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Premessa
Le grandi città e le aree metropolitane negli ultimi decenni stanno subendo, in
un ambito di trasformazione post-industriale, profondi mutamenti, sia a livello di
società urbana che di ruolo e immagine, in un panorama sempre piø globalizzato.
Vengono frequentemente in rilievo, di conseguenza, valori immateriali, come
la cultura, il ‘ben-essere’, l’identificazione, la partecipazione e il coinvolgimento
nella ‘cosa pubblica’.
Le implicazioni derivanti da queste macro e micro-trasformazioni richiedono
strumenti, competenze e strategie capaci di canalizzare le sinergie presenti sul
territorio per far fronte ai nuovi bisogni e alle nuove attese della comunità di
riferimento. Sfide che richiamano anche la concorrenza internazionale tra realtà
territoriali, come fenomeno di livello globale.
La capacità (e la volontà) di gestire gli imprevisti e le opportunità in ambiti di
policy legati al territorio diventa, in un approccio non tanto atomista, ma piuttosto
sistemico, essenziale per la ‘buona riuscita’ di un qualche evento occorrente.
In quest’ottica l’evento non è considerato come qualcosa di casuale o fortuito,
ma, piuttosto, come una vera e propria risorsa a disposizione dei policy-makers,
oltre che come strumento strategico e di pianificazione, progettazione,
realizzazione, gestione nell’ambito del processo decisionale riferito ad azioni
socialmente rilevanti.
La scelta di focalizzare la mia analisi sullo studio degli eventi è legata
principalmente alla relazione, sempre piø evidente, tra questi e le politiche
pubbliche.
L’interesse sul tema ha sviluppato una serie di possibili domande di ricerca:
- Come spiegare che, nonostante gli eventi (in particolare grandi-mega-
globali) risultino avere esiti tutt’altro che scontati, la domanda da parte
delle realtà territoriali (locali, nazionali) per ospitarli sul proprio territorio
risulta comunque costantemente in crescita?
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Difatti, a fianco di eventi ritenuti unanimemente esempi di successo, come il
caso Barcellona ’92, ve ne sono molti altri con risultati dubbi, se non negativi.
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- Cosa fa sì, quindi, che un evento sia considerato un successo o, al
contrario, un insuccesso?
La risposta piø logica e immediata sarebbe: le sue modalità di realizzazione e
gestione, nonchØ il suo impatto sul territorio di riferimento.
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- PerchØ allora non considerare la realizzazione/gestione dell’evento alla
stregua di una risorsa strategica per quel territorio? E se sì, è lecito
ritenerla uno strumento a disposizione di attori politici, decision makers e
policy-makers istituzionali (e non)?
Guala afferma che i mega-eventi, come altre tipologie di eventi: “sono
collocati all’interno di una nozione piø ampia di eventi pubblici (public events),
nei quali entrano in gioco originariamente temi quali nazionalismo, società civile,
imperialismo economico e culturale, fino alla situazione attuale, dominata dal
peso delle politiche urbane e dalla dimensione mediale” e considera gli eventi
pubblici stessi alla stregua di ‘fenomeni sociali pluridimensionali’ (C. Guala,
2002: 751).
- Quale collegamento, in riferimento agli eventi (pubblici) e alle dimensioni
di politics e policy, è lecito ipotizzare con le politiche (locali e non)
sociali, culturali, occupazionali, assistenziali, relative alla salute (sistema
sanitario) ed al benessere pubblico (welfare), ecc.? E quale con la sfera
politica? Quali effetti hanno gli eventi su tali politiche pubbliche e sul
territorio?
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Come ad esempio Atlanta ’96 e Calgary ’98 (C. Guala, 2002: 747).
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Altro fattore importante risulta essere la preparazione degli addetti ai lavori che si basa
principalmente su comparazioni, studio di casi e di best practices con l’intento di rilevarne punti
di forza e di debolezza, in un’ottica di riduzione del rischio e di prevenzione di possibili errori.
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Alcuni autori si soffermano sulla dimensione politica, sempre maggiore, che
caratterizza i grandi eventi in anni recenti.
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Essex e Chalkley (citati da Guala, op.cit.: 746) dal canto loro sottolineano gli
effetti simbolici, culturali e politici, degli eventi, di opere pubbliche e monumenti:
“manufatti urbani e monumenti diventano simboli perenni di un evento o di un
luogo: la Torre Eiffel, costruita in occasione del primo centenario della
rivoluzione francese, è un’eredità della Exhibition del 1889 (oltre trenta milioni di
visitatori); lo stadio di Wembley è un’eredità della British Empire Exhibition del
1924-1925, visitata da oltre 27 milioni di persone” (Chalkley e Essex, 1999).
- Sulla base di queste prime considerazioni, alla luce di tutto ciò e delle
implicazioni che potrebbero derivarne, è ancora lecito, quindi, considerare
gli eventi come semplici (in senso lato) manifestazioni, celebrazioni,
accadimenti estemporanei fini a se stessi, quindi da considerare come un
‘prodotto’, e affidarne la loro realizzazione e gestione ai soli studi specifici
in campo economico-aziendale e di marketing (event-management,
marketing territoriale) e l’analisi-valutazione agli studi economici di
settore (sport, cultura, spettacolo, ecc.)? Oppure è possibile ipotizzare uno
studio piø approfondito di tali aspetti e della relazione tra evento e policy?
- E’ lecito, infine, analizzare le sole implicazioni gestionali e i relativi
output e outcome senza soffermarsi sull’evento-oggetto della gestione
stessa, ovvero senza domandarsi cosa sia questa potenziale risorsa
strategica ipotizzata e cosa comporti l’utilizzo (o il non utilizzo) della
gestione della stessa come strumento a disposizione dei detentori del
potere decisionale?
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“Tale connotazione si è accentuata anche per le Olimpiadi, come dimostrano ulteriori riflessioni
sul coinvolgimento della Presidenza degli Stati Uniti nella organizzazione dei giochi “Made in
Usa” e nelle cerimonie di apertura (Gillespie, 2002)”. Riportato da Guala (ibidem: 745).
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Tuttavia, nonostante le suddette issue poggino su considerazioni tutt’altro che
irrilevanti, la stessa ipotesi di analisi degli eventi come oggetto di studio (Event
Studies) si è subito scontrata con l’inconsistenza epistemologica degli studi
dottrinali afferenti all’ambito di analisi e di ricerca specifico e, soprattutto, alla
relazione tra eventi e politiche pubbliche.
Come sottolinea Getz (2007) nel suo libro (uno dei pochi contributi sul tema),
si assiste a una proliferazione, negli ultimi decenni, di studi accademici e corsi ad
hoc sulla gestione degli eventi (event-management), sulle strategie di marketing
legate all’evento e al territorio (marketing territoriale); di conseguenza, vi è
un’imponente produzione non quantificabile di scritti e ricerche su casi specifici
(in particolare su grandi eventi come le Olimpiadi e le Expo), compresi manuali di
gestione, di marketing, di calcolo delle probabilità sull’occorrenza di un
determinato evento, di programmi statistici, di valutazione ed altro.
Nonostante ciò, quasi nulla è stato elaborato e pubblicato sull’evento come
oggetto di studio e di ricerca (tranne in campi specifici di determinate scienze
sociali, in particolare quelli della sociologia) e come ‘soggetto’ imprescindibile
degli stessi studi di gestione e di marketing dell’evento (e che ne motiva, tra
l’altro, la loro stessa esistenza). Inoltre Getz afferma che: “Se si tratta di reperire
materiale su festivals, celebrazioni, rituali, teatro, performances, sport e cultura,
ecc. (e in particolare sulla gestione (event-management) e sul marketing
dell’evento, ndr), si può essere sommersi dalla quantità di referenze su ciascuna
voce, ma se si tratta di reperire materiale sugli “Event Studies”: Buona fortuna!”
(Getz, 2007: Prefazione: XVII).
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L’autore ritiene irrinunciabile e improcrastinabile, visto il crescente interesse attorno al tema
negli ultimi periodi, lo studio teorico e dottrinale dell’evento stesso. Lo scopo primario del suo
libro sugli Event Studies, qui menzionato, è proprio quello di stimolare lo studio degli eventi e la
ricerca, in particolare in ambiti accademici.
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Condividendo la sua visione ho deciso di confrontarmi con un campo di studi
che risulta essere nuovo e per molti aspetti inesplorato, come quello degli Event
Studies, essendo cosciente da subito che l’analisi non potrà certo essere esaustiva,
ma sarà comunque un’occasione di riflessione sul tema.
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Introduzione
Ho preferito iniziare ad affrontare l’argomento sottolineando le difficoltà di
individuazione, interpretazione e definizione dell’evento come oggetto di analisi.
La stessa quotidianità può essere vista come un susseguirsi ininterrotto di
‘entità’ e ‘accadimenti’. La mia teorizzazione tende a illustrare come parte di tali
entità-accadimenti possa essere ricondotta, per circostanze che analizzeremo nel
proseguimento dell’analisi, alla categoria, per l’appunto, degli eventi (o ad una
concatenazione d’eventi) visti come esito di una serie di azioni, volontarie o
involontarie.
Risulta fondamentale, infatti, in un’ottica di studio e di analisi, riuscire ad
identificare, in questo flusso ininterrotto di accadimenti, cosa possa essere
considerato un evento e cosa non possa esserlo. Operazione, come vedremo,
tutt’altro che scontata. Il mondo degli eventi risulta, infatti, molto variegato e
complesso.
Gli eventi sono soggetti a molte variabili: possono essere palesi oppure no,
attesi o inattesi, previsti o non previsti, graditi o sgraditi, comminati o subiti,
pecuniari o gratuiti, percepiti o non percepiti, casuali oppure no e ancora, mega o
micro, locali o globali.
In un’ottica semplificatrice la nostra quotidianità e, di conseguenza, la nostra
percezione della realtà, può essere considerata metaforicamente come la ‘cartina
tornasole’ di una qualche sequenza di eventi, accadimenti e valori simbolici che
inevitabilmente ci coinvolgono in quanto membri di una comunità sociale.
L’evento in questa sede è visto sia come risultanza-esito di una serie di azioni
(istituzionali, sociali, ecc.), che come propedeutico ad una serie di azioni
conseguenti, ovvero come fautore del palesarsi di una qualche eventualità
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(conseguenza). In un certo senso può essere considerato sia oggetto, che soggetto
di analisi.
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In questa visione ampia dell’evento alcuni autori inseriscono, pur se di primo
acchito potrebbe risultare incongruo, anche edifici, grandi opere e in generale:
“Importanti opere pubbliche, o manufatti urbani di pregio, tali da ridefinire il
disegno urbano e l’offerta di una città: non sono propriamente eventi (o per lo
meno non lo sono per la rappresentazione abituale di essi, ndr), ma hanno effetti
non molto diversi” (Gospedini, 2002, riportato da C. Guala, 2002: 751).
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Riprendendo quanto afferma Guala: “In questa proposta emerge quindi anche
la considerazione di grandi opere, le cui implicazioni economiche, turistiche e
sociali vengono assimilate ad un vero e proprio evento: grandi ristrutturazioni
urbane, musei e ponti…sono dunque in qualche modo eventi” (ibidem: 752).
Seguendo questo principio anche i monumenti simbolo e le modificazioni
urbane, che inequivocabilmente caratterizzano le città e definiscono il territorio
come esito di sovrapposizioni di eventi e azioni pregresse venutesi a consolidare
contribuendo, quindi, a costruire l’immagine attualmente percepita di tali luoghi,
rientrerebbero in qualche modo nell’ambito degli eventi.
Inoltre l’evento può, come vedremo, incidere sulle stesse politiche urbane e
territoriali, fino a modificarle.
- Il primo capitolo è dedicato all’analisi dell’evento, alla sua ‘valenza
storica’ e alle motivazioni che mi hanno portato ad assumerlo come
oggetto di studio e di analisi della sua relazione con le politiche pubbliche.
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“Evento deriva da e-ventum (da e-evenire). E’ il risultato di un divenire, un movimento, una
dinamica per cui qualcosa viene fuori, viene alla luce e in luce”. “Un oggetto e un soggetto si
esprimono, si comunicano, si manifestano. Percepiamo e comprendiamo l’evento come
manifestazione di qualcosa (l’oggetto), di qualcuno attraverso qualcosa (il soggetto attraverso
l’oggetto” (Argano et al., 2005: 21).
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Guala, ad esempio, inserisce nella sua “Proposta per una tipologia di grandi eventi” anche:
Alexanderplatz (Berlino), Millennium Dome (Londra), Guggenheim (Bilbao), Ponte Vasco Da
Gama (Lisbona), recupero dei waterfronts (Baltimora, Barcellona, Genova). (Ibidem).
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In questa visione l’evento risulta un potente strumento strategico in mano ai
decision-makers locali (e non).
Uno strumento strategico ‘potente’ in quanto può dare o togliere (o negare)
identità a un luogo, territorio o comunità. Può agevolare o contrastare il progresso
e la conoscenza (vista come un bene comune), sfruttare oppure no le potenzialità
presenti sul territorio, le opportunità di altri eventi occorrenti (in una sorta di
flusso ininterrotto d’eventi), agevolare oppure no l’apprendimento e,
naturalmente, essere un ‘prepotente’ strumento di propaganda politica e di
distribuzione del potere.
Uno strumento-risorsa le cui conseguenze della sua gestione sono appunto
percepite attraverso gli accadimenti presenti nella nostra quotidianità, con
ripercussioni sociali, economiche, culturali, tutt’altro che trascurabili (conflitti,
scioperi, disoccupazione, diseguaglianze sociali, ecc.).
Da ciò risulta chiaro come, in un’ottica di ‘sfruttamento’ dell’evento come
strumento-risorsa strategica di policy per scopi e fini predeterminati, l’evento
possa essere individuato oppure no, ma soprattutto costruito e quindi pianificato,
progettato, realizzato e gestito attraverso un processo decisionale.
- Il secondo capitolo è dedicato alla gestione dell’evento e alle
problematiche inerenti.
Quindi considerando gli eventi anche come simbolo caratterizzante di un
territorio è possibile ipotizzare che siano proprio questi a rendere identificabile
una realtà urbana; in particolare che sia la considerazione degli stessi da parte dei
vari stakeholders, e soprattutto (di conseguenza) le modalità di organizzazione,
realizzazione, gestione degli eventi in ambiti di policy da parte degli attori sociali
(e quindi dei policy-makers e policy-takers, siano essi pubblici o privati, degli
organi burocratici e politici, delle associazioni, aziende, agenzie ed imprese,
ovvero di tutta la comunità di riferimento) a rendere sostanzialmente intelligibile
una determinata realtà territoriale, della quale la denominazione ufficiale
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risulterebbe, in un certo senso, consequenziale e funzionale all’identificazione
univoca della stessa.
La gestione dell’evento può essere, inoltre, una formidabile risorsa (sociale,
culturale ed economica) per una comunità o un territorio, a patto che se ne
abbiano le conoscenze e competenze adeguate.
In questo caso la stessa risorsa-evento diventa strumento di concorrenza
territoriale, locale, nazionale e in particolare internazionale. Concorrenza sempre
piø agguerrita, con lo scopo di acquisire prestigio (e potere) e di conseguenza
attrarre sempre piø risorse (turismo, industria, ecc.; ma anche consenso politico ed
elettorale). Ne è un valido esempio la sempre maggiore richiesta da parte dei
territori (e, di conseguenza, delle nazioni) di grandi (mega) eventi, ovvero di
eventi globali.
- Il terzo capitolo è dedicato all’evento visto come risorsa strategica e alle
questioni inerenti sia l’organizzazione delle event-policy, la realizzazione e
gestione dell’evento che la relazione tra il territorio e gli eventi (in
particolare grandi-mega-globali).
In quest’ottica (e teorizzazione) risulta evidente come l’evento, per le
implicazioni di policy che la sua pianificazione e realizzazione può comportare in
ambiti socio-culturali e territoriali specifici (e in particolare le modalità di
gestione e organizzazione, le motivazioni sottostanti, ma anche la loro non
rilevazione e non gestione) non possa essere considerato come una mera
manifestazione fine a sØ stessa (sia essa sportiva, musicale, artistica, espositiva,
ecc.) e tanto meno individuato esclusivamente come un accadimento di rilevanza
esclusivamente economica.
Queste manifestazioni (che si manifestano, nel senso che sono accadimenti)
rientrano indubbiamente nell’ambito degli studi economico-aziendali, dell’event-
management e del marketing, ma un’analisi attenta e approfondita dell’evento
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come entità-oggetto di studio e come risorsa strategica (nonchØ come strumento
di policy)
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non potrebbe concludersi con essi.
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Ma anche come ‘costrutto sociale’, v. Getz (2007: 11).