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dell’importanza del bene di cui si parla, ossia la vita dell’uomo,
quando si è ormai avviata verso l’epilogo.
Il tema dell’eutanasia, dunque, divide le coscienze,
mettendo alla prova la capacità di prendere posizioni nette in
proposito e scuotendo la professata laicità dello Stato .
La forma dell’eutanasia che anima il dibattito etico -
giuridico, è da ricondursi alla eutanasia c.d. individualistica, che
consiste nel dare la morte a chi è affetto da sofferenze terribili a
causa di una malattia irreversibile.
A lasciare questo mondo è, quindi, un singolo individuo e
la drammatica scelta si consuma interamente sulla
considerazione della persona umana, della sua libertà e della sua
dignità.
Il movente di pietà è posto al centro della fattispecie, in
quanto chi provoca la morte altrui lo fa perché mosso
dall’intento di sottrarre il malato al prolungarsi di una
condizione atroce, insopportabile ed irrimediabile, sicché il dare
la morte vuol dire soltanto anticiparla di poco e renderla,
appunto, indolore.
Queste precisazioni introducono alcuni tasselli utili al fine
di dare una definizione al fenomeno eutanasico, poiché aiutano
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l’interprete a comprendere in quale fase e in quale momento
specifico l’eutanasia, oggi, debba essere collocata.
La prima difficoltà che incontra chi intende trattare la
tematica sotto un profilo giuridico è data dall’assenza di una
specifica regolamentazione legislativa, che impone di far
riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento
espressi dalla Carta costituzionale e ad ipotesi diverse e più
generali previste dal codice penale.
L’eutanasia, dunque, è attualmente un fenomeno estraneo
al dato positivo, la cui ricostruzione giuridica dipende dalla
particolare posizione che ogni operatore assume a monte delle
implicazioni sottese all’argomento.
Sinteticamente ed in via introduttiva, è possibile anticipare
come il contrasto fondamentale sia tra coloro i quali prediligono
un approccio tradizionale rigidamente fermo sulla illiceità di
ogni forma di eutanasia, e coloro i quali, spinti dall’onda del
progresso tecnologico, che finisce con il condizionare anche la
durata della vita umana, hanno un atteggiamento propenso a
talune forme eutanasiche.
Al fine di ordinare sistematicamente la trattazione,
verranno dapprima formulate alcune considerazioni a carattere
-Eutanasia e Testamento Biologico-
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generale che si pongono quali necessarie premesse per una più
chiara comprensione del fenomeno.
Procedendo, quindi, con l’analisi del fenomeno eutanasico
e con le risposte che esso trova nell’ordinamento giuridico
italiano, l’assenza di un preciso riferimento normativo porterà
alla individuazione di alcuni principi che rappresentano, allo
stato attuale, l’unico parametro attualmente utilizzato per
cercare di dare al problema una sistemazione quanto più corretta
possibile.
Si vaglierà, quindi, la distinzione tra eutanasia diretta e
indiretta, a seconda che la morte derivi come effetto primario,
ovvero soltanto secondario, dal comportamento del medico o di
chi si proponga di alleviare le sofferenze del malato.
Altro discrimine, anch’esso di grande rilievo, di cui ci si
occuperà, è segnato dalla distinzione tra la c.d. eutanasia attiva e
quella passiva, a seconda che la morte del malato derivi da un
comportamento commissivo di chi lo cura o, piuttosto, da una
sua omissione.
Nella seconda parte della trattazione, al fine di rendere un
quadro completo della problematica, si esamineranno alcune
pronunce della giurisprudenza interna, analizzando, poi, la più
nota e rilevante giurisprudenza di common law, nonché le scelte
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di altri ordinamenti Europei, tra cui quella dell’Olanda che, con
l’approvazione della legge 137 del 10 aprile 2001, è divenuto il
primo paese europeo a prevedere e disciplinare la possibilità che
un medico pratichi l’eutanasia.
La legge olandese, tra l’altro, ha riaperto, proprio nel
momento in cui si scrive, lunghe e instancabili polemiche,
facendo riemergere tutti i vecchi argomenti pro e contro
l’eutanasia.
Infine, si affronterà la problematica del testamento
biologico, anche definito testamento di vita, traducendo in modo
maggiormente pedissequo l’espressione anglosassone living will
- documento scritto finalizzato a garantire il rispetto della
propria volontà in materia di trattamenti terapeutici
(somministrazione di farmaci, sostentamento vitale,
rianimazione, etc.) nell’infausta eventualità che in futuro si
perda la propria capacità di autodeterminazione.
Col presente lavoro ci si propone, in sostanza, di chiarire
la qualificazione che spetta al fenomeno eutanasico alla stregua
dell’ordinamento attuale e futuro e, quindi, quali ne siano i
limiti di liceità.
Si intende, cioè, esaminare se la liceità della c.d. morte
pietosa possa derivare dal bilanciamento con altri interessi,
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costituzionalmente rilevanti, che si possono contrapporre al
diritto alla vita, neutralizzandolo.
L’eutanasia a seguito di un consenso manifestato da chi
altro non è se non un agonizzante, oppure prima della malattia,
attraverso il c.d. testamento biologico, è da ritenersi lecita?
È questo l’interrogativo - guida del presente lavoro a cui,
pur consapevoli della difficoltà e della delicatezza della
problematiche ad esso sottese, si auspica di fornire una risposta
il più possibile esaustiva.
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CAPITOLO I
EUTANASIA: IL TENTATIVO DI RAZIONALIZZARE UN
PROBLEMA DI COSCIENZA
1. Per una comprensione del fenomeno
L’interesse per la tematica dell’eutanasia è tale da
coinvolgere non solo il giurista - chiamato a definire i margini
di liceità o di illiceità del momento patologico della vicenda -
ma molteplici settori delle scienze umane, quali l’etica, la
filosofia, la religione e la medicina che convergono nell’ambito
interdisciplinare della bioetica
1
.
1
Pare opportuno precisare che parlando di bioetica ci si riferisce a quella materia il cui oggetto è
lo studio della condotta umana nell’area della scienza della vita e della cura della salute, alla luce
dei valori e dei principi morali ( DI MARZIO, Bioetica cattolica e laica: una contrapposizione da
superare, in Diritto di famiglia, 2002, 1, p. 101).
Le radici ideologiche della bioetica affondano nelle tragedie della seconda guerra mondiale che,
stimolando le coscienze alla riflessione, comportarono l’esigenza di individuare i diritti
inderogabili di ogni uomo, sfociando in numerosi Documenti di organismi internazionali che
hanno contribuito a creare una normativa sulla tutela dei diritti umani.
La bioetica è, quindi, una scienza abbastanza recente sviluppatasi come movimento intorno agli
anni sessanta a partire dagli Stati Uniti d’America e la cui attualità è anche da riportarsi al
vorticoso sviluppo della medicina che, consentendo all’uomo di intervenire sulla vita in un modo
mai realizzato prima , ha fatto emergere l’esigenza di un’analisi etica delle questioni mediche.
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Ciò è immediatamente comprensibile se si considera che
oggetto del tema è il bene più importante che ogni scienza possa
analizzare e tutelare, ossia la vita umana e, in particolare, quella
fase avanzata di essa che l’avvia irrimediabilmente verso
l’epilogo.
Lo sviluppo delle tematiche coinvolte dall’eutanasia si
profila, inoltre, inscindibilmente legato ai progressi compiuti
dalla tecnologia medica , la quale, giunta ad allungare
fortemente la durata dell’esistenza di soggetti in situazioni
cliniche compromesse, pone interrogativi etici di difficile
risoluzione che riverberano nel diritto con tutte le loro
incertezze
2
.
Gli straordinari progressi compiuti dalla medicina - che si
possono simbolicamente indicare nelle tecniche di rianimazione,
nella dialisi, nei trapianti degli organi e nel polmone artificiale -
permettendo di ritardare il momento della morte, hanno dato
luogo ad interrogativi morali, la cui risoluzione è resa ancora
più ardua dalle conseguenze previste dalla legge e da talune
norme deontologiche insufficientemente attualizzate.
2
CASSANO, Accertamento terapeutico ed atti eutanasici, in Riv. pen., 2002, p. 947.
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Il dibattito sull’eutanasia, irrimediabilmente condizionato
da principi etici e religiosi, si presenta in Italia notevolmente
arretrato rispetto a quanto avviene in altri ambiti geografici e
culturali , nonostante sia innegabile l’esistenza di un movimento
di opinione di crescente intensità che esorta ad un’oculata
valutazione del fenomeno.
La questione, pertanto, necessita di essere analizzata nelle
diverse espressioni in cui può prospettarsi, non potendo essere
accantonata facendo leva esclusiva sulla doverosità
dell’impegno familiare, sociale, psicologico e medico al fine di
ostacolare le condizioni del suo manifestarsi
3
.
Questi aspetti che, seppur importanti perché espressione
della necessità di un atteggiamento solidaristico nei confronti
del malato, non possono tuttavia servire a rimuovere il
problema, il quale è complicato, tra l’altro dall’assenza di una
disciplina specifica e certa.
Il problema esiste e come tale, nonostante l’illusorietà di
analisi asetticamente tecniche e scevre da influssi di ragioni
morali
4
, non va rinnegato ma affrontato nella sua complessità.
3
STORTONI, Riflessioni in tema di eutanasia, in Eutanasia e diritto. Confronto tra discipline, (a
cura di) CANESTRARI, CIMBALO, PAPPALARDO, Torino, 2003, p. 86.
4
GIUNTA, Diritto a morire e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 74.
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1.1. L’esigenza di una demarcazione concettuale
Il tema dell’eutanasia presenta un primo profilo di
complessità già in relazione alla definizione del fenomeno,
considerato che il termine “eutanasia” in sé non ha un valore
semantico univoco.
In prima battuta, complessa appare quindi l’ esatta
individuazione del significato che si deve attribuire al termine.
Il tentativo di dare all’eutanasia una definizione il più
possibile universale –indice immediato dell’entità del contrasto
di opinioni tra gli studiosi - si rivela arduo nella sua pretesa ma
necessario per delimitare il fenomeno entro i suoi reali confini,
onde evitare di comprendervi fenomenologie che gli sono state
assimilate, seppur non perfettamente coincidenti.
La difficoltà nell’individuare l’esatta portata del termine in
questione è sicuramente acuita dall’assenza, nel nostro
ordinamento, di una definizione giuridica che sia, in quanto tale,
in grado di identificare ed esprimere una fattispecie tipizzata in
termini rigorosi.
La mancanza di una specifica regolamentazione legislativa
in materia di pratiche eutanasiche, se da un lato impone di far
riferimento, in primis, ai principi fondamentali sanciti a livello
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costituzionale, (artt. 2, 13, 32 Cost.), dall’altro comporta
l’esigenza – non sempre opportuna- di trovare similitudini con
le fattispecie disciplinate dal codice penale, al fine di colmare le
vistose lacune.
L’eutanasia, dunque, pur essendo un fenomeno estraneo al
diritto positivo, di volta in volta si profila suscettibile di
inglobarsi all’ interno di fattispecie dotate di rilevanza penale
5
.
Le motivazioni che, verosimilmente, stanno alla base
dell’assenza di una specifica regolamentazione del fenomeno
sono da ascrivere alla delicatezza della questione che divide le
coscienze e mette a dura prova la capacità degli organi preposti
a prendere posizioni nette tra una visione sacrale dell’esistenza
umana e una concezione legata alla qualità della vita ed esaltante
l’autonomia dell’individuo
6
.
Nel suo significato etimologico e letterale, il termine
“eutanasia” - formato dalle due parole greche “eu” (buona) e
“thanatos” (morte) – richiama ad una “morte dolce” o “morte
buona”, ravvisata già dallo scrittore latino Svetonio “in un
processo del morire privo di dolore e sofferenze”.
5
GALLI, art. 579, in Codice Penale commentato, parte speciale, ( a cura )di Marinucci-Dolcini,
Milano, 1999.
6
GIUNTA, Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione problematica, in Riv. It. dir.
proc. pen, Milano, 1997, p.74 ss.
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L’ utilizzazione odierna del termine – va subito precisato-
si rivela molto lontana dall’origine etimologica.
Oggi, infatti, con la parola “eutanasia” non si intende più
indicare l’evento della morte ma l’atto che dà la morte e,
dunque, l’uccisione.
Questa differenza sostanziale comporta che il termine,
nella sua etimologia, abbia perso la sua attitudine nel propagare
indicazioni in ordine al fenomeno oggi designato con il suo
utilizzo, che, nella sua genericità, si identifica con il determinare
la morte di qualcuno per porre fine alle sue sofferenze.
Se il valore etimologico del termine, ci dice soltanto della
natura indolore e serena del trapasso, è solo l’indagine sull’uso
articolato e polimorfo che se ne fa nella pratica a porne in
rilievo la complessità e la contraddittorietà delle soluzioni, di
volta in volta, adottate.
Ritornando, ad ogni modo, all’ originaria connotazione
positiva del termine in discorso, deve rilevarsi la sua
introduzione nel linguaggio medico agli inizi del secolo XVII
dal filosofo Francesco Bacone, il quale, in un passo de “La
dignità del progresso del sapere divino e umano” esortava i
medici ad aiutare il morente alleviandone il dolore per rendere la
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morte comunque buona, anche se non sopraggiunta
naturalmente.
Al celeberrimo filosofo si deve, quindi, il duplice merito di
avere coniato la parola “eutanasia” nell’ambito medico e di
averne specificato la finalità altruistica.
Invero, le motivazioni altruistiche che stanno alla base
della moderna concezione dell’eutanasia, non emergono dalle
fonti delle epoche più remote in cui essa era frequentemente
praticata.
Il fenomeno, infatti, si configura assai variegato giacché
assume connotazioni diverse a seconda del periodo storico di
riferimento e della relativa consapevolezza sociale della vita
umana.
Oggi, può affermarsi che l’eutanasia consista nel dare la
morte a chi è affetto da una malattia inguaribile e dolorosa, al
fine di abbreviarne le sofferenze.
Il movente è ispirato a sentimenti altruistici di solidarietà e
compassione che conducono ad agire per liberare i sofferenti da
straziante agonia, uccidendo per pietà
7
.
Bisogna, quindi, sgombrare il campo da altre specie di
morte provocata, raggruppate nelle pratiche eutanasiche ma che
7
PUCCINI, Istituzioni di medicina legale, Monza, 2003, p. 959.
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nulla hanno a che vedere con la vera eutanasia, oggetto della
presente trattazione.
Dunque, occorre guardare al passato ed evidenziare in che
termini l’eutanasia sia stata intesa storicamente.
Non risulta raro, a questo proposito, incontrare nella storia
episodi di uccisione di soggetti invalidi o deformi per scopi
legati ad oscene – ed assolutamente irriproponibili- concezioni
dello Stato in ordine alla razza, estrinsecate in uccisioni non
sempre indolori.
Emblematiche, a questo proposito, si rivelano le terribili
esperienze subite dall’umanità ad opera delle diverse dittature
succedutesi nei secoli e sfociate nell’uccisione di persone la cui
vita era ritenuta senza valore, non degna di essere vissuta o,
rectius, per cui non ci si poneva neanche un problema di dignità.
Molte correnti filosofiche dell’antichità furono favorevoli
all’eutanasia, a cui si diede attuazione facendo ricorso al veleno.
Presso alcuni popoli, addirittura, si teneva il veleno di
Stato a disposizione di chi volesse usufruirne per porre fine alla
propria esistenza quando si fosse tramutata in fonte di dolori
insopportabili.
Autorevole dottrina ha raggruppato, attorno al concetto di
eutanasia, svariati fenomeni definiti quali forme di eutanasia