“morbide” e spesso vengono ignorate in funzione della
necessità di uno sviluppo economico che faccia uscire i
paesi da una condizione di povertà.
Le politiche di esternalizzazione hanno spesso avuto
ripercussioni negative nei paesi interessati, hanno
generato un aumento dello sfruttamento dei lavoratori e
alcuni caso hanno causato gravi danni ambientali.
In alcuni casi, e in particolare in estremo oriente e in
Cina tali politiche hanno portato alla creazione di
“Export Processing Zones” (EPZ) zone industriali
dedicate all’esportazione, nelle quali vi sono ingenti
sgravi fiscali per le imprese che decidono di aprire
delle attività ed è presente un numero ingente di
manodopera a basso costo che spesso lavora senza
regolare contratto, in condizioni di lavoro poco sicure
senza alcuna protezione previdenziale e sindacale.
Le EPZ sono nate dal miraggio della creazione di una
sviluppo locale, della creazione di infrastrutture e
posti di lavoro ma il carattere migratorio e passeggero
di queste zone che sono via via trasferite in paesi dove
la manodopera ha un costo ancora minore non fanno che
impoverire i paesi e i loro abitanti.
Contemporaneamente nel mondo occidentale si è sviluppata
una cultura dei consumi sempre più avanzata che ha
portato i consumatori a interessarsi ai prodotti in
maniera sempre più approfondita, a indagare sulle
condizioni di produzione e sulle politiche delle diverse
aziende.
Le associazioni dei consumatori hanno sviluppato un
movimento che viene definito “consumo critico”, ovvero
una corrente di pensiero che indaga sullo stile di vita
della società attuale e in particolare considera le
ripercussioni dei consumi individuali sulla collettività
sia a livello locale che su una collettività intesa in
senso planetario, sull’ambiente e sul consumo di
risorse.
Tale movimento ha iniziato a indagare i comportamenti
delle aziende provocando da una parte il boicottaggio di
ditte che hanno adottato politiche produttive
considerate eticamente scorrette e contemporaneamente il
movimento del consumo critico ha portato alla diffusione
di prodotti “alternativi”, per i quali l’eticità del
processo produttivo viene considerata una caratteristica
fondamentale, come ad esempio quelli del commercio equo
e solidale.
Questa tesi vuole analizzare il “Commercio Equo e
Solidale” nato come forma di commercio alternativo a
quella del mercato liberista e diventato ora una forma
di produzione etica, per sviscerarne i meccanismi e i
processi.
“Il Commercio Equo e Solidale è un approccio
alternativo al commercio convenzionale; esso promuove
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giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile,
rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il
commercio, la crescita della consapevolezza dei
consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione
politica.
Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria
fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di
commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe
del Mondo, importatori e consumatori.”
Il movimento del Commercio equo nasce nel 1959 in
Olanda, legato alle attività missionarie cattoliche
dalle quali iniziano le prime importazioni di prodotti
alimentari provenienti da piccole comunità di produttori
del sud del mondo.
L’idea del commercio equo è di dare la possibilità a
piccole comunità di produttori di commerciare i loro
prodotti in modo diretto sul mercato occidentale,
svincolandoli dalla dipendenza dalle multinazionali,
pagandoli un prezzo “equo” che permetta alle comunità di
avviare processi di sviluppo sostenibile.Un esempio di
questa fase è il progetto del caffè Uciri, il primo
caffè pagato secondo il principio del prezzo equo al
produttore.
Nel 1970 apre la prima bottega del mondo che
commercializza oltre a prodotti alimentari coloniali
come cacao e caffè anche manufatti provenienti dai paesi
in via di sviluppo.
Negli anni Settanta i punti vendita che si diffondono in
tutta Europa si orientano maggiormente verso la
promozione dell’idea di giustizia economica che
sull’elemento commerciale: talvolta la trasmissione del
messaggio che sta dietro ad ogni prodotto importato dal
Sud acquista più importanza della necessità di
commercializzare i prodotti e ampliare quindi le
possibilità di incremento delle vendite.
Verso la fine degli anni Settanta cresce comunque, al di
là degli sviluppi politico-ideologici, il numero delle
botteghe e delle persone coinvolte nella rete del
commercio equo, e si afferma il modello imprenditoriale
tedesco.
Negli anni Ottanta, infine, vengono messe a punto le
prime strategie commerciali.
A partire dalla fine degli anni Ottanta si può
constatare l’avvio di un periodo in cui le
organizzazioni di commercio equo assumono una fisionomia
più propriamente di impresa. E’ il momento in cui
l’attenzione agli aspetti commerciali viene rivalutata e
considerata elemento fondamentale per l’affermazione di
un modello di mercato responsabile ed eticamente
orientato.
L’obiettivo diventa inserire il CES nel circuito
commerciale Sud-Nord offrendo un’alternativa praticabile
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ed efficace, da un lato ai produttori decisi ad
emanciparsi dallo stato di dipendenza e sfruttamento
economico, dall’altro ai consumatori occidentali
determinati a contribuire alla correzione delle storture
più evidenti dell’attuale sistema economico.
La professionalizzazione del movimento avviene su
diversi livelli: dal lato dei produttori del Sud si
concretizza in un miglioramento dei prodotti e
dall’altro aumentano le capacità manageriali delle FTO
(Fair Trade Organisations), le organizzazioni del Fair
trade, che vivono una fase di ristrutturazione destinata
ad assicurare maggiore efficienza e pieno sviluppo delle
proprie potenzialità e risorse. La formazione del
personale, la computerizzazione, l’attenzione per le
tendenze del mercato diventano elementi portanti delle
nuove strategie di rafforzamento della rete del
commercio equo.
Anche i world shop assumono una struttura diversa:
aumenta il numero del personale stipendiato, in modo da
garantire una maggiore regolarità negli orari di
apertura, e si preferirono per l’apertura dei punti
vendita posizioni centrali e di maggiore visibilità
nelle città.
Il maggiore coordinamento a livello europeo porta
inoltre all’adozione di criteri di vendita comuni, così
come di nomi, stili e sigle riconoscibili a livello
internazionale.
In questa fase si sviluppa considerevolmente l’attività
di lobbying in ambito europeo; la sensibilizzazione a
livello istituzionale riguardo alle attività e
all’efficacia del meccanismo commerciale equo.
E’ soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta
che si manifesta la tendenza verso lo sviluppo di
organismi di collegamento fra le organizzazioni
nazionali.
Al 1989, risale la fondazione del primo vero e proprio
organismo di coordinamento delle FTO a livello
internazionale: l’IFAT (International Federation for
Alternative Trade).
Nel gennaio del 1990 la creazione dell’EFTA (European
Fair Trade Association) ufficializza il rapporto di
collaborazione tra gli importatori europei e costitusce
il momento di sviluppo di strategie e linee politiche
comuni, oltre che di una più efficace attività di
lobbying a livello delle istituzioni politiche europee.
L’intento di favorire l’attività di coordinamento e di
creare una rete di comunicazione fra le Botteghe del
Mondo è stato alla base della fondazione nel 1994 di
NEWS! (Network of European World Shops).
L’obiettivo di allargare i canali distributivi dei
prodotti del commercio equo, unito all’esigenza di
mantenere integri i principi applicati nel processo di
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produzione e commercializzazione, hanno stimolato la
ricerca di un sistema di certificazione che consenta
nuovi sbocchi, anche all’interno del circuito
commerciale tradizionale.
Nascono così i primi marchi di garanzia. Il primo
marchio di garanzia per i prodotti del commercio equo, è
stato adottato nel 1989 per il caffè dalla Max Havelaar
Foundation, in Olanda.
L’esigenza di offrire un meccanismo di garanzia dei
prodotti anche all’interno dell’EFTA, porta alla
creazione di TRANSFAIR INTERNATIONAL, organizzazione di
marchio nata nel 1992, di cui sono membri le FTO di
Germania, Austria, Lussemburgo, Italia, Giappone, Canada
e Stati Uniti
La nascita di marchi di certificazione per i prodotti
del commercio equo porta, infine, all’istituzione nel
1997 di FLO (Fair Trade Labelling Organizations
International), organismo di coordinamento delle varie
organizzazioni di marchio nazionali, creatore degli
standard internazionali del commercio equo e ente
certificatore.
In FLO sono confluiti Max Havelaar, Transfair
International e le altre organizzazioni di marchio, la
nascita di FLO ha stimolato la ricerca e lo sviluppo di
un marchio unico, oltre che di criteri unitari.
Oggi le organizzazioni dei marchi di garanzia
stabiliscono gli standard per i prezzi e le condizioni
di lavoro dei prodotti a contenuto etico. Attraverso la
concessione in licenza dei marchi di certificazione è
stato possibile espandere i canali di vendita dei
prodotti , offrendo nello stesso tempo maggiore
affidabilità ai consumatori. Le etichette del circuito
Fair Trade rendono infatti riconoscibile il prodotto
indipendentemente dal marchio commerciale, garantendone
il contenuto in termini di eticità e solidarietà.
Contemporaneamente cresce l’attenzione delle istituzioni
pubbliche nei confronti del commercio equo e solidale,
l’Unione Europea considera il commercio equo attraverso
le risoluzioni Langer e Fassa.
In questo ambito si crea quindi lo spazio per il
sostegno alle iniziative di commercio equo e solidale,
ritenuto strumento favorevole alla partecipazione dei
produttori dei paesi in via di sviluppo alle opportunità
offerte dalla mondializzazione del commercio.
L’attuale fase di sviluppo del CES viene definita una
“crisi di crescita” in quanto in questa fase il
Commercio Equo sta passando dall’essere un’attività
sostenuta per il 93% dal volontariato a diventare
un’attività professionale e professionalizzata, che
inizia a prendere il suo posto all’interno delle
dinamiche produttive e può essere considerato
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un’esperienza avanzata di produzione etica e come forma
di “impresa responsabile”.
Questa tesi da una parte si propone di analizzare la
filiera produttiva equosolidale in tutte le sue fasi per
valutarne l’impatto sociale e ambientale sulle comunità
interessate come fattore di sviluppo economico locale.
Dall’altra considera l’impatto dei prodotti del
commercio equosolidali nei mercati occidentali in
particolare riguardo al notevole aumento delle richieste
da parte dei consumatori e all’ingresso nella grande
distribuzione organizzata.
In questa fase i prodotti e le “Aziende” del Commercio
Equo vanno verso una crescita quantitativa e qualitativa
nella quale l’esperienza politecnica del Design,
incentrata sull’analisi dell’intero ciclo di vita dei
prodotti e delle dinamiche di processo può tracciare
delle interessanti linee di sviluppo, sia per quanto
riguarda le filiere che i prodotti stessi, la loro
comunicazione e distribuzione.
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