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I. L’IDEA DI EUROPA FINO AL 1945: DOTTRINE,
IDEOLOGIE E TENDENZE POLITICHE
1.1. Pacifismo, federalismo, europeismo nell’era moderna
L’idea di creare una federazione fra gli Stati d’Europa è vecchia quasi
quanto gli Stati stessi e trova dal XVIII secolo in avanti, dei progetti costituzionali
di ampia portata.
A partire dal XVIII Secolo e per il secolo successivo, i progetti di
federalismo europeo e non, posso essere ricondotti al pacifismo giuridico
moderno, ovvero al filone di pensiero che rifiutava la guerra come modo di
risoluzione dei conflitti tra Stati e che riteneva una pace permanente come la
condizione maggiormente desiderabile e possibile: «soltanto attraverso il diritto e
le sue applicazioni [è possibile] addivenire a una pacificazione sempre più
efficace dei rapporti tra gli Stati»
1
.
Non si tratta di una vulgata teorica uniforme, piuttosto di una serie di
progetti individuali che hanno ispirato la creazione delle più importanti
organizzazioni internazionali del XX secolo, la Società delle Nazioni e le Nazioni
Unite. La scarsa notorietà della tradizione pacifista (ed in modo particolare dei
progetti di pace perpetua) è dovuta ai pregiudizi che la circondano, in primis
quelli legati alle accuse di essere progetti “utopici” e “visionari”, sebbene alcuni
di questi progetti siano precursori di diverse istituzioni e principi di cooperazione
moderni; tuttavia i progetti federali e confederali del XX Secolo – compresa la
creazione prima della CEE poi della UE - hanno un debito sostanziale con il
pacifismo de secoli precedenti.
1
REPETTI, R., Pace e organizzazione internazionale tra età moderna e contemporanea, in
BOTTARO PALUMBO, M. G., Gli orizzonti della pace. La pace e la costruzione dell’Europa.
1713-1995, Ecig, Genova 1995, 17
5
La contrapposizione con il realismo classico, che affermava l’ineluttabilità
“hobbesiana” della guerra
2
, ha penalizzato per molto tempo le istanze di pacifismo
e il bisogno di istituzioni che evitassero una forte conflittualità. Nella misura in
cui la garanzia della propria sicurezza provoca “l’insicurezza altrui e il prosperare
di conflitti”
3
, il pacifismo nasce come trasposizione dei metodi di regolazione del
conflitto in campo interno nella politica internazionale; in altri termini, se esistono
meccanismi che in un sistema politico regolano i conflitti tra individui, vi può
essere possibilità che ciò avvenga creando delle istituzioni internazionali, oppure
istituendo arbitrati preposti all’obbiettivo di risolvere una guerra.
Un reale dibattito sulla pace, emerse solo con il declino degli imperi e del
papato, che aprirono a una serie di guerre avvenute in Europa a partire dal XV
secolo. La ricerca di una stabilità internazionale al fine di ottenere un ordinamento
pacifico è stata un’esigenza che trova origine già dalla nascita degli Stati
nazionali. Lo Stato nazionale dell’epoca moderna ha come origine e come
destinazione la difesa della comunità dall’eventuale aggressione esterna. Ma la
ricerca della sicurezza per una nazione, corrisponde a un aumento di insicurezza
per le altre nazioni. La necessità di ricorrere sempre a nuovi strumenti bellici per
difendersi dalle aggressioni esterne ha avuto l’effetto di moltiplicare gli attacchi.
La filosofia della pace nasce quando quella della guerra ha dimostrato tutta
la sua impotenza per l’aumento qualitativo e quantitativo dei conflitti. Uno dei
progetti più importanti del programma dell’Illuminismo era quello di raggiungere
la pace, così filosofi, pensatori, uomini più o meno famosi scrissero una serie di
progetti di pace ispirati all’assunto che una volta create delle istituzioni interne
agli Stati per regolare i conflitti tra gli individui e farli uscire da un ideale stato di
natura, occorreva porre fine alle guerre creando un’istituzione internazionale
finalizzata a risolvere le guerre con arbitrati e accordi.
Il pensiero di Erasmo da Rotterdam – riferito soprattutto all’opera Il
lamento della pace
4
del 1517 - è improntato alla ricerca di una pace universale
2
Archibugi e Voltaggio utilizzano questo termine per definire l’idea di Stato nazionale
moderno, fondato sulla difesa della comunità da aggressioni esterne. ARCHIBUGI D.,
VOLTAGGIO F. (cur.), Filosofi per la pace, Editori Riuniti, Roma, 1999, XVI.
3
BOBBIO, N., Teoria generale della politica, Einaudi, Torino, 1999, 483
4
ERASMO, Il lamento della pace, Rizzoli, Milano, 2005
6
basata sul recupero di un cristianesimo evangelico, configgente con l’idea stessa
di guerra di religione: come già era emerso negli "Adagia", lo smascheramento
delle nefandezze della guerra andava di pari passo con la perorazione degli
insegnamenti di pace del messaggio evangelico. In linee generali, le
considerazioni sulla pace del pensatore olandese, si articolarono nella ricerca di
un’unità dei cristiani nell’avversione alla guerra e nella regolamentazione dei
rapporti internazionali e diplomatici. Questo punto è quello al quale possono
essere ricondotti i progetti successivi volti a delineare la presenza di un’autorità
sovraordinata agli Stati nazionali.
Diversi furono i progetti di pace perpetua vergati nel XVII e XVIII secolo,
che valsero ai loro autori le definizioni di “utopisti” e “visionari”, sebbene le loro
opere contenessero alcuni progetti in seguito più compiutamente realizzati come
la Società delle Nazioni e il Parlamento europeo.
Importante, sotto questo aspetto, è l’opera del francese Emèrie Crucè,
pubblicata nel 1623 col titolo: Le nouveau Cynèe. In quest’opera dedicata ai
monarchi e ai principi sovrani, il Crucè suggeriva, per abolire la guerra, di
«designare una città dove tutti i sovrani avessero perpetuamente i loro
ambasciatori, affinché le controversie che potessero sorgere fossero risolte dal
giudizio di tutta l’assemblea»
5
. Come sede di questa corte permanente egli
proponeva Venezia per la sua neutralità e per la sua centralità. Tutti i sovrani e i
paesi del mondo avrebbero dovuto esservi rappresentati: il Papa, l’imperatore dei
Turchi, la Persia, la Cina, ecc. Per l’attuazione di questo disegno, l’iniziativa
avrebbe potuto essere presa dal Papa per i principi cristiani, e dal re di Francia per
i non cristiani.
Il disegno che il Duca di Sully, già ministro del re Enrico IV, attribuì a
questo sovrano dopo la morte di lui è riassunto nell’opera, pubblicata nel 1638
con il titolo: Mèmoires des sages et royales Oeconomies d’Estat, domestiques,
politiques et militaires de Henry le Grand. Il disegno differiva da quello di Crucè
perché mirava a costituire una confederazione di soli popoli cristiani, e nemmeno
di tutti. Questi vari Stati avrebbero dovuti essere sottoposti a un consiglio generale
5
Citato in DEL VECCHIO, G., Il diritto internazionale e il problema della pace, Editrice
Studium Roma, 1956, 39
7
di sessanta deputati, designati da ciascuno di essi in proporzione della loro
importanza. Si sarebbe dovuto cercare di rendere la potenza dei vari Stati
pressoché uguale, utilizzando anche strumenti bellici: il disegno ammetteva una
eventuale guerra di Enrico IV contro la potente casa di Asburgo e all’unione
pacifica era assegnato lo scopo finale di una guerra comune contro i Turchi, per
espellerli dall’Europa.
Il progetto dell’Abate Saint-Pierre
6
è da ritenersi un perfezionamento del
disegno di Enrico IV. Nella sua opera, il Saint Pierre formulò un progetto di
trattato fra i sovrani cristiani, con il quale essi si sarebbero obbligati, per sé e per i
loro successori, a rinunciare a risolvere le loro contese per la via delle armi,
ricorrendo invece alla mediazione degli altri alleati e, ove questa non avesse avuto
successo, a un giudizio arbitrale. Per indurre i sovrani ad assumere tale impegno,
il Saint-Pierre confidava sull’interesse personale degli stessi sovrani, che
avrebbero assicurato così i loro troni: il trattato sarebbe stato infatti una garanzia
reciproca di «sicurezza collettiva tra 19 potenze cristiane»
7
contro le rivoluzioni e
le guerre civili. A garanzia dell’equilibrio delle potenze europee, occorreva
costruire una “lega permanente” fra i principi, sul cui rispetto vigilasse un senato
europeo dotato di poteri legislativi ed esecutivi e che all’occasione potesse
disporre di poteri coercitivi nei confronti di un membro riottoso:
«Mi parve necessario cominciare con alcune riflessioni sulla necessità in
cui si trovano i sovrani d’Europa, come gli altri uomini, di vivere in pace, uniti
da qualche società permanente, per vivere più felici, sulla necessità in cui si
trovano di combattere guerre tra loro, per il possesso o la divisione di qualche
bene, e infine sui metodi di cui si sono serviti fino ad oggi, sia per evitare
d’intraprendere queste guerre, sia per non soccombervi quando sono state
intraprese»
8
.
I primi approcci europeisti, correlano dunque pacifismo e principio
federale, specie dopo la nascita degli Stati Uniti d’America che divennero u
6
IRENEE, C. I., Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe de l’Abèe de Saint-Pierre,
text revu par Simone Goyard-Fabre, Paris, Fayard, 1986
7
Ibid., 34 [trad. it. mia]
8
Ibid., 10 [trad. it. mia]
8
modello per molte di queste teorie; si tratterà di un tema annoso nella storia
politica delle istituzioni europee, che si evolverà nel corso degli avvenimenti di
quegli anni, dall’illuminismo alle rivoluzioni “nazionali” e l’affermazione del
nazionalismo nelle sue forme.
Jean Jacques Rousseau, fu il fautore di una critica radicale al sopracitato
“progetto di pace perpetua”, benché fosse anch’esso un estimatore del principio
federale: se occorreva una federazione di Stati allo scopo di mantenere la pace
9
. Il
nucleo analitico del filosofo francese era l’Europa intesa come una nuova “entità”
di tipo più culturale che politico.
Secondo Rosseau, i sovrani non adottarono il progetto a causa della loro
visione di dominio esterno: i vantaggi della guerra sono percepiti soprattutto in
termini di potere, dal momento che riducono quella dei nemici aumentando la
propria e rinegoziando le condizioni di potenza a proprio vantaggio; ciò non
sarebbe avvenuto nel caso di accordi commerciali, volti ad accrescere l’interesse
di vari attori. Un’altra considerazione del filosofo francese era assimilabile a una
critica al concetto di stato di natura del quale aveva già scritto Hobbes
10
. Per
Rosseau lo stato di guerra non si verifica tra “individui”, ma tra “soldati”; i primi
sono per natura timorosi e poco avvezzi all’aggressione e questo fa si che nello
stato di natura la violenza sia “casuale”, mentre solo una volta organizzati la
violenza si espleta nella dimensione dello Stato, regolato da leggi positive e non
naturali:
«L’instaurazione della pace perpetua dipende unicamente dal consenso dei
sovrani e non presenta altra difficoltà da superare oltre la loro resistenza. [...]
Senza dubbio non si può affermare che i sovrani adotteranno questo progetto
(chi può rispondere della ragione altrui?), ma solo che l’adotterebbero se
tenessero conto dei loro veri interessi; infatti va ben sottolineato che non
abbiamo supposto gli uomini come dovrebbero essere: buoni, generosi,
9
ROSSEAU, J. J., Scritti sull’Abate di Saint-Pierre, in ID., Scritti politici, a cura di M. Garin,
Laterza, Roma-Bari, 1994, 318 ss; «Questo governo [“federativo”], d’altra parte, sembra
preferibile a tutti perché include, a un tempo, i vantaggi dei grandi e dei piccoli Stati; perché può
incutere timore all’estero con la sua potenza; perché le leggi vi sono operanti ed è il solo
qualificato nella stessa misura per tenere a freno i sudditi, i capi, gli stranieri». (Ibid., 320)
10
HOBBES, T., Leviatano, Bompiani, Milano, 2004, cap. XLIV
9
disinteressati, amanti del pubblico bene per l’umanità; ma come sono: ingiusti,
avidi, portati a far passare il loro interesse avanti a tutto»
11
.
Rispetto all’idea di una federazione, Rousseau commentò il progetto
dell’abate, esprimendo il dubbio che i principi europei sarebbero mai stati pronti a
dar vita a una tale unione, che lui supponeva potesse realizzarsi solo attraverso
una rivoluzione.
1.2. Kant e la pace perpetua: un idea di federalismo
europeo
Le riflessioni di Immanuel Kant sono a tutt’oggi un caposaldo del pensiero
federalista europeo, ed hanno il grande merito di precorrere notevolmente alcune
delle istituzioni oggi presenti nella governance europea e mondiale. Il filosofo
tedesco scrisse in diverse sue opere dei problemi e delle idee inerenti alla pace e
alla guerra, ma in particolare viene ricordato per l’opera Per la pace perpetua. Un
progetto filosofico
12
, scritta nel 1795.
Lo scopo del trattato è quello di trovare una pace a livello mondiale, per
mezzo di un ordinamento giuridico che sanzioni l’idea stessa di guerra
13
. L’opera
è divisa in sei articoli preliminari e tre definitivi, un discorso sul come affrontare
un problema dirimente con l’obiettivo di porre fine in modo non tirannico alle
aggressioni fra potenze che sottoscrivano il suo trattato di non aggressione
11
ROSSEAU, J. J., Scritti sull’Abate di Saint-Pierre, cit., 346-347
12
KANT, I., Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2004
13
L’opera di Jeremy Bentham intitolata Il piano per una pace perpetua, può essere definita
come una vera e propria ispirazione per Kant, laddove postulava la ricerca della pace a partire da
un ideale cosmopolita ma basato sull’utilitarismo e la presenza di Trattati e autorità dotate di poteri
a livello di diritto internazionale: «Lo scopo del presente saggio è sottomettere al mondo un piano
di pace universale e perpetuo. Il Globo è l’area dell’influenza alla quale aspira l’autore – la
Stampa il suo strumento, e il solo al quale sia ricorso – il Gabinetto dell’Umanità il teatro della
sua trama». BENTHAM, J., Principles of International Law, Essay IV, 1789, cit. in SERRERI, P.
(cur.), La coscienza della pace, Cuen, Napoli, 1994, 76
10
permanente e reciproca, precorrendo di quasi 200 anni il futuro progetto europeo
della CED.
Il contributo fondamentale di Kant alle teorie federaliste – in particolare al
federalismo europeo - consiste dunque nell’aver per primo messo in relazione la
pace con il diritto cosmopolitico e la federazione mondiale; egli sostenne infatti
che l’unico modo per porre definitivamente fine alle guerre fosse quello di far
rientrare gli Stati nell’orbita del diritto: di fare cioè con gli Stati ciò che lo Stato
aveva fatto con gli individui per mezzo del contratto sociale.
Questo implicava la creazione di uno Stato mondiale, il quale doveva
essere una federazione, l’unico ordinamento cosmopolitico in grado di garantire la
libertà e di prevenire ogni forma di dispotismo.
Il contesto storico di Kant e la maggiore influenza sull’opera, è quella
dell’illuminismo, e tale influenza è visibile nel rigetto delle pratiche diplomatiche
e bellicistiche affermatesi nell’Ancien regime.
Kant era stato profondamente colpito dalla stipula del trattato di Basilea,
con il quale nel gennaio 1795 il governo prussiano aveva sospeso la guerra con la
Francia; Kant condannava inoltre la modalità del trattato, ritenendola illegittima,
in quanto non si trattava di ottenere la pace, ma soltanto una “sospensione delle
ostilità”: il nuovo clima politico lo portò ad esternare le sue idee rivoluzionarie
relative in primis ad una revisione del diritto internazionale, e, in secondo luogo,
alle condizioni necessarie all’instaurazione di una pace duratura.
Il trattato di Basilea però implicava anche conseguenze che Kant ripudiò
immediatamente, prima tra tutte la spartizione della Polonia ad opera del governo
Prussiano; negli anni della Rivoluzione francese, l’eco di quegli avvenimenti non
poteva non influenzare la riflessione kantiana, già orientata contro ogni forma di
dispotismo.
La prospettiva proposta da Kant nello scritto citato, era quella di un
possibile superamento del conflitto armato tra gli Stati attraverso una istituzione
di tipo sovranazionale, e si inseriva parzialmente in una lunga scia di progetti di
“pace perpetua” citati nel paragrafo precedente, con delle sostanziali differenze. Il
pensiero di Kant non rappresentava una semplice invettiva o una generica
dichiarazione d’intenti, ma un approdo ideale e desiderabile di progresso umano
11
espresso come “atto politico” mascherato dalla dicitura di “progetto filosofico”
14
,
e destinato ad un vasto pubblico:
«L’autore di questo scritto però (…) pone allora come condizione che anche
nel caso di un contrasto il politico si comporti nei suoi confronti in modo
conseguente e non subodori dietro le sue opinioni lasciate andare alla ventura, e
pubblicamente manifestate, alcun pericolo per lo Stato; è con questa clausola
salvatoria che l’autore si vuole allora sapere espressamente al riparo da ogni
malevola interpretazione»
15
.
In secondo luogo i temi proposti da Kant rappresentano a tutt’oggi un
esempio di attualità: per quanto risultarono inefficaci nel loro tempo, furono
riscoperti nel XX Secolo e hanno trovato parziale realizzazione nelle istituzioni
sovranazionali attuali. In Per la pace perpetua l’intento dell’autore è proprio
quello di considerare la riflessione sulla pace quale tema costitutivo della filosofia
politica, offrendo una soluzione che dopo aver assunto la guerra come dato non
naturale delle relazioni interstatuali va nella direzione di produrre «una qualche
forma di artificio in grado di dirimere le eventuali controversie tra gli Stati»
16
.
Kant sviluppa due concetti: la pace ed il progresso; l’uno appartiene alla
riflessione politica, l’altro a quella filosofica. Ciò postula che vi sia un legame, in
quanto la pace è l’approdo “illuministico” (e positivo) della storia e l’incontro tra
morale e diritto con effetti sulla politica.
Il progresso però è spesso lento e difficile, e nell’ambito internazionale,
Kant registra un deficit di affermazione del diritto, che determina come prima
conseguenza l’arretratezza nel percorso che conduce alla realizzazione di
14
Serreri ritiene che oltre allo scopo di evitare censure, il termine significasse la volontà di
formulare una “teoria risolutiva” rispetto al problema della pace, non una proposta tecnico-
giuridica riferita alla situazione europea. SERRERI, P. (cur.), La coscienza della pace, cit., 177-
178
15
KANT, I., op. cit., 43
16
LORETONI, A., L’ordine tra gli Stati: pace e progresso nella prospettiva kantiana, in
CHIODI, G. M.; MARINI, G.; GATTI, R. (cur.), La filosofia politica di Kant, Franco Angeli,
Milano, 2001, 60
12
istituzioni politiche sul piano internazionale
17
. La politica internazionale rimaneva
inscritta, così, in un ordine instabile, generalmente determinato dalla conclusione
di un conflitto (il riferimento è all’accezione negativa del concetto di pace), e per
questo continuamente rivedibile e modificabile.
La pace perpetua propone la risoluzione dei conflitti internazionali
similmente a quanto avviene in politica interna. Riconducendo la questione dello
Stato a posizioni contrattualistiche, e condividendo con un pensatore – per molti
altri versi opposto – come Hobbes la massima “homo homini lupus”, ovvero
l’idea che l’uomo sia portato spontaneamente al male, Kant ritiene che lo Stato
abbia il ruolo di controllo e riordino degli istinti, che sia un promotore della
cultura, della civiltà, del progresso, nonché dell’ordine. L’egoismo e l’istinto di
prevaricazione insito nella natura umana
18
, viene ricondotto alle leggi, frutto dello
stesso Stato che null’altro è se non un “patto tra individui”, un contratto. Il diritto
non opprime l’individuo ma lo frena, ne stimola la ragionevolezza e garantisce
stabilità nei rapporti sociali.
Questo discorso, secondo Kant, è trasferibile al livello dei rapporti tra
Stati: come gli individui si sono accordati fra di loro e hanno raggiunto la pace
attraverso lo Stato, così gli Stati – individui in grande - dovranno accordarsi fra
loro in una federazione per raggiungere la pace.
Lo stato di natura, la condizione naturale degli uomini, l’homo homini
lupus, che diventa bellum omnium contra omnes, ovvero guerra di tutti contro
tutti, può essere superato attraverso la nascita dello Stato sovrano
19
. Nel caso degli
individui in grande, la situazione “naturale”
20
di guerra si può superare grazie a
17
Per alcune considerazioni sull’opera di Kant e il suo pensiero pacifista, rimando alla
prefazione di Salvatore Veca in KANT, I., op. cit., 7 ss.
18
«Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato
naturale». Ibid., 53
19
CATTANEO, M. A., Dignità umana e pace perpetua: Kant e la critica della politica,
Cedam, Padova, 2002, 37 ss.
20
Kant osserva – non dissimilmente da quanto in seguito sosterranno i realisti in RI - come il
contesto internazionale sia «uno stato di guerra, ossia anche se non sempre si ha uno scoppio
delle ostilità, c’è però la loro costante minaccia». KANT, I., op. cit., 61