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nuovo modello di coesistenza pacifica, fondato sui principi di interdipendenza e di
integrazione economica. Il punto di partenza non era rappresentato dall’integrazione
politica bensì da quella economica; solo con tale azione era possibile costruire una
nuova base per le relazioni fra i paesi europei, tale che il superamento degli eterni
conflitti politici e sociali potesse finalmente divenire realtà. Alla base dei principi
monnettiani vi era l’idea di un effetto spill-over nell’integrazione; gli interventi
nell’ambito dell’economia si sarebbero trasmessi inevitabilmente anche in altri campi
decisionali, i quali successivamente si sarebbero tradotti (attraverso esternalità
positive) in azioni derivate, verso una più marcata integrazione politica. Ciò in
contrasto con l’idea dei federalisti, secondo cui solo con l’azione politica si sarebbe
potuta raggiungere un’unione federale fra gli Stati europei. Con il metodo
neofunzionalista non veniva abbandonato tale ambizioso obiettivo, ma lo stesso, era
solo differito nel tempo attraverso un percorso a tappe che partendo dall’integrazione
economica avrebbe portato all’integrazione politica. Il modo migliore per
raggiungere tale risultato, consisteva nella creazione di agenzie sovranazionali con il
compito di risolvere problemi tecnici estesi oltre i confini nazionali. La creazione di
tali organismi e l’iniziata cooperazione in determinate aree, avrebbe poi manifestato
la necessità di estendere la stessa anche ad aree collegate, determinando un processo
che si sarebbe concluso con la trasformazione prima e l’abbandono poi del concetto
di Stato nazionale.
Il metodo neofunzionalista venne affiancato da altre correnti di pensiero, quale quella
dei funzionalisti i quali sottolineavano la necessità di partire dalla sfera di azione
economica per la costruzione di un’area di libero scambio, senza trascendere lo Stato
nazionale; per i confederalisti invece l’obiettivo della creazione di un’area di libero
scambio era complementare alla ricostruzione prima, e allo sviluppo poi delle
identità nazionali, mentre i federalisti, come accennato in precedenza, sottolineavano
la necessità di abbandonare il concetto di Stato nazionale in favore di quello unico
federale europeo attraverso mirati interventi politici.
Fra queste quattro correnti di pensiero sinteticamente descritte e semplicisticamente
classificate emerse come già ricordato quella neofunzionalista, che segnerà le
principali tappe dell’integrazione europea; è quindi opportuno ripercorrere le stesse e
verificare se l’abbandono delle monete nazionali, in favore di quella unica è un punto
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di arrivo dell’integrazione o se è semplicemente superamento di uno dei tanti ostacoli
che si sono frapposti ed ancora si frappongono alla nascita della nazione unica
europea, fondata sui principi di libertà e di democrazia, nonché alla creazione del
popolo europeo, avente le caratteristiche di unicità, coesione e solidarietà.
Essenziale, nella determinazione del processo di convergenza dei rendimenti dei
paesi dell’Unione Europea è stato il Trattato di Maastricht e quello di Amsterdam,
attraverso la predisposizione dei ben noti vincoli sulla situazione di finanza pubblica,
sul tasso di cambio, sui tassi di inflazione e sui tassi di interesse.
In particolare, tali accordi hanno previsto che il tasso d’inflazione di un paese non
può superare di 1.5 punti percentuali la media dei tassi dei paesi con crescita dei
prezzi minore, mentre per il tasso di interesse a lungo termine il valore eccedente è
stato fissato nel 2 per cento. E’evidente che il premio per il rischio dei titoli europei
abbia registrato una convergenza, che in ultima analisi si è tradotta in una
diminuzione della rischiosità degli strumenti per i paesi più deboli.
I vincoli inerenti la finanza pubblica si riferiscono invece alle prescrizioni circa il
livello relativo del deficit e del debito pubblico. In particolare è stato stabilito che il
deficit pubblico in rapporto al PIL non può superare il limite del 3 per cento, mentre
per il debito tale livello è stato fissato nel 60 per cento; per quei paesi, il cui rapporto
ha ecceduto quest’ultima percentuale, è stata fissata una proroga circa l’adesione
all’UEM, sotto la condizione del rispetto del principio di rapida e costante
convergenza verso il limite fissato. Il soddisfacimento di tali condizioni, ha portato
anche in tal caso ad una convergenza nei rendimenti dei paesi dell’Unione Europea,
attraverso la leva del merito creditizio; un avvicinamento in tal senso si è infatti
tradotto in un premio per il rischio di default più verosimigliante fra i paesi membri.
Infine, il vincolo inerente il tasso di cambio, secondo il quale lo stesso avrebbe
dovuto non superare le soglie prefissate dagli accordi sullo SME, ha comportato un
livellamento dei differenziali di rendimento dei paesi europei in merito alla
remunerazione del rischio di cambio.
Si è anche sottolineato come il processo di integrazione economica sia funzionale al
mantenimento degli equilibri formatisi in Europa subito dopo la seconda guerra
mondiale e in ultima analisi, al mantenimento della pace nel continente europeo;
come accennato in precedenza, si è inoltre sottolineato come tale processo, calato
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dall’alto, volto a costituire un’Europa delle nazioni, unita, possa e debba trasformarsi
in un processo che ha come fondamento il singolo cittadino e che partendo dal basso
possa rafforzarsi e raggiungere l’obiettivo prefissato.
Nel secondo capitolo si è poi rilevata l’opportunità offerta dall’allargamento ai paesi
ex comunisti, nonché il nuovo impulso all’integrazione esterna, anche considerando i
futuri candidati all’ingresso nell’Unione Europea.
Come detto in precedenza, il Trattato di Maastricht prima e quello di Amsterdam poi,
sono alla base del processo di convergenza nei rendimenti dei titoli di Stato dei paesi
dell’Unione Europea. Importante è il Patto di Stabilità e Crescita, incorporato nel
Trattato di Amsterdam, che assicura il mantenimento dello status quo e che spinge
verso un maggiore livellamento delle differenze. Da più parti tuttavia si argomenta
l’insufficienza dello stesso relativamente a diversi aspetti; più in particolare, si
evidenzia come porrebbe dei limiti eccessivi alle manovre di politica economica, tali
da scoraggiare gli investimenti nonché le politiche anticicliche. In antitesi, si
risponde ai critici rilevando che l’accordo non vieta politiche espansive volte a
contrastare gli effetti di una crisi economica o a incrementare il livello degli
investimenti, ma limita il volume degli interventi. Un ulteriore critica si riferisce alla
mancata credibilità delle sanzioni dello stesso che in presenza delle condizioni
previste dal Patto, non hanno trovato applicazione per la Francia e la Germania.
Si sono poi presi in considerazione i lavori della Convenzione Europea e le
caratteristiche della Costituzione Economica, evidenziando anche i cambiamenti
istituzionali che sono avvenuti e che avverranno nel prossimo futuro.
Il terzo capitolo evidenzia che la convergenza nei rendimenti dei titoli dei paesi
dell’Unione Europea ha riguardato tutte le componenti relative alla remunerazione
del rischio. I rendimenti infatti possono essere differenziati in funzione di quattro
componenti di rischiosità: il rischio di default, quello di liquidità, quello di cambio e
quello riconducibile a fattori tecnici, come la libera movimentazione dei capitali e il
trattamento fiscale.
Il premio per il rischio di default è quello riconducibile all’insolvenza dell’emittente;
il premio per il rischio di liquidità deriva dalla durata degli investimenti, che se a
lungo termine dovranno remunerare l’investitore con un rendimento aggiuntivo
rispetto ad un impiego a breve termine. Vi sono però anche altre teorie che spiegano
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la forma della struttura dei tassi, non necessariamente coerenti con quella descritta; la
terza componente del premio è quella riconducibile al rischio di cambio della valuta
nazionale, che se debole comporterebbe una elevato rendimento aggiuntivo; infine, si
è osservato che il premio per il rischio è composto da una parte che va a remunerare i
rischi tecnici, riconducibili alle limitazioni nei movimenti di capitali, e le tasse che
gravano sui rendimenti.
I titoli possono differenziarsi anche in funzione di componenti di rischio non
ricollegabili alla situazione del soggetto emittente o alle caratteristiche dei titoli,
bensì alla situazione puntuale del mercato; ci si riferisce al rischio di interesse o al
rischio di prezzo. Se un investitore è avverso al rischio, a parità di condizioni,
preferirà quello che subisce meno oscillazioni nel prezzo o nel tasso. Tali rischiosità
tuttavia, sono solo in parte prevedibili, e spetta ai diversi modelli predirre
l’andamento della parte aleatoria dei tassi.
Ci si è quindi chiesti quale sia stata la componente che abbia avuto maggiore
rilevanza nello spiegare i differenziali di rendimento dei paesi europei; tale aspetto è
illustrato dal capitolo quarto.
Come detto più volte in precedenza, si osserva come a partire dal Trattato di
Maastricht in poi si sia assistiti ad un livellamento delle differenze nei rendimenti, e
ciò per i vincoli di convergenza che lo stesso ha comportato; ne è conseguita una
generale diminuzione del rischio di interesse e di liquidità, mentre riguardo il rischio
di credito l’effetto è ambiguo; da una parte si rileva una generale diminuzione dello
stesso, e ciò per la disciplina imposta dal Trattato (soprattutto per i paesi più deboli),
mentre dall’altra parte si osserva un aumento del rischio di credito, per il fatto che è
stata tolta l’opportunità di monetizzare i disavanzi pubblici. Ci si può chiedere quindi
per quali paesi si è verificato l’aumento netto di tale componente di rischiosità, e se il
Trattato di Maastricht prima ed il patto di Stabilità poi abbiano effettivamente ridotto
il rischio, in quanto potenzialmente poco credibili.
L’avvento dell’euro ha inoltre comportato la quasi totale scomparsa del rischio
dovuto al tasso di cambio; infatti, anche se vi è ancora una parte del debito pubblico
nazionale, denominato in valuta estera, il quale ancora determina differenze di
rendimento fra i paesi dell’Unione Europea, la moneta unica ha comportato la quasi
totale scomparsa di tale componente di rischio.
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La componente esprimente i differenziali nei rendimenti, che deriva dalle limitazioni
nei movimenti dei capitali e da differenti regimi fiscali ha infine perso gran parte
della sua importanza nel corso del tempo, con il procedere del processo di
integrazione.
Nonostante ciò però, si può vedere che non vi sia stata una piena identificazione dei
rendimenti, e quindi continuano ad esservi delle differenze fra paesi, le quali possono
essere interpretate tramite l’impatto che i fattori di rischio internazionali hanno sui
rendimenti, modificando il merito creditizio ed i di fattori di liquidità; ci si può
chiedere infine, se anche altri elementi determinino differenziali nei rendimenti, e
quale sia la loro rilevanza.
Nell’analisi si sono presi in considerazione i rendimenti dei bonds decennali dei
paesi appartenenti all’Unione Europea (con l’esclusione dei nuovi entrati) come
differenziali rispetto al rendimento del titolo tedesco. Si è osservato il RAS, definito
come la differenza fra lo spread del rendimento del titolo del paese i e quello della
Germania e lo spread fra il fixed interest rate swap del paese i e quello della
Germania. Dal momento che la seconda componente del RAS (quella relativa ai tassi
swap) ha mostrato una convergenza verso lo zero (la quale riflette la diminuzione
prima e l’annullamento del rischio di cambio) è possibile indagare sulle cause che
hanno determinato differenze nei rendimenti dei titoli europei attraverso il RAS.
Seguendo l’approccio di Codogno, Favero e Missale; il modello prevede come
variabile dipendente il
i
t
RAS che esprime il relative asset swap spread per il paese i
al tempo t. I regressori utilizzati sono i seguenti: la differenza dei logaritmi del
rapporto debito/PIL del paese i e quello della Germania; il prodotto fra la differenza
dei logaritmi (del rapporto debito/PIL del paese i e quello della Germania) e la
differenza fra il fixed interest rate swap per gli Stati Uniti e lo yield del governative
bond degli Stati Uniti; il prodotto fra la differenza dei logaritmi (del rapporto
debito/PIL del paese i e quello della Germania) e la differenza fra il rendimento sul
Moody’s Seasoned AAA US corporate bonds e lo yield del governative bond degli
Stati Uniti; la differenza fra il fixed interest rate swap per gli Stati Uniti e lo yield del
governative bond degli Stati Uniti; la differenza fra il rendimento sul Moody’s
Seasoned AAA US corporate bonds e lo yield del governative bond degli Stati Uniti;
19
Le regressioni sono state condotte con il modello SURE ed i risultati ottenuti
sottoposti a verifica con il modello ARCH.
Dall’analisi è risultato che le differenze nei relative asset swap spreads siano
funzione dei rischi esogeni, che risultano dall’osservazione del premio per il rischio
corporate e bancario degli Stati Uniti; maggiori sono tali differenze e maggiori sono
gli spreads fra i rendimenti.
La considerazione delle variabili che esprimono il rischio esogeno in termini lineari è
importante per vedere come l’impatto dei rischi internazionali determina effetti sui
rendimenti; l’impatto è diverso a seconda delle diversità strutturali nella liquidità o
nei fondamentali che non possono essere osservati (rispetto alla Germania). I
coefficienti potrebbero anche cogliere le variazioni inosservabili nella vulnerabilità
fiscale degli Stati.
La considerazione delle variabili esprimenti i rischi esogeni moltiplicate per il
rapporto debito/PIL è importante, in quanto ci dice come tali fattori influiscono sui
rendimenti, a seconda delle diversità nei fondamentali dei paesi rispetto alla
Germania, e quindi del diverso rischio di default.
Dopo aver inserito la variabile di controllo rappresentata dal rapporto debito/PIL, si è
interpretata la costante come la parte dei RAS dovuta a differenze della liquidità
indipendenti dall’impatto dei fattori di rischio internazionali.
A partire dai risultati ottenuti con il modello SURE, per quello che riguarda
l’interazione fra il differenziale del rapporto debito/PIL ed i rischi internazionali si
può vedere come si siano ottenuti risultati molto significativi per l’Austria, la Grecia,
la Svezia e la Finlandia. Per il Regno Unito e la Danimarca, un solo risultato è
significativo.
Prendendo in considerazione l’Austria si osserva come vi sia stata una correlazione
positiva fra il differenziale dei rendimenti con la Germania e la differenza fra il fixed
interest rate su US swap e lo yield degli Stati Uniti
1
, mentre si è avuta una
correlazione negativa con lo spread fra il Moody’s e il rendimento US. Nel caso della
Grecia è vero il viceversa.
1
In tutte le considerazioni che seguiranno si prescinde dall’osservare che gli spread fra il fixed interest
rate su US swap e lo yield degli Stati Uniti, nonché quello fra il Moody’s e il rendimento US, si
intendono moltiplicati per la differenza logaritmica fra il rapporto debito/PIL del paese i e quello della
Germania.
20
Per la Svezia invece, si è registrata una correlazione negativa fra la differenza dei
rendimenti e gli spread fra US swap-US yield e Moody’s-US yield. L’opposto si è
avuto per la Finlandia, dove la differenza dei rendimenti viene a dipendere
positivamente dagli spread fra US swap-US yield e Moody’s-US yield. Infine si
rileva come il primo coefficiente in esame sia molto elevato nel caso della Finlandia
e della Grecia, mentre il secondo è risultato abbastanza contenuto per tutti e quattro i
paesi considerati.
Il rendimento del titolo del Regno Unito ha mostrato una correlazione positiva con la
differenza fra il fixed interest rate su US swap e lo yield degli Stati Uniti, mentre la
Danimarca ha registrato una correlazione negativa rispetto allo stesso regressore.
Per i paesi elencati quindi, è rilevante la componente di rendimento che va a
remunerare il rischio di default, rilevato dai fondamentali del paese, che deriva dalle
pressioni dei fattori di rischio internazionali.
Prendendo ora in considerazione i coefficienti delle variabili che esprimono
linearmente l’impatto dei rischi internazionali sui differenziali di rendimento, si
osserva come si siano ottenuti risultati molto significativi per la Grecia, la Svezia, la
Finlandia e la Danimarca; nel caso dell’Austria e del Regno Unito un solo
coefficiente è significativo.
Nel caso della Finlandia si osserva una relazione positiva fra la differenza dei
rendimenti e lo spread fra il fixed interest rate su US swap e lo yield degli Stati Uniti;
c’è una correlazione positiva anche rispetto alla differenza fra il Moody’s e il
rendimento US.
Per la Grecia si osserva una correlazione positiva fra la differenza dei rendimenti e lo
spread fra US swap-US yield, mentre la correlazione è negativa rispetto alla
differenza Moody’s-US yield. Per Svezia e Danimarca è vero il contrario; le
differenze nei rendimenti sono positivamente correlate allo spread fra il Moody’s e
gli yield degli Stati Uniti, e negativamente a quello fra US swap e US yield.
Nel caso dell’Austria il solo regressore significativo è quello relativo alla differenza
fra il Moody’s e il rendimento del titolo statunitense, e la correlazione è risultata
positiva. Per il Regno Unito invece l’unico valore significativo è quello che si
riferisce allo spread US swap-US yield, il quale ha mostrato una correlazione
positiva con il differenziale nei rendimenti.
21
Si osserva che il primo coefficiente è risultato abbastanza elevato per la Finlandia e
la Grecia, mentre il secondo è risultato poco elevato in tutti i casi.
Per tutti questi paesi i rischi internazionali sono stati rilevanti nello spiegare i
differenziali di rendimento, dovuti al diverso grado di liquidità strutturali e ai
fondamentali che non possono essere osservati. Si tratta pertanto del rendimento che
va a remunerare sia il rischio di liquidità che il rischio di credito.
La costante infine è significativa per l’Austria, i Paesi Bassi, la Grecia, la Svezia, il
Regno Unito e la Finlandia, pertanto per tali paesi è importante anche l’influenza sui
rendimenti esercitata dalla componente residuale della liquidità. La correlazione è
risultata positiva per la Svezia ed i Paesi Bassi e negativa per l’Austria, la Finlandia,
la Grecia, il Regno Unito.
Utilizzando il modello ARCH, ed iniziando ancora una volta dall’interazione fra la
differenza debito/PIL e le variabili esplicanti l’impatto dei rischi internazionali, si
notano risultati molto significativi per l’Austria, la Svezia e la Danimarca, mentre un
solo coefficiente è significativo per il Belgio, la Francia, la Finlandia, la Spagna, la
Grecia e i Paesi Bassi.
In merito al primo punto, si nota che per la Danimarca e la Svezia, si ha una
correlazione negativa del differenziale dei rendimenti, nei confronti dello spread fra
US swap e US yield, che diventa positiva considerando la differenza fra il Moody’s e
il rendimento del titolo statunitense. Nel caso dell’Austria invece è vero il contrario,
in quanto lo spread fra i rendimenti è correlato positivamente con lo spread US swap-
US yield, e negativamente con lo spread Moody’s-Us yield.
Riguardo gli altri paesi, si osserva che la correlazione relativa al primo regressore, è
positiva nel caso della Finlandia, mentre è negativa nel caso del Belgio e della
Grecia; quanto al secondo regressore, per Spagna e Paesi Bassi la correlazione è
positiva, mentre per la Francia è negativa.
Si osserva infine che il primo coefficiente è risultato abbastanza elevato solo per la
Grecia, mentre il secondo coefficiente è risultato di valore contenuto in tutti i casi.
L’interpretazione dei risultati ottenuti, non differisce da quella precedente, e quindi si
può nuovamente affermare che per tali paesi diviene importante la considerazione
che l’impatto dei rischi internazionali provocano cambiamenti dei fondamentali,
influendo sul rischio di default.
22
Considerando adesso la significatività dei regressori che esprimono linearmente
l’impatto dei rischi internazionali sui differenziali di rendimento, si sottolinea la
notevole rilevanza di quelli danesi, mentre Austria, Belgio, Francia, Finlandia, la
Svezia e la Grecia presentano un solo coefficiente significativo.
Riguardo la Danimarca si osserva come la correlazione fra differenziali dei
rendimenti, e spread US swap-US yield sia negativa, mentre quella rispetto alla
differenza Moody’s-Us yield sia positiva. Per gli altri paesi, la correlazione rispetto
al secondo regressore è positiva per l’Austria, e negativa per la Francia, mentre
considerandola rispetto al primo regressore si nota come sia positiva per il Belgio, la
Finlandia e la Grecia e negativa per la Svezia.
Per tali paesi paesi quindi si evidenzia l’importanza dell’impatto che i fattori di
rischio internazionali, hanno sui differenziali di rendimento, agendo su differenze
strutturali nella liquidità e nei fondamentali non direttamente osservabili.
La costante infine è significativa per l’Austria, il Belgio, la Finlandia, l’Italia e la
Grecia, e pertanto per tutti questi paesi diviene importante la componente di liquidità
residuale che influenza i differenziali nei rendimenti. La correlazione è risultata
negativa per tutti i paesi.
I rendimenti dei titoli di Stato inoltre possono registrare andamenti anomali
riconducibili a determinati eventi; tale aspetto è stato considerato nel quinto capitolo.
L’event-study considera la reazione degli indici in corrispondenza a determinati
accadimenti che vengono considerati rilevanti. In particolare, tale tipo di analisi,
risulta essere particolarmente adatta a cogliere l’impatto degli eventi nel breve
termine rispetto a metodologie più puntuali, che invece richiedono un intervallo
temporale maggiore.
La categoria di eventi presi in considerazione è stata rappresentata essenzialmente da
tutti quelli che hanno provocato qualche tipo di effetto sul processo di integrazione;
ci si riferisce sia a quelli positivi che hanno quindi rafforzato tale processo, sia a
quelli negativi che invece hanno comportato un’interruzione o un’involuzione
dell’integrazione. Si sono considerati poi, gli eventi di natura economica di maggiore
rilevanza, sia da un punto di vista interno che esterno, gli eventi di cronaca, e quelli
politici e sociali, i quali hanno provocato degli excess returns particolarmente
rilevanti.
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Si è fatta l’ipotesi che in presenza di un evento negativo, vi sia stato un incremento
del rendimento dei titoli del paese i rispetto al rendimento dei titoli tedeschi, che
invece sono rimasti fissi; in altri termini si è supposto che in presenza di un tale tipo
di evento, i rendimenti dei titoli dei paese i si siano incrementati maggiormente di
quelli dei titoli tedeschi. In caso di eventi positivi è accaduto il contrario.
L’analisi è fondata sugli excess returns, i quali sono stati definiti come la differenza
dei rendimenti del titolo del paese i al tempo t e quello della Germania al tempo t,
normalizzata per la media dei rendimenti del paese i.
Si sottolinea inoltre come sia stata svolta un’analisi su un duplice livello, in quanto si
è considerato l’andamento dell’indice sopra definito sia relativamente al paese che
relativamente all’evento; in particolare, si sono scelti dapprima gli eventi ritenuti più
rilevanti per i singoli paesi e poi si sono considerati quelli maggiormente rilevanti per
l’Unione interamente considerata.
In merito a quest’ultimo punto si osserva come si sono presi tre intervalli temporali,
corrispondenti a dieci, trenta e novanta giorni. Gli eventi ritenuti rilevanti sono stati i
seguenti: 2 ottobre 1997, quando i Ministri degli Affari Esteri dei quindici Stati
membri dell'Unione Europea hanno firmato il Trattato di Amsterdam; 31 dicembre
1998, data in cui il Consiglio ha adottato i tassi fissi e irrevocabili di conversione tra
le valute nazionali degli undici Stati membri partecipanti all'euro; 26 febbraio 2001,
quando venne firmato il Trattato di Nizza, il quale ha emendato il Trattato
sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea; 11 settembre
2001 data in cui sono stati compiuti gli attacchi terroristici negli gli Stati Uniti; 5
novembre 2002, quando la Commissione Europea ha annunciato il lancio della
procedura di deficit eccessivo nei confronti della Germania ed un “early warning”
alla Francia; 12 dicembre 2002, data in cui il Consiglio Europeo riunito a
Copenhagen ha invitato ad entrare nell’Unione Europea i dieci paesi transition
(Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia,
Slovacchia e Slovenia); 25 novembre 2003, quando i ministri delle finanze dell’UE
hanno deciso, a maggioranza, di non votare le raccomandazioni per deficit eccessivo
proposte dalla Commissione verso Francia e Germania; 11 marzo 2004, data degli
attentati terroristici in Spagna. In tutti tali casi, l’andamento degli excess returns è
stato coerente con le attese, in quanto in corrispondenza ad eventi positivi per i paesi
24
quale può essere la firma del Trattato di Amsterdam, l’adozione dei tassi fissi ed
irrevocabili, la firma del Trattato di Nizza, il lancio della procedura per deficit
eccessivo e l’allargamento si sia registrato una diminuzione dell’indice. Per quelli
negativi, come gli attentati terroristici negli USA ed in Spagna e la decisione di non
procedere contro Francia e Germania, si è avuto l’opposto.
Anche l’analisi per paesi è stata generalmente positiva, in quanto ha mostrato la
reazione dell’indice in corrispondenza ai più importanti eventi per lo Stato membro.
Per ognuno degli stessi vi sono stati in media almeno sei eventi (sia di natura positiva
che negativa) i quali hanno comportato una reazione dell’indice.
25
PARTE I
L’UNIONE EUROPEA
- La ricostruzione storica dell’idea dell’unità in Europa
- Dalle origini al Trattato di Roma
- Dal Trattato di Roma all’unione doganale
- La crisi economica e monetaria; gli anni Settanta
- Gli anni Ottanta
- Dal Trattato di Maastricht all’euro
- La nuova Europa a venticinque membri
- I problemi e le prospettive dell’integrazione
26
1
Storia
dell’integrazione europea
1.1 Introduzione
La fine della seconda guerra mondiale presentò un’Europa nella quale emerse non
soltanto la necessità di un ristabilimento delle relazioni commerciali e finanziarie fra
i paesi, ma anche la necessità di procedere lungo un percorso che attraverso la
progressiva integrazione economica, avrebbe condotto ad un periodo di prosperità e
benessere per tutti gli Stati europei. La solidarietà, la cooperazione e la condivisione
di valori comuni in quella Europa scossa in pochi decenni da due devastanti conflitti
bellici, erano elementi alla base della creazione di un’unione fra nazioni che avrebbe
avuto qualcosa in più rispetto ad un semplice accordo economico, ovvero mirante
alla creazione ed al rispetto della pace fra i popoli europei.
Sia i paesi vincitori che quelli vinti avrebbero dovuto far fronte alle difficoltà
economiche conseguenti la guerra, nonché al nuovo bipolarismo mondiale, con una
nuova idea politico-istituzionale fondata sulla cooperazione fra gli Stati che fino a
pochi anni addietro si erano combattuti alacremente; ciò attraverso una nuova
iniziativa politica che come affermava il ministro francese Schuman nel 1950
rispecchiasse un superamento dei contrasti fra Francia e Germania, fondati sul
controllo dei bacini carboniferi della Rhur e della Saar, considerati da sempre i veri
arsenali dell’industria bellica tedesca. Il pensiero di Schuman, che era l’ovvia
derivazione dei principi neofunzionalisti di J.Monnet, consisteva nel sostituire ai
tradizionali metodi di cooperazione intergovernativa, un nuovo modello di
coesistenza pacifica, fondato sui principi di interdipendenza e di integrazione
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economica. Il punto di partenza non era rappresentato dall’integrazione politica bensì
da quella economica; solo con tale azione era possibile costruire una nuova base per
le relazioni fra i paesi europei, tale che il superamento degli eterni conflitti politici e
sociali potesse finalmente divenire realtà. A conferma di tale tesi si può osservare il
successo del trattato di Parigi del 1952 che istituisce la Comunità Economica del
Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Alla base dei principi monnettiani vi era l’idea di un effetto spill-over
nell’integrazione; gli interventi nell’ambito dell’economia si sarebbero trasmessi
inevitabilmente anche in altri campi decisionali, i quali successivamente si sarebbero
tradotti (attraverso esternalità positive) in azioni derivate, in favore quindi di una
maggiore integrazione politica. Ciò in contrasto con l’idea dei federalisti, secondo
cui solo con l’azione politica si sarebbe potuta raggiungere un’unione federale fra gli
Stati europei. Con il metodo neofunzionalista non veniva abbandonato tale ambizioso
obiettivo, ma lo stesso, era solo differito nel tempo attraverso un percorso a tappe
che partendo dall’integrazione economica avrebbe portato a quella politica. Il modo
migliore per raggiungere tale risultato quindi, consisteva nella creazione di agenzie
sovranazionali con il compito di risolvere problemi tecnici estesi oltre i confini
nazionali. La creazione di tali organismi e l’iniziata cooperazione in determinate
aree, avrebbe poi manifestato la necessità di estendere la stessa anche ad aree
collegate, avviando un processo che si sarebbe concluso con una trasformazione
prima e l’abbandono poi del concetto di Stato nazionale.
Il metodo neofunzionalista venne affiancato da altre correnti di pensiero, quale quella
dei funzionalisti i quali sottolineavano la necessità di partire dalla sfera di azione
economica per la costruzione di un’area di libero scambio, senza trascendere lo Stato
nazionale; per i confederalisti invece l’obiettivo della creazione di un’area di libero
scambio era complementare alla ricostruzione prima, e allo sviluppo poi delle
identità nazionali, mentre i federalisti, come affermato in precedenza, sottolineavano
la necessità di abbandonare il concetto di Stato nazionale in favore di quello unico
federale europeo attraverso mirati interventi politici.
Fra queste quattro correnti di pensiero sinteticamente descritte e semplicisticamente
classificate emerse come già ricordato quella neofunzionalista, che segnerà le
principali tappe dell’integrazione europea; è quindi opportuno ripercorrere le stesse e
28
verificare se l’abbandono delle monete nazionali, in favore di quella unica è stato un
punto di arrivo dell’integrazione economica o se è semplicemente superamento di
uno dei tanti ostacoli che si frappongono alla nascita della nazione unica europea,
fondata sui principi di libertà e di democrazia ed alla creazione del popolo europeo
fondato sul rispetto dei diritti e delle libertà altrui.
Con il procedere del processo di integrazione, si è assistiti ad un livellamento delle
differenze istituzionali, economiche, commerciali e finanziarie nei paesi dell’Unione
Europea a partire dai Trattati di Roma e Parigi, passando per gli accordi sulla tariffa
comune, lo SME, l’Atto Unico fino ad arrivare al Trattato di Maastricht, di
Amsterdam, di Nizza e alla predisposizione della Costituzione Europea. Il processo
descritto equivale ad un rafforzamento interno, che è stato affiancato da uno esterno,
rappresentato dall’adesione di nuovi Stati membri ai sei fondatori.
Infine, è importante sottolineare come il concetto di Europa unita affonda le sue
radici nella storia del vecchio continente, e proprio l’individuazione della nascita di
tale concetto rappresenterà il punto di partenza della analisi che seguirà nelle
prossime pagine.