Costituzione).
Di fronte ai fenomeni di terrorismo degli anni settanta e ottanta, la risposta dello Stato
italiano è stata finalizzata a stroncare dei fenomeni piuttosto che accertare responsabilità
individuali, scontando forme di esemplarità.
Sono state pertanto introdotte fattispecie caratterizzate dall'anticipazione della
punibilità. In tal senso sono stati introdotti gli articolo 270-bis, 280 e 289-bis; e con
l'articolo 1 della legge 6 febbraio 1980, l'aggravante generale della finalità di terrorismo.
Nello stesso tempo sono state introdotte norme premiali, volte a promuovere condotte di
dissociazione e collaborazione processuale.
Preoccupante il deficit di determinatezza che si esprime nelle fattispecie associative
politiche attraverso la formazione giudiziale della fattispecie, con specialità del regime
probatorio basato su modelli “cooperatori” capaci di allargare a gironi concentrici, fino
ad ogni forma di contiguità sostegno e connivenza, la responsabilità per partecipazione
a sodalizi criminali o per concorso in partecipazione.
Le fattispecie che anticipano la punibilità hanno la tendenza a selezionare tipologie di
autori piuttosto che condotte criminali, sicché il processo appare volto all'esclusione
degli irriducibili e alla riduzione del fenomeno criminoso, più che a risolvere il dilemma
della responsabilità individuale.
Bisogna tuttavia ammettere che, in relazione alle fattispecie in questione, il rischio di
una erosione del significato del fatto ha trovato un argine anche in talune posizioni della
giurisprudenza, refrattaria a un uso troppo disinvolto della discrezionalità interpretativa.
Al riguardo, è da notare che, in nome del principio di personalità della responsabilità
penale, sia andato consolidandosi l'orientamento che nega l'automatica attribuzione di
delitti-scopo alla posizione rivestita nel sodalizio criminoso, così come è stata ribadita
l'esigenza di materialità ed offensività anche per il delitto di attentato, non potendosi
risolvere l'applicazione della fattispecie nell'accertamento della sola direzione degli atti
dell'attività delittuosa, e, per la rilevanza dell'apologia, il requisito dell'idoneità ad
assumere la pregnanza pericolosa dell'istigazione.
Successivamente, il diritto penale della criminalità organizzata di stampo mafioso
assunse le medesime cadenze, assimilando istituti e categorie sostanziali e processuali
sperimentate nell'esperienza del crimine politico.
L'epoca attuale , proietta l'ombra del delitto politico sulla scena mondiale, ben oltre gli
angusti confini nazionali. Nell'esigere omogeneità di comportamenti sociali ispirati al
4
valore metafisico della democrazia, essenziale per la fluidificazione dei rapporti
economici, il nuovo ordine mondiale finisce col criminalizzare vaste aree del pianeta,
reputate devianti perché tetragone alla cultura occidentale. Si assiste così alla messa in
stato d'accusa non solo di condotte d'individui o di gruppi, ma addirittura di elites
politiche e di classi dirigenti, ad opera di altri Stati (USA) o di organismi internazionali
(come l'ONU o la NATO) che si sentono titolati a intervenire per far cessare e reprimere
situazioni dove si lamentano lesioni ai diritti fondamentali della persona. La possiamo
considerare una continuazione del modello di Norimberga, proliferata dopo la fine della
guerra fredda.
L'evolversi del fenomeno ripropone, in misura più intensa di prima, il tema della
contaminazione concettuale fra guerra e diritto penale.
Da un lato, la repressione penale del delitto politico, esigendo una condanna senza
riserve dell'accusato, non mette in conto la sua esenzione da pena, se non come
conseguenza di una resa e di una collaborazione con l'accusatore. Significative, a questo
riguardo, le esperienze delle cosiddette Truth Commission (come quella del Sudafrica
degli anni novanta) che ai responsabili dei delitti politici veniva promessa l'amnistia in
cambio della confessione dei crimini commessi.
D'altro lato, la moderna guerra (di cui quasi mai si osa proferirne il nome, preferendo far
ricorso a eufemismi del tipo “intervento umanitario”, enduring freedom etc.) viene
presentata come operazione di polizia, solitamente preceduta da una vera e propria
indagine tesa a giustificare l'uso della forza (ciò è accaduto, ad esempio, col conflitto
afghano, preceduto da alcune settimane di “accertamenti” volti a stabilire se e in che
misura ilo governo talebano fosse corresponsabile delle stragi avvenute a New York l'11
Settembre 2001 e da una misura paraprocessuale, come l'ordine di consegnare il
“latitante” Osama Bin Laden; analogamente, il conflitto iracheno fu preceduto da
un'indagine farsa volta a scoprire il possesso di armi di distruzione di massa da parte del
Governo di Saddam Hussein: si ricorderà che l'indagine vide l'utilizzo di ispettori
dell'ONU.
Appartiene al medesimo ordine di considerazioni l'istituzione di Tribunali internazionali
ad hoc per i fatti del Rwanda, della Jugoslavia, Sierra Leone, le Camere Speciali per la
Cambogia, i panels per Timor Est e per il Kossovo e, infine, l'istituzione di una Corte
Penale per i crimini internazionali: sempre in questo di esperienze giudiziarie, figurano
come imputati uomini di potere detronizzati a seguito di operazioni belliche e giudicati
per la loro attività di leaders politici che vengono a confondersi colle loro responsabilità
5
personali. Oggetto dell'accusa e del giudizio è l'insieme di iniziative politiche
considerate a priori criminali, non i fatti dettagliatamente descritti in una fattispecie di
reato.
Assistiamo a un simulacro di processo. Valori fondamentali del diritto giudiziario penali
quali la precostituzione e naturalità del giudice e la presunzione di innocenza sono
totalmente disattesi. Il giudizio pubblico svela qui il suo carattere essenzialmente
politico. Prima ancora che l'accusa sia formulata, la condanna è già scritta e il processo
serve unicamente a darne una giustificazione all'opinione pubblica: essa può essere
elusa o attenuata solo da un pentimento o da una collaborazione, nei quali si premia (e si
celebra) la capitolazione dell'imputato di fronte all'avversario.
La confusione, la commistione dei concetti di diritto penale e guerra, trova oggi ulteriori
spunti di riflessione nel trattamento dell'ibrida figura del prigioniero-accusato: privi di
diritti garantiti ai prigionieri della convenzione di Ginevra e privi, altresì, dei diritti
garantiti agli imputati dalla legge processuale. La vicenda dei prigionieri di
Guantanamo è emblematica.
La contaminazione rischia di produrre effetti devastanti sul piano della civiltà giuridica,
se si pensa al potere di irradiazione che il concetto di guerra preventiva è in grado di
sviluppare nel campo della penalità o, più in generale, delle politiche di “sicurezza”. Del
resto, anche al di fuori del tema qui considerato, dobbiamo riconoscere che l'evoluzione
recente del diritto penale si è caratterizzata nel senso di uno slittamento progressivo
verso istanze di prevenzione (anticipazione delle soglie di punibilità, nel diritto penale
sostanziale; uso degli strumenti cautelari in funzione preventiva, nel processo penale e
nel diritto penitenziario; allargamento delle procedure di prevenzione ante-delictum). La
prevenzione da rischi (più che la repressione di condotte dannose) è l'ossessione delle
moderne agenzie di controllo sociale. Se è vero che la guerra fornisce le categorie
fondamentali per costruire i concetti di diritto penale, è logico attendersi che l'idea di
guerra preventiva contribuisca a caratterizzare ulteriormente in senso preventivo il
diritto penale del futuro. L'elaborazione di un diritto penale del nemico conferma
quest'impressione. Il suo programma è di mettere in condizione di non nuocere i nemici
giurati della società. La sua giustificazione etica risiede nell'idea di riservare solo a
costoro (considerati dei reietti per loro stessa scelta) il trattamento speciale che in guerra
si riserverebbe al nemico, onde consentire che i tradizionali canoni del diritto penale
possano continuare ad essere applicati per gli altri cittadini.
Non vanno sottaciuti i rischi insiti nelle tesi favorevoli all'edificazione di un diritto
6
penale del nemico, la cui attuazione sarebbe suscettibile di uno sviluppo ben al di la del
delitto politico. Tradotta in un ordinamento positivo, infatti, essa implicherebbe una
restrizione dell'area delle garanzie del diritto penale ordinario al solo stato di
cittadinanza, creando un vulnus alle radici universalistiche dei diritti intangibili della
persona umana riconosciuti convenzionalmente dai Paesi che hanno sottoscritto la
Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Il disegno di un'area normativa stabile della
sospensione delle garanzie così allargato potrebbe stravolgere il significato della stessa
Costituzione
1
.
I delitti politici sono eccentrici rispetto alle fattispecie comuni per via dell'anticipazione
incontrollabile della tutela; per l'incongruenza strutturale della fattispecie; per
l'inafferrabilità ermeneutica dell'evento politico primario, a vario titolo costitutivo della
fattispecie. Per evento politico “primario” si intende l'evento che, di per sé, non assume
altra dimensione che quella politica.
Per quel che concerne l'anticipazione incontrollabile della tutela, essa discende della
difficoltà di determinare lo stadio a partire dal quale si consolida la rilevanza della
condotta espressa come fatto diretto a provocare l'evento. Alla semplice
esteriorizzazione non equivoca del proposito; al compimento di atti non inidonei a
cagionare l'evento (utilizzando la clausola generale dell'articolo 49.2 codice penale);
alla commissione di atti idonei (estendendo il requisito previsto per il delitto tentato
dell'articolo 56 cp)?
Circa l'inafferrabilità ermeneutica dell'evento politico primario, bisogna dire che essa
dipende essenzialmente dalla circostanza che tale evento è di carattere epocale e
assumono una dimensione iper offensiva. Sovvertire l'ordinamento dello Stato,
sopprimere violentemente le istituzioni costituzionali, provocare un'insurrezione armata
o una guerra civile, rappresentano macro eventi risultanti dalla somma di una miriade di
vicende di portata storica.
Sul versante dell'interpretazione, il delitto politico si caratterizza per una immanente
conflittualità. Chi scrive la norma, chi la legge da interprete, chi la applica da giudice,
sono in antitesi radicale con chi è chiamato a rispondere della sua inosservanza: ciò che
la norma chiama “insurrezione armata” o “guerra civile”, nel linguaggio del delinquente
politico si definisce “lotta di liberazione” o “rivoluzione proletaria”; la destabilizzazione
1 Delitto politico e diritto penale del nemico a cura di Alessandro Gamberini e Renzo Orlandi Monduzzi
editore 2007
7
delle istituzioni si traduce nell'abbattimento della tirannide o della corruzione, eccetera.
Invece il delinquente comune e il giudice parlano la stressa lingua: l'accusato di un
furto, per esempio, non contesta senso e disvalore della sottrazione di una cosa mobile
altrui; si difenderà in mille modi possibili, ciascuno dei quali presuppone un significato
del furto comune a tutti i soggetti della vicenda. Ed proprio quando giudice e imputato
non parlano più la stessa lingua, si può parlare di delinquenza politica: ad esempio, se la
rapina diviene un esproprio proletario, allora il rapinatore non è solo tale.
Le difficoltà che rendono precaria l'applicazione delle fattispecie politiche sono
emblematicamente rappresentate da due recenti decisioni assunte rispettivamente dal
GIP di Milano e dal GIP di Brescia in vicende sostanzialmente identiche.
In breve, il Gip di Milano, dopo aver elaborato lo scenario virtuale delle intenzioni
attribuibili a determinati soggetti, ravvisa in esse l'elemento caratterizzante costituito
dalla partecipazione ad una guerriglia; e poiché la guerriglia è sottoposta alla disciplina
del jus belli, si esclude che essa possa di per sé identificarsi con un'attività di tipo
terroristico. Per il Gip di Brescia vale l'esatto contrario.
Siccome non può dirsi che la violenza programmata sarà rivolta soltanto contro obiettivi
militari, essa assume un carattere terroristico.
In definitiva, gli eventi politici primari, in quanto elementi normativi definitivi solo con
parametri extra giuridici, subiscono l'incertezza del parametro; in quanto eventi
intenzionali risultano oggetti di qualificazioni intrinsecamente incerti. Incerto il
parametro, incerto l'oggetto: l'applicazione delle norme si risolve in una vera e propria
avventura ermeneutica.
Per evitare questi esiti il fascismo, riprendendo lo strumento del processo politico, che
però non poteva essere lasciato ai giudici comuni, perciò istituì il Tribunale speciale per
la difesa dello Stato, quale docile strumento di un'applicazione consentanea agli
obiettivi del regime.
Il tema del delitto politico si situa tradizionalmente ai confini del diritto penale, vicino a
quello spazio libero da vincoli giuridici dove le istituzioni pubbliche, in nome della
propria sopravvivenza, tendono ad attribuirsi il potere di difendere se stesse
illimitatamente e con ogni mezzo. Di qui una duplice conseguenza.
La prima riguarda l'eccezionale severità con la quale sono solitamente punite e
concretamente perseguite le condotte reputate minacciose per l'ordinamento costituito.
Ovviamente le cose cambiano secondo i regimi politici e gli stili di governo. Gli
8
ordinamenti demo-costituzionali- secondo le dichiarazioni di principio su cui si
reggono- sembrano tali da porre all'autorità pubblica limiti invalicabili in rapporto anche
al più pericoloso degli individui. In realtà, l'esperienza ha dimostrato che, pure in
ordinamenti di questo tipo, s tende ad ammettere l'uso di strumenti speciali, tali da
comportare talvolta la sospensione delle garanzie costituzionali, quando la minaccia alle
istituzioni pubbliche è percepita come particolarmente grave. Le leggi d'emergenza di
trent'anni fa varate in Germania e Italia per fronteggiare fenomeni di terrorismo interno
ne sono un esempio.
L'altra conseguenza riguarda invece l'atteggiamento della dottrina rispetto al delitto
politico. Proprio perché quest'ultimo, nelle sue manifestazioni più gravi e preoccupanti,
tende ad essere combattuto con ogni mezzo, sarebbe fatica sprecata farci una teoria
sopra. Se la lotta al delitto politico si gioca essenzialmente sul piano dei meri rapporti di
forza fra pubblica autorità e individuo, ogni tentativo di inquadramento giuridico è
destinato all'insuccesso. Diceva Francesco Carrara “A qual pro sudare per costruire un
tela giuridica che sarà rotta dalla spada o dal cannone..?” Le prime teorizzazione sul
delitto politico si hanno tuttavia nel '500 e '600 e riguardano il crimen lesae maiestatis.
Oggigiorno vi sono numerose iniziative di contrasto previste da numerose legislazioni
nazionali contro quelle forme di delinquenza politica rappresentata- oggi- da atti di
terrorismo internazionale confermano l'assunto. Si pensi al PATRIOC ACT
statunitense: i terroristi di origine straniera sono trattati in maniera diversa dai comuni
cittadini, sono trattati come enemy combatants; è reputata legittima la pratica della
extraordinary rendition, vale a dire degli arresti senza controllo giudiziario e, dunque,
con un sostanziale disconoscimento dell'habeas corpus; si mette in conto l'uso della
tortura, magari “delegato” alle autorità compiacenti di paesi terzi retti da ordinamenti
dispotici e illiberali. In una parola, si eliminano molti dei limiti all'esercizio del potere
punitivo che la nostra cultura giuridica è solita associare al diritto penale.
1.2 Il reato politico come illecito di categoria
Per individuare le fattispecie di questo reato, è indispensabile preliminarmente definire i
criteri che definiscono la politicità del reato, di modo che si possano definire le
interconnessioni tra politicità del reato e categorie dogmatiche.
Alla base della nozione oggettiva del delitto politico, fondata sull'offesa dell'interesse
tutelato, stanno esigenze di certezza e garanzia, di cui si sono fatti portatori gli
9
esponenti della scuola classica: nell'ottica del diritto penale liberale la ricostruzione
della definizione del reato politico intorno ad un ben determinato oggetto giuridico si
propone di fornire margini certi all'intervento punitivo.
Così si afferma che il reato politico consiste in una “aggressione alla forma del governo
e dello Stato, aggressione che non ferisce la sostanza”, oppure “contro la struttura
organica dello Stato, o la sua Costituzione”; o ancora si richiede che concorrano tre
elementi costitutivi, ossia: “1) che la persona direttamente lesa sia lo Stato; 2) che siano
offesi i diritti dello Stato concernenti il suo ordinamento politico e sociale; 3) che il
diritto e l'interesse dello Stato a reprimere il fatto delittuoso attenga alla conservazione
dello stesso suo ordinamento politico e sociale”
2
. In questa concezione di reato politico,
l'elemento intenzionale gioca un ruolo secondario, perché non consente di determinare
la natura del reato, né tanto meno di escludere il delitto, ma si limita ad incidere sulla
graduazione concreta della pena.
La nozione soggettiva, invece, risente in modo determinante della teoria dei motivi a
delinquere della scuola positiva, dove si individua nel movente e nella personalità del
reo i criteri idonei a fondare una definizione di categoria e non l'interesse leso. La
delinquenza politico-sociale viene definita evolutiva perché connotata da movente
altruista, dall'altro lato, la criminalità comune, atavica, in cui il movente è egoistico.
La definizione di delitto soggettivamente politico non è, dunque, unitaria, potendo
essere limitata alle rivendicazioni che attengono agli assetti fondamentali dello Stato,
oppure estesa, fino a comprendere qualsiasi delitto politico-sociale, che supera le
difficoltà di accertamento della linea di demarcazione tra tematiche politiche e socio-
economiche.
1.3 Definizione del reato politico
L'indagine deve partire dalla definizione di delitto politico di cui all'articolo 8 del C.p.
in cui si dice: “agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto che offende
un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. E' altresì
considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi
politici”.
2 Marco Pelissero, Reato politico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Casa editrice Jovene, Napoli
2000
10
L'orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene che un reato comune può essere
qualificato oggettivamente politico, quando il colpevole abbia agito per conseguire fini
e scopi che investano la collettività sociale e incidano sull'esistenza, costituzione e
funzionamento dello Stato o siano diretti a contrastare o consolidare idee, tendenze
politiche e sociali (Cassazione n° 310/1982).
In senso soggettivo:
come si accennava prima, qui non rileva la natura dell'interesse leso, come nell'ipotesi
precedente, ma l'elemento psicologico che spinge il soggetto ad agire. Il motivo politico
in questo caso costituisce il movente che porta alla commissione del reato. Secondo la
giurisprudenza perché un reato comune possa essere ritenuto soggettivamente politico è
necessario, cioè, che il reo sia stato spinto a delinquere al fine di potere, a mezzo della
sua azione, incidere sull'esistenza, costituzione, funzionamento dello Stato, oppure
favorire o contrastare idee, tendenze politiche, sociali o religiose, al precipuo scopo di
realizzare un'idea politica ( Cassazione n° 48/1982).
Il motivo politico si distingue da quello sociale: il primo è quello che trova la sua
matrice in un orientamento ideologico che concerne lo Stato e i rapporti di questo con la
generalità dei consociati; il secondo invece, è quello che si prefigge di produrre effetti
sui rapporti umani, a prescindere da eventuali coinvolgimenti statali. Il motivo politico
può anche non essere l'unico scopo del delitto ma è sufficiente che anche solo in parte
sia dettato da ragioni politiche.
1.3.1 Il significato dell'articolo 8 cp e la sua importanza per una
definizione sostanziale dell'illecito penale politico
Il codice penale italiano è frutto del compromesso fra diverse scuole di pensiero. Infatti
i codificatori- alcuni dei quali sostenevano i postulati della concezione volontaristica,
altri di quella sintomatica, ed altri invece, di quella realistica dell'illecito penale-
indicarono diverse e spesso opposte soluzioni a proposito di alcuni fondamentali
problemi di teoria generale del reato.
E' opportuno ricordare, a tal proposito, che l'illecito penale, secondo l'indirizzo
realistico, non può concepirsi solo come manifestazione di volontà criminale o come
sintomo di pericolosità criminale, poiché la rilevanza giuridica delle varie ipotesi
normative trova significativa espressione soprattutto nell'effettiva violazione degli
interessi tutelati dalle norme penali.
11
Autorevole dottrina ha attribuito all'articolo 49 cp il significato di un vero e proprio
principio generale: il reato deve sempre realizzare l'offesa di un interesse penale, ed ove
quest'offesa non si concretizzi neppure nella forma del pericolo (per l'inidoneità della
condotta) l'illecito penale non sussiste. Perché si possa verificare un reato non basta,
dunque, un atto con valore sintomatico, come ad esempio un atto univoco, dal momento
che ciò non è ancora sufficiente per poter concretizzare l'offesa tipica.
Però questo indirizzo teorico non è condiviso da tutta la dottrina: l'opinione tradizionale
infatti ritiene che l'articolo 49 cp si limiti a ribadire la non punibilità del tentativo
inidoneo, mentre un'altra teoria ha escluso che questa norma possa estendere la sua
efficacia all'interno del sistema penale.
Tale ragionamento incide anche in tema di delitto politico ove la punibilità di condotte
in concreto non lesive di alcun interesse (politico) penalmente tutelato è stata
considerata sempre con particolare prudenza ovvero con aperta ostilità soprattutto
perché diventa in tal modo possibile perseguire come reati politici anche le semplici
opinioni politiche. E' utile ricordare, a tale proposito, come già nell'ambito della
codificazione Zanardelli l'indirizzo teorico che aveva sostenuto la natura sintomatica del
reato estendendo la punibilità anche agli atti univoci era considerato, in questo nuovo
ordine di idee, con forte sospetto se non con ostilità proprio perché questa costruzione
portava a della soluzioni arbitrarie dovute al prevalere dell'aspetto processuale
dell'univocità su quello sostanziale: l'atto cioè poteva dirsi univoco rispetto ad uno
scopo politico perché, facendo riferimento anche a mezzi estranei alla condotta posta in
essere, era agevole dimostrare la sussistenza dell'intenzione delittuosa.
3
Alla luce di queste considerazioni introduttive, non si può non notare l'innovazione
apportata, rispetto al passato, contenuta nell'ultimo comma dell'articolo 8 cp: “E' delitto
politico, il delitto che offende un interesse dello Stato, ovvero un diritto politico del
cittadino”. Questa norma, cioè, intende ribadire, in una materia molto importante,
concernente la struttura del delitto politico, la concezione realistica dell'illecito penale.
Affermando, in sostanza, che non vi può essere delitto politico senza l'offesa di un
interesse (politico) dello Stato ovvero di un diritto (politico) del cittadino, l'articolo 8 cp
espressamente ha voluto indicare un chiaro indirizzo di politica criminale oltre che un
fondamentale principio giuridico- particolarmente significativo, come subito vedremo,
anche per la parte speciale concernente la disciplina penalistica del delitto politico-
3 Salvatore Panagia, Il delitto politico nel sistema penale italiano, Edizioni Cedam Padova 1980
12
finora trascurato da coloro che si sono interessati all'argomento. Quest'articolo vuole
cioè escludere la possibilità che, come per il passato, la categoria del delitto politico
possa costituirsi prescindendo dal considerare l'incidenza dei vari tipi di condotta sul
piano dei valori codificati degni di tutela.
Subordinare la punibilità della condotta all'offesa di un interesse politico, lungi dal
rappresentare una tautologia, significa affermare un principio (quello realistico) che
certamente non può non sorprendere ove si tenga presente il clima politico durante il
quale avvenne la codificazione del 30. Ed anche se la relazione ministeriale volle
individuare lo scopo di questa norma in tutt'altra direzione identificandolo proprio con
uno dei postulati dello Stato-forte in tema di delitto politico, è doveroso, tuttavia,
ricordare che ben diverso era il convincimento di alcuni fra i i più attenti codificatori, i
quali , nei rapporti fra politica e diritto, seppero far salvi molti dei principi, fra cui
appunto quello realistico, ereditati dalla tradizione del pensiero liberale. La definizione
dell'ultima parte dell'articolo 8 cp non si potrebbe comprendere, anche per il suo chiaro
tenore letterale, se non nell'ambito dei principi fondamentali concernenti la concezione
realistica dell'illecito penale, principi che, oggi sono sanciti anche dagli artt. 25 e 27
della Costituzione.
Non si potrebbe spiegare l'innovazione che l'articolo 8 ultimo comma del codice penale
rappresenta rispetto alla codificazione zanardelliana né in alcun modo comprendere
l'inserimento di questa norma nella parte generale del codice penale – ove non si è
avvertita, invece, la necessità di dare una definizione del delitto comune- senza
attribuire all'articolo 8 ultimo comma cp un significato che valorizzi questa norma
nell'ambito di tutto il sistema penale. Si è voluto cioè stabilire il principio generale
secondo cui qualsivoglia reato contro lo Stato deve uniformarsi, anche attraverso un
procedimento ricostruttivo in chiave interpretativa del contenuto delle singole
fattispecie, a quanto disposto dall'articolo 8 ultimo comma. La struttura fondamentale
dell'illecito penale politico, per regola generale, non può identificarsi con fattispecie a
condotta non offensiva, e cioè il delitto politico non può configurarsi come reato di
mera disobbedienza: in virtù del principio sancito dall'articolo 8 cp, può configurarsi un
reato politico solo quando la condotta concretizzi l'offesa di un interesse politico dello
Stato.
4
4 Salvatore Panagia, op cit. pagg. 103 e ss.
13
1.3.2 Antigiuridicità e adeguatezza sociale nell'interpretazione dei
reati politici
La categoria dell'antigiuridicità ha svolto una funzione trasversale nell'interpretazione
delle fattispecie di reato politico.
L'ampiezza e l'indeterminatezza di alcune delle fattispecie originariamente contenute
nel codice Rocco sono state sottoposte ad una interpretazione in chiave restrittiva in
primis da parte della dottrina e, in misura più cauta, da parte della giurisprudenza.
Questo lavoro di progressivo restringimento della rilevanza del fatto tipico è stato
condotto su due fronti: da un lato, attraverso il richiamo di diritti costituzionalmente
garantiti in funzione scriminante, dall'altro lato, arricchendo comunque la fattispecie del
requisito, non espressamente tipizzato, della idoneità del fatto rispetto al
raggiungimento degli eventi assunti di volta in volta ad evento finale nei delitti di
attentato o a secondo termine di una relazione di pericolo ovvero, ancora, ad oggetto del
dolo specifico.
Con riferimento al primo tipo di intervento, si è ricorsi alla causa di giustificazione
dell'esercizio di un diritto prevista dall'articolo 51 cp. Partendo, infatti, dal presupposto
che fonte del diritto scriminante possono essere anche le leggi, non vi è stato alcun
dubbio a riconoscere ai diritti costituzionali la funzione di giustificare comportamenti
rientranti nella astratta ed ampia formulazione delle fattispecie penali. In particolare va
posta l'attenzione sul diritto di manifestazione del pensiero (articolo 21 della
Costituzione), sul diritto di sciopero (articolo 40) e sulla libertà di associazione (art. 18):
diritti dunque, il cui riconoscimento costituzionale si poneva in netto contrasto con
l'assetto della tutela penale impresso dal legislatore del 1930, che ne titolo dei delitti
contro la personalità dello Stato (ed in quello per molti versi attiguo dei delitti contro
l'ordine pubblico) aveva impresso in modo indelebile l'impronta autoritaria del regime,
non disponibile a riconoscere l'esercizio di diritti e libertà che già di per sé venivano
percepiti come minacciosi all'assetto di potere costituito.
Secondo un certo orientamento l'articolo 51 cp, nella parte in cui prevede l'esercizio del
diritto scriminante, è divenuto “valvola di adeguamento del sistema ordinario nella
prospettiva del sistema costituzionale”, sottraendo, quantomeno sul piano interpretativo
di fronte alla inerzia del legislatore, spazio alla fagocitante tutela totale delle fattispecie
penali politiche e garantendo al contempo maggiori spazi di libertà.
Infatti, al di fuori dei casi in cui la norma ordinaria presenta un insanabile contrasto con
14