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1. Introduzione
Il presente lavoro si propone di offrire una rappresentazione ampia e dettagliata, benché non
esaustiva, delle narrative diffuse attraverso i media e i discorsi politici europei sui migranti e il
tema della migrazione. Ciò sarà utile al fine di comprendere quanto l’immagine che gli europei
hanno dei migranti sia prossima alla realtà dei fatti o, al contrario, quanto essa si discosti da
quest’ultima. Per narrativa qui si intende il frutto di un processo di rielaborazione nella
rappresentazione di un determinato soggetto o evento. A tale processo ci si riferisce
frequentemente nella letteratura anglofona con il nome di “framing”. Kovář (2019) lo definisce
come segue:
[…] the framing theory […] defines frames as schemes of interpretation whose central dimensions
are the selection, organisation and emphasis of certain aspects of reality to the exclusion of others. In
other words, framing is the process of selecting some aspects of a perceived reality and mak[ing] them
more salient in a communicating text, in such a way as to promote a particular problem definition,
causal interpretation, moral evaluation, and/or treatment recommendation” (p.5)
Dalla definizione sopra riportata si evince che la rappresentazione dei migranti, nei media o nei
discorsi politici, può discostarsi significativamente dalla realtà e influire notevolmente sulla
costruzione di opinioni e idee sui migranti e, più in generale, sulla percezione che ne ha il
pubblico. L’autore riconosce quattro funzioni principali dei “frames” che vengono a crearsi: essi
definiscono i problemi sulla base delle azioni di determinati soggetti, individuano le cause e le
forze che hanno originato il problema, producono giudizi morali offrendo valutazioni dei
soggetti, propongono soluzioni e strumenti con i quali attuarle. È importante notare che tali
narrative non sono parte dell’evento o del soggetto rappresentato in sé ma sono frutto di un
processo nel quale si possono riconoscere varie fasi. In una prima fase le élites costruiscono le
informazioni secondo alcuni “frames” o narrative, successivamente esse sono utilizzate e
riprodotte dai media. Infine, queste hanno un impatto sull’opinione del pubblico.
Si è scelto di analizzare le narrative prodotte da soggetti quali politici e media proprio per via
della loro importanza nel processo di “framing” e di costruzione dell’opinione pubblica. Tra il
mondo della politica e quello dei media si può riconoscere un rapporto di reciproca influenza.
Se in un primo momento è più probabile che sia la politica a generare le narrative attraverso cui
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interpretare eventi e soggetti, nelle fasi successive anche i media possono fornire nuovo materiale
per la costruzione delle stesse, ampliare o offrire supporto e diffusione a quelle esistenti.
È facilmente intuibile che i media possano avere la capacità di influenzare la percezione di
determinati eventi o soggetti da parte del pubblico. Negli anni, però, gli studi sulla
comunicazione si sono allontanati dalla concezione deterministica secondo la quale ad una certa
narrazione corrisponde una reazione del pubblico istantanea e in linea con essa. Piuttosto, la
ricerca si è concentrata sugli effetti dei media nel lungo periodo, al livello delle credenze e delle
rappresentazioni sociali, sull’intero sistema sociale più che sul singolo individuo. Coerentemente
con quanto appena riportato, gli studi nel campo si sono concentrati sull’esposizione prolungata
ai messaggi mediatici più che sulle singole campagne, considerando i mezzi di comunicazione
di massa come “sistema comunicativo globale” (Coluccia et al., 2008).
Riguardo al rapporto tra media e pubblico sono nate numerose teorie. Secondo la teoria
dell’agenda-setting (McCombs & Shaw, 1972), per esempio, gli individui costruiscono una
propria rappresentazione della realtà sia sulla base di esperienze e conoscenze dirette sia da ciò
che ricevono dal contesto sociale. I media spesso costituiscono il mezzo attraverso il quale il
pubblico acquisisce informazioni riguardo ad eventi e soggetti. Perciò essi sono in grado di
conferire maggiore importanza ad alcune informazioni rispetto ad altre, includendo o escludendo
alcuni temi.
in conseguenza dell’azione dei giornali, della televisione e degli altri mezzi di informazione, il
pubblico è consapevole o ignora, dà attenzione oppure trascura, enfatizza o neglige, elementi specifici
degli scenari pubblici. La gente tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media
includono o escludono dal proprio contenuto. Il pubblico inoltre tende ad assegnare a ciò che esso
include, un’importanza che riflette da vicino l’enfasi attribuita dai mass media agli eventi, ai problemi,
alle persone (Shaw, 1979).
Nono solo la scelta di includere o meno un tema, ma anche il modo in cui esso viene affrontato,
per esempio attraverso il linguaggio utilizzato, può influenzare la percezione del pubblico.
La teoria della “spirale del silenzio” di Noelle-Neumann (1974) sottolinea, oltre a quanto già
affermato dalla precedente, la capacità dei media di enfatizzare alcune posizioni o opinioni
rispetto ad altre. Così facendo i mezzi di comunicazione di massa sono in grado di veicolare
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l’opinione pubblica verso l’interpretazione desiderata fino a consolidarla. Al termine del
processo un punto di vista si impone come quello dominante. Tale teoria è particolarmente utile
per comprendere le relazioni che possono intercorrere tra mass media, esponenti politici ed
opinion leaders.
Il materiale d’uso della presente ricerca ha esposto numerose possibili suddivisioni delle
narrative riguardanti i migranti. Nonostante le varie tipologie di narrative siano fortemente
collegate tra loro, si è proceduto a suddividerle come segue. Il primo capitolo affronterà le
narrative che sono più vicine alla sfera della sicurezza, le quali presentano i migranti come
minaccia di tipo criminale. Il secondo, invece, espone le narrative che vedono i migranti come
una minaccia, rispettivamente, allo Stato, all’identità, all’economia e alla salute. In ultima analisi
verranno trattate le contro-narrative, ovvero le narrative che veicolano un’immagine dei migranti
diversa rispetto a quelle maggiormente diffuse.
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2. Migranti come minaccia alla sicurezza
Tra le narrative europee riguardanti i migranti, quella che sicuramente prevale ha a che fare con
il concetto di sicurezza. Infatti, nella maggior parte dei casi i migranti vengono percepiti dai
cittadini del paese che li “ospita” come una minaccia, molto spesso di natura criminale o
addirittura terroristica. Nel processo di associazione tra i concetti di migrazione e criminalità
assumono particolare importanza due soggetti: i media e i partiti politici. Le sezioni che seguono
hanno lo scopo di esplicitare come tale associazione viene costruita e quali conseguenze
comporta nelle società in cui essa si diffonde.
Successivamente si illustrerà il fenomeno nel quale tali narrative si inseriscono, ovvero la
securitizzazione, e se ne spiegherà il funzionamento. Si analizzeranno varie fasi ed elementi del
processo come il concetto di sicurezza ontologica applicata agli Stati, la retorica emergenziale e
quella umanitaria, le rappresentazioni della guerra contro l’immigrazione illegale.
In ultima analisi si cercherà di rendere conto della veridicità e dell’utilità di tali narrative e delle
conseguenze che hanno sui migranti stessi.
2.1 Migranti terroristi
All’interno delle narrative di criminalità in generale, se ne riscontra una che riguarda perlopiù i
migranti musulmani, rappresentati come terroristi. Questa risulta essere uno degli strumenti del
populismo. I partiti populisti
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, infatti, mentre aumentano i propri consensi in quasi tutti i paesi
europei, trovano nell’individuazione dei migranti come minaccia alla sicurezza un modo per
screditare i partiti attualmente al governo ed individuare un capro espiatorio, un nemico comune
verso cui indirizzare l’odio. Ne troviamo un esempio nel partito euroscettico e nazionalista del
Regno Unito UKIP, UK Independence Party. Quest’ultimo si è scagliato contro la classe
dirigente, criticandola per la sua gestione delle migrazioni e della questione integrazione,
coadiuvato da un’abbondante copertura mediatica della crisi dei rifugiati. I musulmani sono stati
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Per populismo qui si intende l’atteggiamento e la prassi politica diffusi recentemente in Europa che hanno come
scopo quello di rappresentare gli interessi del popolo esaltandone valori, sentimenti e desideri. Nella sua accezione
neutrale comprende tutti i partiti e movimenti politici che difendono gli interessi delle grandi masse contro quelli
delle élites, verso cui nutrono un disprezzo generalizzato. Nella sua accezione dispregiativa, invece, il termine sta
ad indicare un atteggiamento demagogico che tenta di accattivare il popolo per ottenere consenso politico e
popolarità attraverso la propaganda.
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definiti la “quinta colonna” della società britannica, rendendoli così una minaccia per la sicurezza
nazionale (Leidig, 2019). A titolo esemplificativo è importante riportare il testo di una email
scritta da uno dei leader del partito, Richard Braine, in cui i musulmani sono associati ai nazisti
e si nega qualsiasi possibilità di un islam moderato:
The nonsense of the moderate Muslim is trotted out repeatedly by so many people with good
intentions, but wilful ignorance of Islamic teaching. There is no moderate Islam. Get used to it. It’s a
fact. When people talk about moderate Muslims they are making an error. It is like saying Hitler
wasn’t such a bad fellow, quite a laugh actually, an entertaining speaker, a patron of the arts – he
loved Wagner – he made the trains run on time, and just look at his smart uniforms. It is to ignore
completely the ideology to which the person is religiously wedded. (Mason, 2019)
Dopo aver definito i musulmani come appartenenti ad una ideologia violenta per natura,
suggerisce ai cittadini quanto questi dovrebbero essere ospitali nei loro confronti: “You should
no more apologise for a moderate Muslim, and wish him to settle in your country, than you
should a moderate Maoist or Nazi”.
Affermazioni simili si possono trovare tra le parole di Traian Băsescu, Presidente della Romania
dal 2004 al 2014, e leader del Partito del Movimento Popolare dal 2015. Nello stesso anno la
Commissione Europea, a fronte dell’aumento del numero di migranti giunti in Europa per via
della guerra civile in Siria, avanzò la proposta di ricollocare 120.000 rifugiati da Italia (15.600),
Grecia (50.400) e Ungheria (54.000)
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nei vari paesi europei. Klaus Iohannis, l’allora nonché
attuale Presidente, affermò di non voler affatto rifugiati nel proprio territorio. Fu in questo
momento che Băsescu individuò nel discorso sui migranti uno strumento utile per ottenere il
consenso politico. Infatti, al termine della sua carica di Presidente, Băsescu si impegnò per
ottenere un posto nel parlamento. Con il contributo delle sue dichiarazioni riguardanti i rifugiati
in meno di un mese l’opinione dei romeni cambiò notevolmente, virando verso la scelta di
rifiutare il loro ingresso nel paese: se nell’agosto 2015 il 65% dei romeni riteneva opportuno che
la Romania ospitasse un certo numero di immigrati, solo il mese successivo il 56,2% credeva
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https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_15_5596
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che questa non avrebbe dovuto accettare affatto rifugiati (Momoc, 2016). In un’intervista sulla
rete B1 TV possiamo ascoltare le seguenti parole da Băsescu:
These ones are talking through bombs. They put bombs around their waist and detonate themselves
in subway stations. We couldn’t even integrate the Roma people. How would we integrate the
Muslims, of whom you don’t even know which are Shiites, which are Sunni
Poco più tardi afferma: “What Muslims hate most are the Christians”. Da dichiarazioni di questo
tipo non si può che evincere una contrapposizione radicale tra due poli, definiti in base alla
confessione. Da una parte una popolazione cristiana e pacifica e dall’altra una musulmana e
incline alla guerra. Non a caso, come afferma Momoc, con il pretesto del pericolo del terrorismo
musulmano, politici nazionalisti in Slovacchia, Ungheria e Polonia dichiararono che avrebbero
accettato esclusivamente siriani di religione cristiana e non avrebbero tollerato rifugiati non-
bianchi nel loro territorio nel contesto del sistema di ricollocazione europeo. È interessante
notare il paradosso che porta Stati secolarizzati a tracciare linee di differenza sulla base della
religione, con particolare attenzione all’Islam (Mazzucelli, 2016).
Un’analisi dei contenuti pubblicati sui social network dalla diaspora indiana (Leidig, 2019)
dimostra come anche le comunità hindu, sikh e cristiane nel Regno Unito e negli Stati Uniti si
avvalgano della religione per tracciare linee di differenza. Essi infatti riproducono visioni
negative dei migranti musulmani con lo scopo di discostarsi e distinguersi da essi proprio per
mezzo della diversa confessione. Nei loro post su Twitter, i musulmani sono spesso descritti
come violenti, specialmente con lo scopo di causare distruzione. Le accuse nei confronti dei
musulmani sono molte e di particolare gravità, come possiamo vedere dalle parole dell’autrice:
Links to ISIS or terrorist activity is frequently cited as a major concern. Similarly, Muslims are
described as a “cancer” in relation to Islam as a “poisonous ideology”. Further references to Islam
include describing the Prophet Mohammed as a pedophile and rapist, and consequently, Western
women as targets of “rape” or “sex slaves” by Muslims continuing Islamic practice. Tweets also
frequently describe Muslims in reference to immigration. Portrayed as “cockroaches”, Muslims are
seen as invaders constantly “breeding” in or-der to destruct Western/European “civilization”.
Consequently, they are viewed as foreigners who must be deported.
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L’associazione musulmano-terrorista può essere vista come una continuazione del discorso
orientalista, che contrappone l’Occidente razionale e civilizzato al Medio Oriente emotivo e
barbaro. In questa prospettiva, l’uomo musulmano viene raffigurato come un radicale irrazionale
e incline alla violenza, mentre la donna oscilla tra la figura della vittima della dominazione
maschile, e quindi bisognosa di aiuto, e quella di una pericolosa fanatica religiosa pronta ad
uccidere in nome dell’Islam (Jaskulowski, 2019).
La paura degli Stati occidentali verso il migrante-terrorista si manifesta anche attraverso la
credenza che le rimesse possano finanziare attività ed organizzazioni terroristiche, invece di
vederne il potenziale ruolo positivo per lo sviluppo economico del paese che le riceve. Inoltre,
non di rado il migrante musulmano viene rappresentato come facilmente incline alla
radicalizzazione e alla partecipazione in organizzazioni terroristiche nel territorio del paese che
lo ospita. Il leader del partito UKIP Nigel Farage ha individuato nel multiculturalismo l’ambiente
favorevole alla nascita di movimenti terroristici in Europa (Kallis, 2015).
Un altro episodio avvenuto in Svizzera è utile per esplicitare l’efficacia dei discorsi di odio nei
confronti dei migranti musulmani da parte dei partiti politici populisti. Nel 2009 l’Unione
Democratica di Centro presentò un referendum che aveva lo scopo di introdurre nella
costituzione il divieto di costruire minareti. Sebbene la questione fosse ben poco rilevante a
livello politico, data la presenza di soli 4 minareti in tutto il paese, questi furono presentati come
un simbolo dell’espansione dell’Islam in Svizzera. La campagna guidata dall’UDC fece leva
sulla paura nei confronti della migrazione dei musulmani e creò associazioni tra l’Islam, il
terrorismo e la violenza. Infatti, l’Islam fu presentato come una minaccia ai valori svizzeri
fondamentali, concetto ben riassunto nei poster più famosi della campagna in cui i minareti si
trasformano in missili che forano la bandiera svizzera.
Figure 1, 2 e 3. Comuni poster di propaganda per il "No" al referendum (Fig. 1 e 2: https://www.swissinfo.ch/ita/minareti--
s%C3%AC-o-no-/433854, Fig. 3: https://www.eguide.ch/en/objekt/stopp-ja-zum-verbot-von-kriegsmaterial-exporten/)