In secondo luogo, e nella seconda parte della tesi, si cercherà di analizzare la
rivoluzione normativa, o meglio il passaggio al nuovo regolamento (CE) di
esenzione per categoria dalle norme di concorrenza n. 1400/2002.
Alla sfera politica spetta il compito della mediazione degli interessi particolari e
dell’identificazione dei valori fondamentali per una corretta società civile. Il
diritto, emanazione della sfera politica, è la modalità con cui ciò viene attuato, ed
a tal fine esegue una codificazione in modo che, oltre a garantire i comportamenti
legittimi, si reprimano quelli illegittimi. In base a ciò il diritto è in genere
successivo al realizzarsi di una determinata struttura, ed una volta che l’impianto
normativo ha preso forma, è testimone di una certa stabilità al contrario della
sostanzialità in continuo mutamento.
E’ questa visione che soggiace all’appellativo di rivoluzione della sfera
normativa: a seguito dell’evoluzione del settore oggetto della prima parte, la
3
relativa legislazione non risultava più conciliante ed aderente alla realtà, aprendo
la strada ad una revisione che sancisse una forma più adeguata e corrispondente.
Concretamente questo cambiamento ha preso la forma della revisione della
legislazione comunitaria riguardante la sfera distributiva che, oltre ad essere il
versante più contemporaneo dell’evoluzione del settore, aderenza, in base al
principio della concorrenza è un o forse il modo, per la mediazione degli interessi
in questo settore, concilianza.
A tal fine si analizzerà di come siano diversamente disciplinati nel nuovo
regolamento i fattori che erano alla base della vecchia normativa, ed al fine di
ipotizzare il reale impatto di questo cambiamento, si proporranno quattro
interviste che si è pensato possano a proposito rappresentare una visione completa
e significativa.
tendenze di mercato e della domanda nella guida del processo produttivo. AA.VV., “push
strategy” e “pull strategy” (1991, pp.822 e 818).
3
Aderente nei confronti dell’evoluzione del settore e sua nuova strutturazione, quindi del mercato
comune, e conciliante nei confronti della mediazione degl’interessi o, meglio, di una distribuzione
delle risorse socialmente desiderabile.
7
1.2 L’Ambito
Nel tentativo di definire puntualmente il campo d’indagine si cercherà la
condizione esclusiva del concetto di economia, si analizzerà la specificità
dell’economia politica e, all’interno di questa, della funzione distributiva quale
oggetto maggiormente considerato da questa indagine.
Il pensiero economico ha sempre accompagnato la storia dell’umanità ed ha
prodotto, in relazione alle diverse radici culturali e strutturazioni storiche, una
4
grande varietà di approcci a volte anche intrinsecamente differenti. Come
analizzato da Spirito (1932, p. 426), nonostante l’ampiezza di respiro è però
possibile rintracciare nel contributo epistemologico di Robbins, un punto di
partenza caratteristico di ogni indagine economica. In base a questo l’economia “è
la scienza che studia la condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi
5
applicabili a usi alternativi”. Alla base di questa visione risulta quindi un
problema di scarsità tra fini e mezzi che implicitamente porta alla necessità di
effettuare delle scelte. Queste riguardano sia gli scopi che il modo, ottimale, in cui
utilizzare i mezzi. Mentre però la graduabilità degli scopi da perseguire è da
ricondurre alla soggettività dell’individuo, è nella modalità ottimale di utilizzo dei
6
mezzi, ossia in modo efficiente, che rientra la specificità della scienza
economica. La trasposizione concreta di questi concetti permette di identificare i
4
Forte, per esempio, appare la discontinuità tra il pensiero economico medioevale alle cui radici
stanno l’etica e la morale in modo che non fosse ostacolata la salvezza dell’anima, ed il
mercantilismo e la fisiocrazia che, subito dopo il rinascimento, segnarono l’avvento per la prima
volta di una certa autonomia formale nella ricerca economica. Ricossa, S. (1994, vol VII, pp.90).
5
AA.VV., “Robbins” (1970, Vol. XIII, p. 24). Di qui, come riportato da Faucci (1991, p.23),
perché l’azione umana sia economica secondo Robbins debbono sussistere quattro requisiti:
1) Molteplicità degli scopi o fini.
2) Differente importanza e graduabilità degli scopi.
3) Limitatezza dei mezzi rispetto ai fini.
4) Alternative nell’impiego dei mezzi.
6
Come esposto da McConnell e Brue (1994, pp.28-29), l’efficienza può essere scomposta nelle
due differenti dimensioni di efficienza produttiva ed allocativa. Per efficienza produttiva si intende
che per produrre i beni e servizi si devono usare le tecniche produttive meno costose, ovvero che
fanno impiego di minor risorse. Nel suo significato generale allocazione indica la distribuzione
delle risorse tra i vari agenti, e la sua efficienza può essere definita in base al confronto con un
criterio di ottimalità. Secondo il criterio paretiano una allocazione è più efficiente di un’altra “se,
nella prima l’utilità di ciascun individuo non è minore della corrispondente utilità nella seconda; e
se, inoltre, l’utilità di almeno un individuo è maggiore nella prima che nella seconda allocazione”.
AA.VV., “Allocazione” (1995, pp.23-24).
8
mezzi con i beni e servizi ed i fini con i bisogni, materiali e non, insiti nella vita
umana. Da qui si può comprendere che il problema di scarsità è nella limitatezza
dei beni e servizi disponibili, nei confronti dei bisogni che fanno capo ad una
società o ad i suoi singoli.
E’ ora in relazione a queste precisazioni che ci si può accostare alla specificità
dell’economia politica ed alla relativa definizione. Come espresso da Ferraro
(1994, p. 85), l’economia politica è la “scienza che studia le leggi secondo le quali
avvengono la produzione, lo scambio e il consumo della ricchezza” come
sappiamo quest’ultima intesa come beni e servizi atti a soddisfare i bisogni ma
scarsi in rapporto ad essi. Precisamente, si intende sia il reciproco incontro tra chi
e cosa offre e chi e cosa domanda che si attiva il processo di produzione dei beni
richiesti e non immediatamente disponibili, del loro scambio e del loro consumo
7
che a sua volta permette, oltre che di godere, di produrre altri beni.
Se l’idea che si ricava dai termini produzione e consumo di ricchezza nei
confronti del ruolo che ricoprono nella nostra trattazione può risultare
accettabilmente approssimata, per la funzione dello scambio può invece essere
utile qualche ulteriore precisazione. Come espresso da Ferraro (1994, p. 86), con
questo è da intendersi la concreta e fisica circolazione della ricchezza, quindi di
risorse o beni e servizi, che si attua tra gli agenti economici in base alle loro
diverse esigenze o finalità. L’importanza di questa funzione è data dalla capacità
8
di modificare la dotazione di risorse degli agenti, nel complesso l’allocazione
delle risorse nel sistema, con cui si modifica la capacità produttiva e di consumo
ed implicitamente la capacità che gli attori hanno di rivolgersi ed operare sul
mercato.
Nella speranza di essere riusciti ad esprimere in modo sufficientemente l’impido il
campo d’indagine, si può approfondire all’interno di questo i termini in cui si
collocheranno gli aspetti da noi analizzati nella trattazione.
7
Si spera in maniera Pareto efficiente.
8
Con allocazione si può intendere oltre al risultato, come espresso in nota 6, anche il processo
stesso che modifica la ripartizione delle risorse all’interno del sistema economico, sia in
riferimento alla produzione dei diversi tipi di beni a cui le risorse sono dedicate, che in riferimento
ai diversi usi finali a cui i beni sono destinati. AA.VV., “Allocazione” (1995, pp. 23-24).
9
Il processo di scambio come sopra esposto e come generalmente utilizzato nei
macromodelli economici risulta basato sull’ipotesi ceteris paribus, ossia a parità di
altri fattori. Ciò significa isolare l’aspetto che si ritiene opportuno evidenziare
nell’analisi considerando le variabili a lui legate di natura costante. In riferimento
allo scambio significa ipotizzare che avvenga senza comportare costi ed in
condizioni di perfetta informazione. Contrariamente a ciò, ed in special modo n el
settore automobilistico in considerazione della particolare natura del bene in
oggetto, la modalità con la quale avviene concretamente lo scambio, il canale
9
distributivo, risulta essere una variabile fondamentale che assorbe una parte
ingente delle risorse. Quello che qui si sostiene e che sarà oggetto di analisi, è che
le modalità con le quali si attua la funzione distributiva risulta fattore costituente
dell’incontro di domanda e offerta, quindi del processo allocativo, e di
conseguenza del sistema nel suo complesso.
E’ in quest’ottica che si inquadra l’intervento delle autorità. Esso è teso al
10
raggiungimento di una ripartizione delle risorse auspicabile per la società, ed
ispirato dal principio ritenuto in questo campo garante di questo risultato: la
concorrenza cosi come contemplata dai principi comunitari.
Non nuoce qui ricordare che il termine di paragone da utilizzare e con cui
osservare questi fenomeni risulta quello dell’efficienza che, nei termini prima
espressi, risulta principio fondamentale dell’analisi economica
9
Si impone qui una riflessione semantica sul termine in quanto il significato che lo pone a fianco
del concetto allocativo, la ripartizione delle risorse nel sistema economico, è differente dal
significato che assume in quest’ambito, focalizzato ora sull’idea di canale attraverso il quale i beni
e servizi fisicamente giungono dal lato produttivo a quello del consumo. Distribuzione è delle
risorse, ma è anche lo strumento, il canale, attraverso il quale ciò avviene.
10
L’intervento legislativo così inteso può essere qualificato come ridistribuivo, e fondato sulla non
garanzia che la distribuzione delle risorse affidata al naturale movimento delle parti sociali
raggiunga una situazione socialmente equa.
10
PARTE PRIMA
EVOLUZIONE ORGANIZZATIVA
2. Dinamica evolutiva
2.1 Le origini artigianali di fine ottocento
I primi tentativi a carattere sperimentale di realizzazione di autoveicoli, si possono
far risalire alla seconda metà del XIX secolo in cui per primi i tecnici europei,
soprattutto tedeschi e francesi, svilupparono un prodotto destinato ad una clientela
elitaria e principalmente affascinata dalle caratteristiche tecnologiche del
prodotto. In questo periodo l’acquirente non acquistava l’autoveicolo completo
bensì il complesso del motore e del telaio, e solo successivamente si rivolgeva ad
altre officine specializzate per far carrozzare la vettura in base alle proprie
esigenze (Beraldo e Volpato, 1984, p.20). Si realizzava così una produzione su
ordinazione in cui la personalizzazione del veicolo era estrema, contrariamente
alla standardizzazione della produzione che invece era minima.
Questo tipo di prodotto trovava buona corrispondenza n ella relativa struttura
industriale, costituita da un gran numero di imprese artigiane, con una produzione
11
relativamente limitata, e che impiegavano delle tecniche produttive non basate
sulla standardizzazione dei pezzi. Le tecniche di fucinatura, di misurazione e di
lavorazione dei materiali erano tali da produrre una “deformazione dimensionale
12
permanente” dei pezzi, in base alla quale ognuno di questi differiva anche in
13
maniera significativa dagl’altri e dal campione originale. Che poneva rimedio
alla non uniformità dei pezzi era poi la fase dell’assemblaggio, dove operai
specializzati e con un ampio bagaglio di capacità tecniche e manuali, li
11
Si può stimare che le imprese di maggiori dimensioni sfioravano in questo periodo una
produzione dell’ordine di grandezza di qualche centinaio di unità all’anno, Volpato, G. (1986,
p.130).
12
Womack, Roos, Jones (1991), “La macchina che ha cambiato il mondo”, p24.
13
Oltre all’arretratezza dei trattamenti e delle macchine utensili in genere, si può osservare in
particolare per la misurazione, che si basava su di un sistema di calibri non standard, quindi
differenti per ogni officina (Ibidem). Si può notare, infatti, che è solo nel 1899 che si sanzionarono
i primi campioni del metro e del chilogrammo, poi distribuiti agli stati membri della Convenzione
internazionale promotrice della loro definizione, al fine della standardizzazione delle misurazioni.
AA.VV. “Metro” (1969, Vol. X, p. 23).
13
“aggiustavano” attraverso macchine utensili generiche come frese e trapani, in
modo da farli combaciare.
A sottolineare le caratteristiche artigianali del settore sta anche la natura delle
risorse finanziarie, che nella maggior parte dei casi era limitata al risparmio dei
singoli costruttori e non supportata da istituzioni di credito o soggetti terzi. Questa
miopia dell’ambiente finanziario nei confronti del settore assumeva un importanza
tale da lasciar ipotizzare che ne abbia influenzato l’assetto industriale e la capacità
produttiva nel loro complesso. Come evidenziato da Volpato (1986, p.128),
sembra che la variabile creditizia abbia influenzato la localizzazione dell’industria
automobilistica statunitense, al punto che la sua concentrazione territoriale sia da
ricercare in una miglior disposizione dei banchieri del Michigan e dell’Ohio
rispetto ai circoli finanziari di NewYork.
Si può infine riportare che neanche le industrie meccaniche tradizionalmente
vicine a questo tipo di produzione, come per esempio quella siderurgica,
cantieristica, o di produzione di materiale ferroviario, furono interessate dal
14
sostenere investimenti o cimentarsi in questo settore.
14
Tra le grandi imprese di questo tipo che si accostarono al settore per poi abbandonarlo, vengono
ricordate la Ansaldo in Italia e la A.E.G. in Germania, Volpato, G. (1989, p.5).
14
2.2 La produzione di massa
Con l’inizio del nuovo secolo si realizza la transizione di quest’industria da una
produzione artigianale ad una produzione di massa. Se però nella precedente fase
di carattere artigianale il primato stava ancora nel vecchio continente, sono ora gli
Sati Uniti che diventano il nuovo punto di riferimento. Come vedremo subito ciò
può essere ricondotto ad una duplicità di fattori: di carattere strutturale e di
carattere contingente o, per così dire, d’intuizione imprenditoriale.
Dal punto di vista strutturale è da segnalarsi innanzi tutto una più viva dinamica
15
del settore industriale in genere, e di quello dell’industria meccanica in
particolare. Ciò permise alle imprese americane di focalizzare la propria attività
sulla progettazione delle parti più specifiche della vettura, come il telaio ed il
motore, e di affidare la realizzazione dei componenti ad imprese meccaniche
16
esterne che per queste operazioni risultavano più efficienti. I costruttori
automobilistici statunitensi ricalcavano quindi una struttura orizzontale (Volpato,
1989, p. 9), basata cioè sull’assemblaggio di parti prodotte esternamente, che
permetteva di sopperire alla limitata disponibilità finanziaria accennata nel
paragrafo precedente. Nelle imprese automobilistiche europee, che invece
contavano in genere su di un’industria meccanica meno sviluppata, la produzione
di tutti i componenti necessari era realizzata all’interno dell’azienda in lotti piccoli
e costosi, ricalcando così una struttura di tipo verticale (Ibidem). L’onerosa
realizzazione di queste produzioni richiedeva quindi una maggior disponibilità di
17
risorse finanziarie, che sappiamo in questo periodo di natura scarsa, e che
possono quindi essere viste sia come un problema di carattere strutturale che come
una prima sorta di barriere all’ingresso.
15
Nel 1860 la produzione industriale tedesca era pari al 90% di quella americana, mentre alla
vigilia della prima guerra mondiale ne equivaleva solo al 40%, Volpato, G (1989, p.7).
16
Per la definizione di efficienza si veda nota 6.
17
Ciò sembra vero soprattutto per l’Italia, dove si sostiene che molto del successo iniziale della
Fiat sia da ricondurre alla sua notevole dotazione di capitali che le permise di produrre quasi tutto
al suo interno. Volpato, G. (1989, p. 9).
15
18
In base alla teoria del ciclo di vita delle imprese elaborata da Williamson (1975),
sulla base della teoria dei costi di transazione, in presenza di un mercato poco
sviluppato in cui la domanda per un prodotto è bassa e basso è l’output
complessivo dell’industria, ogni impresa tende a realizzare al proprio interno tutte
le attività connesse con la produzione dell’output finale. Questo perché in
19
un’industria con sviluppo limitato i costi fissi e di transazione medi per unità di
prodotti intermedi sono ingenti, e se la produzione di questi fosse realizzata da
imprese esterne specializzate, la somma dei loro prezzi sarebbe superiore al costo
di un’impresa che li produce internamente. Quando invece l’industria si espande,
diventa redditizio affidare la produzione dei fattori intermedi a ditte esterne
specializzate in quanto i costi di transazione per unità diminuiscono, i costi fissi
possono essere meglio ammortizzati, e si assiste così ad un progressivo processo
di disintegrazione verticale. Se si confronta questa teoria con le su espresse
situazioni industriali presenti ai due lati dell’oceano, si può rilevare che gli Stati
Uniti possono essere paragonati dal punto di vista funzionale ad una fase più
avanzata del ciclo di vita delle imprese. Erano testimoni di una maggiore
20
efficienza in corrispondenza ad una miglior allocazione delle risorse, ciò in
seguito ad una diversa natura delle componenti strutturali del mercato tra le quali,
ma non solo, la citata industria meccanica.
Se è infatti vero che il nuovo continente era testimone di un più dinamico
comparto meccanico, è altrettanto vera la presenza di altre differenze strutturali di
maggiore stimolo nei confronti del cambiamento che stava avendo luogo.
Tra questi è stato osservato da Beraldo e Volpato (1984, p.21), un più alto livello
del reddito pro-capite che unitamente alla carenza di trasporti pubblici ed alle
maggiori distanze fra centri abitati, ha esercitato una più alta propensione nei
confronti della spesa di motorizzazione negli Stati Uniti.
18
Come riportata da Carlton, D. Perloff, J (1997, pp.420-421).
19
Esempi di questi ultimi possono essere quelli di stipulazione, nel quale possono essere rilevanti
le asimmetrie informative che paventano la possibilità di comportamenti opportunistici, e non
meno importanti quelli di applicazione delle condizioni previste dal contratto.
20
Le ditte esterne gestivano più efficientemente le risorse a loro allocate che non i reparti interni
dei costruttori europei integrati verticalmente. Per una definizione di allocazione vedi nota 6 e nota
8 Cap. 1.2.
16
Inoltre a ciò vi è da segnalare anche una diversa rilevanza delle dimensioni del
21
mercato di riferimento che rendeva più rilevanti le economie di scala, quindi i
benefici di una spinta standardizzazione. Se negli Usa si era in presenza di un
mercato variegato ma pur sempre unitario e di notevoli dimensioni, in Europa vi
era invece il frazionamento in diversi mercati nazionali di dimensioni minori ed
estremamente protetti, ciò soprattutto nel periodo di forte protezionismo praticato
tra le due guerre dai vari governi nazionali.
Senza nulla togliere all’importanza delle variabili strutturali fin qui espresse, al
fine di capire lo slancio statunitense è però necessario far anche riferimento
agl’altrettanto fondamentali caratteri di natura contingente. Precisamente ci si
riferisce alla particolare visione del mercato di due tra i più rilevanti imprenditori
del secolo passato che, a torto o a ragione, hanno delineato le strategie produttive
e di marketing di riferimento, per tutto il resto del secolo e non solo per l’industria
automobilistica. Il riferimento è qui implicito alle figure e strategie di Ford e
Sloan.
21
Le economie di scala sono quel fenomeno in base al quale gli output produttivi aumentano in
misura più che proporzionale nei confronti dell’aumento degli input.
17
2.2.1 Standardizzazione produttiva
Henry Ford ebbe il merito di saper cogliere i bisogni latenti del mercato e di
concepire di conseguenza il prodotto, ed il metodo produttivo, più idoneo a
soddisfare tali necessità. La sua intuizione si basava sul grande numero di
famiglie americane, circa venti milioni nel 1905 (Volpato, 1989, p.136), e sulla
possibilità di implementare un processo produttivo innovativo, che consentisse
l’acquisto dell’auto anche alle famiglie di reddito modesto e non più solo ad un
22
ristretto pubblico di facoltosi. Il principio fondamentale ed innovatore di tale
processo produttivo era quello della standardizzazione della produzione, che a sua
volta era resa possibile dal perseguimento di due importanti innovazioni:
Standardizzazione dei pezzi necessari alla realizzazione
dell’autoveicolo attraverso nuove tecniche e tecnologie produttive. Ford
fu il primo a cogliere l’importanza ed a introdurre un sistema di
calibrazione unico (cfr. nota 13). Questo era un fattore di importanza
fondamentale in quanto l’unità di misura e le tolleranze con cui venivano
realizzati i pezzi venivano uniformati. Inoltre fu il primo ad introdurre
macchine utensili di recente innovazione, torni frese e trapani, che
permettevano di cogliere il nuovo metodo di misurazione e che insieme a
questo permettevano di produrre dei pezzi che risultavano identici.
Parcellizzazione e specializzazione della forza lavoro. Ford fu infatti
anche il primo che colse l’importanza dei principi tayloristici implicanti
23
una divisione scientifica del lavoro. In base a questi si modificò l’idea
dell’operaio specializzato e multicompetente delle officine artigiane, cfr.
Capitolo 2.1, e si introdusse la figura di un’operaio generico che al limite
22
La sua individuazione e la seguente schematizzazione è frutto di una personale rielaborazione e
sintesi, si spera a ragione, dell’analisi della produzione di massa espressa da Woomak, Roos e
Jones (1991, pp.23-53).
23
Dall’assertore di questa teoria ipotizzata nell’ultimo decennio dell’ottocento ed espressa
nell’opera “Principi di organizzazione scientifica del Lavoro”, principi predicanti lo studio
scientifico degli standard e dei tempi elementari di lavoro. AA.VV., “Taylor (Fredrik Winslov)”
(1970, vol.XIV, p.669).
18
svolgeva una sola mansione (per esempio montare una ruota), divenendo
24
un fattore produttivo anch’esso totalmente intercambiabile.
Questi principi ispiratori diedero modo di implementare un processo produttivo
basato sull’intercambiabilità quasi totale dei pezzi e della forza lavoro, che
permise di raggiungere una riduzione dei costi che non aveva precedenti e che a
sua volta era basata su:
Riduzione del tempo e delle risorse dedicate alla fase di montaggio da
sempre la fase maggiormente onerosa e problematica della produzione
artigianale. Ciò dovuto in primo luogo all’uniformità dei pezzi che non
avevano più bisogno di essere aggiustati ed all’estrema divisione del
lavoro, ed in secondo luogo al miglioramento dell’efficienza con cui tali
principi erano eseguiti in seguito all’introduzione della linea in
25
movimento. Questa vedeva l’autovettura che si muoveva su di un nastro
semovibile e l’operaio fermo nella sua postazione di lavoro.
Eliminazione dei tempi e costi necessari per la messa a punto dei
macchinari. Il passaggio di un macchinario dalla produzione di un pezzo
ad un altro, richiedeva in quel periodo una fase di messa a punto
26
relativamente onerosa. Le sempre più crescenti dimensioni della
produzione permisero a Ford di specializzare ed ammortizzare i
macchinari su una sola linea di prodotto, eliminando quindi la fase della
messa a punto, fino al paradosso di gettar via l’attrezzatura al variare del
pezzo prodotto o della funzione svolta.
Forte incidenza delle economie di scala generate dagli elevati volumi
produttivi.
24
Ai fini dell’attività lavorativa non era neppure rilevante che gli addetti parlassero la stessa
lingua, tant’è vero che il grosso degli operai delle fabbriche di Ford erano immigrati, per un
numero rilevante di diversi idiomi. Woomak, Roos, Jones (1991, p35).
25
Nel 1908 una volta arrivato all’intercambiabilità totale dei pezzi ed in seguito all’assegnazione a
ciascun montatore di un’unica mansione, il ciclo di lavoro medio di uno di questi, ossia il tempo
necessario per portare a termine tutte le operazioni prima di ricominciare, era sceso da 514 a 2,3
minuti. Woomak, Roos, Jones (1991, p30).
26
Per mettere a punto i macchinari in seguito al cambio degli stampi della lamiera per la
carrozzeria, era per esempio necessario fermarne la produzione per un’intera giornata lavorativa.
19
Il tipo di auto prodotta da Ford era un bene non differenziato, politica di Ford
dell’“Automobile utility” (Volpato, 1986, p.136), che utilizzava oltre agli stessi
componenti e la stessa meccanica, addirittura lo stesso colore, nero, per tutte le
unità. Il prodotto così inteso era privo delle sofisticatezze e personalizzazioni della
concezione di auto per l’elite, ma affidabile, adatto ad essere utilizzato con diverse
finalità, e di facile manutenzione grazie alla possibilità di sostituzione di pezzi
27
standard.Il processo così innovativamente strutturato, permetteva la
realizzazione di una politica di vendite centrata su prezzi di vendita decrescenti
nel tempo, con la conseguente crescita della quota di mercato della Ford
impegnata nella produzione di questo particolare modello, Tab.1.
Tab. 1 Prezzi e quantità vendute della ford "T" USA.
Prezzo Vendite Mod. Vendite tot. % Mod.
Anno
US $ "T"auto"T"
1909 950 12.292 130.9869
1911 690 40.402 210.00019
1913 550 182.809 485.00038
1915 440 355.276 970.00037
1921 355 933.720 1.683.91655
1923 295 1.917.353 4.034.01248
1925 1.771.338
290 4.265.83042
Fonte: Volpato, G. (1989), Tab. 4, p12.
La concezione di Ford tanto del prodotto quanto del metodo produttivo, ha quindi
rappresentato un nuovo canone di riferimento ed è stata componente fondamentale
della rapida ed ampia diffusione del prodotto nel corso del secondo decennio del
secolo. A tal proposito si può evidenziare dalla Tab.1 che nel 1921 il solo modello
27
Il modello Ford T era per esempio dotato di un giunto meccanico in grado di trasmettere il
movimento a diversi attrezzi, quali pompe o piccole macchine agricole, e la sua facilità di
riparazione era enfatizzata al punto che il mezzo veniva fornito con una lista di un centinaio di
problemi che potevano sorgere, ed essere riparati, seguendo delle procedure standard. Nel kit di
vendita era pure fornita una spatola e del mastice per la riparazione di eventuali problemi alla
carrozzeria.
20
Ford T rappresentava più della metà del mercato, e che tale mercato era cresciuto
talmente che nel 1925 il numero di vetture circolanti era ben superiore ai quindici
milioni, portando gli americani a possedere un numero maggiore di automobili
28
che di telefoni (Volpato, 1986, p.130).
Tali condizioni non restarono però a lungo immutate e come ora vedremo, una
correzione del modo di intendere sia il mercato che il processo produttivo,
delinearono un nuovo orizzonte.
28
Allora non esistevano i cellulari.
21