso il bilancio rappresenterebbe un valido strumento d’informazione;
• fornire un’informazione strumentale rispetto ai comportamenti che si
vogliono ottenere dai soggetti esterni (ossia, tale da indurre questi a
comportamenti che forse non avrebbero tenuto se l’informazione fosse
stata neutrale). In tal caso il bilancio rappresenterebbe uno strumento di
comportamento;
7
Fatte tali premesse il presente lavoro – muovendo dalla constatazione che il
risultato di periodo è una grandezza non oggettivamente accertabile ma
puramente convenzionale – tenta di approfondire la questione relativa al
perché si debba parlare di attendibilità di un bilancio e non di verità. Come
avremo modo di vedere, trattasi di una nozione che si presta ad essere piegata
a diverse accezioni ed, in tal senso, ad essere impiegata in due diversi
contesti: quello strettamente economico e quello strettamente convenzionale.
Avremo modo, altresì, di evidenziare la circostanza, di non poca importanza,
che ancorché un bilancio sia redatto nel rigoroso rispetto dei criteri
convenzionali che debbono informare la sua stesura e si possa quindi definire,
ma solo da questo punto di vista, come attendibile (o, anche, civilisticamente
corretto), non è detto che lo sia anche da un punto di vista strettamente
economico.
Chiarito tale aspetto, si passa ad esplorare la possibilità di definire delle
logiche in ordine alla determinazione del reddito di periodo così da
individuare altrettante configurazioni dello stesso, tutte di per sé razionali e
destinate a rispondere a diverse esigenze conoscitive in relazione alla finalità
per cui il reddito stesso viene rilevato (in tale parte particolare attenzione sarà
posta alla logica del rinvio dei costi, essendo questa quella che più si presta ad
una diretta confrontabilità sia con la logica del tempo fisico, sia con i criteri
che presiedono alla formazione del bilancio destinato a pubblicazione). In tale
contesto, il bilancio d’esercizio previsto dal codice viene inquadrato come un
“bilancio di compromesso” tra le diverse configurazioni di bilancio che
sarebbe opportuno redigere ai fini di una completa e significativa
informazione dei diversi soggetti variamente interessati alle vicende
dell’impresa: un bilancio cioè (legislativamente) valutato idoneo a fornire un
minimo di conoscenza comune ai diversi potenziali fruitori.
Successivamente si passerà all’esame della normativa codicistica ponendo,
peraltro, particolare attenzione al significato da attribuire ai termini “con
8
chiarezza” e “rappresentazione veritiera e corretta” utilizzati dal nostro
legislatore nonché alle particolari fattispecie che – anche con riferimento alle
voci più importanti di bilancio – implicano una violazione della clausola
generale. Come vedremo, le conseguenze civilistiche delle violazioni si hanno
quando il vizio informativo di bilancio risulta sostanziale e tanto rilevante da
indurre i terzi in errore ossia – facendo riferimento ad un’espressione ben nota
in ambito economico aziendale – quando la singola inattendibilità analitica
influisce in “misura rilevante” sull’attendibilità complessiva del bilancio. Per
completezza, verrà anche ricordato che si può essere in presenza di
un’inattendibilità sistemica senza che ciò derivi in modo immediato da
inattendibilità analitiche. Si tratta, in particolare, di quei casi in cui, pur non
trovando specifiche carenze delle singole parti, il bilancio nel suo complesso
non fornisce un quadro fedele della situazione aziendale. Del resto, se si
guardano le disposizioni del codice, si tratta delle situazioni in cui il rispetto
della clausola generale porta a derogare le norme specifiche.
Quindi, si parlerà del reato di falso in bilancio (concetto strettamente
penale) ai sensi dell’articolo 2621 n. 1 che, più in generale, introduce il reato
di false comunicazioni sociali. Come vedremo, per effetto di tale norma, i
soggetti che redigono il bilancio, la relazione sulla gestione, la relazione di
controllo e le altre comunicazioni sociali sono passibili di sanzione penale se
espongono “fraudolentemente” in tali documenti elementi non rispondenti al
vero sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società
(ovvero nascondono le situazioni medesime, non fornendo determinate
informazioni). Quando si parla di false comunicazioni sociali, si distingue tra
sfera oggettiva e sfera soggettiva del reato. Anche qui, per quanto riguarda la
prima, l’inattendibilità sistemica è ciò che veramente conta. Questo
orientamento, è anche coerente con quanto emerge circa il giudizio sul
bilancio in sede di revisione.
9
Trattasi di una norma che è, ancora oggi, di difficile e controversa
applicazione ma che soprattutto, ad avviso di diversi autori, è stata oggetto,
negli ultimi anni, di un ricorso sproporzionato da parte dei pubblici ministeri
(la sanzione penale è stata più spesso applicata rispetto a quella
amministrativa): tale situazione è senz’altro da ascrivere – in larga parte – alle
vicende giudiziarie legate al fenomeno “Tangentopoli”.
Sarà poi opportuna qualche considerazione sulla sfera soggettiva del falso
in bilancio. Siccome il bilancio è uno strumento d’informazione e la
trasparenza è il bene protetto, sono da considerare gravi quei comportamenti
in cui con consapevolezza si alterano le informazioni.
Da ultimo, si passerà all’esame delle motivazioni che sono alla base dei
bilanci falsi ed all’esposizione di alcuni casi di falso in bilancio. Particolare
attenzione verrà posta al ruolo del fattore qualità, grazie al quale si riescono a
ricomprendere nella fattispecie in esame ipotesi di falso che – in
un’interpretazione poco elastica della norma – sfuggirebbero dal suo ambito
di applicazione.
10
1. Il bilancio d’esercizio: concetti generali.
1.1 Prime riflessioni sul bilancio d’esercizio: la logica delle sue
valutazioni.
In sede di stesura del bilancio, concorrono alla quantificazione del capitale
di bilancio e del correlato reddito d’esercizio sia valori che è possibile definire
oggettivi, sia valori soggettivi. Ciò, è la diretta conseguenza di quella che
possiamo qualificare come la caratteristica fondamentale della gestione di
un’impresa: la sua unitarietà nello spazio e nel tempo. Le diverse operazioni
che l’impresa compie, infatti, sono strettamente correlate non solo all’interno
di uno stesso periodo ma altresì con quelle precedenti e con quelle future,
dando così luogo sia a problemi di imputazione dei costi fissi di periodo, che
non necessariamente è di tipo diretto, sia a problemi di imputazione di costi e
ricavi comuni a più esercizi. Il criterio da seguire nell’individuazione dei
componenti elementari del reddito è il famoso criterio della competenza
economica.
Il bilancio ordinario d’esercizio non è, quindi, uno strumento attraverso il
quale si può cogliere in forma vera ed oggettiva la realtà economico-
patrimoniale dell’impresa: non a caso, si usa attribuire al reddito d’esercizio la
qualifica di “grandezza convenzionale” proprio a rimarcare la circostanza che
questo può essere determinato con criteri diversi, tutti dotati di una loro
razionalità e che, conseguentemente, assume entità diverse a seconda dei
criteri adottati (da qui, pertanto, discende la stessa relatività della nozione di
competenza). In particolare, reddito ed capitale avranno configurazioni
diverse non solo rispetto all’istante ma altresì rispetto al fine a cui la
quantificazione è protesa: secondo che si tratti di determinare, ad es., il
reddito convenientemente assegnabile alle azioni, o il reddito fiscale, o un
reddito idoneo ad esprimere la redditività/economicità aziendale, o di ottenere
11
un valore segnaletico circa l’andamento più o meno favorevole della gestione
in date successioni di anni, ecc.
Le valutazioni più problematiche, in relazioni alle quali reddito e
patrimonio possono presentarsi in configurazioni diverse, riguardano: la
ripartizione dei costi comuni nel tempo, come quelli relativi alle
immobilizzazioni materiali ed immateriali, fra i diversi esercizi; l’imputazione
dei costi fissi di periodo in connessione ai criteri di valutazione delle
rimanenze d’esercizio
1
; gli accantonamenti per rischi specifici e spese future;
e così via.
La diretta conseguenza di ciò, risiede nella circostanza che lo stesso
bilancio, altro non è se non un ragionevole tentativo di fornire all’esterno una
rappresentazione non già vera, ma attendibile dello status aziendale. Tale
considerazione, a sua volta, implica – come suggerisce il Savioli – che, per
poter esprimere un giudizio avveduto sulla corretta esposizione (e quindi
attendibilità) degli oggetti di rappresentazione del modello di bilancio occorre
“previamente individuare il fine per cui il bilancio stesso è redatto”. Noto il
fine, infatti, ne derivano conseguenti regole di costruzione e la possibilità di
giudicare – nel caso concreto – circa il rispetto delle stesse.
1.2 Il criterio α ed il criterio β.
La determinazione del reddito e del correlato capitale di funzionamento si
risolve essenzialmente nella scelta dei criteri secondo i quali definire la
competenza dei componenti di reddito nei distinti esercizi.
1
I c.d. costi di struttura. Ne sono esempi: i costi relativi all’affitto dei locali e alla manutenzione ordinaria
degli impianti, quelli relativi al personale (amministrativo, commerciale e produttivo), quelli relativi ai premi
d’assicurazione, quelli relativi a spese di pubblicità rappresentanti la normale routine pubblicitaria, quelli
relativi all’addestramento/formazione del personale (quando non hanno natura straordinaria e non sono di
ingente ammontare), le quote di ammortamento imputabili all’esercizio, le spese generali, gli oneri finanziari
sostenuti per il finanziamento di attività, ecc.
12
Avendo presente due – diciamo quelle più significative ai fini del nostro
lavoro – delle diverse e possibili finalità a cui può essere deputato il bilancio,
è possibile fare riferimento alle classiche due configurazioni del reddito e del
capitale ottenibili attraverso l’adozione di due differenti approcci logici: il
criterio α ed il criterio β. La differenza di fondo tra i due criteri risiede nel
modo in cui ciascun criterio intende, ai fini della competenza economica, il
tempo relativo al periodo amministrativo. Questo tempo, infatti, può essere
considerato – a seconda che venga, o meno, diversamente qualificato, a parità
di lunghezza, dalle vicende economiche – sotto due aspetti: fisico ed
economico.
La competenza dei componenti di reddito, quando si considera il criterio
del tempo fisico, si determina attraverso criteri costanti nella successione dei
diversi esercizi, senza alcuna considerazione circa il livello di attività (in
particolare, prescindendo dall’andamento del volume dei ricavi). In
particolare: si distribuiscono i costi comuni nel tempo in proporzione al tempo
trascorso o, comunque, seguendo dati piani prestabiliti; si valutano le
rimanenze finali di magazzino con la stessa configurazione di costo in tutti gli
esercizi, la quale non dovrebbe mai comprendere anche le quote di costi
generali (si prescinde, in altri termini, dalla considerazione che l’eventuale
elevata produzione effettuata in un periodo con modesti ricavi di vendita sia
stata attuata solo in funzione di presunte consistenti vendite future e che
quindi tutta la struttura aziendale è stata impiegata in tale sforzo, cosicché
sarebbe economicamente razionale rinviare al futuro anche una quota delle
spese generali); certi oneri a ricorrenza irregolare o straordinaria si fanno
gravare sull’esercizio nel quale si manifestano o si sostengono
finanziariamente o, comunque, si effettuano accantonamenti ai fondi spese e
rischi esclusivamente in considerazione degli eventi/rischi che hanno
interessato l’esercizio (senza che assuma rilievo la capacità dell’esercizio
13
stesso, rispetto a quelli a venire, di sopportare un onere maggiore); i ricavi
sono rilevati solo nell’esercizio in cui sono realizzati.
In altri termini, attraverso l’adozione del criterio α si tenta di slegare le
diverse valutazioni da qualsiasi ragionamento di tipo economico ed è quindi
possibile ottenere configurazioni del reddito fortemente variabili da un
esercizio all’altro.
Quando invece si fa riferimento al criterio del tempo economico, la
competenza dei diversi componenti di reddito si determina, sostanzialmente,
attraverso criteri flessibili e variabili in ciascun periodo amministrativo, che
trovano la propria ragione d’essere nelle future condizioni di svolgimento
della gestione aziendale, specialmente per quanto riguarda i “c.d. costi rigidi
d’impresa”: hanno questo carattere non solo i costi pluriennali ma altresì i c.d.
costi di struttura
2
. In altri termini, la competenza dei componenti di reddito
viene determinata interpretando l’esercizio amministrativo alla luce
dell’unitarietà della gestione nel tempo. In particolare: nei periodi meno
favorevoli, parte dei costi che – in applicazione del criterio del tempo fisico –
dovrebbe essere imputata all’esercizio, dovrà, invece, essere capitalizzata e
rinviata al futuro, se i futuri esercizi sono in grado di assorbirli
adeguatamente; nei periodi favorevoli, per contro, ai ricavi conseguiti non
dovranno essere contrapposti solo i costi sostenuti nell’esercizio (e quelli
provenienti dal passato attraverso la tecnica della capitalizzazione) ma – con
l’appostazione di “adeguati” fondi spese e rischi – anche una quota dei costi
che si prevede di sostenere negli esercizi a venire, in cui ricavi saranno
2
Al riguardo, il Capaldo addirittura sottolinea che , gran parte di questi costi, pur avendo andamento lineare
rispetto al tempo e carattere ricorrente, sicché è prassi imputarli all’esercizio in cui si manifestano (pur
ricorrendo, per alcuni di essi, ad alcune convenzioni laddove siano a cavallo di due esercizi), potrebbero, a
volte, con altrettanta razionalità essere attribuiti ai singoli esercizi in funzione non del tempo ma
dell’intensità di utilizzazione dell’apparato produttivo per l’ovvia ragione che questo può essere concepito e
mantenuto in vita sulla base di prospettive di utilizzazione che vanno al di là del singolo esercizio. Sarebbe
quindi plausibile imputare detti costi – almeno in parte (si pensi ai costi sostenuti per il personale quando
questo non è adeguatamente sfruttato, ma mantenuto in organico in vista di futuri incrementi di attività,
ovvero ai canoni passivi di locazione di immobili, ecc.) – non agli esercizi nei quali essi vengono sostenuti
ma a quelli che ne traggono effettivamente beneficio (Capaldo, Reddito, capitale…, cit. p. 44).
14
inadeguati. Conseguentemente, i risultati di bilancio – riflettendo anche
particolari condizioni nelle quali la gestione si è svolta in ciascun esercizio –
variano ancora da un esercizio all’altro ma evidenzieranno mutamenti meno
marcati rispetto all’utilizzo dell’altro criterio ed, in tal senso, tenderanno ad
esprimere risultati più aderenti alla redditività della gestione.
Naturalmente, i criteri esaminati non devono essere considerati ed
interpretati come l’uno vero e l’altro falso, ma più propriamente come due
differenti approcci logici di inquadrare la realtà aziendale. Ciascun approccio
ha infatti un proprio significato e fornisce importanti informazioni circa la
gestione dell’impresa:
• il criterio del tempo fisico evidenzia “risultati segnalatori delle condizioni
più o meno favorevoli nelle quali la gestione si è svolta nei distinti periodi
amministrativi”. Da questo punto di vista può quindi essere visto come un
dato – in gran parte – accidentale che segnala i risultati ai quali l’impresa
perverrebbe qualora la gestione potesse svolgersi “sempre” nelle
condizioni proprie degli esercizi che hanno determinato quel particolare
livello di reddito. D’altra parte, i redditi configurati sulla base di questo
criterio, non appaiono come un idoneo strumento né ad esprimere
l’economicità aziendale né, soprattutto, a quantificare un reddito che
possa definirsi consumabile. Come si sottolinea, infatti, i redditi
configurati alla stregua di tale criterio (ove non interpretati alla luce del
tempo economico) potrebbero addirittura risultare di per sé ingannevoli,
relativamente alle decisioni che riguardano la conveniente erogazione
dell’utile;
• per contro, il criterio del tempo economico è tale che, i risultati a cui si
perviene, quando ci si ispira allo stesso, possono condurre (anche se con
approcci ulteriormente differenziati per ciascuna delle configurazioni) ad
15
un reddito che possa essere inteso come indicatore di economicità (ossia
come espressione della possibilità che ha l’impresa di poter continuare o
meno, anche in futuro, ad operare nel rispetto dell’equilibrio economico)
o ad un reddito che sia in grado di evidenziare ciò che del risultato
d’esercizio può essere destinato al capitale come remunerazione.
1.3 Criterio alfa e criterio beta: cenni sul loro rapporto con la
politica di stabilizzazione dividendi.
L’importanza delle considerazioni che seguiranno è giustificata dal fatto
che esse contribuiscono a meglio delineare il significato attribuibile alle due
configurazioni di reddito esaminate (si farà, naturalmente, riferimento alla
logica del rinvio dei costi nella sua versione base).
Attraverso il criterio del tempo economico è possibile pervenire alla
stabilizzazione dei dividendi, direttamente in sede di determinazione del
reddito. Attuando, infatti, le particolari valutazioni che tengono presente la
mutabilità del tempo economico, si perviene ad una configurazione di reddito
stabilizzata nel tempo, il c.d. reddito consumabile. Un reddito cioè che sia,
contemporaneamente, di piena soddisfazione per gli azionisti ed altresì un
esborso che, nel senso più sopra chiarito, l’impresa possa sopportare.
Ciò, invece, non avviene quando si fa riferimento al criterio del tempo
fisico. In tale circostanza, infatti, si perviene ad un reddito che si caratterizza
per la circostanza di non essere – per quanto detto in precedenza – un reddito
immediatamente distribuibile ma un reddito di primo approccio, il quale
abbisogna, per divenire economicamente significativo, di ulteriori
elaborazioni. Tale elaborazione avverrà in sede di destinazione del reddito.
La politica di conguaglio degli utili fra i diversi esercizi, messa in atto
attraverso i bilanci ispirati al criterio β, è intimamente connessa al processo di
ammortamento delle immobilizzazioni tecniche (essendo questa una delle
16
principali poste del bilancio sulle quali comunemente si opera). Ciò, nel senso
specifico che, come ci fa notare lo stesso Onida
3
, se l’obiettivo che si assegna
al bilancio è la determinazione del reddito agli effetti della sua distribuzione,
l’imputazione degli ammortamenti deve tendere non tanto a distribuire
l’importo complessivo dei valori da ammortizzare entro il tempo di vita
economica delle immobilizzazioni, quanto piuttosto a trattenere presso
l’impresa, entro il suddetto tempo, valori sufficienti a reintegrare
economicamente le stesse. Ciò allo scopo di impedire che vengano erogati,
negli esercizi relativamente favorevoli, sotto forma di utili, valori che invece
dovrebbero essere trattenuti presso l’impresa a reintegrazione dei costi non
recuperabili negli anni di congiuntura sfavorevole (i quali vedrebbero, per
contro, quote di ammortamento in parte scoperte). In altri termini,
l’ammortamento degli investimenti in immobilizzazioni deve essere effettuato
anche in funzione delle vicende – ora sfavorevoli, ora favorevoli – della loro
utilizzazione
4
.
Analogamente, l’uso in contabilità dei f.di rischi e spese future mira – nei
periodi favorevoli – a contrapporre ai ricavi una quota dei costi che si prevede
di dover sostenere in esercizi a venire in cui i ricavi saranno inadeguati e –
nelle fasi relativamente avverse – a contrapporre ai costi sostenuti
nell’esercizio l’utilizzazione dei suddetti accantonamenti (si pensi, al
riguardo, alla funzione svolta dal f.do manutenzione e riparazioni, al f.do
rischi di garanzia su prodotti venduti, ecc.). L’utilizzo di questi fondi, inoltre,
può spingersi – quale particolare espressione di politiche di bilancio tendenti a
perequare fra loro i risultati d’esercizio ed evidenziare, così, un ammontare di
reddito “economicamente corretto” – sino alla costituzione di vere e proprie
3
Onida, Natura e limiti…, cit. pp. 914 e ss.
4
Va da se naturalmente che, a tale scopo, l’ammortamento delle immobilizzazioni tecniche non può
procedere secondo rigidi piani prestabiliti ma deve essere caratterizzato da una ben studiata flessibilità.
17
riserve occulte nella disponibilità degli amministratori
5
. Riprenderemo
l’argomento nel secondo capitolo.
1.4 Significato del bilancio nell’ottica del criterio α e β.
Alla luce dei ragionamenti fin qui condotti è possibile, a questo punto,
affermare che, i bilanci costruiti secondo una logica di tempo fisico, si
presentano come formali rese di conto agganciate e limitate a quanto è
avvenuto nella gestione passata le quali, per le considerazioni in precedenza
svolte, permettono di effettuare raffronti e comparazioni spazio-temporali tra i
risultati dei vari esercizi – così da informarsi in ordine alle cause che hanno
influenzato l’alterno andamento della gestione – ma, soprattutto, è
caratterizzato da un elevato grado di oggettività e di verificabilità (caratteri
che, a loro volta, dovrebbero permettere ai soggetti esterni all’organo
amministrativo di valutare – con relativa certezza – il rispetto delle regole di
costruzione del modello di bilancio stesso). In prima approssimazione, quindi,
tali rese di conto, potrebbero essere, in quanto tali, propriamente inquadrate
nel contesto della c.d. informazione esterna della società.
Alla base di tale impostazione sembrerebbe esservi la consapevolezza del
carattere convenzionale del reddito d’esercizio e, quindi, il convincimento
che, nel determinarlo, debba essere perseguita la sua comparabilità e
verificabilità piuttosto che un’astratta coerenza mezzo-fine (caratteri che
possono essere resi efficaci esclusivamente attraverso dati omogenei, a loro
volta determinati attraverso criteri uniformi). Non a caso, si dice che il grado
di espressività del reddito d’esercizio è tanto maggiore quanto più ampia è la
possibilità di confrontarlo con analoghi risultati di esercizi precedenti o con i
risultati conseguiti da altre imprese.
5
Onida, Natura e…., cit. pg. 910 –11 e 916- 17. Nello stesso senso, G. Savioli, Verità e falsità nel bilancio
d’esercizio, cit. pg. 65-66.
18
Per contro, i bilanci costruiti secondo una logica di tempo economico,
presentandosi nei loro risultati come la conclusione di un complesso
ragionamento economico, devono essere propriamente interpretati non come
semplici rese di conto ma come atti amministrativi di gestione consapevole e
meditata. Tali bilanci, inoltre, essendo caratterizzati da un elevatissimo grado
di soggettività e discrezionalità da parte degli amministratori, mal si prestano
ad essere idoneo strumento ai fini del confronto nello spazio e nel tempo e,
“soprattutto”, non sono verificabili in alcun modo da parte dei soggetti esterni
al governo aziendale
6
. In questo quadro, pertanto, il reddito e la sua
determinazione possono essere considerati come “aspetti” destinati a dare
fondamento razionale a svariati giudizi di convenienza e a diversi tipi di
decisioni aziendali ed, in quanto tali, come “aspetti” che non possono,
assolutamente, essere inquadrati nel contesto dell’informazione esterna
(l’informazione esterna affidata a tale tipo di bilancio, infatti, sarebbe utile per
l’utente solo se questo fosse messo in grado di conoscere le ipotesi di gestione
assunte dal redattore e possedesse tutte le informazioni utilizzate nella sua
compilazione).
Alla luce delle considerazioni svolte nel presente paragrafo, possiamo
sinteticamente completare il discorso in questione rapportandolo al concetto
di attendibilità. Un bilancio ispirato al criterio del tempo fisico, e quindi
compilato nell’ossequio di criteri uniformi e rigidi, è un bilancio che può
essere definito attendibile solo in quanto rispettoso di quei criteri. Per contro,
un bilancio del secondo tipo, trovando la propria ragione d’essere nelle
6
Come ben evidenzia il Savioli, “la formalizzazione di tale configurazione di reddito sconta, infatti, tutta
una serie complessa di valutazioni, in parte frutto di informazioni di cui solo il management dispone, di
piani/programmi futuri la cui divulgazione potrebbe arrecare pregiudizi all’azienda, ma anche di visioni
prospettiche, valutazioni attese di future condizioni ed eventi non verificabili al momento della redazione del
bilancio…...per cui se considerata dal punto di vista dell’informazione da fornire all’esterno – a favore di
soggetti non aventi alcun sostanziale potere di riscontro delle valutazioni effettuate – si tradurrebbe in
un’informazione non verificabile, suscettibile di pericolosissimi abusi sostanzialmente non accertabili e
quindi, di fatto, in una non informazione”. Del resto, come lo stesso autore ancora sottolinea, “...in base a
quali parametri potrebbero i soggetti esterni all’organo amministrativo valutare la fondatezza o meno delle
19
medesime ipotesi che l’impresa ha utilizzato per l’attuazione dei propri
programmi nel medio e lungo termine e, soprattutto, nel fine per cui è redatto,
è un bilancio che può essere definito, in prima approssimazione, attendibile
nella misura in cui le valutazioni attuate siano coerenti con dette ipotesi e
siano avvenute alla luce del fine medesimo.
1.5 Natura dei valori presenti in bilancio.
All’interno di un bilancio è possibile individuare due differenti aree di
valori aventi, rispettivamente, contenuto oggettivo e soggettivo.
I valori oggettivi si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di
autodeterminazione: trattasi, infatti, di valori obiettivamente determinabili
attraverso la semplice numerazione delle unità che quantitativamente li
esprimono. Conseguentemente, questi valori esprimono di per se stessi il
valore monetario con cui saranno inseriti in bilancio. Essi originano dalle
operazione di gestione esterna compiute durante il periodo amministrativo. Ne
sono esempi: il valore nominale dei crediti e dei debiti, le entrate e le uscite di
cassa, i costi e ricavi misurati da corrispondenti variazioni numerarie, il valore
di fattura degli acquisti e delle vendite di beni/servizi, ecc.
Tali caratteristiche di autodeterminazione, invece, non sono proprie dei
valori soggettivi. Essi, infatti, abbisognano, per acquisire un’espressione
monetaria economicamente significativa da inserire nel bilancio, di una
valutazione ad hoc da parte del compilatore. Essi hanno origine dalla
valutazione delle operazioni in corso, al termine dell’esercizio. Tali valori
possono essere:
• stimati, i quali si determinano tramite approssimazione di quantità
economiche che non è possibile misurare direttamente. Ne sono esempi: il
risultanze di bilancio…. ed esprimere giudizi circa l’attendibilità della situazione emergente dal