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Introduzione
Pizza, pasta e mandolino: così, da decenni, viene etichettato il popolo italiano. È uno
stereotipo certamente, ma non del tutto sbagliato, basti pensare che nel bel mezzo di
una pandemia gli italiani dalle loro case intonano le canzoni simbolo della cultura
nostrana. Sì perché, per il cittadino italiano, la canzone non è solo un brano di breve
durata, che lo allieta o lo accompagna durante le sue giornate, bensì è qualcosa di più:
una peculiarità culturale. Nella prima parte del presente lavoro di ricerca si parla
proprio di questo: l’origine della canzone e la sua struttura. Difatti, forse, molti non
sanno che il termine ‘canzone’ lo si ritrova già in Dante e Petrarca, naturalmente quella
di allora era una canzone diversa rispetto a quella che si è soliti ascoltare oggi, ma
sicuramente la sua origine e il suo sviluppo dimostrano che un brano musicale può
essere considerato un prodotto culturale. Un prodotto diverso dagli altri,
indubbiamente, non si sta parlando di un poema, di un romanzo o di un dipinto ma, nel
suo piccolo, anche la canzone è intrisa di cultura. Tale prodotto, nato dal melodramma
settecentesco, si è diffuso a macchia d’olio e negli anni ha subito mutamenti d’ogni
sorta. Naturalmente se, in Italia, si pensa alle canzoni non si può non citare il Festival
di Sanremo: il palco sognato da tutti i cantanti, la manifestazione canora più importante
lungo tutta la penisola. Anno dopo anno il Festival ha permesso ai cantanti non solo di
potersi esibire, ma di diventare delle vere e proprie icone; e di questo si parla nel primo
capitolo, tenendo in considerazione lo spartiacque tra il vecchio modo di fare musica
e il nuovo. Questa linea divisoria ha un nome e un cognome: Domenico Modugno, un
cantante fino ad allora quasi sconosciuto che con l’interpretazione del suo brano, Nel
blu dipinto di blu, ha sconvolto e fatto volare il pubblico, rivoluzionando e
modernizzando la musica italiana. A fianco di tutto ciò, negli anni, nacque e crebbe
anche il fenomeno cantautoriale, in questo caso la musica fungeva per i cantautori da
strumento liberatorio, tramite il quale poter cantare i loro sentimenti, le loro emozioni
e le loro storie. Pertanto, ancora nel primo capitolo, si pone l’attenzione sui più
importanti cantautori italiani: da Paoli a Dalla, passando per Tenco, Gaber e Guccini.
La trattazione continua posando lo sguardo verso i generi musicali di ultima
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generazione, cercando di fornire un quadro chiaro ed esaustivo riguardante il panorama
musicale italiano; mentre alla fine del capitolo ci si concentra sulle caratteristiche
linguistiche ricorrenti all’interno di un brano, in particolare dimostrando che in essi si
ritrovano numerosi tratti costituivi dell’italiano neo-standard. Ma, come si può intuire
dal titolo, il lavoro di ricerca svolto in questa tesi pone l’attenzione su uno dei più
grandi cantautori italiani: Fabrizio De André, artista e innovatore dal punto di vista
linguistico e musicale. Per tale motivo il secondo capitolo riporta, brevemente, la
biografia del cantautore genovese: dalla nascita al successo, tra un’avventura e qualche
dipendenza. Una vita, quella di De André, ricca di esperienze positive e non, che hanno
contribuito a renderlo il grande artista che tutti conoscono. La seconda parte del
capitolo, invece, individua e approfondisce i temi ricorrenti lungo tutta la produzione
musicale del cantautore. Gli umili, la guerra, la politica, la religione: questi alcuni tra
gli argomenti tipici della poetica deandreiana. Infine nell’ultimo capitolo viene
effettuata l’analisi linguistica di un corpus costituito da cinquanta brani, scelti tra i
centotrenta scritti dal cantautore genovese. Durante l’analisi si cerca di porre
l’attenzione e segnalare tutti gli stilemi retorici e stilistici che è possibile rinvenire
all’interno di un breve testo come quello musicale, in particolare: figure di suono, di
enunciazione, di significato, di pensiero e di costruzione. Successivamente viene dato
spazio anche alla fraseologia, al lessico e ai fenomeni di sintassi marcata, con una
breve parentesi riguardante alcuni fenomeni fonetici ritrovati nel corpus.
Naturalmente, in ogni sezione relativa ad un determinato fenomeno sono stati riportati
gli esempi tratti dalle varie canzoni, affinché sia possibile effettuare un riscontro
immediato tra la teoria, riportata dai manuali di retorica, e la pratica, messa in atto da
De André. I risultati di tale analisi sono spie significative attinenti al modo di scrivere
dello stesso cantautore. Sarebbe interessante studiare e analizzare anche il modo di
comporre di altri cantautori e incrociare i vari risultati, con lo scopo di rivalutare, in
particolare dal punto di vista linguistico, i testi dei brani musicali, da molti
sottovalutati. Difatti, concludendo, tale lavoro vuole dimostrare l’auctoritas delle
canzoni, viste non solo come brevi e semplici componimenti musicali, ma soprattutto
come opere culturali. Ciò, in questo caso, viene comprovato dalla presenza dei
numerosi tratti stilistici e poetici all’interno dei testi di Fabrizio De André.
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Capitolo I. La lingua italiana e la canzone
I.1. La canzone: la sua struttura e le sue parti
canzóne (ant. canzóna) s. f. [lat. cantio -ōnis, der. di canĕre «cantare» (supino cantum)]. –
1. Componimento lirico formato da un numero indeterminato di stanze o strofe (in genere da
5 a 7), costituite a loro volta da un numero vario di endecasillabi, o endecasillabi e settenarî
variamente disposti, rimati tra loro (Vocabolario Treccani online).
La definizione di cui sopra è ciò che si trova se si cerca il termine generico di
canzone. Come si può notare, il sostantivo deriva dal latino, allo stesso modo della
maggior parte dei sostantivi della lingua italiana. Questa sua origine però deve far
riflettere in quanto oggigiorno si pensa che canzone sia l’ultima hit estiva o ciò che si
ascolta in auto mentre si va al lavoro. Invece la sua origine si perde nella notte dei
tempi, a tal proposito, come si vedrà in seguito, anche Dante e Petrarca, e altri prima
di loro, scrivevano canzoni. Certamente nei secoli la struttura delle canzoni si è
modificata notevolmente, ma vi sono ancora oggi dei tratti distintivi che fanno di un
testo una composizione musicale.
Difatti, se si ascolta una qualsiasi canzone si può notare la ripetizione di alcune
parole chiave e addirittura di interi versi, poiché la forma base di un testo musicale è
caratterizzata da compattezza sia stilistica sia tematica, e da un’estensione piuttosto
breve. Come si diceva, per ricercare l’origine della canzone bisogna fare un salto
indietro nel tempo; punto di partenza fu la lirica provenzale (Beltrami 2011, p. 241),
ma la prima definizione di questo genere venne fornita da Dante Alighieri nel De
Vulgari Eloquentia. In particolare nel libro secondo, in cui il Sommo Poeta afferma
che la canzone per eccellenza è una composizione di stanze fra loro eguali, con
significato unitario e stile tragico, e per dare esempio di quest’ultima rimanda al suo
componimento Donne che avete intelletto d’amore. E se il lettore si interroga su cosa
voglia dire “composizione in stile tragico”, l’autore subito risponde che se venisse
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usato uno stile comico non si tratterebbe più di canzone bensì di cantilena (De vulgari
eloquentia 2010, p. 174-175). Ma fu poi Petrarca a fare da modello nei secoli
successivi, al punto che la canzone venne detta petrarchesca (Beltrami 2011, pp. 241-
242). Quest’ultima aveva e ha tutt’oggi uno schema ben preciso, è formata da stanze
di piedi e sirma, dove le stanze sono le varie strofe di cui è composta una canzone,
mentre i piedi gruppi di versi con uguale formula sillabica e schema metrico, due piedi
formano una strofa; infine la sirma è il congedo ovvero due o più versi che
rappresentano la parte finale della canzone (p. 247).
Dalla canzone petrarchesca bisogna poi passare al Rinascimento, secolo in cui si
diffonde un nuovo genere musicale ossia il madrigale: formato da due o tre terzine di
endecasillabi e settenari (a volte non rimati tra loro), è caratterizzato da poche regole
fisse tra cui quella che riguarda la lunghezza del componimento, lungo 11 o 12 versi.
Nello stesso periodo, invece, per canzone si intende un componimento con la stessa
struttura del modello petrarchesco ma con argomento giocoso e scherzoso. Nel
Seicento la canzone inizia a dar spazio non solo al testo ma anche agli strumenti. Infatti
da quel momento in poi nella sua struttura strofica vengono distinte parti di testo e di
musica, le quali sono ripetute una o più volte. Da qui la nascita della canzone a
ritornello formata da poche decine di strofe con una parte narrativa, in cui si dà più
spazio al testo, seguita da una seconda parte lirica in cui a prevalere è la musica (Liperi
2016, p. 19).
Infine tra il Settecento e l’Ottocento ci si avvicina alla nascita della canzone
moderna, come si è abituati ad ascoltarla oggi. Ciò grazie alla diffusione del
melodramma ossia quel testo interamente cantato con accompagnamento musicale
(Vocabolario Treccani online). Accanto a questo, ebbe parecchia diffusione, in Italia
e in particolare a Napoli, l’Opera Buffa, nata con lo scopo di raggiungere un pubblico
più vasto. Inoltre si andava diffondendo sempre di più la canzone popolare partenopea,
tanto che vi erano librettisti autori sia di commedie sia di canzoni dialettali (Liperi
2016, pp. 24-25). Così si può affermare che, se nei vari secoli la struttura metrica della
canzone non ha subito notevoli cambiamenti, a mutare è stata senza dubbio la struttura
ritmica. Difatti nel Medioevo e nei secoli successivi la canzone seguiva il ritmo della
lingua (in questo caso ci si riferisce all’italiano che è una lingua a “isocronia sillabica”,
quindi ogni sillaba ha una durata uguale), e il tempo veniva scandito seguendo le
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sillabe soprattutto di endecasillabi e settenari. Per tale motivo i componimenti avevano
un ritmo più ampio e disteso ed erano caratterizzati da parole piane, accentate sulla
penultima sillaba. Questo modo compositivo cambiò con l’avvento dell’Opera e del
melodramma: se prima il ritmo si basava sulla lingua, da questo momento viene
imposto da una serie di accenti, così dunque risulta semplificata la struttura ritmica ma
allo stesso tempo si complica il lavoro del paroliere italiano, in quanto la struttura della
canzone gli impone di far finire il verso con una parola ossitona. Ciò risulta tuttavia
quasi impossibile per la scarsa presenza di quest’ultime nella lingua italiana.
Nel paragrafo precedente è stato introdotto un sostantivo e si potrebbe dire anche
una figura professionale nuova, non citata precedentemente: il paroliere. Difatti nel
XX secolo un brano musicale nasce, dapprima, nello studio di uno o più musicisti che
hanno il compito di scrivere la melodia e la mascherina. Successivamente quest’ultima
passa tra le mani del paroliere che inserisce il testo; e infine il brano musicale così
composto viene affidato alla voce di un cantante che, con le sue doti, potrà far diventare
quella canzone un grande successo o no. Quindi, mentre nei madrigali e nei libretti
d’opera era il testo a precedere la melodia, con la nascita della canzone moderna tutto
ciò cambia ed è il testo a dover combaciare con la struttura metrica del brano.
Quest’ultima, chiamata mascherina o mascherone, viene creata dal musicista: è un
testo provvisorio composto da parole a caso o numeri scelti per la loro pronuncia, che
serve al paroliere per capire il ritmo e poter sostituire quel testo anomalo con un testo
vero e proprio (Zuliani 2018, pp. 14-16).
Ricapitolando, un brano musicale nasce e si forma a partire dalla melodia e dalla
mascherina, successivamente il testo si alternerà con la musica; cosicché all’interno
di un brano che dura non più di tre minuti si avrà: l’introduzione, di solito eseguita con
gli strumenti musicali, che dà avvio alla canzone e cerca di catturare l’attenzione
dell’ascoltatore; la strofa, momento in cui il testo scelto dal paroliere viene cantato; il
ritornello, parte centrale di un brano, formato da pochi versi ma molto orecchiabili, per
questo motivo viene canticchiato più spesso dall’ascoltatore. Subito dopo, il ritornello
viene collegato alla strofa successiva tramite un’altra componente ossia il ponte, che
ha proprio il compito di congiungere le due parti sopracitate, e che può essere sia
strumentale che vocale. Strumentale è invece la parte che segue dopo il ripetersi della
strofa; in questo caso l’attenzione è posta sulla musica e in particolare vengono eseguiti
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gli assoli dei vari strumenti scelti per suonare quel tipo di brano; la penultima
componente di una canzone, chiamata special, si può definire come un cameo
all’interno del brano, in cui si dà più peso alla composizione stessa; a questo punto
tutto si conclude con il finale o coda, ossia la chiusura della canzone, che può chiudere
il brano in due modi principali: o sfumare pian piano la voce e la musica fino ad
arrivare al silenzio o in modo netto, con tutti gli strumenti che smettono di suonare
contemporaneamente. Questi sono gli elementi che contraddistinguono la canzone
odierna ma, ovviamente, non per forza devono essere presenti in ogni brano musicale.
La loro presenza o meno dipende dal gusto artistico del musicista e non solo; infatti
sia colui che compone la melodia sia il paroliere non possono scrivere un brano solo
secondo i loro gusti personali, soprattutto nel mondo di oggi in cui le canzoni vengono
prodotte e quindi pagate da grandi case discografiche: bisogna tener conto anche di ciò
che vuole ascoltare il pubblico. Il paroliere, ad esempio, non può usare stilemi di lingua
poetica all’interno di un testo contemporaneo, poiché questi verrebbero compresi solo
da una cerchia ristretta di ascoltatori; o ancora, se si vuole ottenere un consenso più o
meno unanime da parte del pubblico, bisogna scrivere di temi e argomenti amati dalla
maggior parte degli ascoltatori, in cui quest’ultimi possono rispecchiarsi (da qui si
comprende il motivo per cui molti brani raccontano di un amore che sta per sbocciare
o di un altro che è finito, o ad esempio vengono scritte canzoni in ricordo di chi non
c’è più) cosicché vi sia empatia tra il cantante e il pubblico (Coveri 1996, p. 29).
Il concetto citato da Coveri è connesso alla Teoria della ricezione di Hans Robert
Jauss (1921-1997). Egli fu uno studioso tedesco facente parte della Scuola di Costanza,
il quale in particolare nei suoi studi pose l’attenzione non soltanto sull’opera letteraria
ma anche sul pubblico, infatti affermò che:
L’opera appena pubblicata non si presenta come un'assoluta novità in uno spazio vuoto,
bensì predispone il suo pubblico ad una forma ben precisa di ricezione mediante annunci,
segnali palesi e occulti, caratteristiche familiari o indicazioni implicite. Essa sveglia ricordi di
cose già lette, già dall'inizio alimenta attese per ciò che segue e per la conclusione, suggerisce
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al lettore un preciso atteggiamento emozionale, ed in questo modo fornisce preliminarmente
un orizzonte generale per la sua comprensione (Jauss 1967, p. 33)
1
.
Quindi si può affermare che un’opera non è un monolite con nulla attorno bensì,
dopo la sua pubblicazione, entra a far parte di una società. Certo, Jauss riferisce questo
concetto all’opera letteraria ma, in fondo, può essere applicato anche ad altri tipi di
componimenti artistici come un brano musicale. Ancora oggi, come si è detto, è il
pubblico a tessere le sorti di un’opera: se il pubblico non prova interesse l’opera stessa
decade e pian piano finisce nel dimenticatoio.
Concludendo si può affermare che non è semplice comporre una canzone, questa sì
ha una durata breve e un testo semplice ma componendola bisogna tenere in
considerazione gli elementi citati: la melodia, la mascherina, l’introduzione, le strofe
e il ritornello e così via. Nonostante ciò vi sono canzoni radicate nella cultura italiana,
brani in cui il pubblico si riconosce e altri con cui viene riconosciuto all’estero.
Insomma accanto alla storia della lingua italiana, a quella della politica e ad altre, esiste
anche una storia della canzone italiana, che verrà approfondita nel prossimo paragrafo.
I.2. Storia della canzone italiana
La canzone in Italia è una componente molto forte della stessa società; come afferma
Stefano Telve (2008, p.1) questo fenomeno ha avuto inizio a partire dagli anni ’30 del
Novecento, periodo in cui gli italiani ascoltavano, memorizzavano e canticchiavano le
canzoni prodotte dalla radio. La diffusione di questo primo medium assume i contorni
di un fenomeno di massa che, proprio come l’avvento della televisione nel 1954,
riuscirà a diffondere l’italiano dopo l’Unità d’Italia diminuendo così la percentuale di
analfabeti lungo lo Stivale.
1
Il rimando al numero di pagina fa riferimento alla traduzione italiana citata in bibliografia.
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I.2.1. Dal melodramma all’avvento della canzone italiana
Come si è detto in precedenza, la canzone ha origini antiche e per poter tracciare un
excursus cronologico bisogna tornare indietro almeno fino al Settecento e in
particolare alla diffusione in Italia, ma soprattutto a Napoli, del melodramma e
dell’Opera Buffa. Questi due filoni si intrecciano con un terzo genere nato in Francia:
la romanza. Alla voce riguardante questo termine in La nuova enciclopedia della
musica Garzanti (1983, p. 614) si legge:
Una composizione per canto e accompagnamento strumentale, per lo più pianistico, di
struttura indeterminata e di carattere amoroso e sentimentale impostasi in Francia nel
Settecento e poi conservatasi fino al Novecento anche come brano di intrattenimento
salottiero.
Importante è inoltre il canto popolare della tradizione napoletana. Partendo da questi
generi, molto diversi tra loro, gli autori riusciranno a fondere insieme i temi della
musica colta con gli elementi della tradizione, dando vita alla canzone italiana (Liperi
2016, p. 26).
Secondo Borgna (1985, p. 10) nei primi anni dell’Ottocento si ha il passaggio dalla
canzone popolare alla canzone d’amore moderna con la pubblicazione di Te voglio
bene assaje, scritta da Raffele Sacco. Per quanto riguarda la musica invece ancora oggi
non vi è certezza di colui che la creò; si dice fu il famoso compositore Donizetti nel
1835 in occasione di una festa presso Piedigrotta, altri affermano invece che venne
cantata per la prima volta nel 1839 durante l’inaugurazione della prima linea
ferroviaria italiana, Napoli- Portici. Ad ogni modo, a partire da questo momento
appaiono lontani i melodrammi e le opere buffe e si dà inizio alla storia della canzone
moderna italiana. Altra data importante è il 1848, quando fu scritta Santa Lucia da
Enrico Cossovich e Teodoro Cottrau, poi pubblicata nel 1849, una delle prime canzoni
ad avere le caratteristiche della canzone moderna (Liperi 2016, p.91). Ebbe un così
grande successo anche al di fuori della Penisola che oggi la musica è stata adottata in
Svezia come inno liturgico per la festa della santa (Borgna 1985, p.10).
Fu, dunque, Napoli a dare i natali alla canzone moderna, perché all’epoca era una
delle metropoli del Mediterraneo, capace di accogliere vari musici e artisti, ciascuno
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dei quali lasciava un po’ del suo stile e genere musicale. Inoltre erano gli stessi regnanti
a favorire le manifestazioni musicali, come la già citata Festa di Piedigrotta, che ricorre
l’8 settembre ma ha origini che si perdono nella storia: era addirittura conosciuta e
ricordata da Petronio e Svetonio (Liperi 2016, p. 53-54). Alla fine dell’Ottocento da
questa manifestazione canora, che anticipa il Festival di Sanremo, vedono la luce i
successi della canzone napoletana e non solo, in particolare Funiculì funiculà (1880)
e ‘O sole mio (1898). L’ultima canzone citata, anche se in realtà ha un testo scritto in
dialetto napoletano dal giornalista Capurro e musicato da Di Capua, è quasi
all’unanimità il brano italiano più conosciuto nel mondo. Questo dato è stato evinto da
vari sondaggi promulgati dalla Società Dante Alighieri ai suoi Comitati presenti
all’estero. L’ultima indagine, che risale al 2012, è stata effettuata in 66 paesi con lo
scopo di capire quali fossero le cinque canzoni più famose nei sei continenti: ‘O sole
mio è presente in tutto il mondo, un vero inno nazionale (Coveri 2015, pp. 125-127).
I.2.2. Il fonografo, la radio e il Festival di Sanremo
Dal fonografo inizia una rivoluzione riguardante l’ascolto della musica. Era il 1877
quando Thomas Edison, già inventore del telegrafo, scopre il modo per registrare il
suono sia della voce umana sia di qualsiasi altra natura. Dieci anni dopo, Emile
Berliner perfeziona il brevetto di Edison registrando la sua voce non più su un cilindro
di cera ma su un disco piatto. Da questo momento entra in commercio il disco che,
oggi per lo più collezionato da veri intenditori, solo cento anni fa era l’unico modo per
riascoltare un suono, una voce, una melodia. Il fonografo in Italia arriva nel marzo del
1902 con un grande compito: registrare e immortalare per sempre la grande voce del
tenore Enrico Caruso. Furono prodotte solo poche copie che si esaurirono in
brevissimo tempo, da qui il fonografo comincia ad assumere l’importanza di un vero
e proprio prodotto industriale (Liperi 2016, pp. 90-91). Negli stessi anni, intanto, si
moltiplicano gli artisti e le relative canzoni. In particolare, secondo alcuni studiosi, le
prime vere canzoni italiane vennero pubblicate proprio tra il 1912 e il 1918. Ci si