1. INTRODUZIONE
1.1 I MEDICINALI EQUIV ALENTI
1.1.1 DEFINIZIONE DI MEDICINALE EQUIV ALENTE
In Italia il medicinale generico è stato identificato ed introdotto per la prima volta con
la Legge Finanziaria del 1996 (L. n. 549 del 28 dicembre 1995) che lo definisce
come un “medicinale, la cui formulazione non sia più protetta da brevetto, a
denominazione generica del principio attivo seguita dal nome del titolare dell’AIC”.
Questi concetti caratterizzanti la prima definizione sono stati presto rivisti e ampliati
fino alla definizione cui si è giunti con il Decreto Legge n.323 del 20 giugno 1996
(convertito in Legge n.425 del 8 agosto 1996), che costituisce la prima normativa
italiana riguardante i generici.
In questo decreto si stabilisce che i generici “debbano avere la stessa composizione
quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e la stessa
indicazione terapeutica” delle specialità medicinali di riferimento.
Un’ulteriore evoluzione e definitiva qualificazione dei farmaci generici si è avuta nel
2006; i suddetti concetti sono stati infatti rivisitati al fine di recepire la Direttiva
Europea 2001/83/CE. Nel Decreto Legislativo n.219/2006 troviamo, quindi, la
definizione di medicinale generico, armonizzata a livello europeo che è contenuta
all’articolo 10 comma 5 che recita:
b) medicinale generico: un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e
quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di
riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata
da studi appropriati di biodisponibilità. I vari sali, esteri, eteri, isomeri, miscele di
isomeri, complessi o derivati di una sostanza attiva sono considerati la stessa
sostanza attiva se non presentano, in base alle informazioni supplementari fornite
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dal richiedente, differenze significative, nè delle proprietà relative alla sicurezza, né
di quelle relative all’efficacia. Agli effetti della presente lettera le varie forme
farmaceutiche orali a rilascio immediato sono considerate una stessa forma
farmaceutica. Il richiedente può non presentare studi di biodisponibilità se può
provare che il medicinale generico soddisfa i criteri pertinenti definiti nelle
appropriate linee guida. Il medicinale generico è definito equivalente ai sensi
dell’articolo 1-bis del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 87, convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n.149.
Nello stesso decreto legislativo vengono presentati anche i requisiti essenziali al fine
di ottenere il codice AIC, il codice ministeriale prodotto dall’AIFA, prerogativa
fondamentale affinché il farmaco possa essere messo in commercio.
Tra le disposizioni più importanti vi è quella per cui il medicinale originatore di
riferimento deve avere già ottenuto l’approvazione da un’Autorità regolatoria
dell’Unione Europea da almeno 10 anni, sulla base di un dossier completo di
registrazione.
Nel decreto vi sono indicazioni relative alle materie prime ed ai prodotti finiti, i
quali, devono soddisfare le specifiche della Farmacopea Europea. Infatti, se nel
farmaco equivalente vi fossero delle impurezze, quali prodotti chimici formatisi
durante o dopo la lavorazione in percentuali più elevate rispetto all’originatore, o
anche solo una diversa forma cristallina di uno dei componenti attivi, l’assorbimento
del medicinale o la sua efficacia potrebbero cambiare.
A tale riguardo il produttore deve fornire una descrizione dettagliata delle varie
attrezzature utilizzate nei processi di produzione, confezionamento e controllo del
medicinale.
In queste disposizioni si ricorda l’obbligo del titolare dell’autorizzazione di
assicurare che il medicinale in questione mantenga la stabilità indicata alla data di
scadenza. Garantendo anche che contenitore e sistema di chiusura non interagiscano
con il farmaco.
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Il fine ultimo di questo decreto è quello di garantire che i requisiti di qualità,
sicurezza ed efficacia dei medicinali generici siano uguali a quelli dei medicinali
originali di riferimento.
1.1.2 IL BREVETTO
I medicinali in Italia sono brevettabili dal 1978 in virtù di una sentenza della Corte
Costituzionale seguita dalla ratifica della convenzione di Monaco, che istituiva il
brevetto europeo, e in virtù del D.P.R. n. 338/1979, che adeguava la normativa
nazionale a quella europea.
Il brevetto per i medicinali è uno “strumento giuridico che conferisce il diritto
esclusivo di sfruttamento di un'invenzione in un determinato territorio. Il
proprietario del brevetto è quindi l'unico che può produrre, vendere o utilizzare
l'invenzione. Nel caso dei farmaci la durata della protezione brevettuale è di venti
anni.”
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Nelle intenzioni del legislatore questo lasso di tempo consente il rientro delle risorse
impiegate nella ricerca e nella sperimentazione.
Questo periodo di venti anni può essere prolungato con il Certificato Complementare
di Protezione (CCP) “al fine di permettere il recupero del periodo intercorso tra la
data di deposito della domanda di brevetto e la data di concessione
dell'Autorizzazione di Immissione in Commercio.”
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1. Il CCP è stato istituito nel nostro paese con la legge nazionale del 19 ottobre
1991, n. 349 e prevede l’estensione del periodo brevettuale per un massimo di
altri 18 anni che sommato ai 20 iniziali porta ad un possibile valore di 38 anni
dalla data di deposito della domanda.
Il regolamento CEE n. 1768 del 1992, istituisce il Certificato Protettivo
Supplementare (SPC) con il fine di armonizzare le normative di ciascuno Stato
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membro in questa materia.
L’SPC a differenza del CCP non può avere durata superiore ai 5 anni.
Attualmente quindi convivono certificati di protezione con durate molto diverse.
La legge n.112 del 15 giugno 2002, che ha convertito in legge il Decreto Legge n. 63
del 15 aprile 2002 ,incentrato sulla razionalizzazione del sistema di formazione del
costo dei prodotti farmaceutici, stabilisce una progressiva riduzione della durata dei
CCP nazionali con il fine di allineare i tempi di durata dei suddetti con quelli definiti
dal regolamento comunitario.
L'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) ha ricalcolato le durate dei CCP ai sensi
della suddetta normativa non dando però seguito alla pubblicazione di queste nella
banca dati pubblicamente consultabile.
Questo ha portato a molte problematiche legate a controversie tra possessori di diritti
derivanti dai CCP e titolari di AIC concesse per i farmaci equivalenti.
Risultava infatti tra le altre cose difficile valutare da quando le aziende di farmaci
equivalenti potessero esercitare il loro diritto di “avviare la procedura di
registrazione del prodotto in anticipo di un anno rispetto alla scadenza della
copertura brevettuale complementare del principio attivo” previsto dal D. LS. del 10
febbraio 2005 n.30.
Una soluzione è stata fornita dalla legge n.31 del 28 febbraio 2008 nell'art 9, comma
2 bis, che obbliga la pubblicazione della lista delle scadenze dei CCP da parte del
Ministro dello Sviluppo Economico.
I farmaci equivalenti, la cui produzione non ha previsto l’impiego di risorse nella
ricerca e nella sperimentazione per legge, in un primo momento avevano un costo
inferiore di almeno il 20% rispetto al medicinale di riferimento.
Successivamente in base a quanto stabilito all'art 11, comma 10, del D.L. n.78/2010
il costo del prezzo al pubblico è stato ulteriormente ridotto del 12,5%.
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1.1.3 DENOMINAZIONE DEI MEDICINALI EQUIV ALENTI
Da come si evince dalle suddette norme, in un primo momento, i farmaci equivalenti
erano stati definiti farmaci generici.
Il termine “generico” portava però a ritenere tale prodotto privo di una particolare
qualifica, non specifico. Ciò determinava la propensione da parte delle persone ad
acquistare i farmaci originali.
Questo fenomeno era influenzato notevolmente anche dal fatto che i suddetti farmaci
originali erano identificati con il termine “specialità medicinali”, espressione che
portava a considerare il prodotto di qualità particolarmente elevata, superiore.
Per evitare che le impressioni destate da questi termini così differenti tra loro non
inducessero le persone a pensare che i due prodotti potessero avere requisiti di
qualità, di sicurezza e di efficacia differenti è stata introdotta una normativa ad hoc.
Tramite la Legge n. 149 del 2005 (art. 1-bis), si stabilisce che i farmaci generici siano
chiamati farmaci equivalenti: “I medicinali con obbligo di prescrizione… di cui alla
legge 16 novembre 2001, numero 405, e successive modificazioni, e di cui
all’articolo 1 del presente decreto, ad esclusione di quelli che hanno goduto di
copertura brevettuale, sono definiti <<medicinali equivalenti>>”, mentre nel codice
comunitario concernente i medicinali per uso umano (Dlgs 24 aprile 2006, n. 219) le
“specialità medicinali” sono state ridefinite “medicinali”.
I medicinali immessi in commercio sotto copertura brevettuale vengono definiti
“farmaci originator” o “farmaci branded.” Questi presentano un nome di fantasia
anch’esso coperto da brevetto.
Terminato il periodo brevettuale da questi farmaci originator possono derivare i
medicinali equivalenti.
Da un punto di vista puramente denominativo esistono diverse categorie di
medicinali equivalenti.
Ci sono i generici branded o medicinali equivalenti con nome di fantasia: con tale
termine vengono designati i medicinali equivalenti a tutti gli effetti che presentano un
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nome che non indica il principio attivo in modo chiaro e diretto.
Ci sono i generici semibranded o medicinali equivalenti commercializzati: sotto la
DCI (Denominazione Comune Internazionale) vengono ricompresi quelli che hanno
una denominazione costituita da una contrazione del nome chimico del principio
attivo, seguita dal nome del produttore.
Poi ci sono i generici unbranded: questi medicinali, invece, indicano solamente il
principio attivo contenuto.
1.1.4 I FARMACI COPIA
Una anomalia italiana è data dall'esistenza nel nostro mercato dei farmaci copia.
Questi presentano un principio attivo che è stato utilizzato in ambito europeo da
almeno dieci anni; dieci anni in cui sia stato riscontrato un livello accettabile di
sicurezza e di efficacia.
La grande differenza con i farmaci equivalenti sta nel fatto che il richiedente l'AIC
non è tenuto a fornire “gli studi volti a dimostrare la bioequivalenza con il
medicinale di riferimento. Pur accettando su base documentale che i due medicinali
siano essenzialmente simili, non è provato che siano bioequivalenti e quindi tra loro
interscambiabili, al contrario del farmaco generico.”
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