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Credo che, se davvero il nostro compito è accompagnare i ragazzi a esplorare il mondo
della storia, non sia più molto proficuo far percorrere loro lunghe marce nei territori della
storia politica e solo brevi ed occasionali tratti sulle vie della geografia storica o della storia
sociale. Si ha la sensazione diffusa che il clima, anche nella scuola, sia davvero cambiato: le
istituzioni, la politica e il potere non rappresentano più l’unica linea d’orizzonte. Alla
didattica ormai, le famiglie e le istituzioni chiedono di avere uno sguardo molto più
dettagliato, di offrire contenuti vicini, vivi, presenti e sinceramente legati alla realtà dei
ragazzi che apprendono. Agli insegnanti è richiesta poi grande attenzione alle ricadute
educative e formative (prima che culturali) dell’insegnamento. Per questo motivo quella che
Braudel chiama la “vita materiale”, sarà destinata – credo – a diventare sempre più
protagonista nell’insegnamento della storia. Anzitutto perché – e lo si vede facilmente in
classe - interessa e appassiona i ragazzi.
In secondo luogo perché aiuta l’insegnante nel suo ruolo di formatore, consentendogli
di avvicinare studenti e genitori su problemi condivisi, sentiti, permettendogli di spaziare su
documentazioni nuove, ricche e non banali, verso luoghi e testimonianze legati anche al
territorio in cui la scuola vive. La storia sociale aiuterà i nuovi insegnanti, in sostanza, a
rispondere a domande non banali e non retoriche in modo professionale.
Attraverso l’approfondimento di temi come l’eugenetica, il dialogo dell’insegnate coi
ragazzi e le famiglie potrà essere, io credo, davvero autentico. In questi anni, in cui la
società occidentale ha sentito forti la pressione dell’edonismo, le lusinghe del benessere
economico e delle certezze scientifiche, anche le lusinghe “eugenetiche” (ingegneria
genetica, fecondazione artificiale, clonazione umana, aborto preventivo…) sono tornate a
diffondersi e i ragazzi in classe ci hanno chiesto spesso di aiutarli a capire meglio, ad
orientarsi quando saranno chiamati a decidere. Nel nostro ruolo di insegnanti non possiamo
certo indottrinarli o scegliere per loro. Ma possiamo approfondire assieme a loro, dal lato
della nostra competenza specifica, questi problemi.
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Una scienza nuova: l’eugenetica (1890-1914)
Radici filosofiche profonde
"Eugenics is the study of agencies under social control that may improve or impair the
racial qualities of future generations either phisically or mentally"
2
, così nel luglio del 1904
Francis Galton, biologo, antropologo e psicologo, cugino di Charles Darwin, in un articolo
sull'American Journal of Sociology dava la prima definizione ufficiale di una “nuova
scienza”, la scienza del “razionale allevamento umano”.
Questa “novità” in realtà aveva ben poco di nuovo, almeno nei preupposti e negli scopi:
da sempre i filosofi, gli scienziati, gli intellettuali e gli statisti avevano accarezzato l’idea
che l’umanità, usando la ragione, avrebbe potuto produrre “generazioni future perfette”
fisicamente e moralmente.
In Platone ad esempio, per la prima volta l’eugenetica viene indicata come strumento
forte nelle mani dello Stato. E anche se la “Repubblica” è pur sempre un’utopia, fa riflettere
il modo in cui il filosofo immagina di poter realizzare quesrta utopia; con mezzi
assolutamente sbrigativi: omicidio e segretezza.
«Se dobbiamo tener conto – risposi – di ciò che abbiamo già ammesso, conviene che
gli uomini migliori si accoppino con le donne migliori il più spesso possibile e che, al con-
trario, i peggiori si uniscano con le peggiori, meno che si può; e se si vuole che il gregge
sia veramente di razza occorre che i nati dai primi vengano allevati; non invece quelli degli
altri. E questa trama, nel suo complesso, deve essere tenuta all’oscuro di tutti, tranne che
dei reggitori, se si desidera che il gruppo dei guardiani sia per lo più al sicuro da
sedizioni». (Repubblica, V, trad. G. Reale)
Il dovere di “ben generare” per Platone è componente fondamentale dello Stato
filosoficamente retto: nelle “Leggi”, il filosofo abbandona l’eugenica mediante eutanasia
ma chiede allo Stato di emanare leggi rigorose contro l’immoralità e il disordine sessuale
(libro VIII). E soprattutto – con parole sorprendentemente anticipatrici, ritiene si possano
legare strettamente vizio e degenerazione fisica:
2
G. Perondi, Origine storia e scopi dell'eugenica, in “Difesa Sociale”, settembre 1933
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«L’ubriaco, invece, si butta da ogni parte e butta ciò che gli capita, smaniando nel
corpo e nell'anima, sicché anche quando getta il seme è incerto e squilibrato, col risultato
di ottenere, con ogni probabilità figli anormali, irresponsabili, devianti nel comportamento
e fisicamente deformi. Allora bisogna proprio che per tutto l'anno, anzi per tutta la vita, e
in modo particolare nel tempo della fecondità, si usi ogni prudenza per non compiere
coscientemente delle azioni che espongono al pericolo di malattie, oppure atti di violenza e
di ingiustizia. Questo perché, fatalmente, tali caratteri vengono trasferiti e impressi nelle
anime e nei corpi dei concepiti, i quali nasceranno infelici sotto tutti gli aspetti.»
(Leggi,VI, trad. G. Reale).
Questa linea di pensiero, tuttavia, è destinata a morire con il mondo classico. Con la
filosofia cristiana medievale l’eugenetica perderà di senso: la corporeità umana è
irrimediabilemente degenerata a causa del peccato originale e questa degenerazione si
trasmette per via sessuale senza alternative.
I corpi possono presentare esternamente la bruttura del peccato e la miseria umana in
forme più o meno lievi, non importa; ciò che conta è che non c’è rimedio all’abbrutimento
umano se non l’intervento “esterno” di Dio. Auspicare una “buona procreazione” come
suggeriva Platone è sforzo vano:
«L'uomo volontariamente pervertito e giustamente condannato ha generato individui
pervertiti e condannati. La nostra natura seminale(…) era viziata per il peccato, irretita nel
laccio della morte e giustamente condannata (…) Essa, poiché è depravata l'origine, come
una radice marcita, conduce il genere umano in un contesto d'infelicità alla rovina della
seconda morte che non ha fine, fatta eccezione soltanto per quelli che sono stati liberati
dalla grazia di Dio.» (S. Agostino, “Città di Dio”, 13,14) . Tutto questo, paradossalmente
mentre la Chiesa esercita un oculatissmo controllo sulla rettitudine delle pratiche sessuali
dei fedeli, sottoponendole a tempi e modi rigorosi per la corretta generazione.
Il pensiero “eugenetico” tornerà in auge solo con il rinascimento e il rinnovato interesse
per la politica: Campanella, nella “Città del sole” immaginerà dei Precettori deputati alla
combinazione dei matrimoni e un Gran Dottore della Medicina preposto a sorvegliare la vita
sessuale dei cittadini… siamo, è superfluo affermarlo, ancora nel limbo della riflessione
utopica sullo Stato.
Si tratterà di un ritorno effimero: la medicina dopo la rivoluzione scientifica sarà molto
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più occupata a gettare le basi della fisiologia e a capire i meccanismi dell’”uomo macchina”
più che a immaginare nazioni di figli perfetti.
In seguito però, dopo essere passata per la dura prova del criticismo kantiano, la ricerca
scientifica si accostrà al tema della corporeità umana in modo nuovo. Si aprirà la questione
del legame tra espressione fisica dell’uomo ed espressione spirituale, tra “corporeità” e
“pensiero”, (e in senso più ampio tra “forma del corpo” e “forma della mente”). E si
comincerà a riflettere ancora sulle diversità umane in termini di “qualità”. Ritronerà la
suggestione platonica della corrispondenza tra aristocrazia fisica e spirituale.
Tra settecento e ottocento si afferma la frenologia, una disciplina medico-scientifica
fondata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758-1828), che definisce con precisione
quasi matematica le peculiarità psicologiche di una persona esaminando la conformazione
del suo cranio. E’ l’embrione della “biometrica”, scienza ausiliaria dell’eugenetica.
Hegel si assumerà il compito di demolire il ferreo determinismo fisiologico di questa
scienza “improvvisata”, affermando che nessun rapporto tra Spirito ed espressione
“nell’osso” è necessario:
«Poiché un modo cosciente dello spirito ha il proprio sentimento in una certa regione
del cranio, questa, nella propria figura, accennerà a quel modo dello spirito e alla sua
caratteristica. Come, per es., taluno nell'atto di un pensiero faticoso o anche nel pensare in
generale lamenta una dolorosa tensione in qualche punto del capo, così l'assassinare, il
rubare, il poetare ecc., potrebbero venire accompagnati da una propria sensazione, che
dovrebbe poi avere anche la sua speciale regione. Questa regione del cervello, che in tal
guisa sarebbe più mossa e più attiva, darebbe verisimilmente una speciale conformazione
anche alla confinante regione del cranio (…) In verità, da qualunque aspetto si consideri la
cosa, viene a mancare ogni necessità di rapporto reciproco e ogni diretto accenno ad esso.
Se tuttavia il rapporto debba aver luogo, di necessario non resta che una libera armonia
prestabilita della rispettiva determinazione dei due lati (…) Se dei figli d'Israele ciascuno
dovesse raccogliere dalla sabbia del mare, alla quale essi tutti dovrebbero corrispondere, il
granellino di cui ciascuno è segno, l'indifferenza e l'arbitrio onde ad ognuno verrebbe
attribuito il granellino che gli spetta non sarebbero maggiori dell'indifferenza e
dell'arbitrio che ad ogni facoltà dell'anima, ad ogni passione e, ciò che dovrebbe pur venire
preso in considerazione, alle sfumature dei caratteri, - delle quali son solite discorrere la
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più raffinata psicologia e la più raffinata cognizione dell'uomo, - assegnassero le
corrispondenti regioni craniche e le corrispondenti forme ossee.
Il cranio dell'assassino non ha nè un organo nè un segno, bensì una certa
protuberanza; ma questo assassino ha anche una quantità di altre proprietà ed ha anche
altre protuberanze; e con le protuberanze ha anche delle infossature; si può quindi
scegliere tra protuberanza e infossature. E allora, la sua disposizione all'omicidio può
venire riferita ad una qualunque delle protuberanze o ad una qualunque delle infossature;
come, viceversa, le protuberanze e le infossature possono venire riferite a una qualsiasi
delle proprietà; ché nè l’assassino è solo tal quintessenza d'assassino, nè ha un'unica
sporgenza e un'unica infossatura.» (Fenomenologia dello spirito, trad. E. De Negri, Firenze,
1973, vol. II, pag. 287)
Il monito di Hegel rimarrà poco più che uno spunto sulla carta. Dalla metà del XIX
secolo la fede positiva nella scienza e le scoperte della biologia daranno nuovo vigore alle
intuizioni di Gall: la sovrapposizione tra “vita psicologica” e “vita biologica” dell’uomo
diventa strettissima…