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CAPITOLO I
LO STATO DELLA DOTTRINA
Sommario: 1. Premessa. Posizione della questione – 2. La dottrina più
antica – 3. Una soluzione radicale, Biondi e l‘inerenza – 4. Contro la teoria
dell‘inerenza classica, Grosso, Schulz e Carcaterra – 5. Un‘inversione di
prospettiva a) Metro; b) Kupisch – 6. Conclusioni
1) Premessa. Posizione della questione
Quando si parla di iudicia bonae fidei si intende quel particolare tipo di giudizio
formulare in cui il giudice aveva i più ampi poteri
1
, in contrapposizione a quei
1
Cic. De Off. III, 17, 70: Nam quanti verba illa: UTI NE PROPTER TE FIDEMVE TUAM
CAPTUS FRAUDATUSVE SIEM! Quam illa aurea: INTER BONOS BENE AGIER OPORTET
ET SINE FRAUDATIONE! Sed, qui sint 'boni' et quid sit 'bene agi,' magna quaestio est. Q.
quidem Scaevola, pontifex maximus, summam vim dicebat esse in omnibus iis arbitriis, in
quibus adderetur: EX FIDE BONA; fideique bonae nomen existimabat manare latissime, idque
versari in tutelis, societatibus, fiduciis, mandatis, rebus emptis venditis, conductis, locatis,
quibus vitae societas contineretur: in his magni esse iudicis statuere, (praesertim cum in
plerisque essent iudicia contraria,) quid quemque cuique praestare oporteret; Cic. Top. 66: In
omnibus igitur eis iudiciis, in quibus ex fide bona est additum, ubi vero etiam ut inter bonos
bene agier oportet, in primisque in arbitrio rei uxoriae, in quo est quod eius aequius melius,
2
iudicia stricti iuris in cui il giudice doveva valutare la questione esclusivamente
sulla base delle richieste possibili, effettive ed espresse delle parti
2
.
In tali iudicia, la fides bona finisce per entrare nella struttura stessa del rapporto, è
parte integrante del rapporto, non resta un semplice parametro esterno di riferimento,
permettendo al iudex di regolare le questioni tra le parti, valutando il negozio
concluso, tenuto conto di cosa un‘ interpretatio secondo fides bona richiedesse e
dunque imponesse
3
in quel particolare assetto di interessi alla luce delle
particolarita‘ del caso concreto
4
.
parati eis esse debent. Illi dolum malum, illi fidem bonam, illi aequum bonum, illi quid socium
socio, quid eum qui negotia aliena curasset ei cuius ea negotia fuissent, quid eum qui
mandasset, eumve cui mandatum esset, alterum alteri praestare oporteret, quid virum uxori,
quid uxorem viro tradiderunt. Cfr. E. Costa, Cicerone giureconsulto I, Bologna, 1927, p. 178
ss.; G. Grosso, Ricerche intorno all‘elenco classico dei iudicia bonae fidei, in RISG 1928, p. 28
ss.; L. Lombardi, Dalla fides alla bona fides, Milano, 1961, p. 167 ss.; R.Cardilli, Bona fides
cit., p. 29 ss.; A. Carcaterra, Intorno ai iudicia bonae fidei, Napoli 1964, p. 10 ss.; F. Gallo,
Synallagma e conventio nel contratto, Torino, 1992; B. Biondi, Iudicia bonae fidei, in AUPA 7,
1920, p. 154 ss.; M. Talamanca, La bona fides nei giuristi romani cit., p. 142 ss.; A. Castresana,
Fides, bona fides: un concepto para la creaciòn del derecho, Madrid, 1991, p. 56 ss.; P. Frezza,
Fides Bona, in Studi sulla buona fede, Milano, 1975, p. 16 ss., ora in Scritti 3, Roma, 2000.
2
Cfr. tutta la manualistica istituzionale tra cui M. Marrone, Istituzioni di diritto romano,
Palermo, 2006, p. 155 ss.; E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1961, p. 230
ss.; L. Capogrossi-Colognesi, Appunti sulla formazione delle Istituzioni Romane (a cura di D.
Piattelli), Roma, 2008; V. Arangio – Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 2002, p. 298
ss.; A. Burdese, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1964, p. 116; anche se solo accenni
P. Cerami, A. Corbino, A. Metro, G. Purpura, Ordinamento costituzionale e produzione del
diritto in Roma antica, Napoli, 2001, p. 213 ss.; P. De Francisci, Storia del diritto romano,
Milano, 1943, p. 417 ss.
3
A tal proposito è di primaria importanza il lavoro di E. Stolfi, Bonae fidei interpretatio,
Ricerche sull‘interpretazione di buona fede tra esperienza romana e tradizione romanistica,
Napoli, 2004, in cui si mette bene il luce il carattere della bona fides quale ―misura di
valutazione e parametro dell‘oportere, non sua fonte normativa‖, cit. p. 28; nello stesso senso
anche F. Gallo, Bona fides e ius gentium in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo delle buona fede
oggettiva nell‘esperienza giuridica storica e contemporanea, Studi A. Burdese, 2, Padova 2003,
che afferma nettamente che la fides bona ―è un criterio di valutazione, non una fonte di
produzione del ius‖, cit. p. 149 e A. Carcaterra, Ancora sulla fides e sui bonae fidei iudicia, in
SDHI 33, 1967, p. 65 ss., il quale, parlando di plenior interpretatio, recita che ―non è peculiare
dei iudicia bonae fidei‖, ma che in essi ―si tratta della interpretazione secondo buona fede‖ e Id.
Intorno ai iudicia bonae fidei, in IURA 16, 1965, p. 261 ―nessuno… ha pensato o può pensare
che la fides sia fonte dell‘oportere… non genera l‘oportere, ma lo qualifica e lo precisa‖.
Ancora per una fides bona quale canone di valutazione interpretativo P. Frezza, Fides Bona, cit.,
p. 217 ss.; M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 220 ss., il quale però si
limita a non escludere che quello della bona fides sia un canone ermeneutico; G. Pugliese, Actio
e diritto subiettivo, Milano, 1939, p. 59, in cui si mette in evidenza la priorita‘ dell‘azione
(quindi la fase interpretativa) e dunque la sua forza ―espansiva‖ poi nel diritto sostanziale. Per
un passo ulteriore nel senso di vedere oltre a un criterio ermeneutico un vero e proprio criterio
3
Seppur quindi di origine processuale, come parametro di riferimento per la
valutazione del giudice, la fides bona si sostanzia in un concreto assetto negoziale
che va ad incidere sul contenuto dell‘obbligazione, conformandola a tale criterio. In
particolare, l‘oportere ex fide bona
5
va a caratterizzare quel dato negozio per una
serie di elementi aggiuntivi rispetto a quelli che noi chiamiamo gli elementi
normativo del relativo rapporto di buona fede cfr. per tutti A. Burdese, Interpretazione nel
diritto romano, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civ. 10, Torino, 1993, p. 11 e R.
Cardilli, Bona fides cit., p. 3 ss.
4
Cfr. E. Stolfi, Bonae fidei interpretatio cit., p. 71 ss., il quale seppur orientato verso una
ricostruzione di bona fides come canone ermeneutico, si cura di specificare che ―più che di
un‘interpretazione secondo buona fede (almeno se assunta nell‘odierna concezione), dovremmo
forse parlare di valutazione negoziale determinata, od orientata, dalla bona fides‖. Ciò conduce
a considerare orientata alla bona fides anzitutto una valutazione del negozio secondo il ―quod
actum est‖ in D. 19.1.11.1 (Ulp. 32 ad ed.), ossia una lettura dell‘assetto negoziale così come
determinato dalle parti, ma in senso oggettivo su cui P. Frezza, Bona fides cit, p. 204ss.; M.
Talamanca, La bona fides cit., p. 3 ss. Tra coloro che invece non riconoscono la buona fede
semplicemente come rispetto oggettivo della parola data, ma quale fonte di integrazione del
contenuto contrattuale cfr. R. Cardilli, Bona fides cit., pag. 3 ss.; S. Tafaro, Buona fede ed
equilibrio degli interessi nei contratti, in Il ruolo della buona fede oggettiva cit. 3, p. 570 ss.; S.
Rodriguez, La buena fe en el cumplimiento de las obligaciones contractuales en el derecho
romano clásico: especial referencia al problema de la bilateralidad en los contratos
consensuales, in Seminarios Complutenses de derecho romano 13, 2001, p. 570 ss.
5
L‘invenzione di agganciare la clausola ex fide bona all‘ oportere risale con alta probabilita‘ al
III – II sec. a.C. E‘ stato merito della giurisprudenza trasporre il solemne verbum, per mezzo di
una scelta consapevole come quella che portò alla creazione dell‘oportere ex sponsione, che
indicava l‘obbligazione tra romani alla base delle legis actiones, l‘oportere, nell‘ambito aperto a
tutti delle contrattazioni commerciali, in quanto ritenuto consono, seppur con il necessario
collegamento ad un parametro ampio, quale quello della bona fides. Cfr. R. Cardilli,
Considerazioni storico – dogmatiche sul legame tra contratto e obbligazione, in Modelli Teorici
e Metodologici nella storia del Diritto Privato 2, Napoli, 2006, p. 19 – 20. Il fondamento di ius
civile per l‘epoca classica di tale oportere ex fide bona è incontestato per l‘epoca classica, ma la
dottrina maggioritaria sostiene la sua nascita quale espressione di ius honorarium e solo
successivamente una loro civilizzazione. Cfr. M. Wlassak, Zur Geschichte der negotiorum
gestio, Jena, 1879, p. 153 ss.; R. Zimmermann, Aechte und unaechte negotiorum gestio,
Giessen, 1873, p. 11 ss.; M. Kaser, Mores maiorum und Gewohnheitsrecht, in ZSS 59, 1939, p.
52 ss.; W. Kunkel, Fides als schöpferisches Element im römischen Schuldrecht, in Festschrift P.
Koschaker, Weimar, 1939, p. 1 ss.; A. Magdelain, Les actions civiles, Paris, 1954, p. 42ss. Vi è
poi una dottrina, per così dire, intermedia, che pur vedendo un‘origine formalmente pretoria di
tale oportere, lo considera come espressione di una rinnovazione e definizione di rapporti gia‘
preesistenti, vuoi al di fuori della sfera ufficiale. Cfr. L. Lombardi, Dalla fiedes cit., p. 174 ss.,
vuoi in seno al ius. Cfr. G. Broggini, Iudex arbitre. Prolegomena zum Officium des römischen
Privatrichters, Köln, 1957, p.124ss., F. Wieacker, Zur Ursprung der bonae fidei iudicia, in ZSS
80, 1963, p. 29 ss.; J.Paricio, Genesi e natura dei bonae fidei iudicia, in Atti del Convegno.
Processo civile e processo penale nell.esperienza giuridica del mondo antico, Siena 2001. Di
radicale impostazione civilista, l‘oportere ex fide bona invece è assunta da R. Cardilli, Bona
fides cit., p. 29 ss.; Id. Considerazioni cit., p. 20; R. Fiori, Ea res agatur, I due modelli del
processo formulare repubblicano, Milano, 2003, p. 221 – 222; Id. Ius civile, ius gentium, ius
honorarium: il problema della «recezione» dei iudicia bonae fidei, in BIDR 101 – 102, 1998 –
1999, pag. 14 ss.
4
―essenziali‖ del negozio, senza per questo però doversi immaginare la bona fides
come criterio normativo: essendo, infatti, parametro giudiziale di valutazione del
rapporto stretto tra le parti, il iudicium, mezzo di risoluzione delle controversie nella
pratica, in toto il processo arriva ad incidere poi indirettamente sulle situazioni
sostanziali
6
.
Si tratta però di determinare se questo parametro della bona fides sia da intendersi
come fosse una sorta di deus ex machina, cioè onnivalente, onnicomprensivo ed
immutato ab origine e nei confronti di ogni ipotesi dolosa, ciò significando, in caso
contrario, di dover verificare se vi fosse bisogno in alcuni casi di altri meccanismi
processuali, nel nostro caso dell‘ exceptio doli, per tutelare delle situazioni cui
tramite il solo riferimento al criterio della bona fides il giudice non potesse arrivare.
L‘inerenza, nel senso di efficacia automatica, senza necessita‘ di riferimento
espresso nella formula, dell‘exceptio doli nei bonae fidei iudicia costituisce per
questo uno dei più interessanti e torturati problemi che ci offra questa categoria di
giudizi. Sono due i fattori che pongono il nostro problema e ne rivelano l‘importanza
basilare per lo studio dei bonae fidei iudicia: da un lato la crescente importanza ed il
progressivo riconoscimento dell‘aspetto psicologico e della volonta‘, che
accompagna lo sviluppo del diritto romano e si afferma largamente nel diritto
giustinianeo e bizantino, dall‘altro la larghezza della clausola ex fide bona, o altra
equivalente, che assunto quale parametro di riferimento per la valutazione del
giudice, vuoi normativo, vuoi ermeneutico
7
, rende il rapporto sensibile all‘influenza
dei vari influssi della coscienza giuridica e della societa‘.
E‘ nostro compito dunque quello di determinare come si siano combinati i due
fattori della fides bona e dell‘exceptio doli, valutando i casi presentatici dalla
giurisprudenza, così arrivando a capire come il secondo avrebbe potuto influire sulla
determinazione del rapporto su cui si fondava il giudizio di buona fede.
Quello dell‘inerenza dell‘exceptio doli è uno dei maggiori problemi, se non il nodo
centrale, della problematica relativa alla specificita‘ dei bonae fidei iudicia,
6
Cfr. per la dottrina nt. 3
7
Cfr. per le diverse ricostruzioni nt. 4 e infra nel testo.
5
questione che ha dato luogo a secolari dibattiti nella dottrina romanistica fino alla
definitiva stesura del lavoro del Biondi
8
, il quale ha segnato un punto ormai fisso e
pressoché indiscusso da tutti gli studiosi che per tutto il 1900 si fossero avvicinati
anche solo indirettamente al tema, con la determinazione che sia un principio
classico quello dell‘inerenza dell‘exceptio doli ai bonae fidei iudicia.
Per quanto negli anni successivi infatti si siano succeduti altri scritti che prendevano,
quale più, quale meno, le distanze da tale approdo dottrinario, la tesi di Biondi ha
ormai valenza si può dire assoluta nella dottrina che si occupa del problema.
2) La dottrina più antica
In realta‘ studi che affermassero l‘inerenza automatica dell‘exceptio doli in tali
iudicia sono ben precedenti nel tempo; gia‘ con Cujas e Doneau
9
si propone la
concezione dell‘inerenza, che per gli Autori è da ricondurre ad una ―benigna
interpretazione‖ della formula da parte del giudice, sulla scorta di un presunto
principio di aequitas, a favore del convenuto; e ciò in virtù degli ampi poteri
conferiti al iudex stesso.
Con la Scuola Storica e la Pandettistica, così come rilevato anche da Fascione nella
sua opera di compilazione bibliografica sulla buona fede
10
, non si è troppo studiato
analiticamente il concetto di buona fede, limitandosi invece la dottrina a prenderne
atto nel suo aspetto psichico, strettamente legato al mondo delle valutazioni morali
11
.
8
B. Biondi, Iudicia bonae fidei cit.
9
Cujas, Opera omnia, Prato, 1839, IV 273 – VI 225 – VII 513; Doneau, Opera omnia
commentariorum de iure civili, Florentiae, 1842, X 1545.
10
L. Fascione, Cenni bibliografici sulla Bona fides, in Studi sulla buona fede, Milano, 1975.
11
Cfr. per tutti F. Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. Scialoja 3, Torino, 1891, p.
473 ss.; H. Dernburg, Pandette, trad. Cicala I/1, Torino, 1906, p. 373 ss. Solo con R. v. Jhering,
Geist der römische Rechts 3, Leipzig, 1888 e la sua ben altra profondita‘ di studi, era stato
messo in evidenza il rapporto della fides con le forme solenni alle quali, proprio per il
formalismo, sarebbe dovuto sfuggire un ricorso alla bona fides come elemento suppletivo di
interpretazione e secondo l‘A. anche di garanzia.
6
Anche qui però, negli studi che hanno affrontato il problema
12
, si è riconosciuta
l‘inerenza ricollegandola ad una confusione tra bona fides ed aequitas e giungendo a
porre, in tal modo, sullo stesso piano i giudizi di buona fede con quelli in bonum et
aequum
13
.
Esemplare a tal riguardo è l‘opera di Emilio Costa interamente dedicata al problema
dell‘exceptio doli
14
, che intitola il capitolo in cui tratta dell‘argomento
specificamente ―La volonta‘ nei negozi di buona fede‖
15
, in cui presenta i casi di
applicazione dell‘exceptio doli nel iudicium bonae fidei
16
lasciando intendere che
però si tratta di un‘inserzione informale e non dell‘inserimento del modulo grafico
17
.
12
Il Savigny, in primis, riconosce in definitiva la buona fede come assenza di mala fides, poichè
spetta a chi si oppone in giudizio dimostrare la mala fides avversaria, con ciò giungendo alla
conclusione più avanti che la buona fede è l‘aspettativa che la parte è autorizzata ad avere nei
riguardi dell‘altra, cfr. F. Savigny, Sistema, trad. cit. V, p. 303; K. Birkmayer, Die exceptionen
im bonae fidei iudicium, Erlangen, 1874 p. 94; E. Cuq, Institutions juridiques des romains 2,
Paris, 1928, p. 416 nt. 6.
13
Cfr. anche la dottrina successiva che prende spunto dagli approdi pandettistici tra cui C.
Zevenbergen, Karakter en geschiedenis der iudicia bonae fidei, Amsterdam, 1920, di
impostazione prettamente storica; L. Wenger, Istituzioni di procedura civile romana, traduz.
Orestano, Milano, 1936; Koschembar – Lyskowsky, Quid veniant in bonae fidei iudicium en
droit classique romain, in Studi in onore Riccobono 2, Palermo, 1936 che però giunge ad una
soluzione singolare nel momento in cui arriva a fare dei iudicia bonae fidei dei veri e propri
giudizi di equita‘, cfr. p. 147 ss. Contro questa tesi si pronuncia invece P. Thomas, Observations
sur les actiones in bonum et aequum conceptae, in ZRH 25, 1901, p. 541ss., distinguendo fra ciò
che la bona fides avrebbe richiesto e l‘aequum bonum. Seppur da una prospettiva
completamente diversa, nella stessa forzatura non erano di certo caduti F. De Martino, La
giurisdizione in diritto romano, Padova, 1937; il G. Pugliese, Actio cit., p. 59 ss., che è
estremamente accorto nel prendere posizione circa la pretesa, la quale nasce, secondo l‘A. dal
diritto sostanziale (ergo non nella buona fede) e trova solamente tutela nel diritto processuale.
14
E. Costa, L‘exceptio doli, Roma, 1970.
15
Cfr. E. Costa, L‘exceptio cit., p. 166ss.
16
Il suo discorso è molto chiaro e lineare, quasi si trattasse di un assunto incontestato, portando
le testimonianze di D. 19.1.5.1, e l‘annosa quaestio D. 19.1.42, in cui Paolo discute
dell‘applicazione dell‘exceptio doli nell‘actio venditi, ponendo però una duplice testimonianza,
la sua e quella di Labeone, sul se essa fosse necessaria verbalmente (così Labeone, attraverso
l‘utilizzo del ―non proderit‖), o anche informalmente essa potesse essere omessa perché gia‘
ricompresa nell‘ex fide bona, senza alcun bisogno di alcuna menzione davanti al iudex, neanche
orale (così Paolo ―sed an exceptio dolimali venditoriprofutura sit, potest dubitari‖), cfr. E.
Costa, L‘ exceptio cit., p. 117 ss.
17
Analizzando infatti D.19.1.5.1 (Paul.3 ad Sab.) ―Sed si falso existimans se damnatum vendere
vendiderit, dicendum est agi cum eo ex empto non posse, quoniam doli mali exceptione actor
summoveri potest, quemadmodum, si falso existimans se damnatum dare promisisset, agentem
doli mali exceptione summoveret. Pomponius etiam incerti condicere eum posse ait, ut
liberetur‖, infatti, l‘A. afferma che l‘exceptio doli si oppone all‘actio empti del compratore, così
come si opporrebbe, nella medesima circostanza, dal promittente la cosa allo stipulante
―quemadmodum, si falso existimans se damnatum dare promisisset‖, salvo la differenza della
7
Il suo approccio è completamente volontaristico: egli afferma, infatti, che l‘exceptio
doli si potesse opporre all‘azione di buona fede in modo informale ogni qualvolta
che, dall‘esame delle fattispecie, l‘azione contrattuale apparisse contraria alla
volonta‘ negoziale; laddove invece la volonta‘ non apparisse contrastante con
l‘azione, l‘exceptio non era ammissibile
18
.
Nei primi anni del 1900
19
, gli studi sulla bona fides continuano a connotarsi per un
approccio etico al tema, ma, a differenza degli studi precedenti, si spingono oltre,
nella ricerca del contenuto, un contenuto etico, per l'appunto, ed alla genesi della
giuridicita‘ di questo concetto
20
.
Durante gli anni della guerra si ha invece un cambiamento di interesse: troviamo
infatti maggiormente studiato il rapporto tra il comportamento negoziale e gli
obblighi che ne nascono, nonché il collegamento esistente tra la volonta‘ dei
contraenti e i limiti ―reali‖ delle prestazioni che i soggetti si sono impegnati ad
eseguire; è così che la bona fides acquista nei discorsi della dottrina maggiore
non necessita‘ per la vendita di apposita inserzione dell‘exceptio nella formula del giudizio di
buona fede. La motivazione di tale spiegazione del passo è fornita poi subito dopo attraverso il
richiamo a D. 30.84.5 ―…actione ex vendito absolvi debet, quia hoc iudicium fidei bonae est et
continet in se doli mali exceptionem…‖; cfr. . E. Costa, L‘ exceptio cit., p. 117.
18
Cfr. . E. Costa, L‘ exceptio cit., p. 121.
19
Dopo la grande ―epoca delle codificazioni‖, in cui l‘attenzione era focalizzata maggiormente
sul modo di impiegare e inserire il concetto di buona fede nei codici, dovendosi gli studiosi
districare tra diverse teorie accumulate storicamente e talvolta incoerenti, in modo da recuperare
un ruolo sostanziale della buona fede, come criterio di comportamento delle parti, nonché
canone di interpretazione e integrazione del contenuto del contratto, cfr. R. Fiori, Bona Fides,
Formazione Esecuzione ed Interpretazione del contratto nella tradizione civilistica, in Modelli
cit. 2, p. 135.
20
Cfr. A. Levi, Sul concetto di buona fede, Appunti intorno ai limiti etici del diritto soggettivo,
Genova, 1912; P. De Francisci, Συνάλλαγμα, Storia e dottrina dei contratti innominati II, Pavia,
1916; G. Beseler, Fides, in Atti del congresso internazionale di diritto romano, I, Roma, 1933.
Lo stesso approccio, peraltro, connotava in precedenza gia‘ l‘opera di M. Krüger, Zur
Geschichte der Entstehung der bonae fidei iudicia, in NRH 25, 1890, p. 165 ss., il quale
considerò la bona fides come fides del bonus vir, presentandola, in tema di iudicium, come fonte
dell‘azione e dunque suo esclusivo ed esaustivo metro di riferimento. Diversamente impostato e
molto attento all‘analisi dei passi risulta invece l‘opera di F. Milone, La Exceptio doli cit., p. 10
ss, in cui pure viene sostenuta la tesi dell‘inerenza, assumendo a modello l‘opera di F. Savigny,
Sistema, trad. cit., p. 473 ss.
8
concretezza
21
, preparandosi il campo per i successivi studi specifici che sono il
motivo di questo studio.
La questione tuttavia non era mai stata affrontata ancora con quell‘ampiezza e
penetrazione che l‘importanza dell‘argomento richiedeva.
3) Una soluzione radicale: Biondi e l’inerenza
E‘ dal 1918, anno in cui uscì lo scritto del Biondi
22
, come sopra accennato, ove si
sostiene con vigore la classicita‘ piena dell‘inerenza dell‘exceptio doli mali ai bonae
fidei iudicia, attraverso la testimonianza di una serie di passi, quasi tutti quelli in cui
è contemplato il binomio fides bona – exceptio doli mali e tutti quelli che
affermerebbero l‘inerenza, che nella dottrina romanistica è divenuto patrimonio
comune
23
, e pressoché incontestato, il riconoscimento della teoria dell‘inerenza,
basando peraltro tale inerenza su presupposti completamente innovativi rispetto agli
studi precedenti, che pur avevano approcciato all‘argomento, rivoluzionando dunque
la visione dottrinaria in merito.
Il Biondi criticò aspramente la vecchia dottrina e affermò che la inerenza non è
facolta‘, potere discrezionale, ―benignita‘‖ del giudice
24
; la concezione che egli
avanza è che l‘inerenza deve farsi derivare dall‘intima struttura dei bonae fidei
iudicia, in quanto essi si sostanziano e si identificano in un oportere ex fide bona, in
21
Cfr. F. De Martino, Le garanzie personali dell‘obbligazione, Roma, 1940, p. 34 ss.; H. Stoll,
Die formlose Vereinbarung der Aufhebung eines. Vertragsverhältnisses in römischen Recht, in
ZSS 44, 1924, p. 1 ss.; M. Krüger – M. Kaser, Fraus, in ZSS 63, 1943, p. 117 ss.; M. Horvat,
Osservazioni sulla bona fides nel diritto romano obbligatorio, in Studi Arangio Ruiz I, Napoli,
1953, p. 423 ss.
22
B. Biondi, Iudicia bonae fidei cit.
23
Cfr. per tutti A. Burdese, v. Exceptio doli (diritto romano), in NNDI 6, Torino, 1960 p. 1074;
M. Kaser, Das römische Zivilprozessrecht, München, 1966, p. 194 ss. e nella manualistica cfr.
nt. 2, oltre a M. Talamanca, Istituzioni cit., p. 237.
24
B. Biondi, Iudicia cit., p. 4 ss.
9
cui la fides assume il significato di ―norma obiettiva‖
25
. Se ne dovrebbe perciò
dedurre, ad avviso dell‘Autore che, essendo la bona fides contraria fraudi et dolo
26
,
il giudice deve tener conto della condotta delle parti, del dolo, della loro effettiva
volonta‘.
La inerenza sarebbe, dunque, allo stesso tempo ―esclusiva e diagnostica‖
27
, dei
giudizi di buona fede, un principio del diritto classico: da qui si legge
frequentemente che il convenuto, volendo invocare il dolo della controparte, dovesse
chiedere l‘inserimento nella formula della relativa exceptio solo nelle azioni stricti
iuris, mentre non avrebbe avuto bisogno di alcuna richiesta specifica nei iudicia
bonae fidei, essendo tale eccezione ad essi inerente
28
.
A suffragio della sua tesi sarebbero una serie di passi che dichiarano espressamente
che l‘exceptio doli inest a tali giudizi
29
; l‘Autore li presenta e li analizza in prima
battuta, per poi passare invece all‘esame di quelli che fornirebbero prova contraria
alle sue affermazioni, raggruppandoli in tre categorie
30
: quelli in cui trova
l‘interpolazione, quelli che a suo avviso non erano di buona fede in epoca classica,
quelli in cui ―i compilatori sostituirono la menzione del iudicium bonae fidei ad
un‘azione, scomparsa ai loro tempi, ma che nel diritto classico non era di buona
fede‖
31
.
Per Biondi, pertanto, l‘inerenza dell‘exceptio doli è antica come il iudicium bonae
fidei stesso; in esso il dolo dell‘attore viene considerato precedentemente ed
25
I testi cui ci riferiamo, D. 19.2.21, D. 19.1.11.1, D. 2.14.1, D. 3.5.6, D. 50.17.57, ritenuti
genuini dal Biondi, verranno poi analizzati infra. Biondi, Iudicia cit. p. 36 scriveva ―la inerenza
delle exceptiones doli e pacti discende dall‘oportere ex fide bona, non dagli ampi poteri che il
giudice ha‖.
26
D. 17.2.3.3 (Paul. 32 ad ed.): Societas si dolo malo aut fraudandi causa coita sit, ipso iure
nullius momenti est, quia fides bona contraria est fraudi et dolo, che Biondi riconosce quale
insegnamento tradizionale e pratico della giurisprudenza classica, cfr. Biondi, Iudicia cit. p. 7.
27
Utilizzando il binomio di effetto di A. Carcaterra, Intorno ai bonei fidei iudicia cit., p. 149.
28
Cfr. per la bibliografia nt. 15 e per la manualistica nt. 2.
29
I passi verranno analizzati sempre più avanti in questo studio, D. 24.3.21, Vat. Fr. 94, D.
10.3.14.1, D. 30.84.5, D. 2.14.7.6, cui se ne aggiungono altri che avrebbero una spiegazione
logica, ad avviso dell‘A. solo se si riconosce la teoria dell‘inerenza: D. 19.1.28, D. 17.2.3.3, D.
4.4.16.1, D. 47.2.72.
30
I brani non sono affatto di numero esiguo come invece Biondi afferma, anzi, essi per la verita‘
sono risultati più numerosi di quelli che invece parlerebbero di inerenza. Vd. infra cap. III.
31
Cfr B.Biondi, Iudicia cit. p. 10.
10
indipendentemente dall‘ exceptio doli, per cui di egli inficia di genuinita‘ tutti i testi
che testimonino la presenza dell‘eccezione suddetta in un giudizio di buona fede
32
.
Sulla scorta del lavoro di Biondi, la dottrina ha iniziato ad affrontare l‘argomento in
modo più esaustivo, partendo proprio dalla critica alla sua opera, ma assumendola
poi quale spunto per l‘elaborazione di nuove o divergenti posizioni in merito
all‘inerenza.
Così si è sostenuto, in opposizione al Biondi, che fosse inesatto parlare di
―inerenza‖, dovendo piuttosto dirsi che la exceptio nell‘ambito di tali iudicia fosse
sottintesa, fosse presunta esistere, fosse assorbita dall‘officium iudicis, e ciò in virtù
di quegli ampi poteri di cui si caratterizzerebbe il liberum officium del giudice per
questi processi
33
.
4) Contro la teoria dell’inerenza classica: Grosso, Schulz e Carcaterra
L‘opera della critica immediatamente successiva, tuttavia, come si è anticipato, è
stata volta anche alla confutazione della tesi dell‘inerenza; in questo senso vanno le
due opere di Grosso
34
ed il lavoro dello Schulz
35
.
a) Il Grosso, nel suo scritto sull‘elenco dei bonae fidei iudicia, critica
aspramente e minuziosamente
36
la ricostruzione che Biondi proprone circa il
32
Cfr B.Biondi, Iudicia cit. p. 9 ss.
33
Cfr. W. Kunkel, Bona Fides cit., p. 1 ss., seguito poi dalla dottrina successiva, vd. M. Kaser,
Das Römisches Privatrecht I, München, 1971, p. 181; Id., Altrömisches Jus, Gottingen, 1949, p.
262; P. Frezza, Ius Gentium, in RIDA 2, 1949, p. 262 ss.; M. Horvat, Osservazioni cit. I, p.
243ss.
34
Due studi dello stesso anno, G. Grosso, Ricerche intorno all‘elenco classico dei iudicia bonae
fidei cit.; Id. L‘efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia, in Studi Urbinati II, 1928, ora in Scritti
Storico Giuridici III, Torino, 2001.
35
F. Schulz, Prinzipien des römischen Rechts, Leipzig, 1934.
36
G. Grosso, Ricerche cit., p. 8 ss.