2
stabiliti nella pianura padana nel VIII sec. a.C. e che hanno fondato la città
di Vicenza, producessero manufatti metallici in lega di rame.
3
.
Dal momento della penetrazione romana si instaurano rapporti molto
intensi tra le due popolazioni che nel 230-220 a.C. porteranno alla
sottomissione dei veneti a Roma. Vicenza in detto periodo, insieme a
Verona, Padova e Aquileia, è già un interessante centro commerciale.
L’amministrazione di queste città viene affidata dai Romani all’ordine
degli aristocratici mentre l’ordine professionale viene garantito dai
collegia
4
.
Trovandosi sull’asse di collegamento tra Aquileia e la Lombardia, Vicenza
viene duramente colpita dalle invasioni barbariche del V sec., anche se la
presenza di Franchi, Longobardi e Bizantini non può essere considerata del
tutto negativa, poiché alle antiche tradizioni locali si vengono a sommare il
saper fare e le conoscenze dei popoli stranieri, portando a livelli di
prestigio l’arte di orafi e fabbri.
Impatto notevole sull’economia vicentina quello avuto dopo l’anno 1000
d.C., quando il potere, passato da un duca longobardo ad un carolingio
arriva fino a quello di un vescovo il quale, col sostegno cittadino, apre la
strada, attorno al 1115, alla creazione del Comune.
3
A conferma di tale ipotesi sarebbe il ritrovamento di laminette metalliche risalenti al primo millennio
a.C. e riconducibili all’epoca di maggior splendore di Este, il più importante centro della civiltà
Paleoveneta. Interessanti anche le ceramiche di varia forma risalenti all’età del ferro rinvenute sugli
altopiani prealpini dove sorsero i primi villaggi, il più famoso dei quali è il Bostel di Rotzo,
sull’Altopiano dei Sette Comuni. F. Brunello, N. Furegon, L’artigianato vicentino nella storia, Vicenza,
1985, pp. 3-14.
4
Tra i quali si segnalano per importanza a Vicenza quelli dei fabri, ossia dei fabbri, dei chiarii, o conciatori,
dei centonarii, i lavoratori della lana, i dendrophori, ossia falegnami, dei calceolari, calzolai, e infine i
navicularii, i barcaioli che trasportavano le merci lungo i fiumi.
3
Nel Duecento il dominio di Romano d’Ezzelino porta la città sull’orlo
della rovina, ma la riacquistata indipendenza ha la sua massima
espressione nel nuovo Statuto cittadino del 1264, dove si hanno i primi
accenni alla costituzione delle corporazioni di mestiere, le cosiddette
fraglie, o fraie, a capo delle quali sono i gastaldi, che siedono di diritto nel
Consiglio degli Anziani della città.
Tra il 1300 e il 1400, il dominio degli Scaligeri regala nuovo benessere alla
città favorendone lo sviluppo dell’artigianato con l’ingresso di nuove arti
nelle fraglie. Nel 1387, quando il potere passa in mano ai Visconti, le
fraglie cittadine sono ben ventinove, ordinate secondo la nobiltà delle arti
esercitate
5
.
Nel 1404 Vicenza passa sotto il dominio veneziano, il quale porterà alla
città un lungo periodo di pace e benessere, durante il quale le fraglie
divengono sempre più simili alle corporazioni di mestiere di Venezia. Le
arti tipicamente vicentine, dunque, sono retaggio di tradizioni secolari in
cui si susseguono l’influenza paleoveneta, quella longobarda e franca, fino
al massimo fulgore dell’epoca comunale e del dominio veneziano.
Per essere precisi, però, ad ogni tipo di specializzazione vicentina
corrisponde un tipo particolare di influsso a seconda del caso: per quanto
riguarda l’arte orafa, come già detto, può essere fatta risalire all’influsso
dei longobardi, la lavorazione del ferro e degli altri metalli risale a tempi
5
In primis giudici, medici e notai, seguiti da mercanti, cambiavalute, lanaioli, calzolai, pellai, merciai,
tavernieri, fabbri, falegnami, rigattieri, macellai, bottai, casari, mugnai, pescatori, venditori d’uova,
orefici, barbieri, speziali, fornai, sarti, muratori, tessitori, bovari, facchini, e venditori di generi
commestibili. F. Brunello, N. Furegon, L’artigianato vicentino nella storia,Vicenza, 1985, pp. 15-18, pp.
28-75.
4
più antichi e al Medioevo. L’abbondanza della pirite, da cui si ricava il
ferro, ha certamente contribuito ala diffusione del mestiere
6
.
La falegnameria, invece, è tutta arte veneta da ricondurre alla grande
offerta dei boschi circostanti come per l’arte della ceramica è la elevata
presenza di caolino, chiamato anche terra di Vicenza.
Per quanto riguarda la concia delle pelli, si tratta di un’attività piuttosto
primitiva che trova nel vicentino una zona ideale per via della ricchezza di
corsi d’acqua.
La lana già diffusa in epoca romana, sembra sia stata mantenuta in vita nei
secoli seguenti dai fratelli Umiliati dell’ordine benedettino, grandi esperti
nella produzione dei cosiddetti panni umiliati, o panni poveri.
L’arte della lavorazione della seta, invece, pare sia stata introdotta nel
vicentino dalla famiglia fiorentina dei Dalla Seta, con l’appoggio
veneziano per quanto riguarda la produzione di materia prima ma non
riguardo alla lavorazione, prerogativa di Venezia. Di rilievo anche il ruolo
dei genovesi che portarono a Vicenza i celebri telai da velluti.
Alla base dell’arte muraria è lo sviluppo dei borghi cittadini attorno al
Trecento, periodo di benessere che stimola il desiderio di case più belle e
confortevoli.
L’arte della stampa viene introdotta nel Quattrocento da tipografi
transalpini che qui, come nel resto della Regione, diffondono conoscenze e
6
Ibid., cit., pp.53-54.
5
tecniche subito assorbite dai piccoli artigiani
7
che sfruttano le potenzialità
della nuova attività e la grande richiesta di incunaboli nel Cinquecento.
Tra il XV e il XVI secolo, la manifattura laniera, il cui sviluppo avviene
solo dopo il XIII secolo, in ritardo rispetto ad esempio a Verona, fa il
decisivo salto di qualità. La produzione raggiunge i 4.000 panni alti negli
anni ’80, questi ultimi erano inviati soprattutto a Venezia e Genova, ma
anche a Roma, Napoli, in Abruzzo, in Puglia in Calabria, in Sicilia e,
sporadicamente, sul mercato tedesco.
Nel tardo Cinquecento in contro tendenza rispetto alla completa decadenza
del lanificio il serico conosce un buon momento grazie anche alle buone
basi poste nel secolo precedente. La caratteristica principale del setificio
vicentino tra il XV e il XVI secolo è quella di essere un grosso produttore
di seta grezza e semilavorata, mentre la fabbricazione di drappi serici copre
un ruolo se non proprio marginale, quanto meno secondario. Quasi tutta la
seta greggia ed i filati prodotti vengono esportati.
Dopo il lanificio e il setificio, la lavorazione dei pellami e dei cuoi
rappresenta uno dei più importanti settori produttivi, tanto che nel XV
secolo la lavorazione delle pelli sembra essere seconda solo al lanificio.
L’Alto Vicentino conosce una crescita nel settore minerario tra fine
Quattrocento ed inizio Cinquecento, favorita dall’interesse della
7
Famosi diventano in questo periodo i Remondini di Bassano, celebri per le loro stampe popolari.
6
Repubblica veneta per i metalli preziosi che si inserisce nel contesto del
boom delle attività minerarie in tutta Europa tra il 1460 e il 1530
8
.
In seguito al dominio veneziano, nel 1779 Vicenza passa in mano ai
francesi e nel 1798 agli austriaci, la cui politica liberistica ne danneggia
grandemente le attività produttive, causando il declino delle attività
manifatturiere. L’industria serica, particolarmente fiorente nel periodo
napoleonico, nella seconda metà dell’Ottocento cede definitivamente il
passo all’allevamento del baco da seta che si diffonde soprattutto nelle
zone di Schio, Valdagno, Vicenza, Arzignano, Lonigo.
Dal basso Medioevo all’Età moderna corrono i tempi lunghi dell’
«acclimatazione » all’industria. In questa fase l’attività manifatturiera nella
città e nelle campagne intensificò la mobilizzazione del capitale, accumulò
abilità tecniche e attitudini imprenditoriali, diede un incentivo alla
commercializzazione e ai rapporti economici
9
.
8
L’industria vicentina dal Medioevo ad oggi, a cura di G.L. Fontana; E. Demo Le manifatture tra Medioevo ed Età
Moderna, Padova, Cleup, 2004 pp. 23-77.
9
L’industria vicentina dal Medioevo ad oggi, a cura di G.L. Fontana; G.L. Fontana, Imprenditori, imprese e
territorio dalla prima alla seconda rivoluzione industriale, cit., p.347.
7
1.2 Dalla Protoindustria allo sviluppo moderno.
Nei decenni chiave della prima metà dell’Ottocento, nel delicato passaggio
all’industrializzazione col superamento della fase protoindustriale
10
processo per la verità tutt’altro che lineare, l’industria laniera vicentina, si
rivela in grado di recuperare il ritardo rispetto ai paesi indicati come first
comers, cioè Inghilterra e Belgio, grazie ad una valida struttura
organizzativa, capacità imprenditoriali dovute ad un ambiente molto
ricettivo, e una straordinaria capacità d’innovazione, che consacrano
Vicenza a capitale laniera per merito della grande fabbrica di Francesco
Rossi.
Proprio il distretto «storico» del tessile-abbigliamento dell’Alto Vicentino
da luogo, nello stesso tempo, allo sviluppo del meccano-tessile, facilitato
dalle strette relazioni di scambio e da processi di learning by using,
gettando anche le basi per lo sviluppo di differenti produzioni meccaniche
che negli anni ’50-’60 del Novecento permettono il sorpasso dello storico
primato del tessile.
Il periodo pre-unitario, tra il 1830 e il 1860, è caratterizzato da un aumento
degli scambi commerciali dell’Italia con altri paesi europei e dalla nascita
10
«Protoindustria o Verlagssystem o putting-out system: industria a domicilio diretta da mercanti-
imprenditori del settore tessile. Il suo funzionamento tipico prevedeva l’iniziativa di un commerciante-
imprenditore laniero che acquistava lana greggia, generalmente all’estero, e spesso compiva in un suo
magazzino le operazioni preliminari di cernita e lavatura, impiegando manodopera salariata; la lana
veniva quindi venduta a uno o più artigiani, i quali la filavano e la tessevano trasformandola in panni,
che venivano rivenduti all’imprenditore. Le operazioni successive, come la follatura e quindi la tintura,
venivano compiute in altre officine artigiane e poi il prodotto finito, veniva commercializzato, in
blocco o in dettaglio, dall’imprenditore. Il termine protoindustria racchiude in sé una certa ambiguità.
L’industria a domicilio rurale, infatti, non fu necessariamente un preludio all’industrializzazione: molte
aree di “protoindustrializzazione” decaddero nei secoli XVIII e XIX, senza che vi si sviluppasse una
industria moderna, basata sul sistema di fabbrica e la meccanizzazione dei processi produttivi. Il
Verlagssystem rurale rimase, anzi,per un paio di secoli, come una forma di produzione parallela, e
talvolta alternativa, all’industrializzazione». Romano-Soresina, Homo faber, Milano, 2003, pp. 56 e 85.
8
di nuove spinte al progresso; mentre si esportano prodotti, soprattutto
primari come lana seta e cotone, si importano dall’estero nuove tecnologie
e nuovi processi di lavorazione
11
. Ed è proprio in questo periodo che nel
vicentino maturano alcuni importanti processi per uno sviluppo industriale
che si qualificherà come precoce, graduale e ad alta concentrazione
territoriale: “Dall’universo artigianal-mercantile del pedemonte uscirono le
nuove figure imprenditoriali che nella prima metà del secolo diedero il via
ai più importanti tentativi veneti di industrializzazione capitalistica
introducendo sostanziali innovazioni nelle tecnologie, nei prodotti e nei
rapporti di produzione.
L’industria laniera vicentina, modernizzatasi e cresciuta nel periodo tra il
1820 e il 1880, ha avuto un innegabile ruolo pilota per lo sviluppo
dell’economia locale anche per lo stimolo che dato all’imprenditorialità
tramite l’azione di consolidamento che ha avuto nei confronti di un sistema
di valori e di cultura industriale che ha permesso in seguito lo sviluppo di
una rete di piccole e medie imprese.
Il Lanificio Rossi di Schio e il Lanificio Marzotto di Valdagno hanno un
ruolo fondamentale per la grande industria laniera, e non solo. Seppur con
percorsi diversi entrambe le aziende hanno importanza fondamentale per lo
sviluppo di tutta la provincia e della regione.
Il Lanificio Rossi può dirsi promotore dell’industrializzazione diffusa del
territorio: infatti ha un ruolo molto importante nella diffusione di
tecnologia secondaria, di conoscenze aggiornate e specialistiche sulle
innovazioni di processo e di prodotto, sui modelli organizzativi e sulle
11
L. Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia., Venezia, 1990.
9
istituzioni formative. La meccanizzazione precoce del lanificio ha funzione
di traino delle piccole imprese verso il sistema di fabbrica, come anche per
la formazione delle maestranze e l’infrastrutturazione del territorio
12
.
Il percorso del Lanificio Marzotto, invece, si caratterizza per
l’accentramento degli stabilimenti, con un ruolo defilato rispetto a quello
del lanificio di Schio, che porta Valdagno a diventare un nucleo laniero a
sé stante
13
.
Così “attorno ai maggiori complessi, nel distretto industriale di Schio-
Thiene-Valdagno prende consistenza il preesistente tessuto di piccole e
medie imprese laniere, cui vengono ad aggiungersi negli anni della crisi
agraria e del protezionismo la nascita delle prime industrie dell’indotto
metalmeccanico e lo sviluppo di settori, come quello della carta e delle
lavorazioni di minerali non metalliferi, tradizionalmente legati a
determinate risorse ambientali e a correlate specializzazioni produttive”.
Alla graduale assimilazione della cultura tecnica e dei moduli produttivi
stranieri segue il decollo dei maggiori lanifici e la diffusione del sistema di
fabbrica in nuclei tessili territorialmente concentrati, permeati da un clima
sociale favorevole all’industria e caratterizzati da mentalità, attitudini,
valori e condizioni di vita omogenei.
Dalla metà del secolo altre piccole ditte operanti nelle fasi terminali del
ciclo danno impulso a processi di accentramento, mentre si definiscono i
caratteri di un’imprenditorialità di spicco che dà le prime prove del
12
G.L. Fontana, Imprenditorialità e sviluppo industriale tra Settecento e Novecento, in F. Barbieri e G. De Rosa (a
cura di), Storia di Vicenza, Vicenza, 1991, pp. 345-346.
13
G.L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria, Vicenza, 1993, pp. XL-XLIV.
10
caratteristico impasto di cultura tecnico-industriale e di cultura
umanistica”
14
.
Nel secondo Ottocento, per far fronte alla mancanza di capitali, nascono
anche le prime banche: nel 1866 Luigi Luzzati, Fedele Lampertico e
Emanuele Lodi fondano la Banca Popolare del Veneto, e nel 1892, con
l’appoggio del tipografo Giacomo Rumor, nasce la Banca Cattolica
Vicentina, mentre dopo la crisi agricola degli anni ’80 si diffondono le
Casse Rurali
15
.
Tra il 1860 e il 1878, con i primi governi unitari, la crescita economica
italiana è determinata dalle politiche liberoscambiste e dallo sviluppo delle
infrastrutture: la costruzione delle ferrovie per l’unificazione del territorio,
stimola il commercio ed il progresso tecnologico. In questo periodo cresce
il tessile e compaiono dei progressi nella siderurgia e nelle meccanica.
Alimentari, carta, gomma e chimica completano il quadro. Lo sviluppo è
concentrato soprattutto nelle zone settentrionali, dove le grandi città del
Nord-Ovest assumono sempre più la fisionomia di moderni centri urbani
16
.
In questo stesso periodo nel vicentino si affermano le industrie
pionieristiche del settore tessile, che riescono a incrementare capitale,
tecnologia, occupazione ed intensità lavorativa: «In un breve arco di tempo
il Rossi sviluppò il decentramento delle strutture produttive, il correlato
sforzo di pianificazione sociale e la diversificazione settoriale, mentre il
lanificio Marzotto usciva dalle condizioni di arretratezza tecnico-produttiva
e le imprese minori operavano una più marcata conversione alla
14
Ibid., pp. XVIII-XIX.
15
F. Brunello, N. Furegon, L’artigianato vicentino nella storia, cit., pp. 85-109.
16
L. Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, cit., pp.288-293.
11
meccanizzazione e alla realizzazione degli impianti. Proseguiva dunque
faticosamente ma senza soluzione di continuità il cammino avviato nel
ventennio precedente »
17
.
Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento in Italia si fa strada una politica
protezionistica, correlata da investimenti diretti di sostegno nel settore
siderurgico. Si avvia lo sviluppo edilizio in cui vengono investiti nuovi
capitali privati. La crescita economica viene però ostacolata dalla crisi dei
primi anni novanta che si ripercuote sul sistema agricolo, su quello
bancario e paralizza quello dell’edilizia. Lo sviluppo del settore tessile,
nonostante la congiuntura, procede, soprattutto per quanto riguarda il ramo
cotoniero. Aumentano inoltre le dimensioni medie delle imprese e cresce
anche la produttività. Il tasso di emigrazione in questo periodo è ancora
alto, e le rimesse contribuiscono a riequilibrare la bilancia commerciale.
L’ammodernamento dell’agricoltura, le commesse ferroviarie e tranviarie e
quelle dell’industria tessile, danno una poderosa spinta alla crescita del
settore meccanico, che per il momento si limita ancora a lavorazioni a
basso livello di specializzazione o al semplice montaggio di pezzi importati
dall’estero. Per quanto riguarda l’industria siderurgica, invece, le
tradizionali lavorazioni basate su ghisa, carbone di legna e ferro, vengono
sostituite da quelle dell’acciaio.
Nel vicentino i grandi lanifici aumentano in dimensione ed in grado di
specializzazione, la struttura organizzativa e gli impianti subiscono
ammodernamenti e vengono introdotte innovazioni di processo e di
prodotto. All’industria tessile si affiancano come indotto o anche come
17
G.L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria.Imprenditori e imprese tra ‘700 e ‘900, Vicenza, 1993, pp.
XIX-XX.
12
fabbriche autonome “industrie cotoniere, cartarie, meccanico-
metallurgiche, chimiche, tipografiche e dei laterizi, che faranno nascere in
seguito un tessuto di imprese di media grandezza e di notevole flessibilità
in grado di incidere fortemente in futuri passaggi dell’industrializzazione
vicentina”
18
.
Gli anni a cavallo del secolo, a ridosso della Grande guerra, rappresentano
il periodo di massima espansione per l’industria italiana del periodo, con la
diffusione di nuovi settori, l’aumento dell’occupazione e della produzione
agricola ed industriale, l’incremento di capitali e di meccanizzazione,
l’espansione di domanda interna ed estera, e il già citato benefico flusso
delle rimesse. Il settore tessile rappresenta ancora la maggiore fonte di
esportazione, ma cominciano ad affiancarsi ad esso anche quello
alimentare e del legno. Mentre nuovo impulso all’industria meccanica,
soprattutto nel settore dei trasporti, viene dalla diffusione di nuovi
materiali, come l’acciaio e i prodotti chimici, e dell’elettricità. Il
protezionismo, l’imprenditorialità privata e le nuove banche, nate sul
modello delle miste tedesche, contribuiscono alla crescita del tessuto
industriale e alla diffusione dell’abitudine al rischio imprenditoriale
19
.
In questo periodo i grandi imprenditori vicentini concentrano le loro azioni
nella ristrutturazione e concentrazione delle proprie aziende, mentre la
piccola impresa cresce acquistando una maggiore autonomia e sviluppa la
sua competitività allargando gli sbocchi sul mercato. Nascono le prime
industrie di base e di beni strumentali, si diffonde lo spirito d’iniziativa e si
formano giovani imprenditori in grado di sfruttare le condizioni favorevoli
18
Ibid., cit., pp. XX.
19
L. Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, cit., pp. 297-322.
13
create dai pionieri dell’industria e dalla congiuntura favorevole del
periodo
20
.
La forte capacità di adattarsi all’ambiente e l’attaccamento alla terra sono
stati un ingrediente fondamentale alla base del successo veneto, proprio la
caratteristica particolare di una dimensione umana che pervade il mondo
del lavoro è l’elemento di distinzione che ha giovato profondamente alle
performance dell’intera regione.
20
G.L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria, cit.,p. XXI.
14
1.3 L’evoluzione industriale del Veneto nel corso del Novecento.
All’inizio del Novecento il Veneto fa parte della cosiddetta periferia
industriale, anche se non mancano aree già profondamente interessate dai
processi di industrializzazione e zone agricole più ricche, grazie alle quali
l’agricoltura vicentina in particolare viene a palesarsi come la meno
arretrata della regione, e l’industrializzazione è all’apice grazie soprattutto
alle attività tessili, mentre le altre province sono essenzialmente agricole o
commerciali
21
.
Ad ogni modo nella prima metà del Novecento il Veneto è in linea con la
media nazionale di crescita industriale, anche se caratterizzato dalla
compresenza di poli industriali e di aziende di importanza nazionale sia in
comparti tradizionali come lana e tessile che in quelli più nuovi come
chimica e meccanica cantieristica.
Subito dall’inizio del primo conflitto mondiale si manifestano i primi
problemi di scarsità di materie prime, specie di carbone e di manodopera;
calano inoltre le ordinazioni. Tuttavia l’appello alle forze produttive per il
sostegno alla guerra mette in posizione dominante l’industria meccanica e
metallurgica
22
.
La ripresa postbellica è immediata, la congiuntura riserva al meccanico un
forte rialzo della domanda del primario data la ripresa degli investimenti in
tecnologia. Nel corrispondere ai favori del mercato i produttori
incontrarono però una serie di problemi tra cui i costi elevati delle materie
21
G.L. Fontana, Imprenditori e imprese nel Veneto del primo ‘900. Il caso vicentino, in Il Veneto nell’età Giolittiana
(1903-1913) . Aspetti economici, sociali, politici, culturali (Atti del V Convegno di studi risorgimentali. Vicenza 2-3
Marzo 1990).
22
G.L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria, cit., p. 412.
15
prime, le difficoltà negli approvvigionamenti, le tensioni con l’ambiente
operaio
23
.
La grande impresa, accanto alla quale crescono parallelamente le piccole
imprese, esce rafforzata dalla crisi degli anni trenta grazie all’uso
congiunto di metodi gestionali tipici dei settori più avanzati assieme a
strumenti di controllo di stampo paternalistico; in un intreccio tipicamente
veneto di modernità e arretratezza, Roverato parla di “crescere per non
soccombere, intraprendere per non rimanere disoccupati: il rischio contro
difficoltà certe […] E’ a partire da questo momento che l’imprenditoria
minore diventa dinamica, e che emergono fermenti di imprenditorialità
prima ignoti”
24
.
Il secondo dopoguerra è duro anche se la ricostruzione è facilitata dal fatto
che i danni inferti all’industria sono sicuramente di minore entità rispetto a
quelli che essa subisce dopo la Grande guerra. Molte industrie venete di
oggi esistevano già nell’Ottocento, altre si formano nei primi decenni del
secolo scorso. Solo con la ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale,
l’industria delle costruzioni ha un poderoso sviluppo, si sviluppano alcune
grandi industrie meccaniche connesse ai lavori di infrastrutturazione,
all’agricoltura, e cresce il polo chimico di Porto Marghera con i suoi
20.000 addetti già nel 1949
25
.
Nei primi anni cinquanta l’industria meccanica diviene il punto di forza
dell’espansione economica dell’asse padano Vicenza-Padova-Treviso,
23
Ibid., cit., p. 427.
24
G. Roverato, La terza regione industriale, in S. Lanaro (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità ad oggi. Il
Veneto, Torino, 1984, p.203.
25
B. Anastasia, G. Tattara, Come mai il Veneto è diventato così ricco? Tempi, forme e ragioni dello sviluppo di una
regione di successo, (in corso di stampa), p. 10.